Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Its Ellie    24/12/2014    5 recensioni
Il Tour della Vittoria è ormai finito e gli abitanti di Capitol City attendono con ansia la cinquantaduesima edizione degli Hunger Games.
Dal momento che l'edizione precedente è stata considerata noiosa, il nuovo Capo Stratega Menelaus Stark sa bene di non poter deludere il pubblico ed è deciso a rendere questi Hunger Games memorabili.
L'arena è particolare, diversa. I tributi dovranno lottare fino all'ultimo respiro per poter vincere e tornare a casa. E saranno i vostri tributi.
(STORIA INTERATTIVA)
***
Dal capitolo 3:
"Era tutto pronto.
L’arena, gli ibridi, le trappole e, naturalmente, le telecamere.
Menelaus Stark osservò compiaciuto i tributi di quell’edizione, pregustando già il sapore della vittoria. Quell’anno Capitol City avrebbe avuto gli eccitanti giochi della fame che si aspettava e lui avrebbe ottenuto la meritata gloria.
Sentiva dietro di lui lo sguardo di ghiaccio del presidente Snow scrutarlo a fondo. Ma anche lui aveva un cuore duro e freddo, lui era uno Stark e non avrebbe permesso a nessuno di portargli via la fama per cui aveva versato sangue e sudore. [...]
Rise, e fu una risata priva di allegria.
Gelida."
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caesar Flickerman, Haymitch Abernathy, Nuovo personaggio, Presidente Snow, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Let the Games begin.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“ In ogni addio c’è un’immagine della morte.
    George Eliot
 
Say goodbye (Pt. 1)
 
Distretto Uno - Glass Sparks
 
Se avesse potuto, Glass avrebbe sicuramente cancellato dal volto di suo fratello Silver quell’espressione contrariata. Perché doveva fissarla sempre in quel modo?
«Non avresti dovuto farlo» ripeté infatti lui per l’ennesima volta in quei minuti. «Tu-»
«Adesso basta, Silver!» sbottò lei all’improvviso, sorprendendolo. «Tu hai vinto, e a soli quindici anni! Hai sconfitto tutti i tuoi avversari, hai dimostrato quanto vali, perché non posso farlo anche io?»
«Lo sai perché!» replicò lui altrettanto bruscamente. «La fine di Marley è stata...»
Le parole gli morirono in gola. Glass sapeva che Silver non aveva mai superato del tutto la morte della sorella. Quando Marley era stata uccisa, suo fratello aveva cambiato completamente atteggiamento: da ragazzo esaltato, superbo e violento era diventato calmo, silenzioso e riservato, ma soprattutto aveva cominciato ad odiare gli Hunger Games e, nonostante non potesse ammetterlo a voce alta, Glass non aveva mai avuto dubbi a riguardo.
Eppure lei non aveva cambiato idea. Era più motivata che mai a farcela.
«Andrà tutto bene» gli promise addolcendo il tono della voce. Litigare non sarebbe servito a niente. «Lo sai che ho tutte le carte in regola per vincere. Riporterò la nostra famiglia alla gloria di una volta.»
Silver scosse la testa, ma si avvicinò per stringerla in un abbraccio. «Spero che tu sappia quello che stai facendo, Glass» mormorò piano, poi, senza aggiungere altro, lasciò la stanza.
Glass rimase con i suoi genitori e i due piccoli gemelli, Lumi ed Emerald.
Il padre l’abbracciò a sua volta e le disse «Non preoccuparti per Silver, gli passerà. Io so che puoi farcela, vincerai sicuramente.»
Fu quello sguardo fiero di lei che l’aiutò a sopportare quello addolorato della madre, che era sempre stata dalla parte di Silver.
«Glass, tesoro...» Non riuscì ad aggiungere altro che scoppiò a piangere. Per i minuti successivi si limitò a stringere la figlia tra le braccia, mentre i gemelli le rivolsero dei grandi sorrisi e parole d’incoraggiamento.
Alla fine la sua famiglia se ne andò e nel salottino arredato con piccoli divanetti di velluto rosso e mobili dalle decorazioni d’oro fecero ingresso i suoi amici.
«Glass!» esclamò una voce squillante. Lily le corse incontro e si gettò su di lei a braccia aperte. «Sono così felice per te! Sei la migliore, quelli possono solo tremare vedendoti!»
Glass rise. «E io che speravo di giocare la carta della ragazza affascinante!»
«Quella riservala per me.» Quando Jace comparve alle spalle di Lily, Glass trattenne il respiro. Eccolo lì, Jace, con il suo fisico alto e statuario, uno dei ragazzi più forti e belli dell’Accademia. Le aveva promesso che si sarebbe offerto volontario insieme a lei, che avrebbero combattuto fianco a fianco, se non fosse stato per...
Il ragazzo sembrò intuire i suoi pensieri, perché disse «Dannazione, se solo non avessero estratto Krane! Non mi sarei mai potuto offrire volontario al suo posto, altrimenti i suoi genitori si sarebbero assicurati che morissi di una bella morte dolorosa e...»
Ma Glass si era alzata e l’aveva zittito con un bacio. Ad un tratto niente sembrava avere più importanza. C’erano solo loro due, e a Glass tanto bastava.
«Ehi, è meglio così» sussurrò al suo orecchio. «Sei salvo, conta solo questo per me.»
«Avrei dovuto provarci lo stesso...» tentò di ribattere lui, ma lasciò perdere definitivamente quando Glass si avvicinò per baciarlo di nuovo. Sentiva Lily ridacchiare dietro di lei, ma non le interessava.
«Vincerò» disse a bassa voce, perché sentissero solo loro due. «Vincerò e quando tornerò saremo felici e lo saremo insieme.»
Sarebbe tornata da vincitrice per tutti loro.

