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Autore: Leoithne    24/12/2014    4 recensioni
Amore.
Amore è una parola grossa.
Amore è un termine di quelli da non usare alla leggera, perché, nel momento in cui viene pronunciato, acquista un peso che finisce per gravare sulle proprie spalle - e nel proprio cuore - come un macigno.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Amore.
Amore è una parola grossa.
Amore è un termine di quelli da non usare alla leggera, perché, nel momento in cui viene pronunciato, acquista un peso che finisce per gravare sulle proprie spalle - e nel proprio cuore - come un macigno. 
E poi uno finisce per crederci in quella parola.
Amore.

 

Era la ragione per cui Sherlock non aveva mai osato proferire quelle cinque lettere che, forse, avrebbero potuto colmare la sua esistenza. Perché sapeva che, nel momento in cui lo avesse fatto, tutto ciò che gli era intorno avrebbe assunto un altro significato. Amore.

 
Che cosa stupida.

 
Eppure era innegabile che fosse innamorato, anche ora che era diventato ormai impossibile dare voce a quel sentimento tanto celato per così tanto tempo. Tre anni erano passati da quando John era entrato nella sua vita e un anno da quando lui aveva preso la decisione di saltare dal tetto del Bart's per salvare la vita al suo...migliore amico. 

 
La neve cadeva lievemente sulla città di Londra e i passi di Sherlock gracchiavano sullo strato bianco che ricopriva ogni cosa, rendendo il sempiterno rumore del caos natalizio ovattato. Le macchine passavano accanto al marciapiede su cui stava camminando, la testa china nascosta sotto un nero cappuccio. Era tornato perché aveva del lavoro da svolgere - la rete che Moriarty aveva costruito si estendeva anche nel cuore della City - e, invece, desiderava ardentemente lasciar perdere tutto per presentarsi davanti al 221B. Sapeva benissimo di non poterlo fare, ma, almeno, gli era rimasta la possibilità di immaginare come sarebbe stato.

 
Chissà come l'avrebbe accolto John. Nel suo palazzo mentale aveva la possibilità di rifugiarsi in quella fantasia. 

 
Sarebbe andato innanzitutto a comprare qualcosa. Un regalo. Ma non lo avrebbe comprato perché era Natale, lo avrebbe comprato perché voleva che John sorridesse. Avrebbe acquistato un maglione, uno di quelli belli e caldi che piacevano a John. Oppure un CD delle opere di Mendelssohn che John tanto apprezzava e che lui, invece, odiava sempre più ogni volta che gli chiedeva di riproporgliele con il violino. Questa volta non avrebbe avuto alcuna importanza. Avrebbe comprato il maglione, il CD e avrebbe persino suonato tutto il Concerto per violino e orchestra in Mi minore per renderlo felice. Poi avrebbe chiamato un taxi e si sarebbe fermato di fronte al 221. Avrebbe aspettato che arrivassero le sei di sera, cosicché sarebbe stato sicuro che Mrs. Hudson fosse già uscita per andare a cenare con alcune amiche.

 
Forse, però, quest'anno passerà la serata insieme a John. Per tenergli compagnia, anche se John rifiuterebbe testardamente.

 
Non importava. Avrebbe comunque aspettato le sei di sera. Se Mrs. Hudson fosse rimasta, non avrebbe comunque costituito un problema eccessivo. Si sarebbe avvicinato e avrebbe premuto il pulsante del campanello. Il suono avrebbe echeggiato cristallino e insistente all'interno dell'appartamento. John si sarebbe chiesto chi fosse a quell'ora, il giorno di Natale. Lui avrebbe atteso che arrivasse sulla soglia. Avrebbe notato solo una figura ammantata di nero all'inizio, ma Sherlock si sarebbe tolto il cappuccio che gli copriva la testa e avrebbe sorriso. John lo avrebbe guardato con occhi stralunati e perplessi ma, infine, lo avrebbe abbracciato - e solo Sherlock sapeva quanto Sherlock desiderasse quel contatto - e lo avrebbe invitato ad entrare in casa. Nella loro casa. Ci sarebbe stato il solito albero che John si ostinava a fare nonostante tutti i commenti piccati di Sherlock per il perpetuo tintinnio di palline e fruscio di nastri che gli impediva di concentrarsi sulle cose più importanti.

