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Autore: eli_s    27/12/2014    2 recensioni
Salve a tutti è la mia prima storia!!!
Ci sono infiniti modi di innamorarsi, questo è uno dei tanti. Damon, Elena e una fermata dell'autobus per portare uno sprazo di luce nelle proprie vite!
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The bus stop

 
"..Tu sei arrivato 
mi hai guardato 
e allora tutto è 
cambiato per me. 
Mi sei scoppiato dentro il cuore 
all'improvviso 
non so 
perchè 
all'improvviso 
sarà 
perchè mi hai guardato 
come nessuno 
mi ha guardato mai 
mi sento viva 
all'improvviso per te"

Mina- Mi sei scoppiato dentro al cuore
 
 
 
Elena
 

E’ un lunedì sera di metà Ottobre ancora non fa troppo freddo, ma l’aria umida si appiccica alla pelle e i capelli assumono un tono anni ‘80 atroce facendomi evitare ogni specchio per non urtarmi l’animo. Sospiro annoiata attendendo l’autobus 11 mentre tento di rimuovere l’alone di matita nera che, molto probabilmente, mi cerchia gli occhi a causa dell’umidità responsabile del mio trucco colato. Dopo aver afferrato il cellulare, piazzandomi un po’ di melodie dal retro gusto pre-adolescenziale, rispondo ai pressanti messaggi nel gruppo che ho su whatsapp con Care e Bonnie in merito a un'ipotesi di serata fuori in settimana.
Wanna be delle Spice Girls carica la mia scarsa pazienza fin quando non giunge l’autobus. Già mi sdegno all’idea di stiparmi tra il sudore e l’afa del mezzo di trasporto pubblico che deve portarmi fino a casa e salgo guardandomi intorno per valutare la situazione calca, ma per fortuna essendo stranamente in orario non è carico come le molte volte in cui, ritardando, si piena di gente. Mi metto in piedi nel corridoio lato guidatore e afferro l’asta di metallo colorata per non cadere; percepisco una goccia di sudore correre sotto la camicetta, altro brivido di sdegno e un impellente bisogno di una doccia mi assale mentre disgustata compatisco la mia mano contagiata dai batteri di mezza Washington. Cerco di fissare un punto indistinto fuori dal grande finestrino osservando le luci della città illuminata dal traffico e perdendomi in un qualche viaggio mentale con i Cure che partono in sottofondo, rendendo ancor più cupo il mio umore.

L’autobus si ferma ogni tanto e sobbalzo irritata dai modi bruschi di arresto dell’autista, stasera particolarmente nervoso, per poi afferrare l’iPhone e leggere disinteressata le dieci anteprime del “Forbes pressure” ovvero la modalità “ti ansio” di Caroline. Stacco la mano dal palo di metallo poggiandomi con la spalla e rispondo carica tra borsa, ombrello, telefono e borsina del pranzo, ma non sono abbastanza agile nell’afferrare l’asta quando l’autista, in preda a qualche spasmo muscolare, abusa troppo del freno facendomi perdere il mio già precario equilibrio.
Ed è un millesimo di secondo quello in cui sono travolta dallo scenario che mi si prefigge: umiliazione, vergogna, imbarazzo e qualche livido per la botta che sto per ricevere finendo a gambe all’aria.

Ma la mia immaginazione è corretta dalla realtà in cui non sento alcun tonfo sordo del mio sedere a contatto col lercio pavimento del bus e l’imbarazzo degli altri passeggeri, quanto piuttosto un impatto morbido e solido della mia schiena contro il corpo di qualcuno e l’attimo dopo percepisco la stretta decisa sui miei avambracci che mi rimette agilmente in piedi. Ho il cuore in gola e mi ci vuole un istante per assestarmi in modo da potermi voltare e ringraziare un'improbabile nonnina o un giovane teenager pronto a sorridere alla "signora" imbranata.

Mi volto, sfoderando un sincero sorriso di gratitudine quando due iridi cerulee mi gelano sul posto osservandomi vagamente preoccupate per il mio stato di salute e in attesa di un qualche cenno di vita che, purtroppo, non riesco ad avere: il ghiaccio di quegli occhi mi manda completamente in tilt. Incapace di ricordarmi come si fa a parlare frugo nella mia testa in cerca di una frase che non esce; quando finalmente quelle iridi si contraggono e riesco a riprendermi, articolo un confuso "grazie" confermando allo sconosciuto che, oltre che imbranata, devo avere anche battuto la testa o comunque soffrire di qualche deficit mentale. Sento le guance che si imporporano e il mio corpo, già provato e appiccicoso all’inverosimile, inizia a sudare freddo.

