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Autore: cormac    25/12/2014    1 recensioni
[ gilbert nightray/xerxes break ] | [ gilbreak ] | [ what if? ] | [ song-fic ]
«C’è la Chioma di Berenice, proprio davanti a te. Alza lo sguardo.» la voce del moro trapassò la notte. Break lo assecondò, sebbene lui non vedesse altro che un nero senza fine.
«La vedi?» mormorò ancora. Xerxes non era sicuro di come interpretare quella domanda.
«Non mi intendo abbastanza di costellazioni da riuscire ad immaginarla, Gil.» un sussulto seguì il delicato poggiarsi della mano inguantata di Gilbert su quella nuda dell’albino.
«Ci sono tante stelle disposte in ordine sparso. Pensa ai diamanti sulla collana di una nobildonna; sono come dei diamanti. Brillano, Xer. Puoi vederle.»
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gilbert Nightray, Xerxes Break
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'A song of love and uncertainty.'
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We own the night.



| Nda. – note dell'autrice!!
oddio è passata un'era geologica dall'ultima volta che ho pubblicato qualcosa in pandora hearts, potrei quasi commuovermi(?) -e guarda caso è gilbreak lol-. vanno dette alcune cose su questa fanfiction, prima fra tutte: è una what if? in cui break non -SPOILER- muore, ma sopravvive fino alla fine, in una happy ending molto utopica visto il manga che trattiamo ahahah e si fa allungare i capelli come li portava quando era kevin regnard, per intenderci. è un'headcanon che avevo da un po' e dovevo troppo scriverci qualcosa! la canzone da cui ho preso ispirazione è we own the night dei the wanted, vi consiglio di ascoltarla durante la lettura! e buh, dedico questa ff alla mia waifu, che è tanto cutie e mi fa tante belle sorprese e sdebitarmi è il minimo ;w;
p.s. buon natale!!






La sala gremita di persone vocianti intente a festeggiare, gli addobbi, il vino rosso che fluiva nei calici bordati d’oro; e poi ancora gli stucchi, i marmi tirati a lucido di villa Vessalius e la gioia, la gioia che più di qualsivoglia filamento d’oro ornava i visi degli invitati, intenti a ridere, a danzare ed a riempirsi i bicchieri ogni volta di più. La notte era giovane, giovane come quelle risa allegre che ne frantumavano il silenzio, ammantata di una cappa tempestata di diamanti stellari, più scura della pece. E di quella nera signora costellata di gemme si beavano gli amici, i fratelli, gli sposi, gli amanti: amanti come quelli che si accingevano a fare il proprio ingresso nello splendente salone, l’uno ritto e nobile, dai ricci neri legati in un codino proprio come la bella coda di un corvo e le iridi che avrebbero fatto impallidire gli stucchi dorati e perfino le stelle del firmamento. Le gambe slanciate fasciate da un paio di pantaloni di stoffa nera, nera come quella notte stellata, nera come il soprabito. Al suo fianco, a braccetto, stava il cavaliere di Pandora, dal portamento più incerto e dagli occhi più vuoti, eppure non meno eleganti del compagno; i capelli nivei erano gradualmente tornati lunghi con l’inesorabile scorrere del tempo ed erano stati legati in una blanda treccia che ricadeva con leggerezza sulla sua spalla. Nella mano sinistra stringeva l’estremità del bastone con cui si facilitava il cammino, ed al loro passaggio la folla si fendeva, venivano salutati da sorrisi amichevoli e cortesi, talvolta persino ammirati, poiché tutti erano al corrente dell’eroismo di quei due amanti, di come il loro amore era riuscito a perdurare attraverso l’oscurità dell’Abisso. Break si lasciò condurre placidamente dal moro sul marmo lucido che ticchettava ad ogni passo, un sorriso ad impreziosirgli il viso dalla carnagione chiara. Le mani erano già state inguantate a dovere quando una si posò sulla spalla di Gilbert e l’altra intrecciò le dita con quelle del moro, i cuori erano già ebbri di serenità e la notte era ancora giovane quando iniziarono a danzare. Nessun passo compiuto da Xerxes aveva l’assoluta certezza di non cadere in fallo, ma contrariamente alla prima volta in cui avevano ballato, in un salone altrettanto sfarzoso ma meno felice, non aveva timore né vergogna. Certo la danza non gli era conforme come tirare di spada, ma oramai poche vittime poteva mietere ancora un uomo cieco, e poche vite aveva forza di stroncare un cuore stanco e desideroso solo di pace. E poi, come in ogni tragitto, c’era Gilbert lì con lui a guidarlo, c’era la sua stretta rassicurante ed il suo profumo delicato a ricordargli che non importava che non avesse più il privilegio della vista, perché lui gli avrebbe dato il modo di fare affidamento sugli altri sensi. Nessun marmo pregiato, nessun calice di cristallo poteva deliziare gli occhi spenti di Break, ma in qualche modo esso era un dono, poiché nella sua mente quel ballo era trecento volte più splendente di quanto in realtà fosse, e Gilbert era ampiamente più bello di qualunque essere umano. Perché senza vista erano le dita che, sfilato il guanto, percorrevano la linea del viso dell’amato, intrecciandosi con i riccioli neri, carezzando il fermaglio d’argento e poi seguivano le pieghe morbide del fazzoletto annodato al collo, erano le dita che man mano gli trasmettevano una chiara idea di quanto Gilbert dovesse essere angelico. Ad un si dei violini dell’orchestra seguì una fluida giravolta, ed i capelli di Break ondeggiarono nel vuoto.
«Perché non li lasci crescere?» aveva chiesto il moro, e le labbra di Xerxes si erano incurvate in un sorriso sinceramente perplesso. Aveva sostenuto che senza vista non avrebbe potuto curare dei capelli lunghi, ma Gilbert aveva riso; e da allora li aveva lasciati allungare.


