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Autore: LilyOok_    28/12/2014    5 recensioni
OneShot conclusiva di "Non sempre si combatte per ciò che è giusto."
Dal testo:
"Fece un passo, poi un altro, lentamente.
I suoi piedi poggiavano sull’erba come così silenziosamente da sembrare piume.
Tese la corda dell’arco e prese la mira.
Il cervo, che poco più avanti mangiava tranquillamente la soffice erbetta che ricopriva il terreno, non si accorse di nulla e quando la freccia lo colpì in pieno quello corse via, accasciandosi a terra non molto lontano da lei."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bofur, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I’m back home.
 
 
Fece un passo, poi un altro, lentamente.
I suoi piedi poggiavano sull’erba come così silenziosamente da sembrare piume.
Tese la corda dell’arco e prese la mira.
Il cervo, che poco più avanti mangiava tranquillamente la soffice erbetta che ricopriva il terreno, non si accorse di nulla e quando la freccia lo colpì in pieno quello corse via, accasciandosi a terra non molto lontano da lei.
 
 
“L’ho colpito! Hai visto, madre, l’ho ucciso!” Esultò la giovane, correndo in direzione della carcassa.
“Brava, mia dolce bambina, questa sera avremo di che cenare. Stai diventando un’ottima cacciatrice.” Le disse la donna poggiata al tronco di un albero, con le braccia conserte.
“Non supererò mai la tua bravura, ma ammetto di aver fatto un eccellente tiro.” Si vantò l’altra.
“E tutta questa modestia?”
“Lo sai che scherzo, madre.”.
“Figlia mia, la bravura proviene dall’esperienza.” Sorrise la donna, avvicinandosi a lei.
“Lo so, me lo ripeti ogni volta. Sei così saggia, vorrei aver ripreso un minimo da te invece io sono così irruenta...” Commentò la giovane.
“Oh, tesoro, fidati di me se ti dico che hai ripreso da tua madre più di quanto immagini.”
“E di mio padre? Di lui non ho nulla?” Chiese la ragazza, abbassando gli occhi castani.
Sua madre le accarezzò i lunghi capelli neri.
“Gli somigli molto. Me lo ricordi ogni giorno: il tuo sorriso, i tuoi occhi, il colore dei tuoi capelli. C’è molto anche di lui in te.” Le rispose. Alla donna pizzicarono gli occhi.
“Non parli mai di lui, perché? È forse morto?”
La giovane vide sua madre distogliere lo sguardo dal suo.
“No, lui è vivo ma... dopo quella che fu chiamata la Battaglia dei Cinque Eserciti lo lasciai, andando per la mia strada. Non avevo idea di essere rimasta incinta e quando me ne accorsi ero ormai lontana.”
“Ma perché lo lasciasti? Non lo amavi più?” La ragazza era confusa. Come aveva potuto separarsi dalla persona che amava così, come se niente fosse?
“Certo che no, lo amo tutt’ora, ma non ero fatta per vivere dentro la Montagna. Quelle mura di pietra sarebbero diventate la mia prigione. Non sarei mai sopravvissuta ad una vita simile.”
 
 
“Mmh, che buona la carne di cervo!” Esclamò la giovane addentando un altro pezzo di carne.
L’altra fissava il fuoco, pensierosa.
“Non mangi, madre?” Le chiese la figlia, passandole la carne.
“Non ho appetito.” Rispose lei, continuando a fissare le fiamme ballare nella notte. La sua mente era protesa verso la Montagna Solitaria e il popolo che la abitava. Rievocare i ricordi non era mai una bella sensazione per lei poiché non era stato facile partire.
“A cosa pensi?” La voce di sua figlia la riscosse, costringendola ad alzare lo sguardo verso di lei. Il fuoco le disegnava strane ombre sul viso. Aveva molto poco di nanico, ma era tutta sua padre.
“Nulla di cui preoccuparsi.” Sorrise.
Un fruscio in lontananza le mise sull’attenti.
Con l’arco in pugno si misero schiena a schiena per coprirsi le spalle a vicenda, come avevano sempre fatto fino a quel momento.
“Chi è così stolto da avvicinarsi causando un baccano simile?” Domandò la donna, tirando ancor di più la corda.
“Vi prego non scoccate. Sono io, Gandalf!” Disse una voce da dietro un albero e un alto vecchio avvolto da vesti grigie e con un alto cappello appunta spuntò da esso.
“Gandalf?!” Gridò la donna, gettando l’arco a terra e correndogli incontro.
Keira, che piacere rivederti.” Disse quello, abbracciandola.
“Chi è costui, madre?”  La voce dell’altra richiamò i due e Gandalf le andò vicino, osservandola con attenzione.
“Keira, hai una figlia?” Domandò sorpreso, rivolgendosi alla Mezzelfa.
I suoi occhi diversi vennero illuminati da una strana luce, una luce materna.
“Silmerya, lui è Gandalf il Grigio, un grande stregone protettore della Terra di Mezzo; Gandalf, ho il piacere di presentarti Silmerya, mia figlia... e di Bofur.”
 