Lo sconosciuto mi regala un mezzo sorriso spostando la mia attenzione sulla solitaria fossetta che si forma al lato della bocca e procurandomi un’ulteriore paresi mentale e facciale; il grado di umiliazione ora è superiore a quello che avrei potuto sviluppare cadendo.

-Stai bene? Hai battuto da qualche parte?-

Mi obbligo a riprendermi e sbatto gli occhi per staccarmi da lui.

-Si, no sto...sto bene, scusami anzi ti ho travolto tipo elefante spero di non averti fatto male-

Lui piega la testa in giù ridacchiando e poi torna con lo sguardo sulla demente che ha appena salvato, cambiando espressione e posando gli occhi sulle cuffie che penzolano dalle mie mani, staccatesi dalle orecchie nella quasi caduta.

-Anche io rischierei di cadere ascoltando i Cure-

Sbarro gli occhi cercando di interpretare il senso ovvio delle sue parole e, quando il mio cervello decide di collaborare con me, getto l’occhio sulle cuffie da cui si percepiscono le note di Pictures of you. Un altro punto a favore di Mr fossetta, conosce la mia musica. Stoppo agilmente la riproduzione sul telefono e sorrido imbarazzata, stingendo saldmente il palo che prima avevo mancato.

-Beh, si sono un po' deprimenti-

-Non hai niente che ti faccia sorridere?-

Adesso lo guardo dritta negli occhi velatamente confusi e sobbalzo quando allunga la mano e mi sfila il telefono spippolando sullo schermo, probabilmente sta scorrendo la playlist sul mio iPhone.

-Ehi!-

Lo sgrido, risentita per il gesto arrogante e di palese violazione della mia privacy.

-Questo è furto-

Lui non mi considera minimamente intento ad alzare ogni tanto il sopracciglio scuro, probabilmente in disapprovazione delle mie scelte musicali. Inizia a serpeggiare dentro di me uno strano senso di vergogna non mi è mai importato di essere giudicata o valutata in base a cosa ascolto, ma ora è come se fossetta si fosse intrufolato in camera mia, tra le mie cose, nella mia intimità perché la musica rispecchia un po’ chi siamo e forse mi sarei sentita come in dovere di spiegare cosa ci facessero Christina Perri o Dean Martin nel mio telefono. Solo allora mi perdo un istante tra i suoi colori troppo decisi, dai cappeli lisci corvini alla pelle nivea leggermente adombrata da una barba incolta del giorno prima, sento che sto violando anche io la sua privacy registrando ogni tratto del suo corpo; fin quando alza di scatto la testa e, soddisfatto, mi porge una mia cuffia con un sorriso sornione odioso e dannatamente sexy. Devo deglutire per non sbavare o boccheggiare come un pesce e afferro la cuffia indossandola, mentre lui fa la stessa cosa e preme play.

Scoppio inevitabilmente a ridere - non perché Barry White sia comico o le note allegre di You’re the first, you’re the last, my everything parlino di cose divertenti - ma data la situazione assurda forse era l’ultima canzone che mi sarei aspettata sentir suonare nelle orecchie o forse perché quella canzone mi catapulta immediatemente in un episodio di Ally Mcbeal (per inciso è per lei che sono un avvocato con due centesimi in tasca e mi trascino per autobus); curioso che fossetta abbia proprio voluto sentire quella canzone. Interrompo lo stream di pensieri quando scorgo il suo volto illuminarsi per aver raggiunto il suo scopo: farmi sorridere.

-Prego Ally-

E lì, definitivamente, mi conquista. Mi chiedo seriamente se penso ad alta voce o questo ragazzo sia una specie di visione e mi perdo nei suoi occhi mentre uno strano silenzio ci coglie, io con la mano salda contro il palo di metallo e lui appoggiato allo stesso, leggermente ricurvo e di conseguenza un po’ troppo vicino a me che vorrei scappare come se avessi la peste dato che non sono nel mio momento migliore, non profumo di shampoo o sono fresca come un fiore, tutt’altro dopo una intera giornata di lavoro. Ma non m’importa se è il prezzo da pagare per stare ancora un istante con il respiro di lui contro di me.

