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Autore: Stellalontana    14/11/2008    0 recensioni
________Postato l'ultimo capitolo_________ Siamo giunti alla fine.
-Capisco- replicò Briseide. [...]-Allora è meglio se per questa volta sono io ad occuparmi di te- ridacchiò lei, baciandogli la fronte -sei d’accordo?-
-Come potrei non esserlo?- chiese allora Will, cercando di non perdere la presa sulla realtà.
Ma poi, non riuscendoci, la lasciò andare, e scoprì che in quel momento non importava poi così tanto.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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capitolo due
Capitolo Due




Will si tirò via il sangue dalle mani, strofinandole a lungo dentro l’acqua che scorreva dalla piccola polla tra i massi. Le cicatrici rilucevano al sole come a ricordargli che sarebbero rimaste sempre con lui per quanto potesse nasconderle. Si passò la mano bagnata sulla ferita al collo. Era ormai rimarginata, ma doleva ancora. Piegò il capo, chiudendo per un attimo gli occhi stanchi.
L’asino brucava l’erba già un po’ ingiallita della radura in cui Will si era fermato la sera prima. Aveva catturato delle lepri, le aveva spellate e aveva affumicato la loro carne, così che si conservasse. Si sedette su un masso e spezzò il pane bianco che aveva comprato in un mercato poco lontano da quel boschetto di pioppi. L’aria era fresca e lui si strinse nel mantello. Più si avvicinava alla costa più l’aria diventava umida e per questo più fredda. Guardò l’asino brucare soddisfatto. Bevve dalla borraccia che poi riempì di nuovo. La birra scadente che aveva comprato al mercato era finita da un pezzo e lui ne era stato alquanto felice. Rimise la bisaccia sulla groppa dell’asino e gli infilò di nuovo le redini riparate alla bell’e meglio. Lui soffiò dalle grosse narici, dimenando le orecchie.
"Anche io sono stanco, sapientone!" lo redarguì Will "Ma non voglio essere spellato vivo dai soldati del governatore"

L’asino lo guardò con gli occhi neri e lui credette che sotto sotto pure quella bestia ridesse di lui. Sbuffò, scostandosi un ciuffo di capelli dalla fronte. Prese le redini e condusse l’asino fuori dal boschetto. Era pericoloso per lui seguire la strada battuta, ma ancora più pericoloso era andare per boschi. Vi sarebbe tornato solo a sera inoltrata. Camminò di buon passo per un paio d’ore. La ferita gli dava delle fitte, e di tanto in tanto la caviglia lo costringeva a fermarsi, ma d’un tratto dovette far rallentare l’asino e calarsi il cappuccio sugli occhi. Una fila di persone si muoveva lenta lungo la strada. Will si avvicinò ad un uomo con la faccia devastata dal vaiolo.
"Che cosa succede?" chiese. L’uomo lo guardò.
"C’è la fiera a Terra d’Incontro" sussurrò. Will sapeva che Terra d’Incontro era formata da due città, che si erano fuse insieme quasi cinquant’anni prima. Le fiere erano l’occasione per scambiare e per esercitare l’arte che aveva faticosamente imparato. Nelle fiere faceva lo scrivano e raccattava qualche soldo. La sua grafia ordinata, pulita e svolazzante piaceva ai signorotti e se non sprecava molto inchiostro questi lo pagavano bene. Decise di entrare in città senza l’asino. Lo legò ad un albero poco prima dei cancelli della città. Due soldati era appostati all’entrata, ma non lo notarono, avevano altro a cui pensare. Un gruppo di giocolieri gli stavano dando del filo da torcere e Will riuscì a passare inosservato. Si strinse di più nel mantello, la bisaccia che pesava sulla spalla. I banchetti erano pieni di cianfrusaglie. Comprò un dolce che emanava un odore di vaniglia e che gli imbrattò i guanti. Dovette lavarli e aspettare che si fossero asciugati, prima di rimetterli. Però almeno aveva attenuato il senso di disagio. Si guardò intorno. Notò alcuni signorotti ben vestiti e le loro dame. Si sedette sullo scalino di una casa abbandonata accanto ad un banchetto che vendeva giocattoli. Aprì il piccolo banco che si portava appresso e vi dispose sopra fogli bianchi, calamai e penne appena appuntante. Si passò una mano sulla fronte. D’un tratto sentì qualcuno chiamarlo.