 
“Sono passati esattamente settant’anni dall’ultima volta che ti ho vista e non sei cambiata di una virgola.” Le disse lo stregone, guardandola in viso. Sulla sua guancia vi era ancora la cicatrice della Battaglia.
“Neanche tu.” Rispose Keira.
“Madre, come fai a conoscere uno stregone?”
“Non conosce la storia della Riconquista di Erebor?” Domandò allora Gandalf, sorpreso.
“No, non gliene ho mai parlato.” Keira si rabbuiò. Quel viaggio era stato per lei solo fonte di dolore e di morte.
Aveva smesso di pregare, aveva smesso di sognare. La ragazza che era partita si era ormai fatta donna e aveva messo da parte tutte quelle sciocchezze su cosa è casa. E non voleva rievocarle. Non voleva che sua figlia conoscesse le sofferenze che aveva patito e il dolore di un passato funesto.
Voleva che fosse felice e spensierata e ci stava riuscendo.
Ma dove c’è Gandalf, ci sono guai, generalmente.
“Quale storia?” Chiese Silmerya, guardando sua madre con occhi carichi di curiosità.
“Come mi hai trovata, Gandalf?” Domandò invece Keira, ignorando la figlia ed eludendo la domanda del vecchio.
“Uno stregone ha i suoi trucchetti se c’è da rintracciare qualcuno.” Sorrise lui, bonario.
“Spero potrai almeno dirmi per quale motivo sei venuto a cercarmi fin qui, nelle Terre Meridionali, oltre Mordor.”
“Certamente, mia cara. Qualcuno ha bisogno di te.” Rispose Gandalf.
“Valar, è successo qualcosa a Bofur?” Keira si alzò in piedi, allarmata.
“No, no, niente affatto. Puoi sederti tranquilla.” Rise lo stregone. Poi un’ombra gli passò sul viso. “Si tratta di Thorin.”
 
 
***
 
 
“Madre?”
La voce di Silmerya era un sussurro nell’oscurità della notte, ma Keira la sentì ugualmente. Grazie a quel po’ di sangue elfico che aveva nelle vene riusciva a vedere e a sentire più lontano di Nani e Uomini. E comunque, avrebbe riconosciuto la sua voce fra mille.
“Silmerya, avvicinati.” Le disse senza voltarsi, battendo la mano sul tronco sul quale era seduta per fare la guardia.
La ragazza le si sedette al fianco e poggiò la testa sulla spalla della madre.
“Non riesci a dormire?” Le domandò Keira, buttando un occhio al suo viso.
Silmerya guardava le stelle e così fece anche lei.
“No, non è questo.” Mormorò. “Stavo pensando a quello che ti ha detto lo stregone. Devi tenere molto al Re, non è così?”
Fu come essere colpita da una freccia.
“Si, mi manca, Silmerya. Mi mancano tutti e mi manca tuo padre.” Ammetterlo fu ancora più doloroso.
“Ma se ti manca così tanto, allora perché non sei mai tornata? Perché non mi hai mai portato da lui? Perché sei andata via?! E non rifilarmi ancora la storia che la pietra sarebbe diventata la tua prigione. Voglio sapere la verità.”
Sua figlia aveva ragione, era tempo di smetterla di fuggire dalla realtà. Ma nonostante ciò, maledisse lo stregone per non tacere mai.
“Io... ho avuto paura di essere amata.” La voce di Keira si incrinò leggermente, ma non una lacrima cadde dai suoi occhi. “Devi sapere che c’è stato un tempo in cui credevo di sapere tutto di me e invece non sapevo nulla. Tutto quello che conoscevo sul mio passato era una bugia o quantomeno era qualcosa per cui ero arrabbiata con il mondo mentre la realtà era ben diversa. E in peggio.
Nolente e dolente, Keira raccontò la vicenda del suo passato a sua figlia: la profezia, il drago, Thranduil, Calime, sua sorella... le raccontò ogni cosa e quando venne l’alba terminò il racconto con la sua partenza, lasciando un vuoto nell’animo di Silmerya.
“E così è per questo che sei... fuggita?” Domandò la ragazza, guardando gli occhi diversi di sua madre.
Keira le accarezzò una guancia con fare dolce.
“Tesoro mio, non avrei mai voluto farti calare questo peso sul cuore, credimi.” Le disse, baciandole la fronte.
“E ora cosa farai? Risponderai alla chiamata del Re?”
“Devo farlo. Devo tornare, per Thorin. Non posso lasciarlo andare senza dargli un ultimo saluto.”
 
 
***
 
 
Gandalf sbuffo un cerchio di fumo dalla bocca mentre attendeva che le due raccogliessero tutte le loro – poche – cose e fossero pronte per la partenza.
Keira non faceva altro che sospirare. Le tremavano le mani e la maggior parte delle cose che raccoglieva da terra le ricadevano. Era agitata, era terribilmente agitata.
Cosa avrebbero detto ridevendola? E Bofur? Cos’avrebbe detto lui? Lo aveva lasciato su così, su due piedi. Aveva lasciato che si svegliasse senza il calore del suo corpo a fianco.
E se l’odiasse? Avrebbe mai potuto sopportare il dolore di essere ripudiata da colui a cui aveva donato il cuore?
Prese il suo arco e se lo mise in spalla, aiutando poi Silmerya a legarsi la sacca sulle spalle.
“Non sei obbligata a farlo, Keira.” Le disse d’un tratto Gandalf, sbuffandole un cerchio di fumo sul naso.
“Non posso rifiutare.” Rispose lei, scacciando il fumo con una mano. No, non poteva.
“Bene.” Disse allora lo stregone, alzandosi in piedi. “Perché il nostro passaggio sta per arrivare.”
 
 
“Ma... sono giganti!” Esclamò Silmerya, accarezzando il muso di una delle tre enormi Aquile che erano atterrate nel bel mezzo dello spiazzo.
“Tante cose devi scoprire ancora del mondo, non è così?” Le disse Gandalf, salendo a cavallo dell’Aquila più grossa.
“Puoi evitare?” Lo rimbeccò Keira, seccata. Quel vecchio non teneva mai la lingua a freno. Aveva fatto tanto per tenere sua figlia lontana dal mondo, proteggerla dalle sofferenze, e adesso arriva lui e come se niente fosse comincia a parlare a sproposito.
‘Già mi sta stressando, e nemmeno è arrivato.’ Pensò irritata, sedendosi dietro Silmerya.
Gandalf stava per dirle qualcosa ma lei lo fulminò con lo sguardo.
“Andrò con mia figlia.” E la discussione fu troncata sul nascere.
 