 
 Distretto Due - Seraphine Rapier
 
Seraphine, gli occhi chiusi e la testa reclinata indietro, cercava di concentrarsi unicamente sul suo respiro. Non aveva intenzione di perdere la calma, si era preparata per quel momento per più di un anno e ormai era pronta a tutto.
Il silenzio tranquillo che era sceso sul salottino non le dispiaceva. Era un po’ come lei, calmo e malinconico, eppure non si poteva ignorare.
Alla fine però, nonostante avesse cercato in tutti i modi di evitare qualsiasi pensiero, i ricordi cominciarono a sovrapporsi nitidi nella sua mente, e riguardavano tutti la stessa persona.
Arya.
Arya, ad otto anni, mentre le rivolgeva un sorriso spavaldo che nascondeva una certa timidezza la prima volta che si erano incontrate.
Arya, più grande, mentre scoccava una freccia e centrava perfettamente il bersaglio, prendendola in giro perché lei era negata con l’arco.
Arya, a sedici anni, mentre con i pugni serrati si faceva avanti e gridava a tutta la piazza che si offriva volontaria come tributo.
Arya, nell’arena, mentre incitava gli altri Favoriti e correva, combatteva, urlava, esultava.
Le immagini si conclusero con il suo volto pallido mentre chiudeva gli occhi e se ne andava, quella volta per sempre.
Seraphine aprì gli occhi di scatto e si sforzò di mantenere la calma.
Ricordati perché lo stai facendo, si disse dura. Lo stava facendo solo per lei, perché non avrebbe tollerato mai più che qualcuno desse alla sua migliore amica della debole, della codarda, della vergogna del Distretto. Arya era la persona migliore che ci fosse.
Alla fine i suoi genitori entrarono nel salottino e Seraphine distolse la mente da quei pensieri.
Suo padre Bolt si stava chiaramente sforzando di non piangere, lo sguardo fiero e addolorato insieme. La strinse forte, le disse che era orgoglioso di lei, che era una ragazza forte e che ce l’avrebbe sicuramente fatta, le diede consigli, le sussurrò che le voleva bene, commosso.
Poi arrivò il turno di sua madre, Maya. La donna era diventata muta a quindici anni, dopo che suo fratello maggiore Dylan era morto in un’edizione degli Hunger Games. Non disse niente, non avrebbe potuto, così rimase a fissarla per svariati secondi, con uno sguardo così intenso che Seraphine fu quasi tentata di distogliere il suo, uno sguardo che valeva mille parole.
Poi la abbracciò, e la strinse tra le braccia come se la ragazza fosse tornata una piccola bambina spaventata dai tuoni, le carezzò i capelli, e pianse.
Alla fine tirò fuori carta e penna e le scrisse velocemente una lettera.
 
