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Autore: Lafaiette    13/11/2008    7 recensioni
Shadow, pochi giorni prima di perdere la sua unica amica, la assiste dopo una crisi causata dalla NIDS e spera in un futuro migliore, privo di malessere e disperazione. Ignorando ciò che li aspetta.
Genere: Triste, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shadow the Hedgehog
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 CI SEI TU

 

 

 

 

 

Shadow  si sedette davanti alla grande vetrata che ricopriva l’intera parete di freddo metallo.

La Terra da lì si vedeva benissimo, una grande sfera azzurra e bianca che brillava

dolcemente, misteriosa e bella allo stesso tempo.

Il riccio nero e rosso posò la schiena contro il muro, con un’espressione

preoccupata sul viso.

 

Maria stava male.

 

Si stavano dirigendo insieme verso la sua stanza, quando la giovane aveva cominciato a tremare

e, con un gemito, era caduta a terra, svenuta.

Disperato, Shadow l’aveva presa in braccio ed era corso a chiamare il professor Gerald,

le lacrime che scorrevano calde lungo il viso, per poi cadere sulla fascia di pelliccia bianca

che aveva sul petto.

Il professore aveva portato l’adorata nipote nella sua camera, con in mano

la valigetta che Maria tanto odiava. Aveva poi chiesto a Shadow di rimanere fuori:

non avrebbe amato lo spettacolo.

 

E così il riccio era tornato alla loro postazione preferita, dalla quale

la Terra si vedeva perfettamente, mondo completamente diverso

da quello dove lui e Maria vivevano.

Ma senza la sua amica, Shadow non riusciva a concentrarsi sul pianeta.

Lui e Maria stavano sempre, sempre insieme. Quando la ragazza non era al suo fianco,

Shadow sapeva che poteva significare solo due cose: o si stava occupando

delle proprie necessità oppure si stava sottoponendo alle cure dell’amato nonno.

Il primo caso non lo preoccupava affatto, anzi, gli confermava che la sua amica

era ancora viva, il suo cuore batteva ancora e i suoi occhi azzurri erano colmi di vita,

mentre si vestiva o lavava.

Ma il secondo caso lo rendeva cupo, inquieto, disperato, incapace di trovare pace.

Stava morendo? Ce l’avrebbe fatta? E se sì, sarebbe stata la stessa, l’allegra e dolce

Maria di sempre?


Se solo potessi aiutarla…

 

Ma tutte le volte che si era offerto di aiutare il professor Gerald nel curare

la nipotina, l’uomo aveva scosso con decisione la testa.

Non gli serviva una mano nelle cure e semplicemente assistere era inutile:
Shadow avrebbe solo sofferto nel vedere l’amica soffrire.

Oltretutto, Maria stessa non avrebbe voluto essere vista in quelle condizioni da lui.

Amareggiato, il riccio posò la testa sulle ginocchia piegate, continuando

a guardare la Terra, anche se non la vedeva veramente.

 

Starà bene… Andrà tutto per il meglio… Maria è forte, supererà anche questa crisi…

 

Ma cosa lo rendeva così sicuro?

 

 

“Shadow?”

Il riccio, sentendosi chiamare, si alzò di scatto e guardò la porta, nella speranza

di vedere il professore con Maria. Ma c’era solo Gerald.

 

“Vieni. Maria sta un po’ meglio. Si è svegliata e vuole vederti.”

Il professore cercò di mostrare un sorriso convincente, ma Shadow

vedeva benissimo la preoccupazione deformargli il volto.

Lo seguì in silenzio sino alla stanza della fanciulla: Maria si trovava

sul letto, sotto una pesante coltre di coperte colorate, circondata dai suoi peluches preferiti.

I capelli biondi mettevano ancora più in risalto il viso pallidissimo e gli occhi circondati

da profonde occhiaie.

Però, non appena lo vide, il viso della ragazza si illuminò di gioia e tese debolmente

le mani verso di lui, come per trovare appoggio e conforto tra le sue braccia.

Shadow le si avvicinò e la strinse forte.

