Quando era piccolo, Haymtich adorava giocare a nascondino.
Quando la mamma e il papà non c'erano, si intrufolava sempre sotto il lettone – nella camera dei grandi, dove non gli era permesso entrare – e aspettava che suo fratello Theodore terminasse la conta.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci.
Scivolava sotto il materasso, attento a non impigliarsi negli spunzoni arrugginiti della vecchia rete che lo sorreggeva, e chiudeva gli occhi, premendosi una mano sulla bocca perché non gli scappasse da ridere. C'era, infatti, una sola regola che Haymitch era costretto a rispettare, se non voleva che Theodore lo trovasse troppo in fretta: doveva restare zitto.
Il buio, denso, gli premeva prepotentemente sugli occhi, ma non ne aveva paura: aveva fatto delle tenebre le sue migliori alleate, quando giocava a nascondersi e l'ignoto non sembrava più così spaventoso.
I still remember lying on the floor, I still remember trying figure this all out, my body bruised
with no one left to call.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci.
Continuava a ripeterselo, una mano premuta contro la bocca e le gambe strette al petto, nonostante le fitte di dolore gli trafigessero un polpaccio come la lama di un coltello.
Haymitch chiuse gli occhi, schiacciandosi contro il terreno umido di pioggia; il buio era denso, ma non ne aveva paura: ne aveva fatto il suo miglior alleato, proprio come quand'era piccolo e il letto di mamma e papà gli sembrava così alto. E, quando sentì i passi dei Favoriti avvicinarsi, gli angoli della bocca gli si inarcarono in un piccolo sorriso, perché sapeva – sapeva che c'era una sola regola da rispettare: quando avessero finito la conta, avrebbe dovuto restare zitto.