Il cielo sopra i suoi occhi attoniti era di un azzurro gelato, di quella tinta che fa venire in mente la neve e l’estate insieme. C’erano poche nuvole, candidi spruzzi di panna bianca, che si muovevano lentamente come ballerine in pelliccia su una pista di pattinaggio sul ghiaccio. Elisa affondò le mani sottili, dalla pelle diafana e delicata che pizzicava al contatto con la lana gialla dei guanti, nelle tasche della giacca e fece un profondo sospiro prima di chiudersi alle spalle il portone e incamminarsi verso la macchina.
Lui era già lì, comodamente affondato in uno dei sedili di
pelle lucida della sua Mercedes ultimo modello, e, appoggiato con un gomito al
finestrino aperto, completamente perso nei suoi pensieri, fumava ad ampie
boccate, avide e frettolose, una delle sue Reynolds. La guardò appena mentre
saliva in macchina e si sistemava rigidamente, con una lentezza spaventata e al
contempo ricercata nei gesti.
La macchina si mise in moto con un rombo deciso del
motore, e pochi attimi dopo scivolavano già tra il traffico di Milano, in un
cupo grigiore di strade e palazzi.
Elisa guardava distratta fuori dal finestrino, cercando le
parole per quello che non sarebbe mai riuscita a dire, per quello che non era
possibile nemmeno spiegare. E che era troppo difficile persino per lui, per il
solido e concreto Lorenzo, che non si concedeva mai un’esitazione o una parola
di troppo, e invece a lei, a loro, stava lasciando un’intera vita inutile.
Quant’era che aveva acquisito la certezza dolorosa che era
finita? Non ricordava bene il momento, ma sentiva ancora addosso la sensazione
amarognola di una consapevolezza che non voleva, che avrebbe dato volentieri
indietro in cambio della beata ottusità con cui si ostinava a vivere la sua
storia perfetta.
“ E allora, come è andata la giornata?” domandò Lorenzo,
guardando fuori nella speranza che il semaforo diventasse di nuovo verde e lui
potesse concentrarsi sulla guida senza dover percepire sulla pelle quel
silenzio netto e statico, che sapeva di delusioni accettate e compromessi
silenziosi.
Elisa continuò ad osservare la strada: “ Una noia
mortale.”
Era stata veramente una noia mortale, quella giornata come
tutte quelle che erano venute prima, da non sapeva nemmeno quanto tempo. Non si
divertiva all’università. L’annoiava il lavoro in negozio. Detestava passare le
ore sui libri. I suoi amici le risultavano scialbi il più delle volte. Lorenzo
era quello che era. Tutta la sua vita le sembrava bloccata, come un cd
graffiato che non riesce più ad andare avanti. Non si era staccata da nessuno;
usciva ancora regolarmente con tutti i suoi amici del liceo, frequentavano gli
stessi locali e generalmente le stesse persone.
Si accorgeva di essere invidiata. Era carina, una specie
di pallida principessa vestita di informali maglioni Blugirl, jeans e scarpe
basse, e quella cascata di riccioli color rame che le dondolava sulla schiena
lunga e sottile, aveva una bella casa con grandi finestre su piazza del Duomo,
lavorava a tempo perso nel negozio di famiglia e si comprava quello che voleva.
Andava addirittura bene a scuola e stava con un ragazzo che non era
propriamente uno dei tanti. Lorenzo era stato popolare fin dal liceo; quando lo
aveva conosciuto lei era già una specie di star della scuola. Era arrivato in
secondo, quando sembrava già chiaro che la sua annata non aveva prodotto niente
di buono, ed era diventato subito l’idolo delle ragazzine di primo e il cocco
di quelle più grandi.
Elisa lo aveva notato un paio di volte, per la sua aria
perennemente scocciata e quei capelli color miele che ricadevano spettinati
sugli occhi azzurri, ma fino a quando non lui irruppe bruscamente nella sua
vita, una fredda mattina di novembre, non era stato che uno dei tanti visi dai
tratti netti che affollavano il cortile della scuola.
Sbatté le palpebre; si stava perdendo di nuovi in ricordi
inutili. Che senso aveva pensare alla luce che si era accesa negli occhi di
entrambi quando i loro sguardi si erano incrociati davvero la prima volta, e
come tutto si era fermato un istante, e lei avesse desiderato fermarlo. Che
senso aveva ricordare quei primi mesi magici, l’emozione delle prime uscite
finto disinvolte, la rapidità in cui si erano affidati l’uno all’altro..
“ L’hai sentita Claudia?” domandò bruscamente Elisa, per
impedirsi di ricordare.
Lorenzo le lanciò un’occhiata da sopra la spalla. I suoi
occhi la osservarono per un istante, uno solo, e lei si sentì paralizzare da
quella freddezza contenuta.
“ No, non si fa viva da un po’.”
“ Ma non è che è successo qualcosa con Giulio?”
Chiacchiere vuote. Si vedevano dopo una giornata intensa,
passata ognuno tra le sue incombenze, e non avevano niente da dirsi.
Scivolavano nella Mercedes tra il traffico, ed a entrambi sembrava più
interessante il grigiore della città tutt’attorno che quelle parole prive di
contenuto.
Claudia. Lorenzo non l’aveva sentita, ma in compenso aveva
in mente da giorni il suo corpo di curve eccessive e gli occhi da cerbiatto.