Un’altra frenata brusca mi riporta alla realtà e mi sveglia dallo stato di trance in cui ero, stacco le cuffie ad entrambi e realizzo che non ho minimamente considerato dove fossi e mi assale il panico quando scopro che siamo al capolinea. Le porte si aprono e i rimasti sul bus scendono, così mi guardo intorno disperata: dove diavolo sono? Fossetta mi fissa curioso e tenta di carpire il mio disagio, realizzando che tra un attimo andrà chissà dove e io rimarrò lì sola come la cogliona che sono; cerco furiosamente con lo sguardo una fermata dall’altra parte della strada mentre già percepisco il brivido di terrore quando dovrò chiamare Bonnie o Caroline supplicandole di venire a prendermi in quel luogo desolato e nessuna della due potrà farlo.

-Ti sei persa?-

-Dovevo scendere tipo 5 fermate fa, come diavolo torno a casa?-

Piagnucolo disperata e il mio sguardo perso vaga frenetico meditando una soluzione, mentre il cuore mi pulsa in testa; lui intanto non accinge a muoversi.

-Succede a distrarsi, Ally-

Estraggo il cellulare e gli lancio un’occhiata torva, poi scorro la rubrica pronta a chiamare Bonnie: ovviamente squilla a vuoto e intanto il tipo sfila dalla tasca un pacchetto di sigarette e se ne accende una. E’ in quel momento che mi gela un pensiero atroce: perché è ancora qui? Cos’è un maniaco?Uno stalker che ha preso di mira la scema della situazione? Meglio se fosse un ladro, ma ha tutta l’aria di un molestatore eppure...un brivido mi percuote e mi stringo nella giacchetta blu facendo un leggero passo lontano da lui che fuma disinteressato.

-Dannazione Bonnie-

Aggancio e mi rimetto a cercare un altro numero, lui mi studia forse sta pensando a come rapirmi. Cielo Elena, sempre pensieri positivi, attirati pure la sfiga già che ci sei. Sbuffo, poi lo sento avvicinarsi e il mio dito si paralizza sul nome di Caroline.

-Andiamo-

Alzo la testa di scatto, fissandolo confusa.

-Dove?-

Tradisco un certo timore dal tono di voce incerto.

-Alla mia macchina-

Adesso ho paura.

-Perché?-

-Ti porto a casa-

Afferma, come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo. Getta la sigaretta pestandola con la punta della scarpa mentre il mio sguardo titubante cerca di cogliere il senso delle sue parole. Non so come mi viene in mente di provocarlo.

-Cosa? Non ti conosco, non ci vengo in macchina con te-

Mi sto già pentendo, non avendo imparato proprio nulla dai film in cui la tizia della prima scena inaugura la sfilza di vittime rispondendo male al pazzo di turno che le assesta una coltellata in pancia; ingoio quel senso di vertigine che mi coglie. Lui invece sembra del tutto indifferente, confermandomi che sicuramente si tratta di un sociopatico. Bene Elena la tua vita sentimentale, per essere veramente alla frutta, non poteva non comprendere un tentativo di rimorchio da parte di un sexy sociopatico, altrimenti cosa offri come argomento per compatirti ai tuoi amici domani sera a cena?! Se ci arrivo a sto punto a domani. Fossetta fa spallucce.

-Allora vai a piedi...è stato un piacere soccorrerti Ally-

Mi lancia il mezzo sorriso dal quale spunta quella sua odiosa fossetta che mi manda nel pallone e si volta dirigendosi chissà dove. Mi sta lasciando qui come una perfetta idiota  quale sono e il cervello non fa in tempo a comunicare alla bocca di aspettare che abbia tratto le conseguenze di un possibile viaggio in macchina con lui che lo sto già fermando.

-Aspetta-

Lui rallenta e si volta con le mani nelle tasche dei jeans scuri. Il suo abbigliamento la dice lunga su probabili inclinazioni psicotiche. Ho il cuore a mille e la voce strozzata, simili sensazioni di panico le ho provate poche volte nella vita e a lui basta uno sguardo chiaro che squarcia l’oscurità e riempie quello spazio tra noi per farmi martellare la testa. Mi guarda eloquente in attesa che io dica altro, ma arrogante come sono non voglio dargli troppo spago.

