A
Chiara
Grazie
per il tuo continuo
incoraggiamento e il tuo entusiasmo.
Alta
marea
Uno.
Due.
Tre.
Interrompo
il quarto sospiro per contare quelli esalati
precedentemente. Temo che sia
sfuggito un refolo di fiato sia dalla mia bocca che dalla mia conta,
silenzioso
e circospetto. Abbastanza da ingannare la mia attenzione.
Ricompongo
l’ordine dei miei respiri
nella mente ma i
miei tentativi di
riacciuffare l’evaso sono vani.
Cerco di
ignorare quella dimenticanza ma avverto il suo risolino denigratorio
invadere i
miei pensieri. O, per meglio dire, l’assenza dei miei
pensieri; una vacuità
inconsistente che inghiotte ogni effimera preoccupazione quotidiana. Mi
impegno
a ristabilire quella condizione di silenzio e candore nella mia mente
ma
rinuncio ben presto.
Uno.
Due.
Forse
è stato proprio quello il momento in cui il fuggitivo si
è allontanato di
soppiatto, fra il secondo e il terzo respiro. Forse ha approfittato di
una mia
momentanea distrazione per svignarsela e unirsi al respiro tiepido di
quella
mattina primaverile.
I
raggi pallidi ed emaciati del sole tendono a fatica le loro dita
febbricitanti
verso il mio viso. Umetto il labbro superiore con la lingua in un gesto
rapido,
che sembra voler sfidare l’afa. Ma questa aggredisce
nuovamente la mia pelle
indifesa che viene protetta da un alito di vento fresco, un altro,
l’ennesimo
che si frantuma sul pavimento, solo. I miei sospiri si susseguono
rapidamente
come per rassicurarlo e farlo sentire in compagnia.
Nessun’altra brezza fresca
lo raggiunge se non dopo parecchi minuti.
Interrompo
il mio respiro, accelerato improvvisamente non per altruismo nei
confronti del
vento solitario, come avevo creduto, ma per la frustrazione.
Ho
fallito ancora.
Paul
McCartney ha resistito con un sorriso sfacciato a sfiancanti tournee ma
si
arrende di fronte alla placidità della propria mente. In una
mente
costantemente in tempesta la calma impaurisce. Le onde
dell’inventiva e
dell’entusiasmo che si infrangono contro le mie tempie, oggi
tacciono, tremando
solo lievemente.
Scuoto
violentemente il capo, lanciando un sassolino in quel mare silenzioso e
i suoi
cavalloni schiumano divertiti.
Distendo
le gambe, intorpidite da una posizione mantenuta troppo a lungo e mi
alzo dal
letto. Le molle del materasso cigolano imitando l’indolenza
tipica di quel
clima asettico.
Mi
avvicino alla finestra e incrocio le braccia sul davanzale. Sono
costretto ad
abbassare lo sguardo dal sole fastidioso che si fa spazio fra le nuvole
caliginose.
La
pianura ai piedi dell’Himalaya si estende sotto i miei occhi,
i suoi colori
accesi costretti a spegnersi da quel clima bigio. Proprio come il
rapporto tra
me e John; un amore intenso e colorato che questo luogo di meditazione
tramuta
in indifferenza. Non sono servite parole o chiarimenti, le nostre sole
mani
hanno percepito la presenza di un pubblico indiscreto attorno a noi e
si sono
comportate di conseguenza.
Nessun
contatto fisico, nessuna carezza fra quei capelli chiari e quella barba
rada;
non mi sono concesso nulla. Ho tentato di ignorare quel cambiamento
senza
capire che era proprio la causa delle mie riflessioni interrotte, il
sassolino
che increspa la superfice piana del mio pensiero durante la
meditazione. Ora
uno tsunami invade la mia mente: il Maharishi non sarebbe soddisfatto
del mio
lavoro. Ma anche il mio cuore non è soddisfatto della
lontananza che ho
mantenuto da John.
Il
Maharishi è un uomo saggio ma stimo il mio cuore da tempo e
mal sopporto il suo
scontento. Un maestro così rispettabile come il sentimento
non merita di essere
deluso.
Mi
avvio alla porta con il passo rapido di un bambino a cui sia stato dato
il
permesso di giocare in giardino. Finalmente le mie precauzioni e le mie
inibizioni hanno smontato la guardia e sono libero di fuggire verso
quel
giardino segreto e meraviglioso che è John.
Richiudo
con cautela l’uscio alle mie spalle e raggiungo ad ampie
falcate quello del
ragazzo. Adagio la mano sul legno ruvido ma percorso da venature
mirabilmente
arabescate, proprio come l’animo di John. Il Maharishi non
avrebbe saputo assegnargli
camera migliore, un rifugio che rispecchia appieno il rifugiato.
Socchiudo
la porta con la stessa facilità con cui vorrei rivelare ai
miei occhi i
sentimenti di John. Quei sentimenti timidi ma intensi che posso
decifrare come
tali soltanto sul suo viso addormentato. Ricordo con nostalgia il suo
corpo
nudo rilassato accanto al mio, il respiro affrettato e la fronte
corrugata da
un sogno invadente. Dal suo viso, quella notte, era scivolata la
maschera dell’orgoglio
che non permette ad alcuno di osservare la vera natura di John. Una
natura che
colora di passione le labbra appena schiuse e di imbarazzo le gote
arrossate.