Seraphine,
non ho alcuna intenzione di rimproverarti per ciò che hai fatto. Capisco la tua scelta, Arya era una ragazza splendida e sicuramente non meritava di morire. Tuttavia solo il pensiero di te in quell’arena che mi ha già portato via una delle persone più importanti della mia vita mi terrorizza. Ho paura per te, temo il tuo destino e non posso neanche pensare al terribile dolore che mi procurerebbe la tua morte senza sentire una stretta al cuore. Eppure sono anche orgogliosa di te: hai dimostrato che la vecchia Seraphine è ancora lì da qualche parte e presto si farà valere. Posso solo dirti che sono fiera di te e credo in te come ho sempre fatto. Sono sicura che presto ti riavrò qui, più forte e bella che mai, e credo anche che riscatterai non solo la morte di Arya, ma anche quella di mio fratello Dylan con la tua vittoria.
Ti voglio un bene immenso, ricordalo sempre.
                                                                                            Tua madre Maya
 
Seraphine, a quel punto, dovette ricorrere a tutte le sue forze per trattenere le lacrime. Annuì e cercò di sorridere alla madre. Lei le prese la lettera dalle mani e ricambiò il sorriso, poi infilò il foglio dentro un bracciale in bronzo dove sopra era stato inciso il disegno di un drago dormiente.
“Il tuo portafortuna”, mimò la madre con le labbra, poi glielo porse.
Seraphine lo indossò subito, ma non fece in tempo a ringraziarla che il Pacificatore che la sorvegliava annunciò che il tempo era scaduto.
«Ti vogliamo bene!» esclamò il padre mentre la porta si chiudeva alle sue spalle.
Poco dopo un’altra persona cercò di entrare nella stanza, ma appena la ragazza di accorse di chi fosse si alzò e fece sfoggio del suo miglior sguardo tagliente.
«Vattene» sibilò rivolta alla madre di Arya. Era solo colpa sua se la sua migliore amica era morta. L’aveva costretta ad offrirsi volontaria nonostante sua figlia si fosse sempre opposta.
«Seraphine, tesoro...»
«Vattene subito!»
La donna la fissò sbigottita per qualche secondo, poi chinò la testa e, imbarazzata, se ne andò.
Seraphine si lasciò cadere sulla poltroncina e chiuse nuovamente gli occhi. Poi, in un sussurro impercettibile, dichiarò a tutti e a nessuno «Giuro che vincerò.»

 
Distretto Cinque - Jesse Layle
 
Nella sua mente, Jesse continuava a rivedere se stesso mentre si toglieva con un gesto deciso il cappello che teneva calcato in testa e buttava via gli occhiali che gli coprivano metà faccia, insieme alla sciarpa che nascondeva l’altra metà. Gli sembrava ancora di sentire le mani spingere via la folla che lo circondava, nel disperato tentativo di farsi notare, mentre urlava la fatidica frase.
Mi offro volontario.
No, non se n’era pentito. Aveva salvato la vita ad Andy ed era ciò che contava.
Strinse tra le mani il portachiavi a forma di asinello che suo fratello aveva sepolto nella sua falsa tomba. Poteva sembrare un po’ comico, forse anche ridicolo, ma Jesse ci era davvero affezionato. Gli ritornò in mente l’espressione stupita di Andy quando l’aveva visto e gli venne quasi voglia di sorridere. Quasi.
La porta si spalancò di colpo e uno dei consiglieri del Sindaco si fece avanti, accompagnato da uno strano oggetto quadrato da cui un fascio tremolante di luce verde usciva prendendo la forma di un uomo calvo dalle sopracciglia folte e aggrottate.
