CI
SEI TU
Shadow
si sedette davanti alla grande vetrata che
ricopriva l’intera parete di freddo metallo.
dolcemente, misteriosa e
bella allo stesso tempo.
Il riccio nero e rosso
posò
la schiena contro il muro, con un’espressione
preoccupata sul viso.
Maria stava male.
Si stavano dirigendo
insieme verso la sua stanza, quando la giovane aveva cominciato a
tremare
e, con un gemito, era
caduta a terra, svenuta.
Disperato, Shadow
l’aveva
presa in braccio ed era corso a chiamare il professor Gerald,
le lacrime che scorrevano
calde lungo il viso, per poi cadere sulla fascia di pelliccia bianca
che aveva sul petto.
Il professore aveva portato
l’adorata nipote nella sua camera, con in mano
la valigetta che Maria
tanto odiava. Aveva poi chiesto a Shadow di rimanere fuori:
non avrebbe amato lo
spettacolo.
E così il riccio era
tornato alla loro postazione preferita, dalla quale
da quello dove lui e Maria
vivevano.
Ma senza la sua amica,
Shadow non riusciva a concentrarsi sul pianeta.
Lui e Maria stavano sempre,
sempre insieme. Quando la ragazza
non
era al suo fianco,
Shadow sapeva che poteva
significare solo due cose: o si stava occupando
delle proprie
necessità
oppure si stava sottoponendo alle cure dell’amato nonno.
Il primo caso non lo
preoccupava affatto, anzi, gli confermava che la sua amica
era ancora viva, il suo
cuore batteva ancora e i suoi occhi azzurri erano colmi di vita,
mentre si vestiva o lavava.
Ma il secondo caso lo
rendeva cupo, inquieto, disperato, incapace di trovare pace.
Stava morendo? Ce
l’avrebbe
fatta? E se sì, sarebbe stata la stessa, l’allegra
e dolce
Maria di sempre?
Se solo potessi aiutarla…
Ma tutte le volte che si
era offerto di aiutare il professor Gerald nel curare
la nipotina, l’uomo
aveva
scosso con decisione la testa.
Non gli serviva una mano
nelle cure e semplicemente assistere era inutile:
Shadow avrebbe solo sofferto nel vedere l’amica
soffrire.
Oltretutto, Maria stessa
non avrebbe voluto essere vista in quelle condizioni da lui.
Amareggiato, il riccio
posò
la testa sulle ginocchia piegate, continuando
a guardare
Starà
bene… Andrà tutto per il meglio… Maria
è
forte, supererà anche questa crisi…
Ma cosa lo rendeva
così
sicuro?
“Shadow?”
Il riccio, sentendosi
chiamare, si alzò di scatto e guardò la porta,
nella speranza
di vedere il professore con
Maria. Ma c’era solo Gerald.
“Vieni. Maria sta un
po’
meglio. Si è svegliata e vuole vederti.”
Il professore cercò
di
mostrare un sorriso convincente, ma Shadow
vedeva benissimo la
preoccupazione deformargli il volto.
Lo seguì in silenzio
sino
alla stanza della fanciulla: Maria si trovava
sul letto, sotto una
pesante coltre di coperte colorate, circondata dai suoi peluches
preferiti.
I capelli biondi mettevano
ancora più in risalto il viso pallidissimo e gli occhi
circondati
da profonde occhiaie.
Però, non appena lo
vide,
il viso della ragazza si illuminò di gioia e tese debolmente
le mani verso di lui, come
per trovare appoggio e conforto tra le sue braccia.
Shadow le si
avvicinò e la
strinse forte.
“Maria, come ti
senti?” le
chiese, sentendo che le lacrime tornavano a pungergli gli occhi.
“Meglio, Shadow,
grazie. Vi
ho fatto preoccupare, mi dispiace.”
Il riccio le
accarezzò la
testa dorata, sorridendole con fare rassicurante.
“Tranquilla. Ora
cerca solo
di riposarti. Non fare sforzi eccessivi o ti sentirai di nuovo
male.”