Sentimenti per nulla consoni all’immagine virile che John
vorrebbe dare di sé e
che sfoggia volentieri.
Ma
anche oggi, in questa mattina afosa, John ha
abbandonato il suo scudo ai piedi del letto
su cui è raccolto in meditazione.
Mi
avvicino a lui, tramutando le falcate che mi hanno condotto alla sua
stanza in
passi brevi e silenziosi. Non permetterò che la mia
camminata rovini lo spettacolo
che sta andando in scena sul volto di John. Quel sole malato che
illumina a
fatica la mia stanza sembra rinvigorito e tinge d’oro la
curva aquilina del
naso di John. Questo scivola verso le labbra, come intenzionato a
mostrarmi il
rossore infantile che le tinge. Libero un sospiro al quale le ciglia di
John
rispondono con un tremito nascosto appena dalle lenti degli occhiali.
Scommetto
che anche nella sua mente si è alzata la marea che lo
distrae dalla riflessione
e che l’unico modo che ha per domarla è
assecondarla.
Alza
le palpebre e le richiude, aggredito dalla luce violenta. Ripete questo
movimento per un tempo che mi sembra infinito, impedendomi di ammirare
i suoi
occhi.
-Paul?
Cosa… che ci fai qui?-
Ecco,
lo ha fatto di nuovo. Ha raccolto lo scudo in fretta e furia e lo ha
posizionato di fronte al petto, proprio lì, davanti al cuore.
Nel
mio appartamento a Londra non avrebbe mai alzato quella difesa: non ha
bisogno
di proteggere il suo cuore da colui a cui ha dato il permesso di
entrare.
Ma
qui è diverso: qui ci sono i ragazzi, qui
c’è Jane, qui c’è la
vergogna. E Dio
solo sa quanto sia lunga e faticosa la battaglia di John contro la
vergogna,
una nemica con cui mi sono scontrato spesso prima di comprendere che
l’amore
non è imbarazzo.
Metto
in pratica quest’ultima convinzione sfiorandogli la guancia
con le dita.
-Ero
curioso di vedere come te la cavi con la meditazione.-
-Me
la starei cavando bene ancora adesso se non mi avessi interrotto.-
Ma
è lo stesso John ad interrompere me, allontanando con un
movimento sofferto la
mia mano dal suo viso. Il suo tono di voce si alza, come la sua paura.
Una
paura che non sono disposto ad assecondare, non più; non se
ciò implica
sostenere con indifferenza lo sguardo di John per le prossime settimane
e
rinunciare alla meditazione a causa dell’alta marea che il
suo pensiero scatena
nella mia mente.
Abbandono
un bacio sulle sue labbra calde e accoglienti che non si ritraggono.
Vorrei
indugiare di più su di loro ma so che quella mia debolezza
potrebbe sfociare in
un’altra ben più peccaminosa.
John
strabuzza gli occhi, stupito e spaventato dalla mia audacia ma affatto
dispiaciuto.
Apre
la bocca per chiedermi spiegazioni, per capire il motivo per cui ho
ceduto
all’istinto e ho distrutto la barriera del controllo che
abbiamo costruito con
così tanta fatica. John non sarà in grado di
ricostruirla così facilmente, non
è abbastanza forte: se lo fosse non avrebbe bisogno di
erigerla, mi prenderebbe
per mano e mostrerebbe senza vergogna al Maharishi e a tutto il fottuto
universo
le nostre dita intrecciate.
-Allora
ti lascio alla tua meditazione.- le mie parole tremano sul suo mento,
incrinate
da un desiderio che John non mi permetterà mai di
soddisfare; o almeno non qui.
Mi sollevo, accontentandomi di quella piccolo bisogno che non avrei
più potuto
soffocare.
John
non abbandona la sua espressione meravigliata neppure mentre sto per
uscire
così come sono entrato: in punta di piedi.
Rimango
per qualche istante immobile nel corridoio, le gambe scosse da un
fremito
interno, dispiaciute di non essersi allacciate ai fianchi di John.
Scaccio
quell’immagine, al momento irrealizzabile, dalla mia mente e
mi volto verso la
sua porta. Questa, come la sua anima, rimane chiusa se esposta a
sguardi
esterni. Vengo assalito dal desiderio che John esca da quella stanza,
che mi
abbracci urlando il mio nome così forte da interrompere la
meditazione di
chiunque possa ascoltarlo, che canti le note del nostro amore in
un’infinita
melodia.
Che
illuso!
Lo
scudo di John non sarebbe così resistente se gli permettesse
queste libertà.
La
sua porta rimane chiusa mentre forse, sulle sue labbra e nella sua
mente,
rimane la traccia salina della marea che sconvolge la mia anima.
Angolo
autrice:
Buone
feste a tutti!
Sì,
lo so, sono rimasta inattiva per parecchio tempo su questo sito per
vari
motivi: la scuola, lo studio davvero pressante e una totale assenza di
ispirazione. Ho deciso di trascorrere queste vacanze in piena atmosfera
beatlesiana e leggendo l’anthology mi è salita
alla mente questa storiella
senza tante pretese che però mi ha fatto riprendere in mano
il computer e la
voglia di scrivere.
Una
grazie speciale alla persona a cui è dedicata questa storia
e con cui spero di
“lavorare” ancora molto presto. Ti voglio bene,
Chia!
Grazie
a chiunque abbia voglia di leggere e recensire questo lavoretto.
Un
bacio!