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Autore: Fannie Fiffi    02/01/2015    1 recensioni
#1 [Clarke Griffin!centric; Raven Reyes!centric; 2x08]
« Forse quello è sempre stato il loro destino, l’unico motivo per cui le loro strade si sono intrecciate: sono nate per amare lo stesso uomo e per perderlo entrambe. »
#2 [Bellarke; post 2x08]
« Bellamy Blake non sa non amare, è che tutto quello che fa è dettato da questo cuore che si sente battere sotto la pelle e che lo tiene in piedi. »
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Finn Collins, Raven Reyes
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Ok, ecco, non so bene cosa sia questa cosa. Ho visto l'episodio, ho pianto (ho pianto tanto) e ho voluto immergermi nella testa di Clarke e Raven. Il risultato, come potrete vedere, è una valanga di sentimenti che si accavallano l'uno sull'altro. 
Spero davvero di non aver creato un mostro.

Allora, dico quello che volevo dire e smetto di sproloquiare: questa storia si sviluppa su due piani. Da un lato c'è l'amore, quello di Clarke per Finn, quello di Raven per Finn, e quello di Bellamy per Clarke (perché io sono dannatamente convinta che lui sia follemente innamorato di lei, deve solo accorgersene). Dall'altro lato, invece, c'è l'amicizia (in crisi) fra Raven e Clarke e quella fra Raven e Bellamy.

Insomma, vengono accontentati tutti. 

Fra un paragrafo e l'altro troverete il testo di You, di Keaton Henson, che è la colonna sonora di questa storia e che vi consiglio di ascoltare mentre leggete.

Concludo con l'augurio a tutti voi di un nuovo anno pieno di sorprese e avventure, sperando di continuare a passare incredibili momenti insieme.

Detto questo, vi auguro buona lettura!




 





Amare Finn Collins porta vie le energie, è un processo spossante ed inevitabile. Amare Finn Collins significa perdere un pezzettino di sé, ma capirlo e accettarlo come profetizzabile conseguenza di quello che si è disposti a dare.

E l’amore coglie impreparati, inesperti, incerti. Come quando un minuto prima lui sta urlando e scalciando e, anche se non vuole ammetterlo, le sue guance sono umide, e poi, un minuto dopo, le sue labbra arrivano in un bacio salato, impaziente.

Amare Finn Collins significa “tu non sei solo, hai capito?”

O come quando quel soffio al cuore porta via l’unico sogno di una vita, la sola aspirazione possibile, l’esclusiva possibilità di uscire da quella scatola di latta, e lui indossa quella tuta e si fa arrestare, perché non può permettere che lei lo lasci.

Amare Finn Collins significa “tu sarai sempre la mia famiglia.”

E lui è talmente tante cose che amarlo diventa perfino troppo.



 
If you must leave, leave as though fire burns under your feet


 
« Ti amo anch’io. »

Succede. Capisce. Capisce in quel momento, quando è sicura che non ci sono più vie d’uscita. Quando capisce che questa non è una montagna da cui scappare, questo è l’inferno. E da qui non si sfugge.

Quindi se ne rende conto, accade solo in quel momento, e riesce a trovarci una certa ironia, sebbene tutto quello che vorrebbe fare è piangere.

E piange, perché in quale mondo bastardo tu riesci a capire di amare qualcuno solo quando sei costretta a dirgli addio? Solo quando sai che, per colpa di tutto, quelle saranno le tue ultime parole per lui?

La risposta è: nel mondo schifoso in cui vive. In cui lui non vivrà più.

E arriva fino in fondo. Pugnala dove sa che il sangue circonderà tutto, dove la sofferenza non avrà nemmeno il tempo di arrivare e distruggere quello che rimane di una persona che ha sofferto come tutti loro, e che ha sbagliato come tutti loro.

« Grazie, Principessa. »

“Non ti piace essere chiamata principessa, vero, Principessa?”

E Clarke vorrebbe dirglielo che in quel momento va bene. Che non c’è altro modo di dirsi addio, nessun altro modo per farle capire quanto la ami, quanto la sola esistenza sia stata importante per lui, se non quello. È una fine che riconduce direttamente all’inizio di tutto.