"Ehi tu" alzò lo sguardo, il volto celato dal cappuccio. "Sei uno scrivano?"
"Si mio signore" rispose cercando di adeguare il suo tono a quello di un servitore. Il signorotto che lo aveva interpellato era poco più alto di lui, vestiva di un abito damascato, rosso ricamato d’oro. Aveva un copricapo elaborato e costoso, con piume di pavone. Gli diede una pergamena.
"Scrivi nel migliore dei modi e veloce" ordinò il signore "Ti pagherò dieci pezzi d’argento"
Will intinse la penna nell’inchiostro e poggiò il pennino sulla carta. Cominciò a scrivere con gesti leggeri e sapienti. Amava scrivere in quel modo, gli veniva così naturale adesso. Il signore lo guardava. Dal suo volto non traspariva nessuna emozione. Dieci minuti dopo Will consegnò la carta e la pergamena al signore. Questi lesse e rilesse la carta per trovare un minimo errore, poi, con una smorfia lanciò un sacchetto a Will che lo prese con entrambe le mani, coperte dai guanti.
"Scrivi con la mano sinistra, scrivano" osservò il signore "Eppure i tuoi gesti sono sapienti"
"Vi ringrazio enormemente mio signore" replicò Will con un sorrisetto di compiacimento. Il signore gli lanciò uno sguardo irritato, poi se ne andò. Will soppesò il sacchetto. Lo infilò dentro il tascapane, al sicuro a contatto con la pelle. La spada gli pungeva il fianco. Aveva voglia di andare un po’ in giro per la fiera, ma se voleva raccattare ancora qualche soldo doveva aspettare il tramonto. Venne avvicinato da altri tre signori molto facoltosi. Due lo pagarono molto bene, mentre il terzo gli allungò due monete d’argento e un calamaio pieno di inchiostro di bassa qualità. Will non protestò, ma digrignò i denti. Se tutti fossero come te, i soldi non mi basterebbero per un pezzo di pane, pensò. Era il momento di chiudere il banchetto. Aveva racimolato abbastanza argento.
"Posso chiederti un attimo di pazienza?" una voce flautata lo fermò, mentre riponeva i calamai. Alzò lo sguardo dalla bisaccia. Una ragazza di circa la sua età, forse più giovane, vestita di un semplice abito blu scuro e un velo sui capelli rossi, lo guardava con un sorriso dolce.
"Ditemi, mia signora" replicò Will. Lei gli mostrò un pezzetto di carta, con della scrittura fitta. Era una scrittura piccola e appuntita, poco decifrabile.
"Puoi riscriverlo?" chiese. Will annuì.
"Mi ci vorrà un po’ mia signora" rispose attento a non far sibilare la lingua "Dovrete attendere"
"Ho molto tempo, scrivano" ribatté lei. Si sedette accanto a lui, sul gradino della casa. "Non sei di questa città, vero?" chiese con voce vellutata. Will intinse il pennino nel calamaio e scosse la testa. Probabilmente non le piacque la risposta, perché tornò all’attacco. "Da dove vieni?"
"Da molto lontano" la scrittura che c’era sulla carta era a malapena riconoscibile e Will dovette aguzzare la vista per poter ricopiare.
"Sì, d’accordo, ma molto lontano, dove?" continuò lei. Will sospirò.
"Perché vi interessa mia signora?" chiese soffiando sopra l’inchiostro. "Sono solo uno scrivano"
Lei lo fissò. "Tu non sei solo uno scrivano" ribatté "Porti un lungo mantello con un cappuccio che ti copre il volto, hai dei guanti e scrivi con la sinistra" si avvicinò di più a lui "Non sei un semplice scrivano"
"Ho finito" ribatté gelido Will porgendole la carta. Lei la rimirò.
"È bella, bravo" si congratulò "Ma adesso rispondi. Chi sei veramente?"
"Mia signora..."
"Scrivano!" una voce da sopra la sua testa lo fece sobbalzare. Alzò gli occhi. Era un soldato. "Tutti i tuoi simili stanno chiudendo. È ora che te ne vada"
"Subito mio signore" sollevato, Will, depose tutto nella bisaccia e si alzò. La ragazza gli prese una angolo del mantello.
"Dimmi chi sei"
"Voi siete troppo curiosa" disse Will abbandonando il tono reverenziale. Lei lo notò.
"Non mi chiami più “mia signora”?" chiese quasi scherzosa. Will sorrise condiscendente.