 
***
 
 
Il vento le sferzava i capelli e si strinse di più nella giacca. Alcune ciocche le andarono in bocca e fu costretta a surgelarsi una mano per spostarle. Le erano ricresciuti moltissimo e non aveva più avuto il coraggio di tagliarli. Li teneva sempre legati sulla nuca, in un nodo che le lasciava giù le punte fino a metà schiena. Ma con tutto quel vento, la trecce le si erano scompigliate e non vi era speranza di rimetterle a posto.
Sua figlia dormiva tranquillamente poggiata al suo petto mentre Gandalf e la terza Aquila volavano avanti a loro conducendoli per la strada.
Era strano tornare. Una cosa che credeva non avrebbe mai fatto.
Tutto ciò che avrebbe rivisto era solo parte del suo passato ormai.
‘Ma chi vuoi prendere in giro, Keira?’ Pensò, scuotendo il capo. Non aveva dimenticano nulla; i volti dei suoi amici erano impressi nella sua mente come stampati a fuoco, la Montagna, la sua stanza, doveva ave consumato per la prima volta l’amore che provava per Bofur. E desiderava così tanto rivederli.
Non vi era giorno che non ci pensasse, che non si chiedesse come fossero diventati tutti, in settanta lunghi anni, quali cambiamenti erano stati apportati alle sale di Erebor, chi avesse occupato la sua stanza.
Ma mai, mai, avrebbe pensato di tornare davvero.
 
 
Sorvolarono l’Harondor, aggirando le terre di Mordor.
La parte meridionale di Gondor era ormai una contrada deserta e presto furono alle Foci dell’Anduin, fiume la cui sorgente si trovava sugli Ered Mithrin.
Keira lo aveva già sorvolato una volta, a cavallo delle Aquile, quando fuggirono dall’attacco di Azog venendo lasciati poi alla Carrok.
“Guarda, madre, si vede il mare!” Esclamò felice la giovane corvina, allungano di scatto una mano.
“Sta attenta, Silmerya, non sporgerti troppo. Quella è la Baia di Belfalas, fa parte della regione meridionale di Gondor.” Disse Keira, osservando ammaliata le acque luccicare come diamanti sotto il riflesso del sole.
Si fermarono per un paio d’ore, raccogliendo acqua fresca e mangiando un boccone, per poi ripartire di nuovo.
Attraversarono tutta la vasta regione di Gondor, dominata dagli uomini, oltrepassarono Rohan e la Foresta di Fangorn per poi accamparsi nelle terre di Dunland per la notte.
“Perché stiamo facendo questo giro? Non bastava tirare semplicemente dritto? Con un po’ di sforzo saremmo arrivati entro domani sera mentre invece adesso ci metteremo minimo altri due giorni.” Protestò Keira, cercando di accendere il fuoco. “Ma perché non funzionano questi affari?!” Inveì contro la pietra focaia, lanciandola a qualche metro di distanza.
“Cerca di placare i tuoi nervi, se troppo tesa.” Le disse Gandalf, soffiando sulla punta del suo bastone per poi toccare la paglia che doveva fare da base al falò.
Le fiamme si levarono in un secondo e la Mezzelfa emise un ringhio sottovoce.
“Per certi aspetti sei ancora la Keira che ricordo di aver conosciuto un tempo.” Sorrise lo stregone.
“Vuoi rispondere alla mia domanda?” Rimbeccò lei, trattenendo la lingua. Era così nervosa che avrebbe potuto sciorinare una serie di insulti dei quali si sarebbe – forse – pentita in un secondo momento.
Gandalf sospirò, sedendosi intorno al fuoco. Prima di parlare gettò un’occhiata alla giovane che dormiva raggomitolata sotto l’ala di uno dei grossi animali.
“C’è un motivo per cui ho scelto di non viaggiare sopra le terre di Mordor.” Disse a bassa voce. “Dicerie, niente di più, ma per sicurezza ho preferito evitare.”
“Credevo che Mordor fosse stata sbaragliata durante la Seconda Era. Sbaglio?” Domandò lei, accigliata.
“Come ho detto, sono solo dicerie.”
Ma come al solito, Gandalf nascondeva qualcosa, un qualcosa del quale Keira preferì non essere messa al corrente, al momento.
Tornò a guardare il fuoco. Il calore le riscaldava il viso. Era una bella sensazione.
 
 
“Sei mai andato a trovarli?” Chiese d’un tratto la Mezzelfa, guardando di sfuggita il vecchio mentre ravvivava il fuoco con un ramo abbastanza lungo da non bruciarsi.
“Si. Mi hanno accolto con grandi banchetti e feste lunghe anche due giorni interi.” Sorrise lui.
“Ci sei stato anche recentemente?” Domandò ancora Keira, con tono vago. Moriva dalla curiosità. Quella, la curiosità, era una particolarità di sé che non era riuscita a togliersi nemmeno con il corso degli anni.
“Si.”
“Quanto recentemente?”
“Un paio di lune fa.” Rispose Gandalf.
Il fuoco zampillò puntini luminescenti intorno a sé.
Keira stava per chiedergli qualcos’altro ma lo stregone la precedette.
“Riposati, farò io la guardia stanotte.”
“Ma...”
“Domani partiremo all’alba. Forse, se i venti ci saranno favorevoli, saremo ad Erebor entro la mezzanotte.”
 
 
***
 
 
Da Dunland, le Aquile si fecero strada nel cielo deviando per le Montagne Nebbione, attraversando di nuovo l’Anduin.
Non ci furono soste questa volta, ma viaggiarono lungo le Terre Selvagge fino alla Dale ricostruita.
Era tarda notte quando giunsero alle pendici della Montagna.
 