“Maria, come ti senti?” le chiese, sentendo che le lacrime tornavano a pungergli gli occhi.

“Meglio, Shadow, grazie. Vi ho fatto preoccupare, mi dispiace.”

Il riccio le accarezzò la testa dorata, sorridendole con fare rassicurante.

“Tranquilla. Ora cerca solo di riposarti. Non fare sforzi eccessivi o ti sentirai di nuovo male.”

“Sì.”

La giovane si voltò a guardare la finestra che occupava una parete della sua stanza.

“Per fortuna la Terra si vede bene anche da qui.” Si rivolse speranzosa al professore,

che li osservava dalla porta.

“Nonno, credi che potrò alzarmi solo un po’? Solo per guardare dalla finestra! La Terra

è così bella! Mi fa stare meglio.”

Gerald Robotnik annuì. “Vedremo, Maria, vedremo. Ora vado a prenderti

qualcosa da mangiare, sei debole, hai bisogno di nutrirti.”

Non appena il professore se ne fu andato, Shadow si sedette sul letto accanto all’amica

e le chiese: “ Vuoi leggere qualche libro?”

Maria annuì, felice, e disse: “Scegli tu quale. Sono tutti bellissimi.”

Shadow scese dal letto e andò alla libreria, toccando pensieroso le costole dei libri.

Ne prese uno e tornò da Maria.

“Leggerò io, così non ti stancherai.” le disse.

“Sì. Sei bravissimo a leggere. Dai vita a ciò che è scritto, è una bellissima sensazione.”

Lusingato, Shadow cominciò la lettura, tenendo stretta forte la mano piccola

e delicata dell’amica.

 

Come vorrei poter dare tutta la vita che serve anche a te…

 

 

 

Il professore tornò poco dopo, con in mano una tazza di brodo fumante.

“Shadow, tu hai fame?” chiese al riccio mentre porgeva il cibo alla nipotina.

“No, grazie, professore.”

Gerald si chinò sul riccio e gli disse a bassa voce: “Mi raccomando, falle mangiare

tutto, ne ha bisogno.”

Shadow annuì, sorridendo.

“Cosa state confabulando voi due?”

Maria li squadrava con un’espressione finto – offesa.

“Niente, niente.” rise il nonno. “Ora vado, devo finire alcuni progetti.

Shadow, mi raccomando.”

“Stia tranquillo, professore.”

“Ciao, Maria. Riposati, cara.”

“Sì, nonno. Buon lavoro.”

Con un cenno del capo, Gerald uscì nuovamente dalla stanza.

“Forza, mangia.” ordinò con tono perentorio Shadow all’amica.

Ma in quell’ordine c’era anche una grande dolcezza: Maria la colse

e sorrise al riccio, accarezzandogli la testa.

 

Poco dopo, la tazza era vuota ed era stata messa sul comodino accanto al letto.

“Come va, ora? Meglio, vero?”

Maria annuì, posando la testa sul cuscino appoggiato alla tastiera di legno colorato.

I suoi occhi erano come due specchi d’acqua: azzurri, limpidi, bellissimi; ma oltre

a quella bellezza infantile, c’erano delle macchie scure, i sicari della malattia che l’affliggeva,

pronti a colpire anche il suo sguardo innocente con la sofferenza e la paura.

Shadow si perdeva in quegli occhi e tremava al pensiero che, un giorno inevitabile,

non si sarebbero più aperti per guardarlo.

Sperava con tutto il cuore che il professore si sbrigasse con i suoi lavori, lì sull’ARK,

cosicché potessero finalmente scendere a visitare la Terra, prima che fosse troppo tardi.

Gerald aveva insegnato alla nipote tutto ciò che sapeva sul pianeta: lei poi

raccontava, giorno dopo giorno, tutto ciò che aveva appreso al riccio nero e rosso.

Shadow si cibava di quelle informazioni, proprio come aveva fatto Maria.

Il pensiero, il meraviglioso pensiero che un giorno ci sarebbero andati insieme

lo rendeva infinitamente felice e si sentiva leggero come un palloncino.


