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Autore: Aly_sol97    29/12/2014    0 recensioni
Il signor Dursley fu scosso da una frenesia animalesca, incontrollabile. Non era affatto tardi.
Guardò fuori dalla finestra. La strada era deserta. La città dormiva, nessuno avrebbe fatto a caso a lui. Poteva sentire la convinzione germogliare in sé. Aveva bisogno di farlo. Doveva farlo. Doveva sbarazzarsi al più presto della signora Dursley.
Genere: Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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HOLY NIGHT



 

Il signor Dursley rientrò tardi anche quella sera.

Arrancava goffamente lungo il viottolo innevato, lanciando di quando in quando qualche occhiata sfuggente alle decorazioni natalizie che addobbavano le casette a schiera, l'unica fonte di luce ad illuminare i suoi passi. 
Non aveva mai amato il Natale. Non faceva per lui. Voleva solo entrare in casa e liberarsi di quel ridicolo abito che era costretto ad indossare al lavoro. Non aveva toccato cibo per tutto il giorno e la fame gli stava dilaniando lo stomaco con le sue unghie affilate.  Forse avrebbe mangiato qualcosa o forse si sarebbe immediatamente precipitato a letto, avvolto nel caldo abbraccio di una coperta di lana. 
Aveva fatto tappa al bar con i colleghi d'ufficio, subito dopo il lavoro. La serata di bevute stava iniziando a sortire i suoi effetti, ma non c'era di che preoccuparsi. La sua vecchia signora non avrebbe fatto storie. Era arduo pensare che il suo flaccido didietro potesse schiodarsi dal divano.
Il signor Dursley si accostò alla porta della sua modesta dimora. Nell'avvicinarsi udì delle voci che parlavano sommessamente in salotto e dalle finestre che si affacciavano sul giardino provenivano dei deboli bagliori. La televisione doveva essere rimasta accesa per tutta la giornata. Si era completamente dimenticato di spegnerla prima di uscire di casa quella mattina. Il signor Dursley impallidì, pensando all'ammontare delle bollette della luce.
Frugò nelle tasche, alla ricerca di una vecchia chiave arrugginita e, con mani tremolanti, la fece girare nella toppa. La porta si aprì con un cigolio sinistro.
In casa regnava uno strano silenzio.
Richiuse la porta dietro di sé, attento a non fare troppo rumore. Non era decisamente il caso di disturbare la vecchia megera a certe ore.
La signora Dursley era un donnone robusto, per quanto basso, dalle guance rosse e paffute. I vispi occhi porcini che spiavano i passanti con un'attenzione quasi maniacale. Le labbra carnose e violacee, si contorcevano come vermi viscidi, intenti a rivoltarsi nel terreno fangoso durante le giornate piovose.
Simili a fili di paglia rinsecchita, ciuffi di capelli spelacchiati ricadevano qua e là e le incorniciavano il volto suino e sproporzionato, nel vano tentativo di nascondere un grosso paio di orecchie a sventola.
Sempre pronta a puntare il dito contro il povero signor Dursley, squittiva come un topo in gabbia agitando in aria le mani enormi, non molto differenti da un paio di salsicciotti deformi.
Nonostante l'evidente sovrappeso, procedeva con passi ampi e veloci, spostando con violenza il peso da un piede all'altro, quasi come un rinoceronte pronto a caricare.