When my time is over, lying in my grave
written on my tombstone I want it to say:
“This man was a legend, a legend of his time
when he was at a party, the party never died.”



Era stato Gilbert che si era premurato di legare i capelli dell’albino prima che la notte sopraggiungesse; li aveva divisi ed intrecciati, successivamente fissati con un fermaglio a forma di piuma in cui splendevano due rubini rossi come una perla di sangue. La differenza era nulla, ma quando il moro passava le dita tra i suoi capelli e glieli pettinava, accanendosi talvolta su qualche sporadico nodo, Xerxes chiudeva gli occhi e si abbandonava alle braccia di quella sensazione pacifica, finendo poi per poggiare la nuca sulla spalla dell’altro e lì addormentarsi.
Rapidamente la sala riprese a riempirsi ed i due vennero affiancati da molte coppie, molte donne, molti sconosciuti; nessuno, evidentemente, era al corrente che quella notte rubata fosse la loro notte. Ma guidare Break era ormai il compito, la vocazione di Gilbert: avrebbe adempito al suo dovere snodandosi con lui nel labirintico intreccio di coppie danzanti, conducendolo ai grandi finestroni lasciati semiaperti affinché la notte arieggiasse la stanza. Scostò il pesante tendaggio e in un passo furono nella loggia deserta, laddove il riverbero delle luci non arrivava e solo il pulsare delle stelle poteva sfumare i loro visi sorridenti. Break cercò a tentoni il parapetto, inspirando l’aria fresca come se gli fosse mancata a lungo e Gilbert alzò lo sguardo al cielo, fissò le stelle e le contò anche per lui, con un sorriso delineato sulle labbra.
«C’è la Chioma di Berenice, proprio davanti a te. Alza lo sguardo.» la voce del moro trapassò la notte. Break lo assecondò, sebbene lui non vedesse altro che un nero senza fine.
«La vedi?» mormorò ancora. Xerxes non era sicuro di come interpretare quella domanda.
«Non mi intendo abbastanza di costellazioni da riuscire ad immaginarla, Gil.» un sussulto seguì il delicato poggiarsi della mano inguantata di Gilbert su quella nuda dell’albino.
«Ci sono tante stelle disposte in ordine sparso. Pensa ai diamanti sulla collana di una nobildonna; sono come dei diamanti. Brillano, Xer. Puoi vederle.»
Aveva ragione. Lui poteva vederle, gli brillavano dentro, splendevano nella sua mente come lo facevano nel cielo scuro in cui erano incastonate, ma era la voce gentile di Gilbert a farle bruciare come nient’altro aveva mai fatto prima. Era la voce di Gilbert che gli ridava ogni volta la vista.
«Ironico, Gilbert. Berenice si tagliò i capelli nella speranza che il suo sposo tornasse da lei, ed io li ho lasciati crescere perché tu sei qui con me. Comincerò a pensare che tu l’abbia fatto di proposito.» il moro rise, stringendo la mano dell’altro.
«Mi credi così calcolatore?» Break si voltò, e per un attimo, per un istante effimero come il pulsare di una stella, a Gilbert sembrò che lo vedesse. Sì, lo stava guardando, dentro di sé.
«Ti credo imprevedibile».
Era durato poco più che un respiro, infatti quando Gilbert lo strinse a sé, Xerxes non si accorse di come la distanza tra loro andava diminuendo finché il profumo del moro non gli pervase le narici ed il suo calore non lo avviluppò gentilmente. Imprevedibile. Come il bacio che gli riservò poi. Un bacio morbido, caldo, un bacio dolce ed inaspettato. Un bacio che sapeva di Gil in tutto ciò che era.
«Tonight we own the night.» la voce vellutata del moro fuoriuscì dalle sue labbra un’ultima volta prima che Break gli sorridesse ed allacciasse le braccia intorno al suo collo, abbandonando il bastone, abbandonando il parapetto, perché c’era Gilbert, e Gilbert era l’unico appiglio di cui avesse davvero bisogno per non crollare.
Sì. La notte apparteneva a loro e loro soli.


May our hearts be full like our dreams tonight
may we sing and dance till we lose our minds
we are only young if we seize the night
tonight we own the night.
   
 
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