“Sì.”
La giovane si voltò
a
guardare la finestra che occupava una parete della sua stanza.
“Per fortuna
che li osservava dalla
porta.
“Nonno, credi che
potrò
alzarmi solo un po’? Solo per guardare dalla finestra!
è così
bella! Mi fa stare
meglio.”
Gerald Robotnik
annuì.
“Vedremo, Maria, vedremo. Ora vado a prenderti
qualcosa da mangiare, sei
debole, hai bisogno di nutrirti.”
Non appena il professore se
ne fu andato, Shadow si sedette sul letto accanto all’amica
e le chiese: “ Vuoi
leggere
qualche libro?”
Maria annuì, felice,
e
disse: “Scegli tu quale. Sono tutti bellissimi.”
Shadow scese dal letto e
andò alla libreria, toccando pensieroso le costole dei libri.
Ne prese uno e tornò
da
Maria.
“Leggerò
io, così non ti
stancherai.” le disse.
“Sì. Sei
bravissimo a
leggere. Dai vita a ciò che è scritto,
è una bellissima sensazione.”
Lusingato, Shadow
cominciò
la lettura, tenendo stretta forte la mano piccola
e delicata dell’amica.
Come vorrei poter dare tutta la
vita che serve anche
a te…
Il professore tornò
poco
dopo, con in mano una tazza di brodo fumante.
“Shadow, tu hai
fame?”
chiese al riccio mentre porgeva il cibo alla nipotina.
“No, grazie,
professore.”
Gerald si chinò sul
riccio
e gli disse a bassa voce: “Mi raccomando, falle mangiare
tutto, ne ha bisogno.”
Shadow annuì,
sorridendo.
“Cosa state
confabulando
voi due?”
Maria li squadrava con
un’espressione finto – offesa.
“Niente,
niente.” rise il
nonno. “Ora vado, devo finire alcuni progetti.
Shadow, mi
raccomando.”
“Stia tranquillo,
professore.”
“Ciao, Maria.
Riposati,
cara.”
“Sì,
nonno. Buon lavoro.”
Con un cenno del capo,
Gerald uscì nuovamente dalla stanza.
“Forza,
mangia.” ordinò con
tono perentorio Shadow all’amica.
Ma in quell’ordine
c’era
anche una grande dolcezza: Maria la colse
e sorrise al riccio,
accarezzandogli la testa.
Poco dopo, la tazza era
vuota ed era stata messa sul comodino accanto al letto.
“Come va, ora?
Meglio,
vero?”
Maria annuì, posando
la
testa sul cuscino appoggiato alla tastiera di legno colorato.
I suoi occhi erano come due
specchi d’acqua: azzurri, limpidi, bellissimi; ma oltre
a quella bellezza
infantile, c’erano delle macchie scure, i sicari della
malattia che
l’affliggeva,
pronti a colpire anche il
suo sguardo innocente con la sofferenza e la paura.
Shadow si perdeva in quegli
occhi e tremava al pensiero che, un giorno inevitabile,
non si sarebbero più
aperti
per guardarlo.
Sperava con tutto il cuore
che il professore si sbrigasse con i suoi lavori, lì
sull’ARK,
cosicché potessero
finalmente scendere a visitare
Gerald aveva insegnato alla
nipote tutto ciò che sapeva sul pianeta: lei poi
raccontava, giorno dopo
giorno, tutto ciò che aveva appreso al riccio nero e rosso.
Shadow si cibava
di quelle informazioni, proprio
come aveva fatto Maria.
Il pensiero, il
meraviglioso pensiero che un giorno ci sarebbero andati insieme
lo rendeva infinitamente
felice e si sentiva leggero come un palloncino.
Perché noi ci andremo,
Maria… Ci dobbiamo
andare insieme!
Gerald aveva fatto
costruire una piccola zona collegata all’ARK, dove erano
presenti
alberi da frutto adagiati
su una piccola collina.
Pochi giorni dopo essere
stato liberato dalla capsula in cui era stato creato,
Shadow aveva visitato con
Maria quella zona.