"Adesso basta" si divincolò "Addio"
Si voltò, ma andò a sbattere contro qualcuno. "Fatti da parte!" ringhiò l’altro. Will alzò gli occhi. Ebbe un tuffo al cuore. Guy di Monte Argento. Il soldato lo squadrò.
"Io ti conosco" sussurrò. Will sentì il sangue ribollire nelle vene, e il vecchio odio sepolto tornare a galla. Sfiorò la spada sotto il mantello. Guy era più grosso di lui, ma Will era più svelto e più agile. Sentì la ragazza che lo strattonava.
"Vogliate scusarlo mio signore" s’intromise "ma il mio servitore non ci vede molto bene"
"Ho notato" Guy sorrise discretamente alla ragazza. Will la vide sorridere sorniona.
"Scusatemi ancora" gli rivolse un’occhiataccia "Andiamo, sciocco. Riportami a casa" Will piegò le spalle per sembrare più basso. Sotto il mantello sudava. Guy era da mesi il suo peggior nemico. Lo cercava in lungo e in largo e lui non avrebbe mai dormito tranquillo, finché Guy di Monte Argento era sulle sue tracce.
La ragazza lo portò dentro una locanda. Parlò con l’oste e lo spinse di forza in una camera. "Ma sei pazzo?" urlò non appena si fu richiusa la porta alle spalle "Lo sai chi è quello?"
"Guy di Monte Argento, signora" rispose tranquillo Will. "Lo so"
"Bene, vedo che hai un po’ di sale in zucca" ribatté irritata "Lo sai che sta dando la caccia per tutto il regno ad un ragazzino? Perde e riprende le sue tracce da mesi. È un diavolo. Sembra che quel ragazzino sia importantissimo per il governatore di Salazard, che ha avuto l’ordine di cercarlo direttamente dal fratello, il re"
"Già" Will scoppiò a ridere. Importantissimo un disertore?, pensò. Non sapeva di essere così famoso. Guardò la ragazza, che se ne stava in piedi davanti a lui con le braccia incrociate. "Sapete il suo nome?"
"No" rispose lei "Ma se il governatore lo vuole catturare con così tanto accanimento, deve trovarsi in una montagna di guai" sospirò e si sedette sul letto "Dicono che sia bellissimo e che parli un’altra lingua, che venga da oltre il mare, da una terra lontana"
Will ridacchiò senza allegria. "Sono davvero queste le voci che girano?"
"Sì" sospirò di nuovo "Ma cosa ne vuoi sapere tu, sei solo uno scrivano, no?" Will sapeva di aver destato in lei la curiosità tipica delle donne. Si guardò i guanti. In fondo lei lo aveva salvato da Guy. Le avrebbe fatto promettere che non avrebbe raccontato a nessuno che lo aveva visto.
"Volete sapere a chi sta dando la caccia Guy?" chiese. La ragazza lo squadrò.
"Solo se non corro pericoli" bisbigliò sospettosa alzandosi. Lui si voltò, si sganciò il mantello e lo tolse, rivelando i capelli neri, la ferita al collo e i vestiti appena comprati. Il suo corpo snello si tese quando la ragazza esclamò di stupore.
"Il mio nome è William" si presentò con un breve inchino "William di Monte Argento. Guy è uno dei miei fratellastri"
La ragazza rimase paralizzata. La notizia pareva averla scioccata a tal punto da non poter parlare.
"Che c’è, mia signora, avete perso la lingua?" chiese ridacchiando Will, togliendosi i guanti. Le sue mani finalmente potevano respirare. Lei le guardò. "Un ricordo della guerra" commentò distaccato Will.
"Non vi assomigliate molto" notò lei "Insomma, Guy è biondo... ha gli occhi neri. Tu... tu sei nero di capelli" si avvicinò "Hai gli occhi azzurri" sussurrò "La tua... la tua pelle. Le dicerie su di te sono tutte vere, dunque"
"Quali dicerie mia signora?" chiese Will scostandosi un ciuffo di capelli dalla fronte.
"Che sei bellissimo" rispose lei. Will si sentì lusingato. Ma durò solo un istante.
