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Autore: DanielleNovak221    31/12/2014    1 recensioni
[AU!Destiel]
Dean e Castiel hanno entrambi nient'altro che dolore nel loro passato, ma se è vero che non tutto il male vien per nuocere, l'ultima di queste ha portato al loro primo incontro: Dean si sveglia in un ospedale, dopo un coma di due mesi, sa che la ripresa sarà una scalata piena di ostacoli, ma se Cas, il suo infermiere, gli starà vicino, allora sarà in grado di raggiungere la vetta sapendo di poterla condividere con qualcuno che merita davvero di avere un motivo per cui sorridere. Tuttavia, i fantasmi sono forti e sempre in agguato, non è mai troppo tardi perché possano decidere di attaccare trascinandoti giù per affogarti nei tuoi stessi ricordi...
{trigger warning per una sola scena di violenza, anche se non esplicitamente dettagliata}
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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Dean aveva saputo sin da subito che il cibo gli sarebbe mancato, ma non aveva immaginato quanto questa nostalgia si sarebbe fatta sentire.

Non solo il rimpianto della sensazione del solido e del sapore gli rodeva letteralmente lo stomaco, ma quando il suo corpo si arrese alla ferrea legge dettata dai medici e smise addirittura di provare appetito, Dean era ancora più convinto del fatto che rimanere nel suo coma senza essere disturbato sarebbe stato molto meglio.

I test erano stati una tortura, una vera e propria violazione del suo corpo, e se il ragazzo avesse potuto anche solo azzardare un qualche tipo di reazione, di sicuro i tentativi sarebbero stati vani: persino Castiel Riflesso Incondizionato si era arreso, e dopo che gli aveva somministrato un lieve sonnifero (come se avesse avuto bisogno di dormire...) quella sera , non si era fatto più vedere.

Non che a Dean dispiacesse. Non lo conosceva, era solo un infermiere tirocinante come un altro, ma il modo in cui gli aveva detto che si sarebbe preso cura di lui e certo, anche il soprannome affibbiatogli dal Dottor Lucifer durante la prima sessione di controlli, lo lasciavano perplesso, e non poco.

Ovviamente, non lo sopportava.

Solo il modo in cui il suo essere rincoglionito lo divertiva gli faceva voglia di cantargliene quattro, ed il fatto che lo avesse chiamato amico, che lo trattasse come se si conoscessero da anni, era troppo confidenziale, lo metteva decisamente a disagio. Specie perché nelle sue condizioni non poteva esprimere un libero arbitrio degno di questo nome, ovverosia avvalersi di un'opinione grammaticalmente articolata in proposito.

Nelle abbondanti trentasei ore che seguirono, usò una mezz'oretta del suo tempo per pensare tutto ciò. Fu una fortuna che decise di arrendersi quasi subito, un po' perché non gli pareva sensato farsi troppe domande su qualcuno che non conosceva, un po' perché semplicemente, nonostante avesse passato gli ultimi due mesi in stato mentalmente iperattivo, la sua testa faticava a riabituarsi al diverso ritmo di quella giostra selvaggia che era il mondo. Era tutto troppo veloce, con troppi pochi perché e decisamente caotico.

Il resto di quella che parve un'eternità lo trascorse fissando il soffitto e impegnandosi a non cadere intrappolato nel suo incubo, che in orario spaventoso si ripresentava dietro alle palpebre ogni volta che chiudeva gli occhi. Dopodichè, altri test.

Puntualmente, il Dr. Lucifer si presentava con il suo sorriso beffardo e la scusa di dover riempire moduli e verificare le funzioni vitali, solo per passare una buona oretta ad irritarlo. Gli pizzicava le nocche finché Dean non stringeva i pugni (cosa che poteva fare subito, ma per orgoglio non si sognava di dargliela vinta), gli puntava la maledetta pila gialla in un occhio e la toglieva a un nulla dal suo barbecue oculare, gli ginnasticava le braccia e le gambe, alzava lo schienale del letto per metterlo seduto.

