Amore.
Amore è una
parola grossa.
Amore è un
termine di quelli da non usare alla leggera, perché, nel momento in cui
viene
pronunciato, acquista un peso che finisce per gravare sulle proprie
spalle - e
nel proprio cuore - come un macigno.
E poi uno finisce
per crederci in quella parola.
Amore.
Era la ragione per cui Sherlock non
aveva mai osato proferire quelle cinque lettere che, forse, avrebbero
potuto
colmare la sua esistenza. Perché sapeva che, nel momento in cui lo
avesse
fatto, tutto ciò che gli era intorno avrebbe assunto un altro
significato.
Amore.
Che
cosa
stupida.
Eppure era innegabile che fosse
innamorato, anche ora che era diventato ormai impossibile dare voce a
quel
sentimento tanto celato per così tanto tempo. Tre anni erano passati da
quando
John era entrato nella sua vita e un anno da quando lui aveva preso la
decisione di saltare dal tetto del Bart's per salvare la vita al
suo...migliore
amico.
La neve cadeva lievemente sulla
città di Londra e i passi di Sherlock gracchiavano sullo strato bianco
che
ricopriva ogni cosa, rendendo il sempiterno rumore del caos natalizio
ovattato.
Le macchine passavano accanto al marciapiede su cui stava camminando,
la testa
china nascosta sotto un nero cappuccio. Era tornato perché aveva del
lavoro da
svolgere - la rete che Moriarty aveva costruito si estendeva anche nel
cuore
della City - e, invece, desiderava ardentemente lasciar perdere tutto
per
presentarsi davanti al 221B. Sapeva benissimo di non poterlo fare, ma,
almeno,
gli era rimasta la possibilità di immaginare come sarebbe stato.
Chissà come l'avrebbe accolto John. Nel
suo palazzo mentale aveva la possibilità di rifugiarsi in quella
fantasia.
Sarebbe andato innanzitutto a
comprare qualcosa. Un regalo. Ma non lo avrebbe comprato perché era
Natale, lo
avrebbe comprato perché voleva che John sorridesse. Avrebbe acquistato
un
maglione, uno di quelli belli e caldi che piacevano a John. Oppure un
CD delle
opere di Mendelssohn che John tanto apprezzava e che lui, invece,
odiava sempre
più ogni volta che gli chiedeva di riproporgliele con il violino.
Questa volta non
avrebbe avuto alcuna importanza. Avrebbe comprato il maglione, il CD e
avrebbe
persino suonato tutto il Concerto per violino e orchestra in
Mi minore per
renderlo felice. Poi avrebbe chiamato un taxi e si sarebbe fermato di
fronte al
221. Avrebbe aspettato che arrivassero le sei di sera, cosicché sarebbe
stato
sicuro che Mrs. Hudson fosse già uscita per andare a cenare con alcune
amiche.
Forse,
però,
quest'anno passerà la serata insieme a John. Per tenergli compagnia,
anche se
John rifiuterebbe testardamente.
Non importava. Avrebbe comunque
aspettato le sei di sera. Se Mrs. Hudson fosse rimasta, non avrebbe
comunque
costituito un problema eccessivo. Si sarebbe avvicinato e avrebbe
premuto il
pulsante del campanello. Il suono avrebbe echeggiato cristallino e
insistente
all'interno dell'appartamento. John si sarebbe chiesto chi fosse a
quell'ora,
il giorno di Natale. Lui avrebbe atteso che arrivasse sulla soglia.
Avrebbe
notato solo una figura ammantata di nero all'inizio, ma Sherlock si
sarebbe
tolto il cappuccio che gli copriva la testa e avrebbe sorriso. John lo
avrebbe
guardato con occhi stralunati e perplessi ma, infine, lo avrebbe
abbracciato -
e solo Sherlock sapeva quanto Sherlock desiderasse quel contatto - e lo
avrebbe
invitato ad entrare in casa. Nella loro casa. Ci sarebbe stato il
solito albero
che John si ostinava a fare nonostante tutti i commenti piccati di
Sherlock per
il perpetuo tintinnio di palline e fruscio di nastri che gli impediva
di
concentrarsi sulle cose più importanti.