Non c'era al mondo donna più sgraziata, più maldestra e più grassa di sua moglie. Il signor Dursley ne era fermamente convinto. Ma non lo si poteva di certo biasimare. Quando si erano sposati, trentacinque anni prima, erano ancora giovani e attraenti. A soli trent'anni il signor Dursley era già diventato vicepresidente di un famoso marchio di sigarette, molto in voga a quel tempo. Trascorreva le giornate in un ampio ufficio affacciato su Times Square, seduto su una comoda poltrona girevole in pelle color ebano, sfogliando il giornale, crogiolandosi dell'andamento dei titoli finanziari nel puzzo del fumo che permeava la moquette grigiastra.
La signora Dursley aveva appena ricevuto il suo primo incarico giornalistico di una certa importanza. Quel giorno si era presentata nel suo miglior tailleur, con i capelli accuratamente raccolti a formare un elegante chignon. Si erano conosciuti così. Durante l'intervista al direttore esecutivo, il signor Dursley non era riuscito a distogliere lo sguardo da quella bellezza bionda che si continuava nervosamente a mordersi le labbra carnose tinte di rosso. Pareva una diva dello spettacolo uscita da una di quelle pubblicità che tanto piacevano alle casalinghe e ancor più ai mariti, in cui la modella posava in abiti succinti con lo sguardo malizioso, stringendo con grazia tra le dita una bella sigaretta fumante.
Si erano sposati l'anno dopo, in un impeto di follia, e la signora Dursley aveva abbandonato il proprio impiego, preferendo passare le giornate negli Hamptons a dirigere le domestiche da bordo piscina mentre si lamentava con le vicine di casa di quanto fosse tediosa la vita di città.
Ma poi erano arrivati gli anni Ottanta. Si scoprì che la nicotina provocava dipendenza allo stesso modo dell'eroina e della cocaina. Saltò fuori che era anche la causa del tumore ai polmoni, di danni al sistema cardiovascolare e a quello respiratorio. La percentuale dei fumatori calò sensibilmente. 
"IL FUMO UCCIDE" recitavano i pacchetti di sigarette, proprio accanto all'etichetta informativa che ogni azienda produttrice fu costretta a stampare.
Fu la fine. Il signor Dursley colò a picco e scoprì a caro prezzo che più in alto si sale più è dolorosa la caduta.  La società diede bancarotta, la villa negli Hamptons fu messa all'asta e il conto in banca si prosciugò velocemente come un fiume in secca, sotto i colpi delle continue spese della signora Dursley. 
A quel punto la notizia della morte di entrambi gli anziani genitori giunse al signor Dursley come una lieta novella. Con i pochi spiccioli rimasti si erano prenotati un volo di sola andata per l'assolata città di Phoenix, nella speranza di un novo inizio. Ma non fu così.
Nel breve periodo di stallo durante il quale era rimasto senza lavoro, si erano visti costretti a sopportarsi a vicenda ed i loro rapporti ne erano usciti inevitabilmente peggiorati. Ora si ritrovavano vecchi e flaccidi. Il miserabile lavoro d'ufficio del signor Dursley bastava a stento a coprire le spese, ma se non altro lo teneva lontano da casa abbastanza a lungo da rendere sopportabile la presenza della moglie. Tre anni prima le aveva preso un cane un cucciolo di Yorkshire Terrier dal muso dolce e dal pelo morbido come quello di un cincillà.  Estremo tentativo di alleggerire la tensione. Poi un giorno la signora Dursley aveva posato il suo non troppo leggero didietro sul divano, senza prestare attenzione alla pelosa presenza che guaiva spaventata. Fuffy non rimaneva ormai che un lontano ricordo.
Ci erano volute due settimane e molto olio di gomito per rimuovere tutto il sangue dai cuscini. Nell'aria aleggiava ancora un forte odore ferrigno.