«Signor Layle, c’è qui un funzionario di Capitol City che vorrebbe parlare con lei» annunciò freddamente il consigliere, poi fece segno al Pacificatore che sorvegliava Jesse di lasciare la stanza.
Quando furono rimasti soli, l’ologramma parlò.
«Signor Layle, è un piacere» esordì l’uomo senza sorridere. Parlava con un tono inespressivo, come se non gli fosse importato niente del fatto che tutti credevano Jesse morto quando in realtà si era appena offerto volontario al posto di suo fratello. «Mi chiamo Ludwig Roach, mi occupo delle giustizia a Capitol City e in tutta Panem. Come può immaginare, sono qui perché ho bisogno di alcuni chiarimenti. So che lei, nel Distretto Cinque, risulta deceduto da ormai ben quattro anni, ma a quanto pare c’è stato un errore, visto che è qui, vivo e vegeto davanti ai miei occhi. Vorrebbe per favore spiegarmi cosa sia successo?»
Jesse si sforzò di reprimere il terrore. Si era aspettato quella visita, ma non pensava che uno dei capitolini in persona – o quasi – gli avrebbe chiesto delle spiegazioni. Aveva una sola possibilità di raccontare la sua bugia e farlo in modo convincente.
«Il piacere è tutto mio, signor Roach» rispose cercando di sembrare perfettamente calmo, come se tutto quello fosse stato un semplice equivoco. «Vede, il fatto è che c’è stato un piccolo errore. C’era un ragazzo che viveva vicino casa mia, si chiamava Lawrence. Era un figlio della strada, abbandonato dai genitori appena nato, e campava di piccole commissioni fatte per altri. Mi assomigliava molto – era facile scambiare l’uno per l’altro – e lui non era nemmeno registrato all’anagrafe, così ho pensato che ogni tanto avrei potuto mandarlo a lavorare in fabbrica al posto mio, fingendo che lui fosse me. So che è stato ingiusto da parte mia, ma comunque gli davo una parte del mio stipendio. Quando l’hanno portato dietro La Porta, non ho potuto far niente, ma in realtà non ero io, era lui. Solo che gli altri hanno dato per scontato che fossi io, ecco tutto.»
I secondi successivi furono i più lunghi della sua vita. Ti prego, ti prego, ti prego, fa che ci creda, urlava dentro di sé mentre aspettava una reazione da parte dell’uomo. Fa che ci creda!
«Sicuro che questa sia la versione dei fatti?» chiese il signor Roach, ancora accigliato. «Me lo conferma?»
Jesse sentì un brivido percorrergli la schiena. Sospettavano qualcosa?
«Confermo» rispose cercando di mantenere saldo il tono.
Alla fine il signor Roach gli rivolse un piccolo sorriso. «Capisco, quindi era tutto qui. Bene, ora è tutto molto più chiaro, grazie per la sua collaborazione, signor Layle. A presto.»
Mentre il consigliere – e insieme a lui l’ologramma – se ne andava, Jesse mormorò un «A presto» poco convinto, poi si lasciò cadere nuovamente sulla poltroncina.
Ce l’ho fatta, esultò mentalmente. L’ho convinto!
Eppure qualcosa dentro di sé gli diceva che quella non era la verità.
Pensò preoccupato ad Hazel e ai suoi amici nella nella corte. Altre persone che, come lui, avevano attraversato La Porta e che tutti credevano morte, quando in realtà vivevano nel mondo sotterraneo che tutti chiamavano la corte dei miracoli. Cosa sarebbe successo se li avessero trovati?
Sta’ calmo, non succederà. La corte dei miracoli è protetta dalla Coin in persona.
Poteva solo sperare che fosse vero.