Perché noi ci andremo, Maria… Ci dobbiamo andare insieme!

 

Gerald aveva fatto costruire una piccola zona collegata all’ARK, dove erano presenti

alberi da frutto adagiati su una piccola collina.

Pochi giorni dopo essere stato liberato dalla capsula in cui era stato creato,

Shadow aveva visitato con Maria quella zona.

“Per farvi un’idea della Terra…” aveva spiegato il professore. “Qui c’è ossigeno puro

e la frutta è squisita. E’ il vostro angolino personale.”

Shadow ancora non conosceva bene né Maria né Gerald all’epoca.

Sapeva solo che lei era la sua nipote prediletta e lui l’uomo che lo aveva creato,

definendolo la “forma di vita definitiva”.

Sulla collina Maria gli aveva parlato della Terra, quel grande e bellissimo pianeta che si poteva

ammirare fuori dalle finestre dell’ARK.

Parlarne su quella collina artificiale li faceva sentire più vicini sia al pianeta

sia l’uno all’altra. Ben presto, Shadow aveva cominciato ad amare quei momenti,

durante i quali Maria dimenticava la propria malattia e si concentrava unicamente

su di lui, per narrargli tutto ciò che conosceva o pensava.

 

Pochi mesi dopo essere “nato” (perché Shadow reputava la sua uscita dalla capsula

come una nascita, una sua venuta alla luce), il professore lo aveva chiamato

nel suo studio.

Durante quel colloquio, Shadow era venuto a conoscenza della malattia di Maria

e la notizia lo aveva colpito come un fulmine a ciel sereno.

Quella ragazza così gioiosa, attiva e ridente… un giorno sarebbe immancabilmente

morta, vittima di un male incurabile.

Era rimasto immobile sulla sedia per qualche secondo.

Gerald lo aveva osservato con una tristezza indescrivibile.

“Sono qui anche per cercare una cura per salvarla. Fino ad allora,

ti prego di starle vicino, di farle forza. Ha tanto bisogno di te.”

Shadow aveva replicato, con voce sommessa:
“Lo avrei fatto anche se non me lo avesse chiesto.”

Gerald aveva sorriso debolmente.

“Lo so. Ti ringrazio.”

 

Il tempo passò e Shadow e Maria divennero più che amici: erano una cosa sola.

La forza di Shadow si trasmetteva a Maria e l’allegria della fanciulla

entrava nel cuore del riccio nero.

Nonostante questa simbiosi, la malattia di Maria avanzava e Shadow se ne rendeva conto,

disperato e impotente.

Era proprio questa sua impossibilità a fare qualcosa per lei, che lo faceva soffrire terribilmente.

Se solo avesse potuto estirpar via dal suo povero corpicino quel male divoratore di vita!

Ma la notizia che più lo sconvolse arrivò un anno dopo.

Maria era andata a riposare e Shadow era rimasto solo con il professor Robotnik.

L’uomo aveva sorriso e detto: “La mia nipotina è tanto contenta… Ti ringrazio, Shadow.

Le illumini la vita.”

Il riccio era arrossito, felice, ma un pensiero lo aveva colto all’improvviso e lo aveva

condiviso con il professore.

“Quando… quando Maria ci lascerà… allora me ne andrò anche io.”

Gerald lo aveva guardato stupito e sorpreso, da sopra gli occhialini tondi.

“Morirò con lei. Non sarà mai sola, neppure dopo la morte.” aveva spiegato Shadow,

più deciso che mai.

A quelle parole, il professore aveva chinato il capo.

“Cosa c’è? Non si rattristi, dottore, non è quello che vuole?”

“Ti ringrazio, Shadow, per il tuo bellissimo pensiero, ma temo che non sia possibile.”

Il riccio lo aveva guardato sconcertato.

“Perché mai?”

Gerald aveva alzato lo sguardo e lo aveva puntato dritto su di lui.

“Credi davvero che avrei creato una forma di vita definitiva … in grado di morire?”