 
Dopo aver ringraziato garbatamente le Aquile, esse voltarono loro le spalle e tornarono a casa propria.
Già, casa... anche Keira era tornata a casa, di nuovo.
“E tu sei andata via da un posto come questo? Ma è un regno immenso!” Disse Silmerya, seriamente scioccata dalla scelta di sua madre.
“E aspetta di vedere dentro.” Disse Gandalf, dando un colpetto alla porta. Essendo di spalle, poté solo percepire il gelo nello sguardo che Keira rivolse alla sua schiena.
Un Nano si affacciò su una piccola fessura nell’enorme portone del regno e chiese rozzamente chi fossero e che cosa volessero a quell’ora della notte.
“Siamo qui per il Re Sotto la Montagna. Siamo vecchi amici.” Disse lo stregone, abbassandosi per guardare in faccia il Nano.
Keira gli diede uno scossone e si parò davanti al tipo al di là della porta.
“Facci entrare, immediatamente.” Disse con tono autoritario.
A Silmerya fece venire i brividi il suo tono così... così... da madre.
Il Nano ridusse gli occhi a fessura e scrutò quelli della mora, ma poi la osservò meglio e quasi la riconobbe, anche se di lei aveva solo sentito parlare.
Subito tolse tutte le sicure che bloccavano la piccola porta incastonata nel portone e li fece entrare.
“Tu devi essere la Keira dei racconti e delle canzoni. Si è parlato a lungo di te, sai?”
“Non ti hanno insegnato le buone maniere, mastro Nano?” Disse lei, inarcando un sopracciglio. Si era aspettata che qualcuno sapesse della sua esistenza, ma di certo a tutto aveva pensato tranne che essere ritratta in canzoni e racconti sulla Battaglia. E di certo, tutto ciò la fece non poco stizzire.
‘Non bastava tutta l’agitazione che avevo già per i fatti miei, mi ci voleva anche un popolo intero che sapeva chi ero e cosa avessi fatto.’
“Avete ragione, chiedo venia per essere stato irrispettoso. Il mio nome è Boilir, mia signora, e sarò lieto di offrirvi i miei servigi, se lo desidererete. Posso accompagnarvi nel-” Iniziò quello, dandole finalmente del voi e inchinandosi leggermente.
Era un Nano giovane, dalla testa fulva e barba dello stesso colore, intrecciata con accortezza.
Era poco più alto di lei e la fissava con troppa insistenza.
“No, grazie.” Lo interruppe bruscamente, voltandogli spalle. “Conosco la strada.”
 
 
Attraversarono grandi saloni rivestiti di arazzi antichi e nuovi, dai mille colori, che ritraevano la storia del popolo di Durin fin dal principio.
“Questo posto è... Davvero è casa nostra?” Domandò Silmerya, facendo una giravolta su se stessa per osservare ogni singola cosa intorno a sé.
Ma Keira non la stava ascoltando.
“Madre?”
Gandalf le mise una mano su una spalla e fece più luce con il suo bastone.
“Ooh...” Esalò la ragazza, avvicinandosi all’enorme arazzo appeso alla parete di fronte a loro.
Ritraeva un campo di battaglia. Cinque eserciti vi erano dentro; Nani, Elfi, Uomini, Orchi a cavallo dei loro Mannari e grandi Aquile che sorvolavano il cielo ingrigito dalle nubi cariche di pioggia.
La scena era in uno stato di stallo: Orchi e Mannari sembravano statue terrificanti in attesa di abbattersi sul nemico; gli Elfi e gli Uomini, insieme ai Nani, volgevano lo sguardo verso quello che doveva essere Thorin.
Sapeva perfettamente di che momento della Battaglia si trattasse.
“Tu eri lì in mezzo, non è così, madre? Doveva essere terrificante.”
 
 
Superati i primi piani senza intralci, proprio mentre stavano per svoltare nel corridoio principale del terzo piano che li avrebbe portati dritti nelle stanze reali, una Nana dall’aspetto regale gli si parò davanti.
“Chi siete?” Domandò autoritaria.
Spostò lo sguardo subito sulle due di fronte a lei, ignorando completamente lo stregone.
Keira notò una certa somiglianza tra i suoi occhi e quelli di Thorin ma per non errare non disse nulla. Si limitò ad inchinarsi, facendo fare lo stesso a sua figlia, e a presentarsi come da tradizione.
Keira?” Sussurrò quella, ordinando poi di rialzarsi ad entrambe.
“Principessa Dìs, che piacere rivedervi, anche se non in circostanze favorevoli.” Gandalf prese piede nella conversazione e si inchinò leggermente, ammiccando alla Nana senza farsi notare dalle altre due.
“Gandalf.” Salutò lei, con un sorriso mesto.
‘Allora non ci avevo visto male.’ Pensò Keira.
“Saremmo lieti se potessimo vedere Thorin.” Proseguì lo stregone, suscitando un sospiro da parte dell’altra.
“Ora temo non sia possibile. È riuscito ad addormentarsi dopo giorni. Meglio lasciarlo riposare. Vi darò alloggio nel corridoio adiacente a questo, dove è il resto della Compagnia.” Disse la Principessa di Erebor, cambiando strada per condurli ai loro alloggi.
Stavano per svoltare ma Keira si bloccò di colpo. Le tremavano le gambe, le mani le pizzicavano e incominciò a sudare freddo.
“Che ti prende, Keira?” Le domandò Gandalf, facendo arrestare anche il passo delle altre due.
“Io... non posso.” Disse in un sussurro flebile, indietreggiando. “Non posso... non...”
“Ma che le prende?” Domandò Dìs, allarmata.
“Andate avanti, mostrate a Silmerya la sua stanza. A lei ci penso io.”
 