È un messaggio implicito che cela più di quanto lui sia disposto a lasciar andare, o più di quanto lui riesca a pronunciare, ora che le forze lo abbandonano velocemente, ma sa che lei capirà.

La ringrazia perché ancora una volta lei ha dimostrato di aver più coraggio di lui, e di essere più forte, e di essere la leader in cui lui ha creduto quando nessun altro era stato in grado di farlo.

Quando riecheggiavano ancora fra gli alberi della foresta buia i “Facciamo quel che diavolo vogliamo!”di un branco di tiranni che non sapevano cosa fosse la vita sulla Terra, finché quella vita non era diventata la loro.

Ancora una volta è stata in grado di fare ciò che nessun altro avrebbe potuto fare.

Non c’è altro modo in cui la loro storia sarebbe potuta finire, se non con quell’ultimo gesto.


 
If you must mourn, don’t do it alone


 
Quando Clarke torna all’accampamento, le mani grondanti di sangue, e attraversa il cancello, la sua schiena sembra cominciare a sgretolarsi.

Non vede sua madre, non vede il Comandante Kane, né Murphy.

Tutto quello che vede è Raven, la vede come se fosse al centro esatto del mondo e i suoi occhi fossero destinati ad incontrarla proprio in quel punto, proprio allora.

Raven che ancora grida, e che, se solo ne avesse le forze, ora potrebbe ucciderla.

Raven che per qualche strano sortilegio riesce a staccarsi dal calore dalle braccia di Bellamy e si mette in piedi, sebbene le sue spalle siano curve e le sue gambe tremino violentemente.

Clarke nemmeno si accorge della velocità con cui si avvicina, ma si accorge dello slancio che prende. Si accorge del braccio che si solleva e del pugno stretto tanto da sbiancarle le nocche.

Fa male quando si abbatte sulla mascella, ma la giovane Griffin sembra distaccarsi dal suo corpo, percepire il dolore fisico semplicemente come un lieve pizzico.

E Raven la colpisce con il primo pugno dritto in faccia, e va bene. Forse quello è sempre stato il loro destino, l’unico motivo per cui le loro strade si sono intrecciate: sono nate per amare lo stesso uomo e per perderlo,  per odiarsi fino al disgusto, fino al rigetto totale di qualsiasi altra emozione.

Il secondo pugno fa ancor meno male del primo, ma è in grado di mettere Clarke direttamente in ginocchio.

Nessuna delle due si accorge delle persone che le circondano, del corpo di guardia che tenta invano di separarle, dei loro amici che le fissano impietriti, con il capo reclinato in avanti di Finn ancora fisso negli occhi.

Per la giovane Griffin, l’eroica e coraggiosa giovane Griffin, non esistono altro che le oscure iridi del meccanico più intelligente dell’Arca, o del Campo Jaha, insomma.

Continua a fissarla dal basso, in ginocchio davanti a lei, e l’altra ragazza continua a colpirla, una, due, tre volte.

Una parte della mente della bionda si domanda perché nessuno gliel’abbia ancora staccata di dosso, mentre un’altra parte le risponde che è ovvio, forse gli altri si stanno perfino godendo quella bella scenetta.

Forse l’assassina senza il minimo rimorso merita di essere pestata a sangue, di essere ridotta in una cazzo di polvere nera e sporca.


  
If you must die, sweetheart, die knowing your life was my life’s best part


 
“Sono così stanca.”

E sa che non ci sarebbe mai potuta essere altra persona pronta a stringerle la mano e ad accarezzarle i capelli, perché questo è sempre stato il posto di Finn.

C’è sempre stato lui, quando sua madre si dimenticava di tornare a casa e mentre studiava per lo Zero G, perciò non potrebbe non esserci ora, quando il dolore è così forte da partire in un punto e diffondersi in tutto il corpo in pochi attimi.