Il signor Dursley avanzò con cautela, a passo felpato. Si sfilò lo scialbo cappotto nero e lo gettò sopra un'imponente pila di abiti sgualciti. Si tolse anche il cappello, ma tenne i guanti. Faceva un freddo terribile lì dentro. L'aria condizionata continuava a rinfrescare la casa dalle prime ore del mattino.
Si accarezzò i folti baffi e storse il naso. Le pareti emanavano un lezzo nauseante.
La porta della cucina era senza maniglia ormai da mesi. Non aveva ancora avuto l'occasione di ripararla e la sua signora non era certo nelle condizioni di farlo.
Spalancò la porta con un calcio. Uno spettacolo disgustoso si rivelò ai suoi occhi. Il lavabo traboccava di piatti sporchi, sui quali un nugolo di mosche stava banchettando con i resti di cibo avariato. Scatole vuote di dolci preconfezionati erano sparse disordinatamente sul lurido pavimento di pietra. Una grossa macchia rossastra impregnava l'odioso centrotavola ricamato, costatogli un'intera giornata di stipendio. A terra una bottiglia giaceva dimenticata.
Ad ampie falcate il signor Dursley scavalcò la pila di lattine vuote che ostruiva l'ingresso, precipitandosi famelico verso il frigorifero. Non era rimasto molto: un vecchio limone rinsecchito e qualche pezzo di carne dal pranzo del giorno prima. 
Accese il microonde. L'acquolina in bocca al pensiero di una buona coscia arrosto.
La carne bollente emanava un profumo a dir poco paradisiaco pensò il signor Dursley mentre scivolava silenziosamente in salotto. La flebile luce del televisore si rifletteva sulle pareti della stanza, proiettando ombre minacciose.
La signora Dursley stava sul divano, come al solito. La bocca spalancata, da cui colava un rivolo di bava.
Se non altro non stava russando.
Il signor Dursley si sedette accanto a lei e poggiò le scarpe incrostate di fango e neve sull'antico tavolino da caffè in mogano, regalo dell'amata zia Prudence. Se solo sua moglie lo avesse potuto vedere in quel momento avrebbe dato di matto un'altra volta, come la mattina precedente.
Cambiò canale e alzò il volume. Il soggiorno fu invaso dalla voce possente di un cuoco sui sessanta che cercava con determinazione di vendere un formidabile set di coltelli da cucina.
Il signor Dursley lanciò un'occhiata di sfuggita all'orologio. Le lancette segnavano già l'una e un quarto. Sarebbe stata dura trovare qualche trasmissione decente a quell'ora, così si arrese e spense il televisore.
La stanza piombò nel buio e nel silenzio.
Il signor Dursley si voltò a fissare la moglie.
Una grassa mosca insistente continuava a ronzarle intorno, andando di tanto in tanto a posarsi sugli angoli della sua bocca. La scacciò con un rapido movimento della mano. Quel ronzio irritante stava iniziando a fargli venire l'emicrania. Gettò la testa all'indietro e sospirò, massaggiandosi le tempie.
La mosca andò a posarsi sulla coscia della signora Dursley. 
Il signor Dursley la schiacciò con un colpo secco, ripulendosi le mani insanguinate sulla camicia madida di sudore freddo.
L'aria condizionata si spense all'improvviso. Dovevano aver staccato la corrente. La signora Dursley doveva essersi dimenticata di pagare le bollette un'altra volta.
Tornò a posare lo sguardo sulla moglie, disgustato.
Come aveva potuto sposare una donna del genere? Come aveva fatto a sopportare per tanti anni quella voce stridula, simile al richiamo di una animale selvatico messo all'angolo?
Non avrebbe dovuto farsi ingannare dal nasino all'insù e dallo sguardo seducente. Quella sanguisuga lo aveva spolpato fino all'ultimo centesimo, fino all'ultimo briciolo di energia, senza nemmeno dargli un figlio in cambio. "Una donna che non è in grado di avere bambini non è una vera donna" ripeteva sempre suo padre. Se solo gli avesse dato ascolto.
Il fardello del matrimonio gravava ormai da tempo sulle sue spalle, ma forse non era ancora tardi per disfarsene e cominciare nuovamente da capo. Dicono che la terza vota sia quella giusta.
Il signor Dursley fu scosso da una frenesia animalesca, incontrollabile. Non era affatto tardi. 
Guardò fuori dalla finestra. La strada era deserta. La città dormiva, nessuno avrebbe fatto a caso a lui. Poteva sentire la convinzione germogliare in sé. Aveva bisogno di farlo. Doveva farlo. Doveva sbarazzarsi al più presto della signora Dursley.
Dopotutto il cadavere iniziava a puzzare in modo rivoltante.

  
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