“Per farvi
un’idea della
Terra…” aveva spiegato il professore.
“Qui c’è ossigeno puro
e la frutta è
squisita. E’
il vostro angolino personale.”
Shadow ancora non conosceva
bene né Maria né Gerald all’epoca.
Sapeva solo che lei era la
sua nipote prediletta e lui l’uomo che lo aveva creato,
definendolo la “forma
di
vita definitiva”.
Sulla collina Maria gli
aveva parlato della Terra, quel grande e bellissimo pianeta che si
poteva
ammirare fuori dalle
finestre dell’ARK.
Parlarne su quella collina
artificiale li faceva sentire più vicini sia al pianeta
sia l’uno
all’altra. Ben
presto, Shadow aveva cominciato ad amare quei momenti,
durante i quali Maria
dimenticava la propria malattia e si concentrava unicamente
su di lui, per narrargli
tutto ciò che conosceva o pensava.
Pochi mesi dopo essere
“nato” (perché Shadow reputava la sua
uscita dalla capsula
come una nascita, una sua
venuta alla luce), il professore lo aveva chiamato
nel suo studio.
Durante quel colloquio,
Shadow era venuto a conoscenza della malattia di Maria
e la notizia lo aveva
colpito come un fulmine a ciel sereno.
Quella ragazza così
gioiosa, attiva e ridente… un giorno sarebbe immancabilmente
morta, vittima di un male
incurabile.
Era rimasto immobile sulla
sedia per qualche secondo.
Gerald lo aveva osservato
con una tristezza indescrivibile.
“Sono qui anche per
cercare
una cura per salvarla. Fino ad allora,
ti prego di starle vicino,
di farle forza. Ha tanto bisogno di te.”
Shadow aveva replicato, con
voce sommessa:
“Lo avrei fatto anche se non me lo avesse chiesto.”
Gerald aveva sorriso
debolmente.
“Lo so. Ti
ringrazio.”
Il tempo passò e
Shadow e
Maria divennero più che amici: erano una cosa sola.
La forza di Shadow si
trasmetteva a Maria e l’allegria della fanciulla
entrava nel cuore del
riccio nero.
Nonostante questa simbiosi,
la malattia di Maria avanzava e Shadow se ne rendeva conto,
disperato e impotente.
Era proprio questa sua
impossibilità a fare qualcosa per lei, che lo faceva
soffrire terribilmente.
Se solo avesse potuto
estirpar via dal suo povero corpicino quel male divoratore di vita!
Ma la notizia che
più lo
sconvolse arrivò un anno dopo.
Maria era andata a riposare
e Shadow era rimasto solo con il professor Robotnik.
L’uomo aveva sorriso
e
detto: “La mia nipotina è tanto
contenta… Ti ringrazio, Shadow.
Le illumini la vita.”
Il riccio era arrossito,
felice, ma un pensiero lo aveva colto all’improvviso e lo
aveva
condiviso con il
professore.
“Quando…
quando Maria ci
lascerà… allora me ne andrò anche
io.”
Gerald lo aveva guardato
stupito e sorpreso, da sopra gli occhialini tondi.
“Morirò
con lei. Non sarà
mai sola, neppure dopo la morte.” aveva spiegato Shadow,
più deciso che mai.
A quelle parole, il
professore aveva chinato il capo.
“Cosa
c’è? Non si rattristi,
dottore, non è quello che vuole?”
“Ti ringrazio,
Shadow, per
il tuo bellissimo pensiero, ma temo che non sia possibile.”
Il riccio lo aveva guardato
sconcertato.
“Perché
mai?”
Gerald aveva alzato lo
sguardo e lo aveva puntato dritto su di lui.
“Credi davvero che
avrei
creato una forma di vita definitiva … in grado di
morire?”
Un solo pensiero
passò per
la testa di Shadow in quel momento:
a volte, la morte è
una
grazia.
Ma a lui non era stata
concessa.