 
“Devi calmarti.”
“Tu non capisci, Gandalf! Come potrò guardarli in faccia dopo... dopo...” Si divincolò dalla presa del vecchio e gli voltò le spalle. “Non sarei dovuta mai venire.” Disse, reprimendo le lacrime.
Tutti quegli anni a credere di averla fatta franca dal rimorso di essersi lasciata alle spalle amici, fratelli, e a pensare di poter vivere in pace. E invece no, era lì a tremare come una foglia, in preda al panico.
“Non sono arrabbiati con te, Keira. Vuoi darmi ascolto?! Nemmeno Bofur lo è.”
Bofur.
Era di lui che aveva paura.
“Come reagirà quando saprà di avere una figlia ormai adolescente? Gliel’ho nascosto perché non volevo tornare. Non ho dato mie notizie a nessuno di loro. Per quanto li riguarda potrei essere morta!” Senza accorgersene alzò la voce.
“Fa silenzio, vuoi che ti senta tutta la Montagna?” Gandalf cominciava a perdere la pazienza.
“Senti, Gandalf, non posso farlo. Ci ho provato, sono arrivata fin qui. Ma non posso andare oltre quel corridoio, capisci?”
“Quindi è questo ciò che vuoi credino di te? Che tu sia morta?” Si infervorò lo stregone.
Keira abbassò lo sguardo e le lacrime tentarono ancora una volta di rigarle prepotentemente le guance.
“Rispondimi, Keira!”
NO!” Gridò la Mezzelfa, lasciando che dai suoi occhi cadessero piccole gocce salate.
Gandalf le sorrise e la abbracciò. La lasciò sfogare e poi le accarezzò il viso.
“Sei rimasta la solita testarda orgogliosa di sempre.”
 
 
***
 
 
“Buonanotte.” Dìs lasciò la stanza e Keira poggiò le sue cose accanto a quelle di sua figlia.
“Va tutto bene, madre?” Le chiese Silmerya, facendole posto sul letto.
“Si, è tutto a posto, non preoccuparti.” Sorrise lei, togliendosi gli stivali.
Poggiò la giacca su una sedia e vi pose sopra anche la casacca, rimanendo con una blusa bianca un po’ annerita dal fumo.
Sciolse i suoi lunghissimi capelli e si sdraiò sul letto e subito Silmerya colse l’occasione di raggomitolarsi accanto a lei, poggiandole la testa sulla spalla.
Rimasero in silenzio per un po’, ognuna persa nei propri pensieri.
La ragazza si stava chiedendo come fosse suo padre, che lavoro facesse, se l’avrebbe riconosciuta subito o si fosse chiesto chi accompagnasse quella che un tempo era stata la sua amata.
Keira invece era da tutt’altra parte con la testa.
In quel momento pensava a Thorin. Sembravano gravi le sue condizioni e si chiese cosa avrebbe visto entrando nella sua stanza. Quanti capelli bianchi avrebbe contato in più di settanta anni prima e quanto i suoi occhi si fossero spenti con il tempo, perdendo il loro splendore di luce lunare.
Le scappò un sospiro.
Pensare che il giovane Re Sotto la Montagna, sopravvissuto a una miriade di battaglie contro la peggior feccia della Terra di Mezzo, era ridotto così male da una febbre le faceva quasi venire da ridere. Una risata amara.
Quanto poteva essere strano il destino: scampi alla morte per decenni e poi? Poi prendi una ventata e muori.
‘E ancora mi chiedo perché ho smesso di pregare...’
 
 
“Sei silenziosa stasera.” Disse alla figlia, scacciando dalla mente tutti quei pensieri funesti.
L’altra sembrò riscuotersi da un altro mondo, poiché alla voce della madre sobbalzò.
“Stavo pensando.” Disse con ovvietà.
“Ti stai chiedendo come sarà incontrare tuo padre, non è così?”
“Sì.”
Keira si girò a pancia in sotto per poterla guardare in viso. Gli occhi scuri della ragazza affondarono nel suo animo.
“Sai, lui è un’anima gentile. È dolce, premuroso e fa morire dalle risate. Porta sempre – o almeno, portava – uno strano cappello che lo rende ancora più buffo, ma posso assicurarti che è la cosa più calda che io abbia mai messo sulla testa.” Rise, ripensando ad una volta, durante il viaggio, quando Bofur le mise in testa il suo strano copricapo e lei sentì il calore inondarle la testa e le orecchie. Fu una delle prime volte che aveva mostrato attenzioni per lei.
“Dimmi qualcos’altro.” La esortò Silmerya, con un sorriso alle stelle. Per la prima volta sua madre le stava parlando del Nano che era suo padre e non le importava in quel momento se lo avrebbe visto la mattina seguente, voleva sapere da lei, perché guardare gli occhi di Keira illuminarsi di una luce che non aveva mai visto non aveva alcun prezzo a confronto di qualsiasi altra cosa. La stava vedendo felice, innamorata. Ed era la cosa più bella del mondo.
“Mh, vediamo... è poco più alto di me, ha le fossette, non è muscoloso, ma sa proteggerti ugualmente. Diciamo che non è il genere di Nano attraente a cui tutte le Nane cadrebbero ai piedi, ma è il mio Nano e io lo amavo così com’era. E non smetterò mai di farlo.” Disse infine, con un sospiro.
Silmerya le sorrise e si alzò quanto bastò per stamparle un bacio su una guancia.
Keira si rabbuiò di colpo.
“Silmerya, ti prego, non volermene se non ti ho mai portato da lui. Se non gli ho mai detto della tua esistenza. Io-”
“Madre, non sarò mai arrabbiata con te.” La interruppe lei, sfoggiando un altro dei suoi sorrisi.
La Mezzelfa ricambiò con un affettuoso bacio sulla fronte.
“Ora dormi, non vorrai mica che tuo padre ti veda per la prima volta con le occhiaie?”
 
