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Autore: _SillyLoveSongs_    26/12/2014    2 recensioni
Una piccola slash per natale ispirata al periodo indiano dei Beatles e all'esperienza con il Maharishi ;)
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Chiara

Grazie per il tuo continuo incoraggiamento e il tuo entusiasmo.

 

 

 

 

Alta marea

 

 

 

 

Uno.

Due.

Tre.

Interrompo il quarto sospiro per  contare  quelli esalati precedentemente. Temo che sia sfuggito un refolo di fiato sia dalla mia bocca che dalla mia conta, silenzioso e circospetto. Abbastanza da ingannare la mia attenzione.

 Ricompongo l’ordine dei miei respiri nella  mente ma i miei tentativi di riacciuffare l’evaso sono vani.  Cerco di ignorare quella dimenticanza ma avverto il suo risolino denigratorio invadere i miei pensieri. O, per meglio dire, l’assenza dei miei pensieri; una vacuità inconsistente che inghiotte ogni effimera preoccupazione quotidiana. Mi impegno a ristabilire quella condizione di silenzio e candore nella mia mente ma rinuncio ben presto.

Uno.

Due.

Forse è stato proprio quello il momento in cui il fuggitivo si è allontanato di soppiatto, fra il secondo e il terzo respiro. Forse ha approfittato di una mia momentanea distrazione per svignarsela e unirsi al respiro tiepido di quella mattina primaverile.

I raggi pallidi ed emaciati del sole tendono a fatica le loro dita febbricitanti verso il mio viso. Umetto il labbro superiore con la lingua in un gesto rapido, che sembra voler sfidare l’afa. Ma questa aggredisce nuovamente la mia pelle indifesa che viene protetta da un alito di vento fresco, un altro, l’ennesimo che si frantuma sul pavimento, solo. I miei sospiri si susseguono rapidamente come per rassicurarlo e farlo sentire in compagnia. Nessun’altra brezza fresca lo raggiunge se non dopo parecchi minuti.

Interrompo il mio respiro, accelerato improvvisamente non per altruismo nei confronti del vento solitario, come avevo creduto, ma per la frustrazione.

Ho fallito ancora.

Paul McCartney ha resistito con un sorriso sfacciato a sfiancanti tournee ma si arrende di fronte alla placidità della propria mente. In una mente costantemente in tempesta la calma impaurisce. Le onde dell’inventiva e dell’entusiasmo che si infrangono contro le mie tempie, oggi tacciono, tremando solo lievemente.

Scuoto violentemente il capo, lanciando un sassolino in quel mare silenzioso e i suoi cavalloni schiumano divertiti.

Distendo le gambe, intorpidite da una posizione mantenuta troppo a lungo e mi alzo dal letto. Le molle del materasso cigolano imitando l’indolenza tipica di quel clima asettico.

Mi avvicino alla finestra e incrocio le braccia sul davanzale. Sono costretto ad abbassare lo sguardo dal sole fastidioso che si fa spazio fra le nuvole caliginose.

La pianura ai piedi dell’Himalaya si estende sotto i miei occhi, i suoi colori accesi costretti a spegnersi da quel clima bigio. Proprio come il rapporto tra me e John; un amore intenso e colorato che questo luogo di meditazione tramuta in indifferenza. Non sono servite parole o chiarimenti, le nostre sole mani hanno percepito la presenza di un pubblico indiscreto attorno a noi e si sono comportate di conseguenza.

Nessun contatto fisico, nessuna carezza fra quei capelli chiari e quella barba rada; non mi sono concesso nulla. Ho tentato di ignorare quel cambiamento senza capire che era proprio la causa delle mie riflessioni interrotte, il sassolino che increspa la superfice piana del mio pensiero durante la meditazione. Ora uno tsunami invade la mia mente: il Maharishi non sarebbe soddisfatto del mio lavoro. Ma anche il mio cuore non è soddisfatto della lontananza che ho mantenuto da John.

Il Maharishi è un uomo saggio ma stimo il mio cuore da tempo e mal sopporto il suo scontento. Un maestro così rispettabile come il sentimento non merita di essere deluso.

Mi avvio alla porta con il passo rapido di un bambino a cui sia stato dato il permesso di giocare in giardino. Finalmente le mie precauzioni e le mie inibizioni hanno smontato la guardia e sono libero di fuggire verso quel giardino segreto e meraviglioso che è John.

Richiudo con cautela l’uscio alle mie spalle e raggiungo ad ampie falcate quello del ragazzo. Adagio la mano sul legno ruvido ma percorso da venature mirabilmente arabescate, proprio come l’animo di John. Il Maharishi non avrebbe saputo assegnargli camera migliore, un rifugio che rispecchia appieno il rifugiato.

Socchiudo la porta con la stessa facilità con cui vorrei rivelare ai miei occhi i sentimenti di John. Quei sentimenti timidi ma intensi che posso decifrare come tali soltanto sul suo viso addormentato. Ricordo con nostalgia il suo corpo nudo rilassato accanto al mio, il respiro affrettato e la fronte corrugata da un sogno invadente. Dal suo viso, quella notte, era scivolata la maschera dell’orgoglio che non permette ad alcuno di osservare la vera natura di John. Una natura che colora di passione le labbra appena schiuse e di imbarazzo le gote arrossate. Sentimenti per nulla consoni all’immagine virile che John vorrebbe dare di sé e che sfoggia volentieri.