-Ok-

Sembra riflettere oppure forse non ha capito che cosa gli ho detto, non lo so, so solo che sono agitata da morire con lo stomaco in fiamme e l’urgente bisogno di andare a casa.

-Muoviti Ally-

Mi fa un cenno come per dire di seguirlo e a passo svelto lo raggiungo, sopprimendo la smorfia di dolore procurata da quelle dannate scarpe blu che, pur avendo il tacco basso, mi stanno distruggendo piedi e gambe. Sono decisamente un rottame: la storia della mia vita “Miss devastazione che incontra uno psicopatico in autobus”.
Le gioie insomma.
Seguo
fossetta che mi conduce in un parcheggio condominiale a pochi metri dalla fermata e lo vedo ciondolare verso una bellissima camaro azzurra come quei suoi occhi gelidi. Devo smettere di farmi dei viaggi su questo tizio e farmi vedere da qualcuno bravo perché mi manca sicuramente qualche giovedì. Lo osservo da dietro mentre cammino in bilico carica come un mulo e stringendomi nella misera giacca: la temperatura è calata di colpo e l’umidità mi sta entrando nelle ossa, lo percepisco dal senso di dolore che assale i miei esili muscoli e alzo la testa osservando la nebbiolina presente nell’aria. Poi riporto lo sguardo sulla schiena di fossetta e mi accorgo che ha delle spalle grandi evidenziate dal giubbotto di pelle, ovviamente nero, e chissà se in tasca ha pure un coltello e guanti neri. La mia idiozia non ha confini, ma un episodio di aggressione nei miei confronti lo vedrei come la giusta punizione per la mia distrazione. Sì, ho grossi problemi con me stessa non lo nascondo, ora respira Elena.
Mi riscuote lui dal vortice di violenza in cui mi ero gettata da sola mentre mi osserva.

-Allora? Sali?-

-Si scusa-

Chi va ancora in giro con una camaro? Uno che colleziona corpi di giovani laureate, rifletto mentre salgo sull’auto e non posso non provare un moto di sollievo appena mi siedo, abbandonando il corpo contro il sedile che mi accoglie. Ecco che mi irrigidisco appena incontro il cielo degli occhi di Mr fossetta che mi guarda come se la pazza fossi io, fa manovra e gli dico dove deve dirigersi e restiamo in silenzio per tutto il tragitto fin quando un semaforo non arresta il nostro incedere.

-Perché prendi l’autobus se hai la macchina?-

Mi parte così la domanda, maledicendomi per non avere filtri e lui inclina la testa verso di me; possibile che questo tizio sia sexy anche mentre guida? In modo del tutto casuale poi. Lui si prende quei suoi soliti due secondi più del normale per rispondere, valutando se essere sincero o sbeffeggiarmi e opta ovviamente per la seconda.

-Sai, casomai qualche ragazzina sbadata inciampasse…-

Mi sorride eloquente e io sprofondo nel seggiolino, torno con lo sguardo sulla strada nel momento in cui il semaforo diventa verde e ripartiamo. Le cuffie sono sempre inserite nel telefono per questo non lo sento squillare; costeggiamo il marciapiede che divide la strada dal cancellino in ferro battuto del palazzo in stile vittoriano in cui abito ormai da tre anni, dietro al quale si trovano le scalette in pietra che conducono al vecchio portone in legno, con una finestra ad arco e una grata in ferro battuto dal motivo antico. Osservo il palazzo mentre fuori comincia a piovere e in modo automatico cerco le chiavi in borsa. Poi mi volto verso di lui, che mi guarda curioso.

-Bel posto-

-Tranquillo-

-Vivi sola?-

Menti Elena, mi rimprovera la voce nella mia testa che di nuovo non ascolto.

-Si, anche se ogni tanto ospito mio fratello-

-Ce l’hai qualche amico?-

Il tono divertito dimostra che si sta evidentemente burlando di me perché ho proprio l’aria della sfigata solitaria, ma non gli darò corda.

-Grazie del passaggio-

Lo liquido in fretta.

-E’ stato divertente-

Mi regala un mezzo sorriso facendomi avvampare, divertente non è proprio la parola a cui stavo pensando. Apro lo sportello e mi accingo a scendere.