L’avrebbe solo
respirata,
il tragico giorno in cui Maria l’avrebbe lasciato,
ma non l’avrebbe mai
colpito, lui no, perché
lui era
immortale e la morte
è nemica
dell’immortalità.
“Shadow?”
Il riccio si riscosse dai
propri ricordi e si voltò a guardare quella figura delicata
e piccola
immersa tra i pupazzi e le
coperte.
Le sorrise.
“Dimmi.”
“Tutto bene? Avevi
un’aria…
spaesata.”
Shadow annuì e le
accarezzò
una mano.
“Sì,
tranquilla. Stavo solo
pensando.”
Maria si incupì un
po’.
“Non cose brutte,
spero.”
mormorò. “Non devi preoccuparti per me, Shadow.
Sto bene.”
Il riccio le regalò
un
altro sorriso.
“Lo so. Sei una
ragazza
forte.”
Maria rise, divertita.
C’erano giorni in cui era così debole che non
riusciva neppure a muovere due
passi. Ma Shadow pensava sempre a dei complimenti che la tirassero su
di morale,
facendole sperare per
qualche attimo che la malattia non albergasse davvero nel suo corpo.
“Non sarò
mai forte quanto
te!” sorrise Maria. “Tu sei velocissimo e riesci a
sollevare pesi enormi. Io a
malapena il nostro cesto da picnic.” Nel suo tono,
c’era orgoglio,
la felicità di avere
un
amico così in gamba.
A Shadow tornarono le
lacrime agli occhi, ma le cacciò con rabbia.
Maria si sarebbe scossa
vedendolo piangere.
“Non intendevo quel tipo di forza.”
ribatté gentilmente
Shadow. “Tu hai una grande forza qui.”
Le indicò il centro
del
petto.
“Sei forte dentro,
Maria.
E’ una bella cosa. Bellissima.”
“Basterà a
farmi star
meglio?” Nella voce della ragazza c’era
così tanta
speranza che Shadow rispose
immediatamente con un assenso deciso della testa.
Maria sorrise e lo
abbracciò.
“Grazie, Shadow.
Allora
cercherò sempre di essere forte, così tu e il
nonno non
vi preoccuperete
più!”
Il riccio ricambiò
l’abbraccio e le accarezzò i capelli dorati.
“Non pensare a noi,
Maria.
Pensa a te stessa!”
La fanciulla si sciolse
dall’abbraccio, ma continuò a stringere
delicatamente
le spalle dell’amico.
“Ma se penso a me,
penso
immancabilmente a voi. Voi siete me.”
Shadow la guardò
confuso.
“Come?”
“Ci apparteniamo. Le
nostre
vite sono collegate. Se penso a me, penso a voi.
Siamo la stessa cosa, anche
se non si vede a occhio nudo.”
Il riccio rimase qualche
attimo in silenzio, soppesando le parole della giovane.
Maria continuò:
“Farò di
tutto per stare bene! Così starete bene anche voi!”
Il suo tono era dolce, ma
anche colmo di una fermezza che Shadow
non le aveva mai visto
prima.
“Però,
sai… credo che la
forza di cui parlavi prima, Shadow… credo che sia proprio tu
a darmela.”
Il riccio arrossì e
distolse lo sguardo.
“Allora…”
mormorò lui.
“Farò di tutto per dartela. Così
andrà tutto bene. Per tutti quanti.”
Maria sorrise.
“Grazie,
Shadow.”
Quella
notte, mentre dormivano stretti l’uno all’altra,
Shadow posò la testa sul petto
della
ragazza e ascoltò il suo cuore.
Fai
che batta ancora per molto…
Non
sapeva neppure lui chi stesse pregando.
Si
strinse più forte a lei e pianse silenziosamente, incapace
di
fermare il dolore; ma in mezzo a questo, avvertiva una tenue speranza.
Maria...
Avrò forza per entrambi. Te
lo prometto.
Non
avere paura.
E
gli parve quasi di sentire la dolce voce di Maria rispondergli.
Non
ho paura. Ci sei tu!