Ma anche oggi, in questa mattina afosa, John  ha abbandonato il suo scudo ai piedi del letto su cui è raccolto in meditazione.

Mi avvicino a lui, tramutando le falcate che mi hanno condotto alla sua stanza in passi brevi e silenziosi. Non permetterò che la mia camminata rovini lo spettacolo che sta andando in scena sul volto di John. Quel sole malato che illumina a fatica la mia stanza sembra rinvigorito e tinge d’oro la curva aquilina del naso di John. Questo scivola verso le labbra, come intenzionato a mostrarmi il rossore infantile che le tinge. Libero un sospiro al quale le ciglia di John rispondono con un tremito nascosto appena dalle lenti degli occhiali. Scommetto che anche nella sua mente si è alzata la marea che lo distrae dalla riflessione e che l’unico modo che ha per domarla è assecondarla.

Alza le palpebre e le richiude, aggredito dalla luce violenta. Ripete questo movimento per un tempo che mi sembra infinito, impedendomi di ammirare i suoi occhi.

-Paul? Cosa… che ci fai qui?-

Ecco, lo ha fatto di nuovo. Ha raccolto lo scudo in fretta e furia e lo ha posizionato di fronte al petto, proprio lì, davanti al cuore.

Nel mio appartamento a Londra non avrebbe mai alzato quella difesa: non ha bisogno di proteggere il suo cuore da colui a cui ha dato il permesso di entrare.

Ma qui è diverso: qui ci sono i ragazzi, qui c’è Jane, qui c’è la vergogna. E Dio solo sa quanto sia lunga e faticosa la battaglia di John contro la vergogna, una nemica con cui mi sono scontrato spesso prima di comprendere che l’amore non è imbarazzo.

Metto in pratica quest’ultima convinzione sfiorandogli la guancia con le dita.

-Ero curioso di vedere come te la cavi con la meditazione.-

-Me la starei cavando bene ancora adesso se non mi avessi interrotto.-

Ma è lo stesso John ad interrompere me, allontanando con un movimento sofferto la mia mano dal suo viso. Il suo tono di voce si alza, come la sua paura. Una paura che non sono disposto ad assecondare, non più; non se ciò implica sostenere con indifferenza lo sguardo di John per le prossime settimane e rinunciare alla meditazione a causa dell’alta marea che il suo pensiero scatena nella mia mente.

Abbandono un bacio sulle sue labbra calde e accoglienti che non si ritraggono. Vorrei indugiare di più su di loro ma so che quella mia debolezza potrebbe sfociare in un’altra ben più peccaminosa.

John strabuzza gli occhi, stupito e spaventato dalla mia audacia ma affatto dispiaciuto.

Apre la bocca per chiedermi spiegazioni, per capire il motivo per cui ho ceduto all’istinto e ho distrutto la barriera del controllo che abbiamo costruito con così tanta fatica. John non sarà in grado di ricostruirla così facilmente, non è abbastanza forte: se lo fosse non avrebbe bisogno di erigerla, mi prenderebbe per mano e mostrerebbe senza vergogna al Maharishi e a tutto il fottuto universo le nostre dita intrecciate.

-Allora ti lascio alla tua meditazione.- le mie parole tremano sul suo mento, incrinate da un desiderio che John non mi permetterà mai di soddisfare; o almeno non qui. Mi sollevo, accontentandomi di quella piccolo bisogno che non avrei più potuto soffocare.

John non abbandona la sua espressione meravigliata neppure mentre sto per uscire così come sono entrato: in punta di piedi.

Rimango per qualche istante immobile nel corridoio, le gambe scosse da un fremito interno, dispiaciute di non essersi allacciate ai fianchi di John. Scaccio quell’immagine, al momento irrealizzabile, dalla mia mente e mi volto verso la sua porta. Questa, come la sua anima, rimane chiusa se esposta a sguardi esterni. Vengo assalito dal desiderio che John esca da quella stanza, che mi abbracci urlando il mio nome così forte da interrompere la meditazione di chiunque possa ascoltarlo, che canti le note del nostro amore in un’infinita melodia.

Che illuso!

Lo scudo di John non sarebbe così resistente se gli permettesse queste libertà.

La sua porta rimane chiusa mentre forse, sulle sue labbra e nella sua mente, rimane la traccia salina della marea che sconvolge la mia anima.

 

 

 

Angolo autrice:

Buone feste a tutti!

Sì, lo so, sono rimasta inattiva per parecchio tempo su questo sito per vari motivi: la scuola, lo studio davvero pressante e una totale assenza di ispirazione. Ho deciso di trascorrere queste vacanze in piena atmosfera beatlesiana e leggendo l’anthology mi è salita alla mente questa storiella senza tante pretese che però mi ha fatto riprendere in mano il computer e la voglia di scrivere.

Una grazie speciale alla persona a cui è dedicata questa storia e con cui spero di “lavorare” ancora molto presto. Ti voglio bene, Chia!

Grazie a chiunque abbia voglia di leggere e recensire questo lavoretto.

Un bacio!

  
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