"Non potete stare qui con me, signora" la redarguì "se vi trovano in mia compagnia non vi riserveranno un trattamento di favore" indicò la porta "Perciò andate"
"Nemmeno per idea! Sei ricercato per tutta la regione... ma che cosa dico... tutto il paese" camminò avanti e indietro per qualche momento. "Devi scappare"
"Sì, certo. Lo farò... domattina" sbadigliò "ho bisogno di riposo"
"Ma Guy è in città. Insomma... lui, lui ti cercherà. E ti troverà" sospirò "Lo conosco. Quando deve inseguire qualcuno non si dà pace finché non lo ha trovato"
"Lo so, signora" ridacchiò Will senza allegria. Si passò le mani fra i capelli e si sbottonò il giustacuore nero. Gli abiti scuri che aveva comprato ad una bancarella con i soldi del primo signorotto, gli calzavano a pennello e lui si sentiva libero. Gli stivali erano costati un occhio, ma il morbidissimo cuoio conciato gli fasciava la caviglia non ancora guarita del tutto, e la manteneva ferma. I calzoni marrone scuro avevano una fascia di cuoio all’altezza dei fianchi e lui vi aveva cucito dentro il coltellino di corno. La ragazza lo guardava con una strana espressione sul volto.
"Oh, andiamo mia signora, Guy sarà anche molto intelligente, ma io lo sono più di lui" si rimise i guanti. D’un tratto dal basso gli giunse una voce anche troppo conosciuta. Imprecò violentemente nella sua lingua. Si riallacciò il mantello al collo, e sguainò la spada, la guaina foderata ancora in vita.
"Che cosa fai?" chiese lei. Will le fece segno di tacere.
"Guy è qui" disse "Non è stato molto saggio andarvene in giro con un ricercato" lei non notò la nota sarcastica. Will impugnò la spada con entrambe le mani. Sentiva ogni muscolo del suo corpo teso e il suo cervello che cercava di escogitare un piano di fuga. Sentì numerosi piedi che salivano le scale e un attimo dopo la porta fu fatta saltare dai cardini.
"È qui!" il grido irruppe nella stanza accompagnato dai passi pesanti di Guy. "Bene, bene, bene" lo sentì ridacchiare. La sua voce gli dava ogni volta i brividi. L’ultima volta che si erano affrontati Will ci aveva rimesso, oltre a una ciocca di capelli, anche la caviglia. Guy se l’era cavata con qualche livido e una grossa arrabbiatura. "Che cosa abbiamo qui? Il nostro carissimo William. Da quanto tempo non ci vediamo?"
"Troppo poco" sibilò Will innervosito. Sentiva il cuore martellargli nel petto come se volesse frantumargli la cassa toracica. Guy sembrava così tranquillo da mettergli il voltastomaco. Avrebbe tanto voluto infrangergli quel sorrisetto che aveva sul volto. Sentì la ragazza al suo fianco scostarsi.
"Guy..." la sentì sussurrare "Forse potresti..."
"Zitta, Briseide!" le intimò Guy afferrandola per un braccio e trascinandola accanto a sé "Con te farò i conti dopo"
"Adesso trovi gusto a importunare anche le ragazze, Guy?" chiese sarcastico Will. Il soldato gli lanciò un’occhiata irritata.
"Con te farò i conti adesso, William. Che cosa direbbe il tuo amato padre se ti vedesse adesso? Sei un fuorilegge. Un fuggitivo" increspò le labbra "Un disertore. E i disertori devono morire"
"Grazie tante per aver riassunto la mia condizione, Guy" sibilò Will "ma non ho nessuna intenzione di morire, né oggi né nelle prossime settimane"
"Se il governatore sarà magnanimo ti concederà di rivedere la tua famiglia" sogghignò Guy "Dipende se sarà magnanimo. Farò personalmente il mio rapporto. William di Monte Argento è considerato un uomo molto pericoloso..."
"Sei ancora più bastardo di quanto mi ricordassi, Guy" Will impugnò la spada più saldamente, facendo un passi indietro "non che avessi dei dubbi, è ovvio..."
"La tua lingua è sempre stata troppo lunga, William. Provvederò personalmente a tagliarla a dovere" ghignò Guy. Will sentì scendergli per la schiena un brivido. Che fosse freddo o paura doveva trovare al più presto una soluzione a quell’impiccio. Briseide si mosse verso Guy.
"Non lo uccidere" la sentì sussurrare.