Il ragazzo si sforzava di fare il bravo, ma se doveva proprio passare così due ore della sua giornata, almeno voleva divertirsi anche lui, e ogni tanto fingeva di accasciarsi pesantemente sulla sua spalla oppure gli sbavava su una mano. Forse era un po' schifoso, ma vedere quel tizio detestare il suo lavoro, l'unica ragione di superbia personale che avesse, gli faceva recuperare più velocemente di qualsiasi medicina.

Alle due del pomeriggio del giorno dopo ancora, finalmente a Sam e Bobby fu concessa la tanto pregata visita, e si fiondarono letteralmente nel reparto di terapia intensiva al suo capezzale. Era stato davvero un travaglio, ma alla fine erano riusciti a farsi accettare come ospiti, ben due giorni dopo il suo risveglio.

– Ehi, Dean! Va tutto bene, ci siamo qui noi, adesso. – Sam si sospinse un po' faticosamente accanto al letto, mentre Bobby lo circumnavigava con la sua andatura un po' zoppicante per raggiungerlo dall'altra parte.

– Coraggio, ragazzo, ce l'hai fatta, è tutto finito. – disse, mettendo nella voce tutta la convinzione possibile.

Magari fosse tutto finito...

Voltò la testa con lentezza esasperante e con la coda dell'occhio inquadrò il fratellino, un ragazzetto di quindici anni smilzo e mezzo ingessato, la zazzera di capelli castano scuro più scompigliata che mai e gli occhi chiari preoccupati e smarriti.

Il viso era scarno ed emaciato, aveva una cicatrice sulla fronte e il mento gli tremava un po', come se avesse tante cose da dire e non sapesse da cosa cominciare.

– Dean... papà è morto. – disse, con un filo di voce. Bene, era partito dalla cosa peggiore.

Dean sentì una fitta partire dalla bocca dello stomaco ed attraversargli il corpo fino al cuore come una saetta, per raggiungere il cervello e da lì rimbalzare alla spina dorsale.

Mio Dio, Sammy, cosa ti ho fatto... è tutta colpa mia se siamo ridotti così, se sembri la copia mummificata di Harry Potter con quella cicatrice e quegli occhi verdi, è colpa mia se papà non c'è più e sei qui a raccontarmelo ancora come se non sapessi nulla...

– Penso che sia successo subito. Il funerale c'è già stato... – proseguì Sam con voce sempre più rotta, come la prima volta.

Ti prego, non dirmi cose che già so, fai male a te stesso quasi quanto te ne abbia fatto io... eh no, dai non piangere, per favore, altrimenti potrei cedere anche io e tornerebbe il tizio del Riflesso Incondizionato a mattonarmi la faccia!

– N-non...p-piangere... – balbettò, spostando una mano quanto bastava per poter prendere quella del fratello che aveva cominciato a stringere convulsamente la coperta.

Sentiva le lacrime inumidirgli lo zigomo destro e portò il polso alla faccia per asciugarle. Non era certo di cosa facesse più male, la morte di suo padre, o la voce distrutta di Sammy.

Quest'ultimo alzò su di lui uno sguardo incredulo e finalmente sorrise, guardando Bobby che aveva steso le labbra a sua volta.

– Grandioso, campione! Sembra proprio che ti stiamo riprendendo, eh? – disse con il suo tono leggermente borbottato, calcandosi meglio il berretto sgualcito sulla testa come faceva quando era soddisfatto di qualcosa.

– Senti bene, so che non avete voglia di parlarne, specialmente ora che Dean ha detto le sue prime parole... –

– I-idiot... –

– … Sì, scusa, vecchio mio, comunque, dal momento che il bell'addormentato ha ripreso un po' di reattività, penso che sarebbe ora di dirvi che ho firmato tutte le inutili scartoffie per farvi venire a casa con me. Se non altro, mi assicurerò che non diventiate un problema per i federali o per la NASA, in futuro. –

Era esattamente il genere di notizia che volevo sentirmi dire, allora c'è davvero qualcuno appollaiato fra le nuvole, che mi ascolta! Sarebbe anche ora, no?!

– Gr... Grazie! – riuscì ad articolare, abbozzando addirittura un sorriso sghembo.

Perlomeno riusciva a muovere le braccia, la testa e a proferire qualche parola.