Raven percepisce senza la minima difficoltà la punta fredda del bisturi poggiarsi delicatamente contro la pelle e scavare, scendere in profondità fino a un punto della sua carne che fino a quel momento non credeva nemmeno esistesse.

Le urla aiutano a buttare fuori il fuoco che le brucia dentro, ma l'unico antidolorifico che  sembra fare effetto sono i suoi occhi nei propri e la sua mano fra i capelli bagnati dal sudore.

Non ha tempo né forza di fermarsi un attimo a ragionare, a ricordare a se stessa che solo qualche settimana prima aveva deciso di chiudere per sempre qualsiasi riferimento alla loro vita insieme.

Il dolore è semplicemente troppo, sembra insinuarsi e sguazzare e mischiarsi al suo sangue e raggiungere qualsiasi terminazione nervosa.

Sa che non c'è scampo, che deve stare ferma e aspettare, mettere per un attimo da parte l'impazienza del suo caratteraccio, e ancora una volta l’unico rifugio che riesce a trovare sono gli occhi di Finn.


 
If you must die, remember your life


 
Questo è il primo ricordo che le torna alla mente quando vede il suo capo cadere in avanti e la chiazza di sangue espandersi su tutto il tessuto della sua maglietta.

(Quante volte gli avrà lavato quella dannata maglietta?  È la sua preferita. Era la sua preferita.) E la testa gira. Forte.

E i ricordi della loro vita insieme continuano a susseguirsi anche ora, quando ormai il volto di Clarke è sporco del sangue simile a quello che ha sulle mani, del sangue della persona che entrambe amano. Amavano. No, amano, perché l’amore non finisce di certo così. Di certo non scompare perché uno muore.

Il fatto è che c’è tanta confusione nella mente di Raven, il cui pugno destro comincia a fare male, e la testa continua a girarle vorticosamente, perché al suo interno si susseguono il passato – che è appena divenuto tale, che non sarà mai nient’altro che passato – e il presente in una danza caotica e furiosa, perché non riesce più a distinguere fra gli incubi che riviveva ogni notte e ciò che sembra davvero essere accaduto, perché davanti ai suoi occhi scorrono e sfilano le parole che Finn le ha detto e la scena avvenuta a pochi passi da lei.

E tutto quello a cui riesce a pensare, tutto quello che non riesce ad essere spazzato via dalla nebbia delle lacrime, è che desiderava un addio.

Ecco la grande differenza fra lei e Clarke, ecco il motivo per cui non potrà mai perdonarla: lei non ha avuto un addio. Non l’ha stretto per l’ultima volta, non ha visto la luce abbandonargli le pupille.

Sarebbe forse cambiato qualcosa? Forse no. O forse sarebbe cambiato tutto, forse non avrebbe odiato la sua leader tanto quanto la odia ora.

La odia tanto da volerla uccidere, e nemmeno si pente di averlo pensato. A dire il vero, probabilmente l’ha urlato, perché è in quel momento che le braccia di Bellamy tornano ad avvolgerla da dietro, e il braccio sinistro di lui le attraversa il petto e le stringe la spalla destra, mentre le loro dita si trovano e lui le tiene forte l’altra mano.

« Non vuoi farlo! » La ammonisce lui, sussurrandole all’orecchio ciò che la sua razionalità già le sta urlando, ma lei non presta ascolto.

Gli occhi iniettati di sangue, una vena del collo che continua a pulsare violentemente, Raven urla al corpo di Clarke accasciato ai suoi piedi.

« Ti ammazzo! Giuro che ti ammazzo! »

« Raven! » Qualcuno le urla dalla folla, ma lei è troppo occupata a tentare di districarsi dalla stretta di Bellamy.

« Avevi promesso che l’avresti salvato! Non bastava la prima volta, non bastava, non è vero? Mel’hai portato via. Come hai potuto, Clarke? Come hai potuto? »

 È in quel momento che l’altra ragazza sembra risvegliarsi. Lasciando finalmente cadere il proprio sguardo a terra, la giovane Griffin si getta in avanti e le abbraccia le ginocchia, il volto soffocato contro il suo tutore, e continua a stringerla anche quando la bruna si immobilizza.