"E invece sarà un vero piacere" Guy scoppiò in una risata acuta "Sarà il risultato di mesi di inseguimenti" Will indietreggiò ancora. Finché Guy parlava non avrebbe sguainato la spada. Lo conosceva fin troppo bene. Anche quando era più giovane amava in modo quasi melodrammatico il suono della propria voce, e avrebbe continuato a parlare fino a che qualcuno non gli avesse ricordato per che cosa era lì. Will sapeva che la finestra che si affacciava sulla strada era a pochi passi da lui. Sarebbe bastato così poco per saltare oltre e guadagnare la libertà. Fece un altro piccolo passo indietro. Alzò gli occhi su Briseide. Il suo sguardo era terrorizzato. Will fece solo in tempo ad accorgersi dell’occhiata preoccupata che la ragazza lanciò oltre le sue spalle, poi un dolore improvviso lo colpì alla nuca. Cadde. Sentì il rimbombo del ferro che si infrangeva sul pavimento dalle assi marce. L’ultima cosa che vide prima di perdere conoscenza fu il volto compiaciuto di Guy e la sua risata stridula fu l’ultima cosa che sentì. Poi il suo mondo diventò buio.

Il vento gli scompigliava i capelli, legati da un laccio al lato della testa. Si appoggiò al bastone che aveva fatto con il ramo che aveva trovato nel bosco. Era perfetto per andare in cerca di funghi. Si coprì gli occhi con la mano, quando si voltò verso il sole ormai alto sull’orizzonte. Suo padre lo chiamò. "Andiamo Will, abbiamo molta strada da fare". Il ragazzo si voltò verso la foresta. Poi in lontananza sentì un rumore nuovo. Oltre al sibilo del vento tra gli alberi, lo stormire degli uccelli e l’abbaiare dei cani, c’era qualcos’altro. Tese le orecchie verso quel rumore. Suo padre sapeva che quando il figlio si concentrava su un rumore nulla poteva distogliere la sua attenzione.
"Cavalli" disse il ragazzo socchiudendo gli occhi "Tanti cavalli. E vengono qui" guardò il padre. "Perché?"
"Non lo so Will" rispose l’uomo scostandosi un ciuffo di capelli grigi dalla fronte. "Ma credo che presto lo scopriremo"
Il ragazzo rimase immobile per qualche secondo, prima di voltarsi di nuovo verso il sole. Vide sua madre accanto al mulino, intenta a lavare i vestiti nell’acqua limpida. Sorrise. Amava sua madre, più della sua stessa vita. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Improvvisamente sentì un gran dolore alla base del cranio, come se qualcuno avesse sferrato un colpo sulla sua nuca. Cadde, sbattendo a terra violentemente. Intorno a lui tutto era sfocato, come in un sogno. Il dolore scemò così com’era venuto e lui si ritrovò ansimante e coperto di polvere. Suo padre lo prese per le ascelle e lo riportò in piedi.
"Will, che cosa... che cosa succede?" gli chiese preoccupato. Will scrutò le iridi cupe di suo padre.
"È solo... il caldo" ansimò appoggiandosi al bastone "Solo il caldo". Nei suoi quindici anni non aveva mai provato dolore più acuto. Si tastò la nuca. Non trovò nulla, naturalmente. Vide suo padre alzare la testa verso lo scalpiccio dei cavalli ormai vicini. Will si voltò, incontrando la colonna di soldati. D’improvviso l’aria gli mancò, come se fosse stata risucchiata dai suoi polmoni. Sapeva che cosa erano venuti a fare quei soldati. Un nodo alla gola lo fece tossire. Si portò le mani al petto, come per proteggersi. Pregò che non fossero lì per lui. Pregò che la guerra fosse soltanto una fantasia. Pregò per non morire.