A ben pensarci, però, sapeva fin
troppo bene che non esisteva nulla più importante di John. Perché si
fosse
accanito con così tanta insistenza su tali piccolezze prima di fingere
la sua
morte, adesso, un anno dopo, non riusciva più a capirlo.
Quindi, questa volta, non si sarebbe
lamentato, anzi. Si sarebbe complimentato con John per quell'albero che
addobbava sempre con tanta meticolosità. John si sarebbe probabilmente
offerto
anche di fargli da mangiare, o di preparargli un tè. Non lo avrebbe
accettato.
Si sarebbe messo lui ai fornelli e avrebbe cucinato. Per John. Si
sarebbero
seduti a tavola e sapeva che lì sarebbero arrivate le domande. Avrebbe
risposto
a tutte il più sinceramente possibile. Gli avrebbe spiegato tutto: di
come
aveva fatto a salvarsi da quel salto, di come aveva dovuto smantellare
la rete
di Moriarty, del perché lo aveva fatto. Avrebbe soprattutto parlato del
perché
lo aveva fatto. Perché, spiegando quello, sarebbe forse riuscito a
trovare le
parole giuste. Lui, che era quello dalla parlantina sciolta, le parole
giuste
per John non le aveva ancora trovate.
Ti amo non era sufficiente. Non
poteva esserlo. C'era molto di più rispetto a quello che quelle cinque
lettere
implicavano. C'erano anni di solitudine e di vuoto, c'erano giornate
che erano
iniziate e finite col desiderio che il giorno seguente non arrivasse
mai,
c'erano sentimenti repressi per evitare di sentirne il peso.
Tutte cose
che John era riuscito a cancellare o, almeno, rendere indistinte,
sfocate.
E
l'amore
per John pesa talmente tanto che il solo pensiero di pronunciarlo mi
schiaccia.
Ma lo avrebbe detto. Questa volta
non si sarebbe tirato indietro, non avrebbe lasciato che muri e muri
invisibili
non permettessero a quelle parole di uscire dalle sue labbra: lo
avrebbe detto.
Ti amo, John. Semplicemente. John lo
avrebbe guardato con gli occhi azzurri che brillavano per lo stupore.
Avrebbe,
magari, boccheggiato e pensato ad uno scherzo. Avrebbe ridacchiato come
era suo
solito fare quando gli sembrava che Sherlock avesse detto qualcosa di
assurdo.
Ma lui, questa volta, non gli avrebbe permesso di credere che fosse una
bugia.
Gli avrebbe preso la mano e lo avrebbe avvicinato dolcemente a sé. E
glielo
avrebbe detto una seconda volta, sussurrandolo all'orecchio: ti amo, John Watson. E lo avrebbe
baciato.
Peccato che fosse solo immaginazione
e che il suo ritorno fosse ancora ben lontano dal diventare una realtà.
Svoltò
l'angolo e osservò un fiocco di neve descrivere una spirale fino a
depositarsi
sul suo guanto nero per sciogliersi pochi secondi dopo per il calore
del suo
corpo.
Fu solo rialzando gli occhi per
vedere dove si trovasse che ebbe un tuffo al cuore.
Il suo stupido inconscio lo aveva
portato proprio nel posto dove non doveva andare. Dalla parte opposta
della
strada, le luminarie natalizie facevano risplendere il numero 221
che si
stagliava sulla porta d'ingresso.
Sarebbero bastati pochi passi e sarebbe stato a casa. Non si mosse.
Lentamente
alzò gli occhi verso le finestre dell'appartamento. Lucine colorate ad
intermittenza ne adornavano la parte superiore e creavano una
moltitudine di
chiaroscuri nella stanza retrostante. Ci mise qualche secondo in più -
forse
volontariamente - a notare che, appoggiato al vetro, c'era John.