Per un attimo rimangono ferme così, una in ginocchio, il volto e le mani sporche di sangue, incapace di fare nient’altro se non aggrapparsi a quelle gambe che per un attimo hanno smesso di funzionare, e l’altra a fissarla dall’alto, le lacrime a rigarle il viso disgustato.

« Perdonami. » Sussurra.

 Quella è la goccia che fra traboccare il vaso, la goccia che va a disperdersi nel mare di disperazione che è ora il corpo di Raven.

No, non può sopportare anche quello.

E così, facendo leva sulla schiena del maggiore dei Blake, si muove prima di riuscire a far qualsiasi altra cosa: il ginocchio sale a colpire la sua mascella, distrutta dai pugni precedenti, e il corpo della bionda ondeggia pericolosamente all’indietro; poi scalcia così forte che la punta del suo stivale sinistro riesce a schiantare la bella Principessa dritta sulla schiena, un rivolo di sangue a colarle giù dal naso e dalla bocca.

Clarke non si rialza.

L’altra capisce di aver esagerato quando subito davanti a lei appaiono due guardie armate e il moro inizia a trascinarla via da lì con tutte le sue forze.

« Ti odio! Ti odio, ti odio, ti odio! » Non smette di urlare, la piccola Reyes, non smette di urlare nemmeno quando il corpo della bionda è lontano, e lei reclina il capo contro la spalla di Bellamy e grida al cielo.

Grida alle stelle, laddove una volta c’era l’Arca. Laddove Finn poteva vivere.

Alla fine le sue urla si estinguono, tramutandosi in un basso e infinito rantolo di insulti e parole sconnesse, e Raven si fa trascinare via inerme.

In quel momento, una parte della sua mente, quella che è rimasta lucida per tutto il tempo, si rende conto di quanto sia priva di forze, di quanto ora chiunque potrebbe fare di lei ciò che vuole.

Ed è felice che sia il suo leader, il suo unico leader – da questa notte in poi Clarke non sarà altro che un nome pronunciato in passato, un’ombra insulsa, un cazzo di niente – ad accompagnarla durante tutta l’oscurità.


 
If you must mourn, my love, mourn with the moon and the stars up above
 

 
La Principessa di Phoenix tossisce, stesa al centro del campo e ricoperta di sangue, e c’è un momento, prima che qualcuno arrivi a soccorrerla, in cui i suoi occhi spaesati si fissano sulle stelle.

La Terra le ha dato tante cose: la peggiore di queste, i ricordi.

Questa non è la prima notte in cui ha temuto per la vita di Finn, e nella luminosità notturna del cielo e delle fiaccole rivede la lama affondata nel suo fianco, sente le urla di Lincoln riecheggiarle nelle orecchie, e percepisce le proprie mani impaurite mentre cerca di tirar fuori il coltello dalla sua carne.

Raven è appena atterrata nel Nuovo Mondo, portando con sé il carico violento della verità, e non c’è niente in cui Clarke possa rifugiarsi per continuare a vivere la loro bugia.

Deve rinunciarci. Deve rinunciare all’unica cosa positiva che sembra esserle capitata fino a quel momento, circondata dal suo odio per Wells, dalle minacce di Bellamy e Murphy, dall’euforia di cento ragazzini che ancora non sanno niente del sangue, della guerra, della morte.

La Nuova Clarke rivede nelle stelle la Vecchia Clarke accasciarsi sul petto di Finn e piangere, abbandonarsi ad un atto di debolezza che non può permettersi.

“ Non posso farcela senza di te.” Gli sussurra.

Poi lo scenario cambia, e c’è la Vecchia Clarke che corre verso di lui e che non si ferma finché non lo sente premere forte contro di sé, finché non lo sente stringerla e sollevarla da terra.

“ Stai bene.”  Risente se stessa pronunciare quelle parole contro la sua giacca, e il suo respiro mischiarsi nei capelli biondi e sporchi.