 
A ben pensarci, però, sapeva fin troppo bene che non esisteva nulla più importante di John. Perché si fosse accanito con così tanta insistenza su tali piccolezze prima di fingere la sua morte, adesso, un anno dopo, non riusciva più a capirlo. 

 
Quindi, questa volta, non si sarebbe lamentato, anzi. Si sarebbe complimentato con John per quell'albero che addobbava sempre con tanta meticolosità. John si sarebbe probabilmente offerto anche di fargli da mangiare, o di preparargli un tè. Non lo avrebbe accettato. Si sarebbe messo lui ai fornelli e avrebbe cucinato. Per John. Si sarebbero seduti a tavola e sapeva che lì sarebbero arrivate le domande. Avrebbe risposto a tutte il più sinceramente possibile. Gli avrebbe spiegato tutto: di come aveva fatto a salvarsi da quel salto, di come aveva dovuto smantellare la rete di Moriarty, del perché lo aveva fatto. Avrebbe soprattutto parlato del perché lo aveva fatto. Perché, spiegando quello, sarebbe forse riuscito a trovare le parole giuste. Lui, che era quello dalla parlantina sciolta, le parole giuste per John non le aveva ancora trovate.

 
Ti amo non era sufficiente. Non poteva esserlo. C'era molto di più rispetto a quello che quelle cinque lettere implicavano. C'erano anni di solitudine e di vuoto, c'erano giornate che erano iniziate e finite col desiderio che il giorno seguente non arrivasse mai, c'erano sentimenti repressi per evitare di sentirne il peso.  Tutte cose che John era riuscito a cancellare o, almeno, rendere indistinte, sfocate.

 
E l'amore per John pesa talmente tanto che il solo pensiero di pronunciarlo mi schiaccia.

 
Ma lo avrebbe detto. Questa volta non si sarebbe tirato indietro, non avrebbe lasciato che muri e muri invisibili non permettessero a quelle parole di uscire dalle sue labbra: lo avrebbe detto. Ti amo, John. Semplicemente. John lo avrebbe guardato con gli occhi azzurri che brillavano per lo stupore. Avrebbe, magari, boccheggiato e pensato ad uno scherzo. Avrebbe ridacchiato come era suo solito fare quando gli sembrava che Sherlock avesse detto qualcosa di assurdo. Ma lui, questa volta, non gli avrebbe permesso di credere che fosse una bugia. Gli avrebbe preso la mano e lo avrebbe avvicinato dolcemente a sé. E glielo avrebbe detto una seconda volta, sussurrandolo all'orecchio: ti amo, John Watson. E lo avrebbe baciato. 

 
Peccato che fosse solo immaginazione e che il suo ritorno fosse ancora ben lontano dal diventare una realtà. Svoltò l'angolo e osservò un fiocco di neve descrivere una spirale fino a depositarsi sul suo guanto nero per sciogliersi pochi secondi dopo per il calore del suo corpo.

 
Fu solo rialzando gli occhi per vedere dove si trovasse che ebbe un tuffo al cuore.