Indossava
l'orribile maglione natalizio blu e rosso e in mano teneva un bicchiere
di
quello che aveva tutta l'aria di essere whiskey. Guardava verso il
cielo ed
ogni tanto sorseggiava un goccio del liquido ambrato. Sherlock era
perfettamente cosciente di doversi allontanare, di dover andare via. Il
rischio
di essere notato era troppo grande per poter rimanere. Ma i suoi piedi
erano
incollati alla strada e le sue gambe rifiutavano di muoversi. Stette
fermo
finché John abbassò lo sguardo. I loro occhi s'incontrarono. Sapeva
bene che il
cappuccio copriva completamente il suo volto e che lo stesso faceva il
cappotto
con il suo corpo. Sapeva dentro di lui che John non avrebbe mai potuto
riconoscerlo dalla finestra. Eppure aveva la gola secca e il cuore che
batteva
prepotente nel petto. John continuava ad osservarlo e lui, con un
rapido gesto,
si calò il cappuccio con più forza sul viso, abbassando lo sguardo a
terra. Era
davvero giunta l'ora di andare. Mosse il primo passo nella direzione
opposta e
diede un'ultima occhiata alla finestra. Solo un malinconico bicchiere
mezzo
vuoto era rimasto appoggiato al davanzale: di John non vi era più
alcuna
traccia.
Mentre riprendeva il cammino, sentì
la serratura del 221B scattare. Non c'erano dubbi che fosse quella,
perché
avrebbe riconosciuto quel suono tra miliardi al mondo. Come avrebbe
riconosciuto tra decine di miliardi il suono dei passi di John che
correva sulla
neve. E quella sera li sentì. Correvano verso di lui, ma lui non poteva
fermarsi. Accelerò leggermente, ma non scappò. Il suo inconscio non
glielo
avrebbe permesso. Né perdonato. Quando John gli fu accanto, non si
fermò.
Continuò imperterrito a camminare, una falcata dopo l'altra, lo
scricchiolio
della neve sotto le suole delle scarpe. Al suo si era unito quello più
rapido,
ma più pesante, di John. Sherlock non si levò il cappuccio, né si girò.
E John
non disse niente. Camminarono così per alcuni minuti, l'uno accanto
all'altro,
il silenzio creato dalla neve a diventare quasi assordante nel
minuscolo spazio
che separava i loro corpi.
"Devo andare", riuscì,
infine, a dire Sherlock appena giunsero ad un incrocio.
John fece un cenno con la testa e
rispose:
"Buon Natale."
"Buon Natale."
I passi che si allontanarono
nell'oscurità furono solo quelli di Sherlock. La sagoma di John rimase
immobile
nella neve e scomparve definitivamente non appena Sherlock voltò
l'angolo. Un
fiocco gelido s'insinuò sotto al cappuccio andando a posarsi sulla
guancia. Si
sciolse subito al contatto con la calda lacrima che gli rigava il volto.
Avrebbe dovuto dirgli ti amo.
Ma l'amore ha un peso troppo grande
per essere sopportato da soli. E né lui né John erano pronti per un
possibile
nuovo addio. Buon Natale era una bugia madornale, ma a volte le bugie
sono più
leggere della verità. E poi, quel Buon
Natale suonava fin troppo simile ad un Ti
amo. E questo era sufficiente.
Buon
Natale,
John.
N.d.A.
Racconto natalizio che mi è venuto in mente in maniera del tutto casuale. La cosa ridicola è che voleva essere una cosa fluff ed è uscito QUESTO. Perché ormai ho capito che devo assecondare il mio lato malinconico e lasciare che vada dove vuole lui. Nevertheless, spero che chi si sia avventurato a leggerlo lo abbia trovato comunque godibile e spero (sinceramente) di non avervi rovinato l'atmosfera festosa con la mia malinconia permeante (giuro che sono una persona normale, solo che quando scrivo succedono cose che vanno al di là della mia comprensione!). Grazie a chiunque l'abbia letto e abbia sprecato un po' del suo tempo festivo per me :)
God Jul!
Leoithne