Tutto ad un tratto, nell’esatto momento in cui qualcuno – solo in seguito si accorgerà che è Jaha – la tira su dal terreno, la giovane Griffin sbatte le palpebre ed è di nuovo lì, e quella volta Finn è morto per davvero, e lei non l’ha salvato, e non c’è niente che avrebbe potuto fare per salvarlo.

La Terra dà e toglie senza pietà.

Non fa nulla per aggrapparsi più forte alle spalle del padre del suo migliore amico, quel migliore amico di cui avrebbe bisogno ora, e lascia le braccia penzolare verso il basso.

Nemmeno quando sua madre corre verso di lei e le accarezza i capelli, Clarke riesce a fare qualcosa.

Lascia che le carezze di Abby le adagino lentamente il capo contro il petto di Thelonious, che la tiene fra le braccia come quando aveva cinque anni, e fra i corpi dei due adulti rimane ferma, senza parlare, senza guardare in faccia nessuno. Se solo le sue palpebre fossero chiuse, parrebbe addormentata.

Rimane immobile, congelata con lo sguardo fisso sulle stelle e le lacrime di cui non si è nemmeno accorta che le colano ai lati degli occhi, e l’unica cosa su cui si concentra è il sangue che sente mischiarsi alla saliva e il sangue che si è attaccato alle sue mani come una seconda pelle.

Il sangue è la sua nuova casa. Non è di questo che deve preoccuparsi. C’è solo rosso nei suoi occhi, anche quando il suo corpo inerme e immobile viene appoggiato ad una barella.

 
Uccidere una persona a cui si vuole bene non è la cosa peggiore che le si può fare.
 
 
If you must fight, fight with yourself and your thoughts in the night


 
Raven rimane nella tenda di Bellamy finché il sole non sorge, accasciata contro il suo petto, facendogli grondare la maglietta di inutili lacrime.

Ogni tanto lui le sussurra che va tutto bene, le accarezza i capelli, districando con le dita i nodi della sua coda.

Lei non vuole staccarsi dalla sua stretta, e tiene l’orecchio premuto contro il suo cuore come attratta dal canto di una sirena. Non si muove di un centimetro, non ha fame, non ha sete, non ha più niente, e rimane ad ascoltare i battiti lenti e continui, cercando di adattarli al proprio respiro.

Bellamy è vivo e Raven non ha mai sentito suono più dolce di quel battito, quell’incessante pulsare che le arriva dritto nei padiglioni auricolari e giunge al cervello, estendendosi in tutto il corpo come la più soave delle ninne nanne.

Raven ascolta il suo cuore e in esso sente il cuore di Finn che non batterà mai più, che non sarà mai più vivo come lo è lui ora, che rimarrà un organo morto di un corpo morto in una terra morta piena di persone morte dentro, che non hanno più nemmeno la decenza di sparire.

E ancora il cuore di Finn che non batterà mai più e la sua voce che non potrà più calmarla e i suoi occhi che non saranno più il suo rifugio e le sue braccia che non la stringeranno più.

E la famiglia che non ha più.

Raven vorrebbe dire di essersi addormentata, a un certo punto, di esser riuscita a cedere alla stanchezza, ma non può.

La verità è che è rimasta cosciente, sempre, in ogni attimo, ad ogni rintocco della notte più lunga e più buia della sua esistenza, con gli occhi spalancati e il respiro veloce e l’orecchio schiacciato contro la gabbia toracica di Bellamy Blake.

Al sorgere del sole, quando i loro corpi sono rimasti accasciati l’uno sull’altro sul pavimento morbido della tenda di lui per ormai troppe ore, lei solleva finalmente la testa.

Non è sorpresa di trovare i suoi occhi svegli e pronti, nonostante il viso stanco e l’espressione avvilita. Dentro di sé, Raven promette di non dire mai di aver sentito una lacrima caderle sul naso, durante una di quelle ore lente e silenziose. Promette di non dire mai che il grande e grosso lupo cattivo ha pianto per un ragazzino qualsiasi.

Lui sembra capirla senza parole, e continua a fissarla con quegli occhi neri che non dicono mai abbastanza.