 
Distretto Sette - Damien Powell
 
Damien, sdraiato comodamente sulla poltroncina di velluto, fissava il soffitto come se non avesse mai visto nulla di così interessante prima.
Nonostante fosse fuori dalla sua visuale, il ragazzo poteva percepire lo sguardo del Pacificatore che l’aveva accompagnato in una delle lussuose stanze del Palazzo di Giustizia trapassarlo più e più volte, come se avesse davvero potuto ferirlo con la sola forza della mente.
Sapeva anche che l’uomo stava facendo di tutto per trattenere la rabbia e non saltargli addosso per cercare di strangolarlo, così alla fine lasciò andare un lungo, teatrale sospiro e disse «Senti, lo so che stai morendo dalla voglia di uccidermi, perciò perché non lo fai? Almeno mi risparmieresti tutta la fatica dell’arena.»
Il Pacificatore non rispose subito. Damien si chiese se gli avrebbe davvero dato retta, quando improvvisamente lo sentì replicare «Gli Hunger Games sono il giusto prezzo che devi pagare per ciò che hai fatto.»
Il ragazzo fece roteare gli occhi nonostante l’altro non potesse vederlo. «Ma sentilo! Il giusto prezzo che devi pagare, bla bla bla... non si paga mai il giusto prezzo, non te l’ha detto nessuno?»
E lui lo sapeva meglio di chiunque altro. Vivendo per strada aveva presto imparato che la giustizia non esisteva. Potevi solo cercare di limitare il danno il più possibile.
«Morirai, ed è ciò che meriti» insisté l’uomo con tono duro. Damien sbuffò annoiato. Pensava che sarebbe stato divertente provocarlo, e invece niente... era meglio lasciar perdere.
Per un po’ riuscì a starsene in silenzio ma, più i secondi passavano, più sentiva l’atmosfera farsi opprimente, così alla fine riaprì bocca prima ancora di poterselo impedire.
«Dai, dimmi chi era il Pacificatore a cui ho sparato stamattina! Il tuo migliore amico? Tuo padre? Oh, aspetta... sarà mica stato il tuo ragazzo?» esclamò fingendosi scioccato.
Inclinò la testa di lato per potersi godere lo spettacolo dell’uomo che perdeva il controllo, ma non ottenne la reazione sperata. Infatti il Pacificatore si limitò a lanciargli uno sguardo carico d’odio, uno sguardo che spesso era stato rivolto a Damien nella sua vita, e a rispondere secco «Mia sorella.»
Il sangue gelò nelle vene del ragazzo.
Quella che aveva ucciso prima di scappare dal negozio era una donna? E sua sorella, per giunta.
Quando la parola “sorella” si formò nella sua mente, un’altra l’affiancò subito dopo.
Lorene.
Istantaneamente un’immagine nitida e talmente reale da sembrare una fotografia gli apparve nella testa. Lunghi capelli rossi, due bellissimi occhi verde chiaro, labbra sottili incurvate in un sorriso...
Basta.
Scosse la testa violentemente. Quello non era assolutamente il momento per pensare a Lorene. Pensare a Lorene significava abbandonarsi alla malinconia e al dolore, e abbandonarsi a malinconia e dolore significava provare emozioni.
E un’altra legge della strada era proprio quella: allontanare le emozioni. Damien le evitava come una malattia contagiosa.
Ormai era rimasto solo, non poteva farci niente. La conferma gli arrivò quando il Pacificatore annunciò «Il tempo per le visite è finito. È ora di raggiungere il treno.»
Un sorriso amaro si dipinse sul volto del ragazzo. Né suo zio Hector né Noah, il falegname – e trafficante d’armi e droga, ma quello lo sapeva solo Damien – per cui lavorava, si erano presentati. Non che si aspettasse nulla di diverso.
Solo per un attimo pensò ai suoi genitori, cosa che cercava di evitare il più possibile.
Sua madre sarebbe stata una dei Mentori quell’anno? L’avrebbe vista, magari avrebbe provato a parlarci?
E perché dovresti? Ha abbandonato te e Lorene.
Per non parlare di suo padre. Aveva convinto il Pacificatore ad organizzare un incontro l’anno prima per chiedergli aiuto, ma non appena l’uomo aveva sentito della malattia di sua sorella gli aveva detto “Forse non ti ricordi perché vivi con tuo zio. Io me ne lavo le mani di voi due ragazzi. È un tuo problema, risolvilo da solo”.
E se n’era andato. Se l’avesse aiutato, Lorene si sarebbe salvata. E invece...
Poi all’improvviso si riscosse.
Sai che ti dico? Anch’io me ne lavo le mani. Vincerò e pareggeremo i conti una volta per tutte.
Si alzò dalla poltroncina e lasciò che l’uomo lo scortasse fuori dalla stanza.
Infondo, cos’era quella se non l’ennesima sfida che avrebbe dovuto affrontare?