Un solo pensiero passò per la testa di Shadow in quel momento:

a volte, la morte è una grazia.

Ma a lui non era stata concessa.

L’avrebbe solo respirata, il tragico giorno in cui Maria l’avrebbe lasciato,

ma non l’avrebbe mai colpito, lui no, perché lui era immortale e la morte

è nemica dell’immortalità.

 


“Shadow?”

 

Il riccio si riscosse dai propri ricordi e si voltò a guardare quella figura delicata e piccola

immersa tra i pupazzi e le coperte.

Le sorrise.

“Dimmi.”

“Tutto bene? Avevi un’aria… spaesata.”

Shadow annuì e le accarezzò una mano.

“Sì, tranquilla. Stavo solo pensando.”

Maria si incupì un po’.

“Non cose brutte, spero.” mormorò. “Non devi preoccuparti per me, Shadow. Sto bene.”

Il riccio le regalò un altro sorriso.

“Lo so. Sei una ragazza forte.”

Maria rise, divertita. C’erano giorni in cui era così debole che non riusciva neppure a muovere due passi. Ma Shadow pensava sempre a dei complimenti che la tirassero su di morale,

facendole sperare per qualche attimo che la malattia non albergasse davvero nel suo corpo.

“Non sarò mai forte quanto te!” sorrise Maria. “Tu sei velocissimo e riesci a sollevare pesi enormi. Io a malapena il nostro cesto da picnic.” Nel suo tono, c’era orgoglio,

la felicità di avere un amico così in gamba.

A Shadow tornarono le lacrime agli occhi, ma le cacciò con rabbia.

Maria si sarebbe scossa vedendolo piangere.

“Non intendevo quel tipo di forza.” ribatté gentilmente Shadow. “Tu hai una grande forza qui.”

Le indicò il centro del petto.

“Sei forte dentro, Maria. E’ una bella cosa. Bellissima.”

“Basterà a farmi star meglio?” Nella voce della ragazza c’era così tanta

speranza che Shadow rispose immediatamente con un assenso deciso della testa.

Maria sorrise e lo abbracciò.

“Grazie, Shadow. Allora cercherò sempre di essere forte, così tu e il nonno non

vi preoccuperete più!”

Il riccio ricambiò l’abbraccio e le accarezzò i capelli dorati.

“Non pensare a noi, Maria. Pensa a te stessa!”

La fanciulla si sciolse dall’abbraccio, ma continuò a stringere delicatamente

le spalle dell’amico.

“Ma se penso a me, penso immancabilmente a voi. Voi siete me.”

Shadow la guardò confuso.

“Come?”

“Ci apparteniamo. Le nostre vite sono collegate. Se penso a me, penso a voi.

Siamo la stessa cosa, anche se non si vede a occhio nudo.”

Il riccio rimase qualche attimo in silenzio, soppesando le parole della giovane.

Maria continuò: “Farò di tutto per stare bene! Così starete bene anche voi!”

Il suo tono era dolce, ma anche colmo di una fermezza che Shadow

non le aveva mai visto prima.

“Però, sai… credo che la forza di cui parlavi prima, Shadow… credo che sia proprio tu a darmela.”

Il riccio arrossì e distolse lo sguardo.

“Allora…” mormorò lui. “Farò di tutto per dartela. Così andrà tutto bene. Per tutti quanti.”

Maria sorrise.

“Grazie, Shadow.”

 

Quella notte, mentre dormivano stretti l’uno all’altra, Shadow posò la testa sul petto

della ragazza e ascoltò il suo cuore.

 

Fai che batta ancora per molto…

 

Non sapeva neppure lui chi stesse pregando.

Si strinse più forte a lei e pianse silenziosamente, incapace

di fermare il dolore; ma in mezzo a questo, avvertiva una tenue speranza.

 

Maria... Avrò forza per entrambi. Te lo prometto.

 

Non avere paura.

 

E gli parve quasi di sentire la dolce voce di Maria rispondergli.

 

 

Non ho paura. Ci sei tu!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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