« Va’ da lei. » Quando parla, la sua voce è atona. Tossicchia lievemente, deglutisce, poi dice: « Grazie. »

Il maggiore dei Blake sta per uscire, nel momento in cui lei lo richiama dal suo letto. Si copre un po’ di più il viso con la pelliccia, e parla.

« Non avresti mai dovuto farlo. » Lo ammonisce.

Lui non ha nemmeno bisogno di chiedere a cosa si riferisca, perché subito dopo continua.

« Non avresti mai dovuto innamorarti di Clarke Griffin. »


 
If you must work, work to leave some part of you in this Earth


 
Quando Bellamy arriva alla stazione Alpha, non è sorpreso di trovare Abby intenta a convincere sua figlia a farsi visitare.

« La tua mascella potrebbe essere fratturata, Clarke. Devo controllare. Stai sanguinando.»

Non appena il moro le raggiunge, il silenzio cala. La più giovane non lo guarda negli occhi, sua madre gli parla con gli essi, poi se ne va.

« Non vuoi ripulirti? » Domanda lui, sedendosi al suo fianco vicino alla barella.

« Ho ripulito quello che dovevo. » Sussurra lei, fissandosi le mani bianche e pallide.

Allora capisce cosa vuole fare. Non è difficile scoprire il suo gioco, smascherare le sue intenzioni: la sua co-leader vuole punirsi, e l’unico modo per farlo è lasciare che il suo stesso sangue le nasconda il viso.

Il viso di un’assassina, di una traditrice, di una senz’anima.

Non esita nemmeno un attimo, lui, e subito copre le sue dita con una sola mano. Le stringe polsi, delicatamente e con fermezza allo stesso tempo.

Ci sono tagli sul dorso della sua mano, e cicatrici, e preferisce che Clarke si perda in esse, piuttosto che nelle proprie.

« Me ne sto andando, Bellamy. » Annuncia lei dopo qualche attimo, continuando a fissare inerme le loro mani intrecciate.

« Va bene. » È la sua risposta immediata. « Quando partiamo? »

Solo in quel momento solleva il volto, e incontra la sua espressione fiera e coraggiosa.

« Da sola. Me ne sto andando da sola. Hanno già preparato una tenda per me, all’accampamento di Lexa. »

« Che stai dicendo? » Il suo tono è confuso, ma una parte di lui ha già capito.

« Dobbiamo prepararci per il Mount Weather. Ho già lasciato una mappa per voi, ma è meglio che io… »

« Assolutamente no, andremo insieme. » Il maggiore dei Blake la interrompe con aggressività, e per un attimo si pente di essere stato troppo duro.

Clarke scioglie la presa delle loro mani e lascia che alcune ciocche di capelli le coprano il viso.

« Bell- »

Il moro scende dalla barella con un salto repentino e le si para davanti, incrociando le braccia al petto.

« Ho detto che partiamo insieme. »

Solo in quel momento la giovane Griffin alza lo sguardo e incontra finalmente il suo, anche se non c’è altro che ghiaccio e freddo nei suoi occhi blu.

« E io ho detto che andrò da sola. Puoi monitorare la situazione da qui. »

« Stronzate. »

« Cosa? » Solleva le sopracciglia.

« Stronzate », mima Bellamy, come se stesse parlando con una bambina, « tu stai scappando, e io non te lo permetterò. »

« Non ho bisogno del tuo permesso, Blake. Ho detto che partirò e lo farò da sola, parlerò con Lexa, troveremo una soluzione. » Tutto purché stia lontana da qui, sono le parole che non ha urgenza di dire, ma che riecheggiano chiaramente.

« Clarke. » Non ha bisogno di aggiungere altro, poiché il suo semplice nome è un sufficiente ammonimento.

« Non farlo. » Lo prega lei, sussurrando.