 
***
 
 
Un battere ritmico alla porta le svegliò entrambe.
Silmerya schizzò in piedi come una molla e si avvicinò alla porta, mentre sua madre rimase immersa nei cuscini. Ebbe la briga di coprirsi fino al mento appena in tempo perché Gandalf fece la sua entrata plateale con un “Buongiorno!” esclamato con allegria.
Un leggero ringhio si levò da sotto le coperte.
“Che hai da essere così felice, vecchiaccio?” Scherzò – più o meno – tirandosi a sedere tenendo le coperte strette al petto.
“Dovresti darti una sistemata ai capelli, sai?” Disse lo stregone, ridendo insieme alla mora al suo fianco.
Keira si sporse quel tanto che bastò per guardarsi al grande specchio appeso alla parete alla sua destra. Faceva davvero ridere. I capelli erano sparati per aria e la faccia era completamente ricoperta di segni rossi dovuto al fatto che si era spalmata sul suo cuscino come fosse burro su una fetta biscottata.
Se non altro, non dormiva così bene da anni.
 
 
Una volta sistemate entrambe, Gandalf, fermo sulla soglia, buttò un occhio nel corridoio: era deserto.
“Che ore sono?” Domandò Keira, torcendosi le mani.
Ansia. Era tutto ciò che provava.
Silmerya intrecciò le dita nelle sue, per darle conforto.
“È presto. Andiamo.” Disse lo stregone.
Non seppe esattamente perché, ma il comportamento di Gandalf era alquanto sospetto. Sembravano dei ladri che dovevano aggirarsi furtivamente nei corridoi di Erebor per trafugarne le ricchezze senza essere visti.
Non disse nulla, strinse soltanto la mano di sua figlia per poi rivolgerle uno sguardo d’intesa. Allora anche Silmerya si mise sull’attenti e si guardò bene attorno.
 
 
La porta della stanza di Thorin era intagliata con disegni schematici e che si ripetevano con ritmicità. Tutto il contorno dell’entrata era inciso con rune che raccontavano le sue gesta in breve.
Nel complesso, era una porta di legno con qualche rappresentazione artistica di chissà chi.
Keira fece un bel respiro, e alzò la mano chiusa a pugno per picchiettare sulla porta, ma Gandalf la fermò.
“Aspetta, aspetta.” Le disse, parandosi davanti a lei. “Lascia entrare prima me.” E così facendo, bussò due volte e poi entrò, richiudendo la porta in faccia alle due.
“Credi che ti stia nascondendo qualcosa?” Le chiese Silmerya, osservando la porta con curiosità.
“Ci puoi scommettere.”
 
 
Passò una buona mezzora prima che Gandalf fece capolino dalla porta.
Per tutto il tempo, Keira aveva camminato avanti e indietro, sobbalzando per ogni singolo rumore, aspettandosi sempre di vedersi spuntare un membro della Compagnia alle spalle.
“Come sta?” Domandò, lasciando trapelare dalla sua voce tutta la sua preoccupazione.
Gandalf abbassò lo sguardo e scosse il capo lentamente, sospirando.
“Posso entrare?” Chiese allora con voce tremante.
“Ma certo, vieni. Venite.” Disse lo stregone facendo spazio alle due per entrare.
 
 
Buon compleanno!
 
 
Keira era sbigottita.
Ferma sul posto, con gli occhi che per poco non le uscivano dalle orbite, faceva scorrere lo sguardo su ogni volto presente nell’ampia stanza.
Balin, Dwalin, Bombur, Nori, Dori... c’erano tutti. O quasi.
L’avevano accolta con un gran sorriso e lei non riusciva a smettere di boccheggiare.
In centro, in piedi, sano come un pesce, stava Thorin.
Fu allora che sembrò tornare con i piedi a terra e ridusse gli occhi a due fessure guardando Gandalf dal basso.
“Che significa?” Domandò con tono severo, indicando il Re Sotto la Montagna in perfetta forma.
Gandalf ridacchiava tra sé e sé.
“Buon compleanno, Keira.” Le disse, lanciandole uno sguardo eloquente.
“È il tuo compleanno? È oggi? Valar, perché non mi hai mai detto che compivi gli anni in questo preciso giorno?!” Si lamentò Silmerya.
Altra cosa che Keira aveva lasciato indietro. Il suo compleanno.
Non lo aveva mai considerato, ma questo già da prima di riconquistare Erebor. Era dalla morte di sua sorella, quando nessuno le aveva più fatto dei regali, che aveva smesso di pensarci.
“Non lo ritenevo importante.” Disse Keira, guardando la figlia di sfuggita.
“Hei, Keira, non si salutano più i vecchi amici?” Le gridò un giovane, alto, moro, di bell’aspetto.
“Kili?” Domandò, incerta.
“E Fili!” Disse il biondo a fianco a lui.
Com’erano cambiati...
“Sei la ben venuta, Keira.” Le disse Thorin.
Le lacrime le sgorgavano dagli occhi incontrollate. Non si era nemmeno resa conto di star piangendo dalla gioia.
D’un tratto iniziò a ridere e all’inizio, colti di sorpresa, i Nani si guardarono interrogandosi silenziosamente sul da farsi, ma poi le corsero incontro e la travolsero in abbracci e gesti affettuosi.
Quello fu il momento in cui si rese conto di aver sbagliato tutto.
Sarebbe dovuta restare, perché con loro si sentì a casa, un luogo a cui aveva creduto di non appartenere più.
 