Il lento sgocciolio dell’acqua dalle rocce della stanza lo svegliò con il suo battere ritmico. Aprì le palpebre, e tante stelline colorate gli danzarono davanti agli occhi. Li richiuse. Poteva sentire il proprio cuore battere all’impazzata. Si portò una mano al petto, ma scoprì che ogni movimento gli causava un dolore acuto e palpitante. Sotto le dita sentiva la pietra fredda e umida di una prigione. Si chiese dove fossero i suoi guanti. Sapeva di non avere più il suo mantello, né la sua spada. Probabilmente lo avevano perquisito e avevano trovato il coltellino di corno cucino nella fodera di pelle dei calzoni. Era appoggiato alla parete di pietra di una cella, di questo era sicuro. Intorno a lui poteva percepire il movimento dei topi e l’acqua che sgocciolava dalla roccia. Sentiva la lingua impastata, incollata al palato. Cercò di muovere la testa, ma il dolore esplose di nuovo. Si lasciò scappare un gemito sommesso. Tanto nessuno poteva sentirlo. Cercò di rimanere il più immobile possibile, così il dolore scemò piano piano. Aprì di nuovo gli occhi. Vedeva appannato, ma riusciva a distinguere le pareti della cella. Era stretta e lunga. Proprio davanti a lui c’era una porta. D’un tratto questa si aprì. La lama di luce che filtrò dentro la cella lo accecò e fu costretto a chiudere di nuovo gli occhi. Percepì la presenza di almeno tre persone. Passi pesanti precedettero quattro robuste braccia, che lo sollevarono. Il dolore aumentò quando venne trascinato a forza fuori dalla cella. Intorno a lui sentiva frasi spezzate, il movimento di uomini, passi concitati. Un terzo uomo gli sollevò le gambe da terra. Il tragitto fu breve, ma a Will parve eterno. Alla fine si ritrovò sdraiato su una scomoda tavola di legno. Aprì gli occhi. Cercò di tirarsi a sedere. Appoggiò i piedi sul pavimento di pietra umida. Sentiva lo sgocciolio dell’acqua, passi lontani, lo scricchiolio del legno sopra la sua testa. Altri passi. Un rimbombo di tuono in lontananza. Pioveva? Non lo sapeva e non credeva che qualcuno glielo avrebbe detto. Poi la porta da cui l’avevano trascinato si aprì di nuovo. Will alzò la testa. I suoi occhi si abituarono lentamente alla luce. Davanti a lui c’era un omino basso e calvo. Masticava frasi sconnesse e Will pensò che non avesse tutte le rotelle a posto. Quando si accorse che lo guardava, venne avanti e gli passò una scodella e un boccale pieno d’acqua. Lo guardò bere con avidità, poi fece un cenno verso la scodella. Will sentiva lo stomaco sotto sopra e il puzzo della brodaglia lo fece gemere. Scosse la testa. Il nano alzò le spalle strette e masticò altre frasi confuse. Will non ce la faceva a parlare. Gli sembrava che anche le corde vocali gli bruciassero.
"Vattene Rufo!" una voce intimò al nano di andarsene. Si riprese la scodella e la portò via. Will si appoggiò alla parete della cella. "Il nostro ospite non ha mangiato?" chiese la voce. Will non rispose.
"Non è educato non rispondere, William di Monte Argento" replicò l’altro "Ti conosco. Eri un buon soldato, uno di quelli che uccide a sangue freddo. Perché te ne sei andato?"
Will alzò piano la testa. I suoi occhi incontrarono quelli grigi dell’altro. Trasalì.
"Llen" sibilò "Che cosa ci fai qui?" chiese con un enorme sforzo. Il soldato sorrise senza allegria.
"Guy mi ha arruolato" rispose "Ma tu... Will, ti sei fatto prendere in trappola da lui. Eri molto più sveglio quando eri sotto le armi" sedette sui talloni davanti a lui. Will se lo ricordava Llen. Era poco più grande di lui. Aveva una circa venticinque anni, ed era stato portato al campo di Will perché aveva fatto a botte con un ufficiale. Lo avevano assegnato alle retrovie, ma poi, quando la battaglia era entrata nel vivo, era stato spedito nelle prime file. Era stato allora che lui e Will si erano conosciuti. Will gli aveva salvato la vita. Llen era ancora in debito con lui.
"Sei caduto in basso" osservò Will dando un cenno alla cella. Llen rise.
"Beh, almeno io non sono un fuggitivo" replicò senza allegria "Tu, invece. Sei scappato dalla prima linea, Will. Credevi che non ti avrebbero più cercato?"
"Pensavo di non essere così importante per il governatore, e per il re oltretutto" alzò le spalle "in effetti sono soltanto un disertore. Di solito di queste faccende se ne occupano gli amministratori dell’esercito, non il re"
"Il re ha molte cose a cui pensare, ma ti do ragione. Forse è per questo che ti hanno portato qui a Salazard e non nelle segrete del castello del re" aggiunse pensieroso Llen "Il re non ti vuole morto. Ma Guy sì"
"Guy me la pagherà" scosse la testa "Da quanto sono qui?"
"Tre giorni. Hai dormito tutto il tempo" rispose il soldato "Eri completamente incosciente. Deliravi. Guy non ti ha trattato bene"
"Infierire su un uomo privo di sensi è una cosa da Guy" replicò Will cinico.