Improvvisamente si sentì pervaso dal desiderio di muoversi e fare quello che doveva fare. Sapeva che era doloroso, sapeva che ci avrebbe messo una vita a tornare in piedi, ma chi ben comincia è a metà dell'opera.

– Bene, campione. Adesso dobbiamo andare, Sam ha una visita e io devo cominciare a liberare un paio di stanze dalle metropoli di polvere che le infestano. Ci rivediamo stasera, eh? Non combinare casini. – disse Bobby, proprio quando nessuno sembrava avere più nulla da dire, scompigliandogli i capelli e dando una lieve pacca alla schiena del ragazzino.

Lui e Dean si squadrarono per un attimo, entrambi imbarazzati, poi Sam scivolò indietro.

– Vado anche io, devo farmi fare un paio di lastre... se hai bisogno, Castiel ha detto di chiamare lui. – e se ne andò con.. ehi, che razza di sorrisino è mai quello?!

Il ragazzo alzò di poco la testa per vedere l'ombra sparire nel corridoio, poi si lasciò ricadere sul cuscino.

Ma chi era mai quel Castiel per autoeleggersi la sua guardia del corpo?! Lui era Dean Winchester, non era esattamente un ragazzaccio, ma sapeva come usare le mani, e se necessitava lui di un bodyguard dopo che nemmeno un camion l'aveva spedito all'inferno, c'era qualcosa di cui preoccuparsi.

Cancellò dalla testa quella breve sfuriata e, con un colpo di reni, riuscì a puntellarsi sui gomiti, per raggiungere una posizione a metà fra il seduto e lo sdraiato.

Non ci volle molto perché le braccia cominciassero a fargli male, ma decise di spingersi al limite. Fece ancora più pressione e, con un ultimo, dolorosissimo sforzo, si issò a sedere.

Sorrise compiaciuto dei suoi progressi in soli due giorni e si studiò attentamente le mani, che erano l'unica cosa che ancora non aveva esaminato con cura nella stanza.

Dovevano averlo tenuto ben nutrito (surrogato di crostata, forse? Quasi ci sperava...), perché non era proprio così magro come pensava. Okay, le braccia avevano perso tre quarti dei loro muscoli, ma non si doveva lamentare. Poteva essere morto, in quel momento.

Riuscì ad allungarsi fino al tavolino e, senza che nessuno lo aiutasse, senza che fosse seguito da un qualche dottore psicopatico, accese la televisione.

Fu allora che la vista gli si annebbiò e crollò pesantemente sul cuscino, l'aria che pian piano svaniva dai suoi polmoni ed il corpo in preda ad una serie di spasimi incontrollati.

 

– Andiamo, Novak, non dirai sul serio! – esclamò Bryan, accavallando le gambe aprendo le labbra in una risata.

Castiel sorrise imbarazzato, distogliendo lo sguardo dal viso del compagno e puntandolo sul bicchiere di carta fumante di fronte a lui. – Scusami, ma sul serio, non l'ho capita. – disse, cercando di sembrare non sembrare troppo imbranato.

L'altro tirocinante sistemò le schede che aveva sparpagliato davanti a sé per poterle firmare tutte e rimase in silenzio, rendendo visibile la sua divertita arrendevolezza nello spiegargli una battuta solo tramite un'espressione di puro stupore.

– Amico, se continui di questo passo resterai single per eoni! Guarda che le pollastre adorano i ragazzi ironici! – replicò Bryan, fregandogli il caffè e traendone un piccolo sorso.

Storse la bocca disgustato, forse per il fatto che Castiel non amava zuccherarlo troppo, quindi il sapore restava piuttosto amaro. Il che gli ricordava sempre tutti gli altri bocconi indigesti che in vita sua aveva dovuto ingoiare per ironia della sorte, ma andava bene. Se il passato aveva una minima possibilità di incentivare il suo futuro, doveva farselo andare bene per forza.

– Ehi, mica è colpa mia se non capisco le battute ed il sarcasmo. Sono fatto così, sono... realista. Credo a ciò che ritengo realizzabile. E nel sarcasmo nulla è mai realizzabile. – fece in risposta, riprendendosi il caffè e bevendone la metà sotto lo sguardo fintamente disgustato dell'amico.