 
Distretto Otto - Hannibal Lightning
 
«Hannibal, finalmente ci siamo!»
Il ragazzo sospirò. Era ovvio che Alaric sarebbe andato dritto al punto, diretto com’era. Ma non era forse una delle qualità che più apprezzava del vecchio Bibliotecario?
Gli occhi grigi dell’uomo erano inquieti ed emozionati al tempo stesso, come se fosse stato indeciso se gioire del fatto che Hannibal fosse stato estratto o esserne addolorato.
Sembrava una persona completamente diversa da quella colta ed elegante che Hannibal conosceva. Il che poteva significare solo che grandi notizie erano in arrivo.
«Ci siamo?» si limitò a ripetere, fissandolo con uno sguardo curioso ed interrogativo.
«Sì, sì! Heimrich, Daven e Govert stanno arrivando, e naturalmente c’è anche Axel. Ti spiegheranno tutto quanto. So che mi crederai pazzo, ma il fatto che tu sia stato estratto è chiaramente un segno del destino-»
«Tu non credi nel destino, Alaric.»
«Lasciami finire, ragazzo. Non avevamo il coraggio di chiedere a nessuno di voi giovani di offrirsi volontario per condurre le operazioni da dentro l’arena, ma a quanto pare il problema è stato risolto e non dovremo pensare ad una soluzione alternativa. Oh, e sei capitato proprio te! Siamo stati così fortunati-»
«Tu non credi neanche nella fortuna, Alaric.»
«Siamo indisponenti oggi, eh? Be’, sai che ti dico? Non ha la minima importanza. Oggi è un gran giorno! Con te lì dentro l’operazione avrà sicuramente successo!»
Hannibal non disse niente. Sentiva i passi dei suoi amici mentre si avvicinavano alla porta. Dalle voci che discutevano animatamente poteva intuire che erano eccitati quanto Alaric.
«Quindi tutto sta per avere inizio» disse piano. Non aveva paura che il Pacificatore lo sentisse – lo aveva già informato sul fatto che anche lui era un ribelle – ma non gli sembrava appropriato dirlo a voce troppo alta. La notizia che le operazioni stavano per avere inizio non lo rendeva impaziente ed eccitato come i suoi amici, ma creava in lui un leggero senso d’ansia. Lui attendeva e non dava niente per scontato. Poteva solo sperare che nell’arena tutto andasse per il meglio, e lui odiava sperare e basta, restandosene lì con le mani in mano. Doveva passare all’azione e presto.
«Sì, è davvero fantastico!» esclamò il bibliotecario. All’improvviso sembrava ringiovanito di vent’anni. Aveva l’aria di uno che era pronto a tutto. Quando la porta si aprì, però, ritrovò d’un tratto il suo contegno e lo fissò con la solita espressione fredda e calma da “Bel lavoro, ragazzo.”
«Hannibal!» Axel, il giovane Ingegnere di soli venticinque anni, fu il primo ad avvicinarsi. Gli sorrise complice e sussurrò «Brutta faccenda, eh? Ma non preoccuparti, se tutto va secondo i piani-»
«Sì, lo so. Ma non ho avuto tutte le istruzioni.»
«Non preoccuparti per quello» replicò Axel senza smettere di sorridere. Aveva un’aria così spensierata che alla fine anche Hannibal accennò ad un sorriso. «Il vostro Mentore, Wren, è uno dei nostri. Fidati di lui e ascolta ciò che ti dice. Lui è al corrente del piano.»
«Wren Ridley, giusto?» Hannibal si ricordava di lui. Sembrava un tipo affidabile. «Va bene.»
Axel lo fissò in silenzio per qualche secondo, poi gli diede un’energica pacca sulla spalla. «Lo so, siamo insopportabili oggi, ma cerca di capirci! Al Distretto 13 sono tutti impazienti di cominciare e hanno grande fiducia nelle tue capacità. Sembra davvero crudele che siamo tutti così felici di vederti andare nell’arena, ma...»
«Sì, lo so, è la nostra occasione. Sopravvivrò.»
Il sorriso dell’ingegnere si ampliò. «Vedrai, andrà tutto per il meglio.»
Heimrich e Daven, due ribelli che avevano legato con Hannibal, della sua stessa età, si complimentarono con il ragazzo, per assumere subito dopo un’espressione imbarazzata. Nemmeno loro sapevano bene come comportarsi e Hannibal non poteva biasimarli. Govert, il Chimico che aveva spesso partecipato alle missioni insieme al ragazzo, notò la tensione tra i tre e scoppiò a ridere. «Be’, che vi prende? Qua c’è solo da essere felici! Ben presto avremo molto per cui festeggiare.»
Heimrich e Daven si lasciarono trasportare subito dall’entusiasmo dell’uomo e annuirono, di nuovo di buonumore, ma Hannibal finse semplicemente un sorriso.
Dentro di lui sapeva bene come stavano le cose.
Prima veniva la sopravvivenza, e poi tutto il resto.
Anche la rivolta.