 
Il suo stupido inconscio lo aveva portato proprio nel posto dove non doveva andare. Dalla parte opposta della strada, le luminarie natalizie facevano risplendere il numero 
221 che si stagliava sulla porta d'ingresso. Sarebbero bastati pochi passi e sarebbe stato a casa. Non si mosse. Lentamente alzò gli occhi verso le finestre dell'appartamento. Lucine colorate ad intermittenza ne adornavano la parte superiore e creavano una moltitudine di chiaroscuri nella stanza retrostante. Ci mise qualche secondo in più - forse volontariamente - a notare che, appoggiato al vetro, c'era John. Indossava l'orribile maglione natalizio blu e rosso e in mano teneva un bicchiere di quello che aveva tutta l'aria di essere whiskey. Guardava verso il cielo ed ogni tanto sorseggiava un goccio del liquido ambrato. Sherlock era perfettamente cosciente di doversi allontanare, di dover andare via. Il rischio di essere notato era troppo grande per poter rimanere. Ma i suoi piedi erano incollati alla strada e le sue gambe rifiutavano di muoversi. Stette fermo finché John abbassò lo sguardo. I loro occhi s'incontrarono. Sapeva bene che il cappuccio copriva completamente il suo volto e che lo stesso faceva il cappotto con il suo corpo. Sapeva dentro di lui che John non avrebbe mai potuto riconoscerlo dalla finestra. Eppure aveva la gola secca e il cuore che batteva prepotente nel petto. John continuava ad osservarlo e lui, con un rapido gesto, si calò il cappuccio con più forza sul viso, abbassando lo sguardo a terra. Era davvero giunta l'ora di andare. Mosse il primo passo nella direzione opposta e diede un'ultima occhiata alla finestra. Solo un malinconico bicchiere mezzo vuoto era rimasto appoggiato al davanzale: di John non vi era più alcuna traccia.

 
Mentre riprendeva il cammino, sentì la serratura del 221B scattare. Non c'erano dubbi che fosse quella, perché avrebbe riconosciuto quel suono tra miliardi al mondo. Come avrebbe riconosciuto tra decine di miliardi il suono dei passi di John che correva sulla neve. E quella sera li sentì. Correvano verso di lui, ma lui non poteva fermarsi. Accelerò leggermente, ma non scappò. Il suo inconscio non glielo avrebbe permesso. Né perdonato. Quando John gli fu accanto, non si fermò. Continuò imperterrito a camminare, una falcata dopo l'altra, lo scricchiolio della neve sotto le suole delle scarpe. Al suo si era unito quello più rapido, ma più pesante, di John. Sherlock non si levò il cappuccio, né si girò. E John non disse niente. Camminarono così per alcuni minuti, l'uno accanto all'altro, il silenzio creato dalla neve a diventare quasi assordante nel minuscolo spazio che separava i loro corpi. 

"Devo andare", riuscì, infine, a dire Sherlock appena giunsero ad un incrocio.

John fece un cenno con la testa e rispose:

"Buon Natale."

"Buon Natale."

I passi che si allontanarono nell'oscurità furono solo quelli di Sherlock. La sagoma di John rimase immobile nella neve e scomparve definitivamente non appena Sherlock voltò l'angolo. Un fiocco gelido s'insinuò sotto al cappuccio andando a posarsi sulla guancia. Si sciolse subito al contatto con la calda lacrima che gli rigava il volto.

 

Avrebbe dovuto dirgli ti amo.

 
Ma l'amore ha un peso troppo grande per essere sopportato da soli. E né lui né John erano pronti per un possibile nuovo addio. Buon Natale era una bugia madornale, ma a volte le bugie sono più leggere della verità. E poi, quel Buon Natale suonava fin troppo simile ad un Ti amo. E questo era sufficiente.

 
Buon Natale, John.

N.d.A.

Racconto natalizio che mi  è venuto in mente in maniera del tutto casuale. La cosa ridicola è che voleva essere una cosa fluff ed è uscito QUESTO. Perché ormai ho capito che devo assecondare il mio lato malinconico e lasciare che vada dove vuole lui. Nevertheless, spero che chi si sia avventurato a leggerlo lo abbia trovato comunque godibile e spero (sinceramente) di non avervi rovinato l'atmosfera festosa con la mia malinconia permeante (giuro che sono una persona normale, solo che quando scrivo succedono cose che vanno al di là della mia comprensione!). Grazie a chiunque l'abbia letto e abbia sprecato un po' del suo tempo festivo per me :)

God Jul!

Leoithne

  
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