Sì, amaro come la sua vita, ma che poteva farci.

Da quando suo fratello Gabriel era morto e lui aveva bevuto fino al coma etilico, ogni cosa prendeva il sapore bruciante dell'alcool, ed era sempre un incendio. Più restava impassibile, più dall'esterno nessuno notava nulla. Il caffè nero era l'unica cosa amara che beveva senza che gli scheletri del suo armadio riprendessero a seguirlo e ad appostarsi dietro agli angoli.

Ecco cosa lo incentivava: il fuoco dentro di te tornerà, se non ti concentri su qualcosa di reale e concreto: impara da quell'errore.

Focalizzandosi troppo sulla morte di Gabe, il mondo intorno a lui lo aveva lasciato indietro, il dolore era tale da rendere l'alcool l'unica cosa tangibile che procurasse un male maggiore di quello. Non era stato un alcolizzato. Il coma etilico corrispondeva all'unica volta in cui aveva bevuto, e in assoluto, l'ultima volta in cui lo avrebbe fatto.

Aveva mandato a puttane la sua astemia perché tutto era troppo concreto perché potesse seguirlo. Anche quel fuoco era stato concreto, ma in modo diverso, e lo aveva capito troppo tardi: era reale dentro di lui, non fuori, e questa sottile differenza lo aveva quasi ucciso.

– Sai cosa c'è di divertente? – disse, distogliendosi da quei pensieri. – Il fatto che dopo un anno di tirocinio insieme, tu continui a fregarmi il caffè, a denigrarlo perché non è abbastanza dolce per il tuo palato raffinato, e a guardarmi stranito perché a me piace così. – disse, finendo il contenuto del bicchiere con un unico sorso.

Bryan inarcò le sopracciglia, ma sorrise e alzò le mani come a dire “touché” senza mettersi a discutere.

– Ciao, Cass! – la voce del piccolo Winchester lo chiamò da sotto il bancone, ed il ragazzo si sporse oltre per incontrarlo finalmente più allegro del solito.

– Ehi, Sam! Ti vedo bene, oggi! – disse, scompigliandogli i capelli. Sapeva che la cosa lo irritava, ma ormai si conoscevano e il ragazzino non ci dava più peso.

– Puoi ben dirlo! Dean parla, e si muove anche. Ha pianto un po' sapendo di nostro padre, ma almeno sta migliorando... gli ho detto quello che mi hai chiesto. – disse, bloccandosi un attimo al fatto che il fratello maggiore avesse pianto.

– Cass?

– Dimmi.

– Non è che andresti a controllare che stia bene, fra poco?

Il suo sguardo innocente e spaesato gli fece tenerezza, e si ritrovò ad annuire nonostante la consapevolezza di avere una vagonata di cose da fare.

Proprio per quello non era riuscito a visitare personalmente il maggiore dei Winchester in quei due giorni, era stato sovraccaricato di lavoro in tre sezioni diverse, e quell'anno il personale fornito dall'università era anche abbastanza scarso.

In quel reparto erano solo in tre, fra i tirocinanti; lui, Bryan e Meg, che si era beccata un turno in cardiologia quindi in giro non la si vedeva.

Fece notare a Bobby, per la sesta volta, quali fossero gli orari di visita e salutò, tornando ad accomodarsi sulla sedia e a godersi quei pochi minuti di tregua che gli erano concessi.

– Uhu... – lo schernì subito il compagno. – Crocerossina Novak torna all'attacco! –

Castiel roteò gli occhi. – è così divertente?

– Suvvia, Cass, si fa per dire. In realtà e bello il fatto che tu ci metta così tanto impegno nel prenderti cura dei pazienti, un sacco di persone dovrebbero prendere esempio da te. – disse, controllando l'orologio ed alzandosi.

– Dici sul serio?

– Ovvio. È ora di cominciare il turno di ispezione. Il corridoio a destra è tuo come sempre, eh?

– Già.

– D'accordo. Salutami quella macchina da guerra del tuo amico, allora! – e si allontanò.