« Ascoltami, so come ti senti. So come ti vedi, ma io posso- »

« Non mi importa! » Improvvisamente alza il tono di voce, e si stacca dalla barella su cui è rimasta seduta per tutta la notte. « Non mi importa di quello che pensi. Non mi importa di quello che puoi fare. Non ti voglio con me, è così difficile da capire? »

Il fatto è che la morte non è solo di chi chiude gli occhi, ma anche di chi continua a guardare. E lei ha visto troppe cose per riuscire a tacere.

Bellamy si irrigidisce improvvisamente, un muscolo della mascella gli balza contro la guancia, e il suo sguardo si aguzza.

Poi,come se avesse sempre vissuto in un castello di cristallo e questo si fosse appena frantumato davanti ai suoi occhi, la sua espressione si ammorbidisce.

Proiettili e spade fanno male, ma attenti a quelle parole bastarde e affilate.

« Non possiamo farcela senza di te, Clarke. » E si accorge solo dopo averlo pronunciato, che questo è esattamente quello che lei gli ha detto tempo prima. Le ultime parole che entrambi credevano d’essersi rivolti, prima di veder spazzato via il loro futuro nella nebbia del gas nervino e nella cenere di centinaia di cadaveri bruciati vivi.

I suoi occhi cercano quelli di lei, ma quelle iridi colpevoli stanno ancora fissando le chiazze umide sulla sua maglietta.

« Non posso restare qui. Cosa vuoi che ti dica, Bellamy? »

Compie un passo avanti, il maggiore dei Blake, e questo basta a far sì che lei riesca finalmente a guardarlo. Quando i loro sguardi si incontrano, riesce a vederne la consapevolezza. Ha capito. Ha capito che lui le sta chiedendo molto di più: le sta chiedendo di ricordare.

Di ricordare com’è stata la loro vita, di ricordare com’è stato perdersi e credere d’essere soli.

« Voglio che tu dica che sei con noi. » Mormora, e non c’è altro modo per comunicarle i suoi segreti più profondi, se non quello di lasciare che lei gli guardi attraverso. « Che sei con me. » Ancora più piano.

Clarke, il volto sporco di sangue e livido di pugni, non può far altro che fissarlo di rimando.

Clarke vede la sua preghiera, vede che ha bisogno di lei almeno quanto lei ne ha di lui, e  non c’è più forza, non c’è più coraggio.

È di nuovo la ragazzina impotente che piangeva sul ventre di sua madre e sul petto di Finn.

« Non posso restare. Non riesco. » La sua voce si spezza, crolla, e ci sono lacrime sul fondo dei suoi occhi angosciati. Non abbastanza perché si rovescino sulle sue guance, però.

« So che puoi farcela. Lo so. So anche che ora come ora non pensi di meritare niente, non pensi di essere chi noi abbiamo bisogno che tu sia, ma lo sei sempre stata. Io ti conosco. »

E Clarke vorrebbe dire che tutto ciò che vuole è toccare il fondo, almeno così potrà riposarcisi contro, ma è difficile abbandonarsi quando ci sono due occhi così neri pronti a riportarla indietro, a supplicarla di essere chi è.

Clarke Griffin non è un mostro.

Clarke Griffin non è quello che è stata costretta a fare.

Clarke Griffin non è il suo dolore.

Se solo lo capisse.

Il maggiore dei Blake si avvicina ancora, sollevando la mano destra e accostandola alla sua guancia, senza però toccarla davvero.

Piega la testa verso di lei, incapace di smettere di guardarla anche per un solo attimo. Dice: « Ti conosco. » E la sua voce è poco più di un sussurro.

La giovane Griffin è sorpresa di se stessa quando, colta da chissà quale impulso, si appoggia al suo palmo. Lascia che lui la tenga su, anche quando tutto ciò che vorrebbe fare è abbassare la testa e semplicemente spegnersi.

«  Non chiedermi di fare qualcosa che non ho la forza di fare. Non chiedermelo ora, Bellamy. »

Ed ha il coraggio di guardarlo negli occhi mentre gli dice che lo lascerà e che lui non potrà fare niente per farla restare. Non ci si abitua mai a dire addio, ma lei pensa di esserne particolarmente portata.