Distretto Undici - Zedor Onebee
 
«Zedor!»
Seliane corse incontro al ragazzo come se avesse temuto che uno dei Pacificatori avesse potuto impedirle di avvicinarsi a lui. Si gettò tra le sue braccia prima che Zedor potesse anche solo aprir bocca e lo strinse così forte da fargli male.
«Ehi, Sel…» Malgrado la situazione, il ragazzo si ritrovò a sorridere. Seliane gli faceva sempre quell’effetto: quando la vedeva si dimenticava completamente della realtà che lo circondava, il suo sorriso era come una boccata d’aria nelle giornate soffocanti, i suoi occhi erano cieli stellati che poteva rimanere ad ammirare per ore. Amava tutto di lei: il carattere forte e deciso, i capelli morbidi, la sua risata particolare, le fossette che si formavano quando sorrideva...
Seliane era tutto ciò di cui aveva bisogno per andare avanti, proprio per questo non aveva intenzione di perderla.
«Sel, va tutto bene, sai che sono forte» sussurrò ricambiando la stretta, come se abbracciarla avesse potuto salvarlo all’istante. «Posso vincere, e quando vincerò...»
Ma ad un tratto lei s’irrigidì. «Zedor» disse con voce stranamente ferma, quasi dura.
«Che succede?» chiese preoccupato. Che aveva? Il cuore cominciò a battere più velocemente.
«Giurami che non vincerai solo per me, giura che lo farai soprattutto per te.» Si scostò da lui per poterlo guardare negli occhi, quegli occhi tanto particolari che contrastavano con la pelle scura. «Dico davvero, non devi farlo per poter curare la mia malattia. È per riabbracciare la tua famiglia che vincerai. Per salvare te stesso.»
A Zedor girava la testa. E adesso cos’era quella storia? Perché Seliane si stava comportando in quel modo?
«Ehi, lo sai che noi abbiamo abbastanza soldi per vivere in modo decente, quelli non ci mancano» tentò di protestare. «Certo che lo sto facendo anche per la mia famiglia, ma ricorda che “la mia famiglia” comprende anche te. Stai male e quando ti vedo soffrire lo sai che sto male anche io. Non avrebbe senso vincere per poi farsi sconfiggere da una dannata malattia. Se vinco avrò tutti i soldi che servono per-»
«Potrebbe non essere sufficiente» lo interruppe lei. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime, e lei odiava piangere.
A Zedor sembrava che d’un tratto la terra sotto i suoi piedi fosse sparita. Gli sembrava di precipitare dentro un abisso dal quale era impossibile uscire. Gli sembrò che il cuore avesse smesso di battere, quando solo un attimo prima stava martellando con forza nel petto.
«Potrebbe...?» La voce gli si spezzò e la sua rimase solo una domanda lasciata in sospeso.
«Zedor, mi dispiace così tanto, ma io sto solo cercando di avvertirti...» A quel punto le lacrime stavano già solcando il viso della ragazza. Zedor si sentì morire dentro. «La malattia sta progredendo velocemente, le cure degli ospedali dell’Undici sono limitate e se non si muovono in fretta anche le cure più sofisticate che hanno potrebbero non...»
Non aggiunse altro e il ragazzo la ringraziò per quello. Un’altra parola e sarebbe potuto crollare.
Per lunghi istanti rimasero in silenzio, a fissarsi negli occhi, lanciandosi sguardi che non avevano bisogno di essere tramutati in parole. Poi Zedor si riprese e sentì dentro sé una determinazione che mai aveva provato in vita sua. Si sentiva pronto a tutto, avrebbe fatto qualsiasi cosa per ritornare da lei. Si sentì forte, forte davvero.
«Seliane.» Quando parlò il tono non vacillò. Il ragazzo giurò a se stesso che mai più si sarebbe lasciato andare ad attimi di debolezza. Quello sarebbe stato l’ultimo in assoluto. «Vincerò e lo farò per te. Hai capito? Per te. Se le cure dell’Undici non basteranno, ti porterò a Capitol City. Ti salveranno e ti giuro che quando sarà successo ti sposerò.»
Lei lo stava fissando con gli occhi spalancati. Era rimasta senza parole. «Che... cosa…»
«Quando ti avranno curata mi sposerai?»
E poi successe. Le labbra della ragazza si schiusero nel sorriso più bello che Zedor avesse mai visto in vita sua. Ogni dubbio venne cancellato. Ce l’avrebbe fatta.
«