 
“E così era tutto un piano meschino per farmi tornare? La malattia di Thorin... miei dei, sei davvero moribondo, sai?” Disse sarcastica.
Non si sentì arrabbiata, anzi, era felice.
“E questa qui chi sarebbe?” Domandò Kili, avvicinandosi a Silmerya.
In quel preciso istante Keira realizzò che mancava qualcuno all’appello.
Dov’è Bofur?” Chiese con un filo di voce.
Calò il silenzio nella stanza. Non le piaceva quando calava il silenzio dopo una domanda. Non prometteva mai nulla di buono. Mai.
Thorin si fece avanti e le mise una mano su una spalla.
“Lui ti sta aspettando.” Le disse, sorridendole.
“Mi sta aspettando? Dove?”
 
 
***
 
 
Il corridoio era sempre lo stesso. Nulla era mutato da allora, come allora nulla era mutato dalla sua infanzia.
Dopo che Thorin le aveva detto che Bofur la attendeva impaziente nella sua stanza – rimasta incustodita nell’attesa del suo mai avvenuto ritorno –, Keira si era scusata ed era corsa via, portando con sé Silmerya.
Non aveva detto a nessuno che era sua figlia, lo avrebbe annunciato più avanti. Era stata messa al corrente che Dìs aveva dato disposizione alle cucine di preparare un enorme banchetto in suo onore e quindi si sarebbero recati successivamente al grande salone da pranzo della Montagna.
Di una cosa era certa, però: Gandalf gliel’avrebbe pagata salata questa volta.
 
 
“Eccoci qui.” Disse, ferma davanti alla porta.
“Sono pronta.” Fece la ragazza al suo fianco, intrecciando nuovamente le dita nelle sue.
Keira bussò e una voce le disse che poteva entrare. La sua voce.
Tirò un bel respiro, strinse la mano di Silmerya ed entrò trascinandola con sé.
 
 
***
 
 
Si guardarono per un lungo istante. Un lunghissimo, interminabile, istante dopo il quale si ritrovarono abbracciati l’un l’altra, stretti fortissimo in un gesto di puro amore.
Si scambiarono un lungo bacio, nostalgico, ricco di amore e affetto.
Si guardarono negli occhi e poggiarono le fronti l’una sopra l’altra per un altro lunghissimo attimo.
 
 
“Sei sempre bellissima.” Le disse Bofur, scostandole una ciocca di capelli ribelle dal viso, spostandogliela dietro l’orecchio da Elfa.
“Mi dispiace, Bofur...” Disse Keira tra le lacrime.
“Io ho accettato la tua partenza, perché sapevo che un giorno saresti tornata.” Le disse, accarezzandole la guancia con la cicatrice.
Accanto alla porta, Silmerya osservava suo padre e in effetti rivedeva molto del suo aspetto in lui. Avevano perfino le stesse fossette quando parlavano.
Vide sua madre abbracciarlo e abbandonarsi ai singhiozzi e lui la strinse forte, affondando il volto nei capelli castani. Lo vide inspirare il suo odore e poi...
 
 
...Bofur alzò gli occhi e notò la presenza di una giovane Nana per la prima volta.
Lo stava fissando con curiosità ma, non appena incontrò il suo sguardo, quella arrossì violentemente e distolse il suo.
 
 
Keira si sciolse dall’abbraccio e si voltò verso la giovane, facendole segno col capo di avvicinarsi.
Quando fu abbastanza vicina, Keira le si accostò e le prese una mano.
“Bofur io...  non so come dirtelo...” Disse, sentendo il suo corpo venir scosso da un brivido.
Il momento tanto temuto era arrivato e la cosa peggiore era che non trovava le parole per dirglielo. O forse le aveva già trovate da tempo, ma non aveva coraggio a pronunciarle.
“Dirmi... cosa?” Domandò lui, aggrottando la fronte.
“Io... lei...” Balbettò, incerta. “Oh, al diavolo! Bofur, lei è Silmerya... mia figlia e... tua.”
 
 
***
 
 
Erano seduti sul letto, tutti e tre, senza dire una parola.
Bofur guardava Keira con espressione indecifrabile; era un misto di rabbia, confusione, delusione.
“Come hai potuto non dirmelo? Settanta anni, Keira! Settant’anni ad aspettare il tuo ritorno e quando finalmente posso riabbracciarti trovo lei? Perché deve essere sempre tutto una sorpresa con te? Se proprio non volevi tornare, potevi almeno scrivermi! Farmi avere tue notizie, vostre notizie!” Al Nano gli si era gonfiata una vena sul collo ed era rosso in volto, ma nonostante ciò, pensò Silmerya, il suo viso appariva bonario.
“Mi dispiace.”
“Ti dispiace è tutto quello che sai dire? Hai idea di come mi senta ferito dal tuo comportamento? Sono deluso, perché credevo mi amassi.” Incalzò lui.
“Ti amo, infatti. Ma... dirtelo avrebbe significato affrontare il passato ed era una cosa che non volevo fare. Non volevo tornare, capisci?! Sono stata trascinata qui con l’inganno ma poi, quando mi hanno riabbracciata tutti, ho capito che l’errore più grande della mia vita l’ho commesso nel momento in cui ho varcato la soglia di quella maledetta tenda il giorno che me ne sono andata. Ho sbagliato a non dirti di lei, ho sbagliato in molte cose.” Disse, abbassando il tono. “Credevo di star facendo la cosa giusta... invece stavo solo cercando di fuggire egoisticamente, senza pensare al bene di mia figlia né al tuo...”
Bofur sospirò. Era rammaricata, non l’aveva mai vista così avvilita.
Sembrava invecchiata tutto d’un colpo, la schiena curva come se un enorme peso vi gravasse sopra.
Allora il suo animo si quietò e la rabbia e il risentimento svanirono.
Le alzò il mento dolcemente, costringendola a guardarlo.
“Guardati, non sei cambiata per niente.” Disse, poi si voltò verso sua figlia, e le sorrise. “Sei bellissima, figlia mia.”
La gioia di quel momento fu tale che perfino lei sentì gli occhi pizzicarle e calde lacrime rigarle le guance.
Aveva ragione sua madre: era davvero un’anima gentile.
 