"Forse" ribatté Llen contrariato "Ma Guy è un buon soldato. Se non sbaglio siete anche imparentati"
"Uno dei figli di primo letto di mio padre" rispose Will. Il dolore stava lasciando il suo corpo martoriato. Sentiva i muscoli tesi negli spasimi, e brividi di freddo gli percorrevano la schiena rigida. Sospirò, cercando di non farsi male alle costole. Ma quando prese una boccata d’aria più forte, un dolore sordo lo fece boccheggiare. Si portò la mano al costato.
"Devi avere qualche costola rotta, Will" ipotizzò Llen "Comunque non posso restare oltre. Guy mi starà già cercando" si alzò "A proposito forse non lo sai, ma la ragazza a cui hai fatto gli occhi dolci è Briseide di Salazard. È la nipote del re che si da tanto pensiero per te. E da ieri la futura moglie di Guy di Monte Argento" Llen se ne andò, lasciando che la porta si richiudesse alle proprie spalle. Perfetto... pensò Will. Davvero perfetto. Prima mi salva e poi mi consegna al suo futuro sposo. Se mai uscirò di qui intero... ridacchiò. Che cosa avrebbe fatto? Niente. Non avrebbe mai alzato le mani su una donna. Nemmeno se questa l’avesse tradito. Cercò di calmarsi, il cuore che batteva come un tamburo. Suo padre gli diceva sempre che quando tutto sembra perduto, non ci si deve scoraggiare, perché la speranza è l’ultima a morire. Will sentì le lacrime premergli agli angoli degli occhi. Deglutì e le ricacciò indietro. Non doveva piangere. Non sarebbe caduto così in basso. Strinse la tavola tra le dita. Era in trappola. In trappola come un topo. Sarebbe uscito da lì soltanto per venire giustiziato. Guy aspettava quel giorno da quando l’aveva messo in ridicolo davanti agli altri soldati. Avevano litigato e Will l’aveva chiamato “femminuccia” e quando Guy si era scagliato su di lui, l’aveva battuto senza nemmeno farsi un graffio. Da quel giorno Guy aveva promesso vendetta. Il giorno era finalmente arrivato, per lui. Guy aveva venticinque anni ed era nell’esercito da otto anni. Da molto prima che Will fosse arruolato. Quando aveva saputo che era figlio di suo padre, Guy gli aveva dato parecchio filo da torcere. Will sospirò, e il dolore alle costole tornò. Se fosse uscito da lì Guy avrebbe pagato, fino all’ultimo livido che gli aveva procurato, fino all’ultima notte insonne. Avrebbe pagato per tutto il male che gli aveva fatto. Avrebbe assaggiato l’ira di William di Monte Argento.


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Nella sala del trono, Briseide passeggiava avanti e indietro, cercando di far sbollire la rabbia. Le scarpe di raso si sarebbero consumate a furia di strisciare sulla roccia del pavimento. Si scostò un ricciolo dagli occhi. Si era tolta il sottile diadema dalla testa e i capelli fluivano liberi sulle sue spalle. Non poteva non pensare a quel povero ragazzo che giaceva svenuto nelle segrete. William. Si fermò, ripensando a quando le aveva sorriso. Si sentì arrossire. Scosse la testa e riprese a camminare. Era più che decisa a farlo scarcerare e soprattutto a non sposare Guy. Il solo pensiero di dover condividere la sua vita con quell’uomo orribile le dava i brividi. Secondo suo padre era il miglior soldato che avesse mai avuto ai suoi ordini. Era disciplinato, senza beghe per la testa, e soprattutto senza famiglia. Ancora. Briseide rabbrividì. Non aveva assolutamente intenzione di rinunciare alla propria libertà e di vendere la sua vita a Guy. Avrebbe lottato con tutte le sue forze per convincere suo padre a ritornare sulle sue decisioni. D’un tratto la porta si aprì con uno stridulo cigolio. Briseide pensò che fosse ora di oliare quei cardini. Suo padre si muoveva lentamente, come se portasse un peso enorme sulle spalle. Briseide si rimise il diadema, domando i capelli all’interno del velo. Suo padre ci teneva a mostrare la loro regalità e lei amava suo padre, perciò doveva assecondarlo.