Era l’opposto di Elisa, e forse era per questo che lo allettava così tanto.
Aveva la pelle scura, sempre inondata dal sole, i capelli lisci, con un taglio
curato e alla moda, sfilacciato con ciuffi finto ribelli davanti agli occhi, e
non si sentiva mai in imbarazzo. Quando la guardava, seduta a gambe
accavallate, con uno dei suoi soliti vestiti inesistenti a scoprire le cosce
sode e scure, Lorenzo sentiva una voglia di sesso, sesso e basta, pulsargli
sotto la pelle.
Lui ed Elisa non facevano mai sesso. Era sempre un dolce,
arrendevole amore, dai gesti lenti e delicati, una gentile ricerca del piacere,
che si era trasformato negli anni in un affannarsi di corpi quasi noioso. Non
si guardavano quasi in faccia, si stringevano le mani e cercavano entrambi di
sentire un brivido, un tremito, qualcosa che gli convincesse che la loro storia
aveva ancora un senso, che c’era ancora passione.
“ Ma dove stiamo andando?” domandò con uno sbadiglio
Elisa, notando che non seguivano la solita strada. “ Eh?” insistette, sentendo
un’emozione strana, simile alla paura.
“ A casa di Dario, siamo tutti a cena lì..” le ricordò
Lorenzo.
Elisa si rilassò di nuovo contro il sedile. “ Non ti
lascerà, tranquilla..” si ripeté. Tirò fuori le mani dalle tasche, se le passò
sui capelli e lanciò un’occhiata di controllo al suo riflesso nello specchio.
“ Non hai caldo con i guanti?” le chiese Lorenzo. “ Hai la
pelle così delicata, in macchina dovresti toglierteli..”
“ Lo sai che sono pigra..” si lamentò lei, e si lanciarono
due pallidi sorrisi.
“ Guardateci ora. Siamo due ragazzi che stanno insieme da
sei anni e che scherzano nella loro Mercedes elegante mentre se ne vanno a cena
fuori con gli amici. Potremo fare una felicità.” Pensò Elisa, e si vergognò
immediatamente di se stessa.
Lorenzo era di nuovo silenzioso, ma almeno sulle sue
labbra c’era un mezzo sorriso. Si ricordava ancora di quando quelle stesse
labbra rosate scivolavano sulla sua pelle e le provocavano primi brividi e
gemiti. Di quando lo guardava e pensava a quanto lo amava. E di quando non
aveva bisogno di una lista dei suoi pregi e una foto di loro due perennemente
sotto il naso per ricordarsi di quanto lui fosse meraviglioso e di come si
amassero.
Erano solo ricordi, loro due. Parole scritte con due
calligrafie diverse su fogli rovinati, foto di sorrisi e baci passati, momenti
da non dimenticare. Eppure non avevano la forza di chiudere, di scivolare fuori
dalla storia in cui avevano cominciato a vivere e poi a recitare troppo tempo
prima.
Nessuno di loro sapeva se ce l’avrebbe fatta a risvegliarsi in un letto senza l’altro. E non volevano dirsi che quello che entrambi sentivano era la fine di un amore, l’odore amaro e inequivocabili di favole spente che si infiltrava nelle narici di ognuno di loro.
Elisa frugò nella borsa, una piccola pochette nera di Prada che le piaceva abbinare alle scarpe ed al maglione a collo alto nero giallo e rosso, e tirò fuori il suo pacchetto di sigarette. Se ne mise una in bocca, e aspettò che la mano di Lorenzo, puntuale e abituata, le portasse davanti alle labbra l’accendino.
Fumava da talmente tanto tempo che nemmeno se ne accorgeva. Non era come Lorenzo, che fumava con odio, odio verso se stesso e le sue debolezze. A lei piaceva avere la sigaretta tra le dita e soffiare fuori il fumo con aria provocante.
Era in quello, la loro differenza: Elisa, tutta apparenza. Lorenzo, piegato sui propri errori.
Elisa non lo lasciava perché non era difficile dire agli amici che era finita dopo tutto quel tempo, che la coppia perfetta era esplosa.
Lorenzo non faceva niente per spezzare quella situazione perché si sentiva in colpa verso quella ragazzina, che aveva preso, amato e cambiato e che ora non voleva più.
Nessuno dei due se lo diceva apertamente, e di sicuro non lo avrebbe mai ammesso con l’altro, ma se rimanevano insieme era solo per paura.
Paura di affrontare gli altri da sola. Paura di guardarsi dentro senza scuse.
La Mercedes era ferma ora, nel parcheggio riservato al palazzo. Lorenzo scese per primo e, mentre faceva il giro della macchina e affondava con i piedi nella ghiaia, si ripeté per l’ennesima volta: “ Ci aspetta una bella serata.”
Le aprì la portiera, ed Elisa saltò fuori con un sorriso allegro sulle labbra. Guardò un’altra volta il cielo di ghiaccio e le nuvole di panna, che dal giardino condominiale sembravano più pulite e vicine, e poi si girò verso di lui, prendendogli il braccio.
Lorenzo le sorrise, i suoi occhi morbidi per un attimo su di lei, ed aprì le labbra per dire qualcosa, qualcosa che gli raspava nella gola. Ma Elisa ricambiò il sorriso con dolcezza, e lui richiuse le labbra.
L’esitazione, un’altra volta. Ed il silenzio, ancora.