-Chiamami se resti a piedi-

Lo guardo confusa fuori dall’auto con la pioggia che si riversa su di me.

-Hai un numero per il servizio taxi?-

Lo sfotto vendicativa, lui abbassa il finestrino e io chiudo lo sportello, poi si sporge per guardarmi negli occhi.

-No, cercami nella tua rubrica...buonanotte Ally-

Mi fa un occhiolino insopportabile e perplessa lo osservo mentre parte, lasciandomi allibita sotto la pioggia. Mi risveglio e corro dentro il palazzo fin quando non arrivo al terzo piano coi piedi che sanguinano e le tempie che mi esplodono.
Quando finalmente entro nel mio piccolo appartamento, reso accogliente nel tempo, getto tutto vicino all’ingresso e mi tolgo le scarpe poi mi dirigo in camera afferrando prima il telefono finito sul fondo della borsa e ansiandomi per le chiamate perse di Bonnie e i mille messaggi di Caroline. Sblocco il telefono ignorando tutto e cerco convulsamente nella rubrica un nome che non conosco. Mi accorgo di quanti numeri inutili ho salvato, di gente che non sento da una vita o di compagni delle elementari, reperiti a qualche cena di ritrovo e mai utilizzati, fin quando un nome mai sentito finalmente coglie la mia attenzione: Damon.
È così allora che si chiama il misterioso ragazzo dalla fossetta sfrontata e gli occhi troppo chiari. Sento un brivido correre sulla pelle e mi lascio cadere con un sospiro sul letto fissando quel nome sullo schermo del telefono che tengo tra le mani, poi controllo le chiamate in uscita mentre inzia a crescere dentro di me il desiderio, ricacciato prontamente in un angolo, che lui magari si sia fatto uno squillo per avere il mio numero. Ma niente, quell’arrogante psicopatico (che forse poi tanto non lo è) non si è preso il mio numero; questo depone a favore della sua fedina penale perché uno stalker l’avrebbe sicuramente fatto; allo stesso tempo mi viene voglia di maledirlo dato che così ha rimesso a me la palla. Astuto. E anche fin troppo sicuro del fatto che lo chiamerò. Mai. Neanche impegnandomi con la mia più fervida immaginazione riesco a trovare un pretesto per farlo.
Vengo scossa dai miei pensieri quando l’iPhone prende vita e il nome di Caroline appare minaccioso. Mi faccio forza e rispondo pronta a ricevere il terzo grado.

 

Passa una settimana frenetica e da quella sera purtroppo non posso fare a meno di odiarmi per ogni volta in cui mi trovo a sperare di incontrare un certo tipo dall’aria tenebrosa sul solito autobus o di fissare la sua foto su whatsapp che raffigura l’immagine di un obbiettivo fotografico riflesso in quello che, certamente, è lo specchietto della camaro. Non è un tipo femminile nè un maschio della generazione selfie, il che lo rende uomo ai miei occhi, ma ho questo dannnato pungolo dentro che mi fa desiderare di rivedere quegli occhi di cielo.
Ovviamente Damon sbruffone non ha la visualizzazione dell’ultimo accesso attiva così non posso sapere se usi o meno whatsapp e questo mi porta a una serie di considerazioni. Se non lo usa? Se per qualche motivo non ha internet e quindi, scrivendogli qui, dovessi sprecare il tentativo e poi dopo che faccio? Gli mando pure un messaggio normale? E se dopo accede a whatsapp e gli ho scritto pure lì penserà che sono ufficialmente cretina. Sbatto la testa sulla scrivania, attirando l’attenzione del mio dirimpettaio di banco.
Questa tiritera, per cui mi perdo nella vana speranza che un valido motivo per sentire Damon si palesi, continua anche il lunedì successivo mentre, sconsolata, mi appresto alla solita fermata dell’autobus insolitamente vuota. Inizia a salirmi il panico quando scorgo un foglio che sventola attaccato alla banchina di metallo e mi avvicino a leggere; il succo è
"ti lasciamo momentaneamente a piedi e ti avvertiamo quando ormai per te è tardi, buona serata. la compagnia trasporti" trattengo l’impulso di rotolarmi per terra e piangere. Mi faccio forza, estraggo il telefono e digito sul gruppo “Ya, ya sis” (ovviamente scelto da Caroline in una serata Bullock style) pronta ad elemosinare un passaggio, ma quando invio mi ricordo che entrambe sono a quel corso di danza del ventre cui Bonnie ha trascinato la bionda, risparmiando invece me salvata dai miei allucinanti orari di lavoro. Cerco il numero di Jer sperando che mi risponda, ma ovviamente il telefono squilla a vuoto e maledico  mio fratello per non essere utile quando serve, a differenza della sottoscritta nei suoi confronti.
E allora ecco che, timidamente, cerco quel nome che ho fissato invano per giorni e lo scruto come se aspettassi che il telefono squillasse col suo nome.