 
Distretto Dodici - Gwendolynh Withman
 
Quando la porta si aprì, Gwendolynh stupì se stessa nel ritrovarsi a sperare che fosse Janelle.
Aveva davvero bisogno di rivederla, erano passati mesi da quando avevano litigato e non si erano più parlate, ma non poteva andarsene prima di averla rivista un’ultima volta.
E quando la vide in piedi sulla soglia, titubante e con le guance in fiamme, sentì le labbra incurvarsi in un sorriso che nemmeno lei si aspettava.
«Gwen...» sussurrò lei, ma non riuscì ad aggiungere nient’altro. Rimase a fissarla immobile per qualche secondo, poi scattò e corse ad abbracciarla.
«Gwen, mi dispiace, mi dispiace tantissimo… Non so cosa dire, io...» annaspò alla ricerca disperata di qualcosa da dire, poi si arrese e si limitò a scuotere la testa. «Mi sento così in colpa per quello che ho fatto, capirò se non vorrai perdonarmi.»
Anche Gwendolynh si sarebbe aspettata una reazione diversa. Forse aveva il diritto di avercela con lei, forse avrebbe dovuto risponderle male, chiudersi nuovamente in se stessa, ma a che scopo?
Voleva solo cercare di recuperare sei mesi di silenzio in quei pochi minuti. Non si era resa conto di quanto Janelle le fosse davvero mancata finché non se l’era ritrovata lì davanti.
«Jan, io ti ho già perdonata» le disse, sapendo di essere sincera. Ci aveva messo molto, all’inizio non riusciva a credere che la sua migliore amica avesse davvero creduto alle voci che dicevano che lei aveva baciato il suo ragazzo, Travis.
Ma, soprattutto, all’inizio non era riuscita a perdonarle quando non aveva creduto al fatto che la gravidanza fosse stata frutto di una violenza. Invece di credere a lei, al fatto che fosse stato un uomo del Giacimento a violentarla e ridurla in quelle condizioni, aveva pensato che il padre del bambino fosse Travis.
«Non ha più importanza» le assicurò. «Non pensiamoci più.»
Janelle sembrò soppesare quelle parole, forse valutando quanto in fretta potesse liquidare la faccenda.
«Gwen, ascolta» disse alla fine, giocherellando nervosa con una ciocca di capelli. «Non merito il tuo perdono, questo è poco ma sicuro, però se mi vorrai ancora bene a me basterà.»
Gwendolynh annuì e le due ragazze passarono il resto del tempo in un abbraccio silenzioso. Avevano chiarito e tanto bastava.
Poco prima di andarsene, Janelle si voltò un’ultima volta. «Gwen?»
«Sì?» chiese lei, curiosa di sentire cos’altro avesse da aggiungere l’amica ritrovata.
«Non ti darai subito per spacciata, vero? Mi prometti che combatterai? Che farai di tutto per tornare da noi? Non può finire così, io e te abbiamo sei mesi da recuperare, lo sai vero?»
Gwendolynh le regalò un ultimo sorriso. «Te lo prometto.»
Janelle annuì, poi a malincuore lasciò la stanza.
Ma la ragazza non ebbe neanche il tempo di ripensare a quella conversazione e cercare di riordinare i pensieri che la porta di spalancò di nuovo e suo fratello Kody entrò nel salottino come una furia.
Aveva gli occhi ancora lucidi e arrossati e continuava a borbottare «Non è possibile, non è possibile, non può essere successo...»
Marianne lo seguiva poco più dietro. Cercava di tenersi in disparte, chiaramente indecisa su cosa fare. Negli ultimi mesi lei e Gwendolynh avevano litigato spesso e il fatto che Kody si fosse schierato dalla parte di sua moglie, che secondo Gwendolynh aveva torto, non aveva fatto altro che contribuire ad aumentare la tensione in casa.
Ma in quel momento suo fratello non sembrava pensare a niente che non fosse sua sorella. La strinse forte tra le braccia, la baciò sui capelli, sulla fronte, sul naso e poi si limitò a guardarla intensamente, consapevole forse del fatto di aver pochi minuti per imprimere nella memoria quanti più dettagli possibili.
«Com’è possibile? Prima la morte dei nostri genitori, poi lo stup-»
«Kody.»
«Scusa, scusa... e ora questo. Perché a noi?»
Gwendolynh non aveva una risposta. Era vero, la loro famiglia non era mai stata troppo fortunata. Kody era tutto ciò che le era rimasto: era un fratello gentile, premuroso, che l’aveva sempre protetta e aveva cercato di non farle mancare mai niente. Davvero non l’avrebbe più rivisto?
«Ma tu sei forte» proseguì lui, lo sguardo pieno di fiducia. «Sai come difenderti, Irina te l’ha insegnato. Ce la farai.»
Alla fine anche Marianne si avvicinò per abbracciarla. «Torna da noi» mormorò. Sembrava sincera. «Torna.»
Gwendolynh non disse niente, ma annuì.
Tornerò.






Ellie's Corner
E ce l'ho fatta!
Mi dispiace per il ritardo tremendo (come dite? L'ho già detto?), ma alla fine il nuovo capitolo è arrivato.
Avrei voluto mettere tutti i saluti insieme, ma il capitolo poi sarebbe venuto troppo lungo e sarebbe risultato troppo pesante così ho dovuto dividerlo in due parti. Non preoccupatevi, la seconda parte arriverà a breve -  nei primi giorni di gennaio - e avremo altri otto punti di vista.
Poi ci saranno le scene sul treno e spero di non essere costretta a dividere anche quelle perché altrimenti non finiremmo più. Perciò vi avverto che probabilmente, dopo la seconda parte dei saluti, avremo poche scene sul treno. Dividerò i restanti punti di vista tra treno, sfilata e giorni d'allenamento. Poi avremo metà dei tributi nelle sessioni private e l'altra metà nelle interviste. Il bello verrà dopo però!
Spero di non metterci più così tanto ad aggiornare, ma non posso promettervi niente. Comunque non preoccupatevi, anche se i prossimi capitoli arriveranno con un po' di ritardo la storia non verrà cancellata né sarà abbandonata!
Detto questo vi saluto e aspetto i vostri commenti (sperando che stiate ancora seguendo la storia!).
Un abbraccio e alla prossima, e buone feste!
Ellie


 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Its Ellie