Si chiede quando potrà finalmente smettere di farlo. Quando potrà finalmente tenere qualcuno con sé, invece di lasciarlo andare così lontano da non vederlo nemmeno più.

Forse è per quel motivo che ha bisogno di andare via da lì, che ha bisogno di salvare Jasper, Monty, e Miller, Harper, e altri quarantatre della sua gente prima che qualcuno le porti via anche loro. Prima che possa essere troppo tardi anche per loro.

E sa che non può farlo, da lì. Sa che non può salvare il resto dei suoi amici quando a due passi da lei c’è l’amica che invece ha tradito, l’amica che ora la odia più di quanto potrebbe odiare Murphy, o Jaha, o chiunque altro sia responsabile della sua presenza su quella schifosa Terra.

L’amica a cui ha portato via la famiglia, e l’affetto, e il calore di chi si era già sacrificato una volta per lei, indossando quella stramaledetta tuta.

Clarke non può sopportare di vedere ancora quello sguardo nei suoi occhi, quella furia cieca e quel disgusto più dolorosi dei pugni e dei calci, più fatali di qualsiasi schiaffo, perciò deve andarsene.

« Ho bisogno di sapere che rimarrai con lei. »

E Bellamy stringe i pugni. Dio solo sa quanto sia preoccupato per Raven – e non si tratta del letto, ma del dolore che hanno condiviso – e quanto voglia proteggerla, in qualche modo, da tutto quel tormento, ma Clarke, oh Clarke…

« Dillo. » Lo supplica.

E lui non può dire che rimarrà con lei, perché significherebbe lasciare la sua co-leader.

« Bellamy. » Lo prega.

No, non la perderà.

« Non rimarrò. » Gli fa presente, scavando ancora di più il coltello nella piaga. Oh, pessima metafora.

« Va bene. » Parla prima che il suo cuore possa fermarlo, prima che quella pazzia che sente comprimergli il petto riesca ad avere la meglio. « Non la lascerò. » Non ti  lascerò.

Come dannazione ci è arrivato fin lì? Dov’è finito il “Quel che diavolo vogliamo”? Nel cesso emotivo che è la sua vita, ecco dove.

Perciò Bellamy allontana la mano dal suo volto, smette di toccarla, perché non può chiedergli anche quello.

Non può chiedergli di lasciarla andare e di farselo anche andare bene. La verità è che non gli sta bene. Non gli starà mai bene, finché le parole di lei continueranno a riecheggiargli nelle orecchie.

(“Devi tornare indietro con me, ok?”  E per quanto avesse voluto fuggire, per quanto fosse pronto, lui è restato. È restato solo perché lei glie lo aveva chiesto. Quindi no, non gli sta bene.)

« Solo… So quello che stai facendo, va bene? » E vorrebbe mantenere un’espressione neutra. Oh, vorrebbe così tanto rimanere impassibile, ma ci sono rabbia e amarezza nei suoi occhi e nella sua voce e lui è troppo stanco per mascherarli. Anche lui questa notte ha perso un amico, vorrebbe urlarle. Anche lui ha pianto, ed è stanco. « Semplicemente non avrei mai creduto che saresti stata tu ad andartene. A scappare. »

Non aspetta che lei aggiunga qualcos’altro, non aspetta di sentire altre parole. Le volta le spalle.

« Questo non è un addio, Bellamy! » Alza la voce dietro di lui.

Lui non risponde.

Non sa quando la rivedrà. Se la rivedrà. Lei ha preso la sua decisione; forse libereranno insieme la loro gente e lei rimarrà comunque con Lexa, li abbandonerà in ogni caso.

Forse scapperà prima di dover affrontare chi è ancora intrappolato in quella montagna, caricandosi uno zaino sulle spalle e fuggendo nel silenzio della notte.

O forse fin dall’inizio è stato questo il suo destino: Clarke Griffin è nata per essere costantemente alla ricerca di una casa e per essere sempre destinata a perderla.


 



 

Uccidere una persona a cui si vuole bene non è la cosa peggiore che le si può fare. "  Chuck Palahniuk, Ninna Nanna.




 
  
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