E dai Elena provaci.
Mi devo fare della violenza per premere l’icona del suo numero e portare il telefono all’orecchio mentre ogni squillo a vuoto è un battito accelerato. I cinque secondi più lunghi di tutta la mia vita, svuoto la mente e sopprimo i mille pensieri negativi che stanno per sopraffarmi quando la sua voce roca mi coglie alla sprovvista.

-Pronto?-

-S..si ciao sono Elena, la ragazza dell’autobus, cioè Ally, ma il mio vero nome è Elena, sì ecco non lo sapevi perché non te lo avevo detto-

Fermati e respira! Ma non ci riesco e percepisco che lui se la sta ridendo oppure pensando che la stalker sono io.

-Ciao Ally-

Il tono compiaciuto la dice lunga sul fatto che stia gradendo la mia chiamata e con quel saluto mi accoppa definitivamente.

-Scusa se ti ho chiamato ma..-

Mi morbo il labbro raccogliendo tutto il mio coraggio.

-Niente autobus-

ll motivo è troppo lungo da spiegare e in questo momento le parole che so usare sono davvero poche, imparanoiata come sono. Lui fa quella cosa odiosa che mi tiene in bilico e se la prende comoda prima di rispondere, magari starà pensando a come scaricarmi. Ed ecco che, come sempre, mi coglie in contropiede e mi riporta alla realtà, distogliendomi dai miei contorti viaggi mentali.

-Dove sei?-

Avvampo, emozionata come una ragazzina e mi affretto a spiegargli l’ubicazione del mio studio.

-Arrivo...e non scappare Ally-

Sento una nota quasi tenera, ma come al solito uccido ogni pensiero positivo, sia mai che sono fiduciosa verso il mio destino.

Chiudo mormorando tra me un “dove vuoi che vada” e ancora non ci credo di averlo fatto, mi sento spossata come dopo una maratona di ballo; alzo gli occhi verso il cielo scuro e sento un sorriso ebete che si forma sul mio volto lottando contro i muscoli facciali ai quali invano ordino di contenersi. E’ il primo segno del guaio in cui mi sono cacciata, un guaio colore del cielo. E ne ho conferma quando mi schizza il cuore fuori dal petto appena la camaro azzurra sbuca da dietro la curva e io mi sento come a 15 anni col ragazzo dei tuoi sogni che si accorge di te. Penso che se non mi siedo sverrò tra tipo un istante con le gambe che tremano quando lui si ferma e abbassa il finestro.

-Ciao Ally-

Mi sorride ed eccola lì la fossetta  che mi ha fregata per sempre. Salgo, cercando di trattenere un sorriso che mi illumina il volto e spero tanto che lui non se ne accorga e mi stupisco nel guardarlo perché, devo ammetterlo, oggi è più bello che mai, forse perché ho aspettato così tanto per rivederlo. Sto entrando in un terreno pericoloso, qualcosa si sta muovendo nel mio stomaco e temo che non potrò più contrastarlo. Ma questa sensazione di paura mista ad eccitazione mi rende viva in un modo in cui non sono mai stata e firmo definitivamente la mia condanna.

-Hai fame Ally?-

-Da morire…-

-Ti porto in un posto allora-

Ed è così che mi sono innamorata di Damon Salvatore.



 
Ciao a tutti quanti!!!
Sono Elisa ed è tanto ormai che leggo storie bellissime, così mi sono fatta coraggio e ho postato questa piccola one shot nata un po' per caso mentre aspettavo davvero l'autobus fuori dal mio ufficio per dirigermi a casa!
Ovviamente io non sono così fortunata da inciampare in un Damon di turno!
Grazie a tutti, chi leggerà, chi commenterà, chi solo avrà dato una sbirciatina!


A presto
Eli
   
 
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