 
“Andiamo o faremo tardi. Aspettano solo te.” Disse Bofur, sciogliendosi dal triplice abbraccio e lasciando un bacio sulla fronte di sua figlia. “Più tardi,” Aggiunse “faremo una bella chiacchierata, tutti e tre. Ma adesso dobbiamo festeggiare, qualcuno in questa stanza sta invecchiando.” Rise, circondando le spalle di Silmerya.
Quando Keira si voltò a guardarli, tutti e due avevano la stessa espressione ebete.
“Siete proprio uguali.” Disse, lasciandosi sfuggire una risata cristallina.
Bofur le baciò le labbra.
“Grazie.” Sussurrò la Mezzelfa, ricambiando il bacio.
Silmerya sorrise felice alla scenetta, sentendosi per la prima volta veramente completa. Non che con sua madre in settant’anni le fosse mai mancato qualcosa, ma il tepore di una famiglia era impagabile al confronto.
 
 
***
 
 
Alla notizia che Bofur e Keira erano genitori ci fu un istante di stallo.
Come se la giovane Mezzelfa avesse parlato in elfico ad una corte di Nani, la guardarono tutti con aria allibita.
In seguito vi fu un esplosione di risate gioiose e di auguri verso Bofur, diventato padre all’improvviso.
Silmerya fu assalita da domande di ogni genere, soprattutto dai nipoti del Re.
‘Non cambieranno mai, quei due...’ Scosse il capo, sorridendo tra sé e sé.
“Allora, dicci, dove hai passato questi lunghi anni lontana da casa?” Le chiese Thorin.
Al tavolo vi erano soltanto i membri della Compagnia, la Principessa Dìs e la compagna di Fili.
Eh già, Fili aveva trovato la sua metà: una Nana dai lineamenti dolci, grandi occhi verdi, capelli lunghi e biondi, labbra sottili... corpo perfettamente proporzionato. Una bella ragazza, adatta all’Erede al trono.
“Ho viaggiato molto, mi sono spinta fino alle Terre Meridionali, nell’Haradwaith, oltremodo detto Medio Harad.” Rispose, bevendo un sorso di vino.
“Si è parlato molto di voi, sapete?” Fece Dìs.
Ora che la osservava meglio, era proprio uguale a Thorin.
“Immagino...” Sospirò la Mezzelfa, che non era mai stata contenta di essere al centro dell’attenzione.
Chiacchierò per un po’ con la sorella del Re, coinvolgendo di tanto in tanto qualche altro membro della Compagnia.
“Non so perché, ma vi immaginavo diversa.” Le disse infine la Principessa.
Keira le sorrise, spostando lo sguardo verso sua figlia.
Parlava ininterrottamente con Kili e Fili. Quei tre sarebbero andati d’accordo per il resto dei loro giorni. Era felice; si sentiva così stranamente  a suo agio...
 
 
Il resto della serata passò in allegria e perfino Gandalf le sembrò simpatico.
Festeggiò così i suoi duecento cinquantadue anni, tra cibi di ogni genere – specialità naniche locali e perfino degli Ered Lûin –, vini di ottima annata e, cosa migliore, i suoi amici.
 
 
***
 
 
Famiglia.
Una parola che non credeva possibile sarebbe mai uscita dalle due labbra.
E invece eccola lì, sdraiata al fianco di Silmerya, al centro tra lei e Bofur, sul suo letto – il suo vero letto –, stentando ancora a crederci.
“Sapete, sono contenta di avere voi due come genitori. Insomma, padre, non che io ti conosca così bene come la mamma, però sento che sei una persona buona, dal cuore grande e gentile. Vi prego, non separiamoci mai più!” Disse la moretta, guardando prima suo padre e poi sua madre.
Bofur le sorrise, baciandole la fronte. Aveva la pelle liscia come quella della sua Mezzelfa.
Keira fece lo stesso, prendendole la mano.
Sapeva cos’avrebbe risposto. Oh, questa volta ne era certa, nessun rimorso.
 
 
Bofur spense la candela e il buio avvolse la stanza.
Silmerya si era addormentata e raggomitolata addosso al padre.
Keira emise una risatina.
“Ti somiglia molto.” Gli disse in un sussurro.
“Ha ripreso la tua bellezza.” Le disse lui, intrecciando le dita nelle sue.
“Se è per questo le ho passato anche la dote di arciera.” Si vantò lei, suscitando una risata ad entrambi.
“Keira.” Bofur si fece serio tutto d’un colpo.
“Si?”
“Mi prometti che non te ne andrai più? Che saremo una famiglia, da oggi fino alla fine dei nostri giorni?” Le domandò, posandole una mano su una guancia liscia.
Lei lo fissò a lungo, riuscendo a vedere i suoi occhi scuri anche al buio. E a perdervisi dentro.
Posò una mano su quella di lui e sorrise.
“Te lo prometto. Sono tornata a casa e, ora come ora, non ho più alcuna intenzione di lasciarla... né di lasciare te.”
 



















 
 
The End































-Angolino autrice-

Salve gente.
Buonasera, innanzitutto.
Questa, come ben sapete - o almeno la maggior parte di voi sa... credo .-. -, è davvero l'ultimo capitolo di ciò che è stata Keira.
Spero di non aver reso niente nel modo sbagliato.
Mi piace questa OneShot ed è anche il mio primo lavoro così lungo. Dodici pagine di word mai ne ho scritte u.u
Anyway, ho cercato di renderla al meglio..... mi scuso se eventualmente non vi fossi riuscita :)
Ora vi saluto, attendendo i vostri pareri :D

Addieu,
LilyOok_

 
   
 
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