Castiel si diresse immediatamente da Dean, saltando mezzo corridoio di stanze sperando che non lo beccassero a fare “enormi” preferenze, o il caporeparto glie ne avrebbe dette un po'.

Scivolò dentro aspettandosi di trovarlo sveglio, invece stava dormendo.

Era assopito in modo strano, come se addormentarsi fosse stata una sofferenza più fisica che mentale e dovuta agli incubi, ma cercò di non essere paranoico.

Fu quando si avvicinò al letto che notò qualcosa che non quadrava. Il telecomando era chiuso fra le dita del ragazzo, ma non era stretto saldamente, quindi poteva non aver avuto un incubo.

Strano però, il telecomando era sempre stato sul tavolo, ma forse glie l'aveva passato Bobby, o Sam.

Sei paranoico, Castiel, è ufficiale.

Altra cosa che non andava. E stavolta, che non andava sul serio.

La macchina che segnalava il battito cardiaco bippava decisamente troppo piano, il lasso di tempo fra una pulsazione e l'altra era tale da farsi percepire come un'eternità.

Si lanciò a controllare le funzioni vitali del ragazzo, e quando si accorse che non respirava nonostante la cannula di gomma per il naso fosse al suo posto tra le narici ed il labbro superiore, sentì il mondo crollargli addosso.

Immediatamente svitò la valvola per aumentare l'apporto di ossigeno, ma sulle prime parve non bastare. I muscoli delle braccia erano ancora irrigiditi, forse aveva provato ad alzarsi e lo sforzo gli era costato troppa aria.

Castiel non perse tempo, per prima cosa premette il bottone rosso sul telecomando agganciato al letto, poi prese il respiratore orale e lo incastrò fra le labbra del ragazzo, cercando di domare il panico che cresceva nel petto. Azionò un minimo rilascio di ossigeno e procedette con una comune manovra a pressione, nella speranza che il diaframma riprendesse a lavorare da sé. Le mani giunte appena sotto allo sterno, spinse uno, due, tre, quattro, cinque... dieci colpi, obbligandosi a mantenere l'autocontrollo necessario in situazioni del genere.

Dean riprese a respirare con un singulto strozzato nell'esatto momento in cui il Dr Lucifer faceva irruzione seguito da altri due medici in camice e guanti di lattice, e Castiel si lasciò andare alla meravigliosa sensazione che il sollievo gli stava regalando. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma si trattenne e continuò a lavorare sperando che la sua euforia non fosse troppo evidente.

Gli altri tre rimasero impalati sulla porta a scrutandolo riavvitare leggermente le valvole, a togliere il tubo dalla bocca e posizionare una semplice mascherina, il tutto guardando il paziente dritto negli occhi come a comunicargli telepaticamente che andava tutto bene, che non c'era nulla di ci preoccuparsi più.

Castiel completò le ultime operazioni convincendosi che era riuscito a salvare una vita dal soffocamento, provando il meschino desiderio di rinfacciarlo al medico, il quale si affiancò al letto e squadrò la situazione con occhio critico, alla ricerca di un qualche errore. Quando non ne trovò nessuno non fece altro che il suo solito sbuffo di scherno e se ne andò con uno svolazzo del camice.

– Cass... – Sentì un leggero tuffo al cuore quando Dean pronunciò il suo nome e fu subito lì da lui.

– Ehi, non sforzarti troppo. Non respirare troppo profondamente... così, bravo.

– Cass...? –

Castiel alzò gli occhi su quelli verdi, lucidi, iniettati di sangue ma pieni di gratitudine di Dean. – Grazie. –

E quel grazie valeva di più di qualsiasi altra forma di pagamento per le sue azioni al mondo.

 

 

HOLA CHICOS

ho aggiornato davvero in fretta, godetevi questa pacchia finché è possibile!

Che dire, ora sappiamo qualcosa anche sul nostro angioletto, mi fa sempre piacere sapere che ne pensate quindi non siate timidi e recensite!!

vorrei poter dire di più ma attualmente sono le due di notte e ogni minuto è buono per essere sgamata da mia mamma...

buon anno a tutti e un altro bacione da Danielle!!

   
 
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