"Figlia mia" la chiamò sedendosi sul trono "Adesso spiegami" ordinò. Briseide deglutì. Suo padre aveva il potere di farla sentire a disagio. Desiderò che fosse ancora in vita sua madre. Lei era l’unica persona che poteva tenergli testa.
"Che cosa dovrei spiegarvi, padre?" chiese avvicinandosi. Lui le fece segno di sedersi. Briseide allargò la gonna sugli scalini di pietra del trono.
"Che cosa ci facevi con un ricercato in una camera di un’osteria?" chiese di rimando il governatore con un tono che poco si confaceva con la sua abituale flemma. Briseide abbassò gli occhi, ma li rialzò subito, in modo che suo padre potesse vedere che non c’era colpa in lei.
"Padre, io non sapevo chi fosse. Ho mentito a Guy, è vero, ma soltanto per salvargli la vita" scosse la testa e sospirò "Non è certo servito a molto"
"Quel ragazzo è un disertore" sospirò suo padre "e per questo deve essere punito"
"Ma voi non vi siete mai dato pena per dei disertori. Chi è lui? Perché così tanto accanimento per un ragazzo? Padre" lo guardò "ha la mia età. Non merita di morire"
"Davvero pensi questo?" chiese Pericle alzandosi "Cento giorni Guy e gli altri soldati lo hanno cercato in lungo e in largo. Dimmi, sai che lingua parla? Sai dirmi da che paese viene? Sai chi è davvero? Nessuno lo sa. Nessuno sa chi sia né con precisione da dove venga. L’hanno arruolato quando aveva quindici anni, soltanto perché avevamo bisogno di reclute per la guerra" passeggiò avanti e indietro. "Suo padre, è anche il padre di Guy, ma la madre di questo ragazzo, nessuno sa chi sia, né se provenga dalle terre al di là de mare o dai nostri nemici"
"Nemici?" Briseide si alzò "Ma padre, i nostri nemici vengono da nord. Scendono dalle montagne... come possono provenire anche dal mare?"
"Non ho detto questo, figlia mia. Ho solo detto che nessuno sa chi sia quel ragazzo. Parla una lingua sconosciuta, è diverso da ogni membro di questa terra"
"Adesso è diventata una colpa essere diversi?" chiese Briseide inalberandosi. Pericle passeggiò per la stanza con nervosismo.
"Se la mia stessa figlia mi si ritorce contro, che cosa ne sarà di me?" chiese, più a se stesso che a chiunque altro. Briseide corrugò la fronte, irritata.
"Io non sono contro di voi, padre, vorrei soltanto che foste ragionevole" si avvicinò, appoggiandogli la mano sulla spada "Vorrei che risparmiaste la vita di quel ragazzo"
"Perché?" una voce che Briseide non avrebbe voluto sentire irruppe nella stanza.
"Oh, Guy, proprio voi... capitate nel momento giusto" Pericle si avvicinò al soldato con un largo sorriso. Briseide soffocò una protesta a mezza voce. Odiava Guy ed era costretta a sposarlo.
Il soldato arcuò un sopracciglio biondo. "Vorrei sapere perché vostra figlia è così decisa a salvare la vita di un disertore"
"Un disertore? Un fuggitivo, un fuorilegge! In quanto modi l’hai chiamato, Guy?" scattò Briseide con ira "Che cosa ti ha fatto quel ragazzo? Lo odi forse perché è molto più bello di te?"
"Briseide!" la richiamò suo padre.
"Sono abbastanza grande per esprimermi, padre" protestò Briseide alzando la voce "Che cosa vuoi da lui?" aggiunse rivolgendosi di nuovo a Guy.
"La sua vita è nelle mie mani, Briseide. Non lo lascerò andare e soprattutto lo ucciderò con la mia spada... sarà il tuo regalo di nozze" Guy scoppiò a ridere e se ne andò a grandi passi.
Briseide non sapeva se scoppiare a piangere o rincorrere Guy e cercare di ucciderlo a mani nude. Si ritirò nelle sue stanze e scrisse una lunga lettera.





PER CATEROZZA: GRAZIE PER LA TUA RECENSIONE, MI HA FATTO MOLTO PIACERE. NON PREOCCUPARTI SE NON CE LA FAI A RECENSIRE, L'IMPORTANTE E' CHE LA STORIA TI PIACCIA. QUANDO HAI TEMPO FAMMI SAPERE CHE NE PENSI! UN BACIONE
Stellalontana
   
 
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