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Autore: rachel_hetfield    03/01/2015    3 recensioni
Scossi la testa con nervosismo. Aveva uno sguardo così penetrante. Non poteva essere Gerard Way, lui era morto. Era morto ieri sera, davanti a me, davanti ai miei occhi, avevo assistito ai suoi ultimi secondi di vita. Mi sentii stringere il petto. Che sensazione orribile.
«Volevo chiederti se è libero accanto a te» disse con tranquillità, come se non avesse capito che ero terribilmente a disagio. [...]
Non sapevo nemmeno che faccia avesse Gerard Way, poteva essere chiunque. Forse il ragazzo della macchina era un soggetto, quello della panchina era un altro, e Gerard Way non era nessuno. Sì, non era nessuno. Dovetti ripetermelo diciassette volte per convincermi. Gerard Way non era nessuno. Non l’avevo mai visto. Stavo bene. Non ero pazzo.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Feci schioccare le dita per la terza volta, cercando di contenermi mentre mi stiracchiavo. Ormai non prestavo attenzione alle lezioni da un bel po’ di tempo, da quando avevo cambiato scuola. Non che fossi un  alunno modello, o studioso o con tanta voglia di imparare, semplicemente non rischiavo mai la bocciatura o temevo di perdere un anno, cosa che invece stava accadendo quell’anno. Curioso, il fatto che me ne importasse. Ero all’ultimo anno, in una scuola diversa, la terza che cambiavo, un diciottenne annoiato e anche poco socialmente attivo.
All’uscita al suo solito c’era mamma in auto, china sul suo cellulare concentrata a completare qualche gioco idiota di caramelle e palline da far scoppiare. Era divertente osservarla e vederla imprecare dentro di sé quando sbagliava o perdeva la partita.
«Frankie, scusa, ero così concentrata qua sopra...»
Ridacchiai. Era davvero divertente.
«Niente di nuovo nemmeno oggi, vero? Ah, ho anche fatto le unghie, carine vero?» disse tutta contenta mentre me le sventolava davanti alla faccia. Annuii cercando di dire qualcosa di carino ma riattaccò a parlare.
«Sei silenzioso Frankie, che hai tesoro? Non ti piacciono?»
Scossi la testa aprendo bocca, ma mi interruppe di nuovo. Era una scena comica, vista da qualcun altro, ma per me era un momento difficile. Mamma era sempre stata morbosa con me, l’unico figlio che doveva crescere e anche da sola.
Decisi di fingere di avere mal di testa per zittirla e mi appoggiai al finestrino. Si stava avvicinando la settimana di vacanze natalizie, non vedevo l’ora in un certo senso. Non mi sarebbe mancata la scuola, ero molto pigro e molto timido, quindi stare a casa a dormire qualche ora in più e andare a letto tardi era come infrangere un po’ le regole per me, staccare da tutti,  e ne avevo bisogno.
«Hai mangiato qualcosa in mensa?»
Annuii a mamma che aprì la porta di casa, così potei entrare e salire su per le scale fino alla mia camera, dove mi sedetti sul letto sospirando. Era una giornata piuttosto tranquilla. Mi piaceva avere giornate tranquille. Non avevo una gran voglia di fare qualcosa, anche se avrei potuto fare tante cose come disegnare, scrivere, leggere, mettere musica, ma la pigrizia vinceva sempre e me ne stetti sdraiato sul materasso a fissare il soffitto.
«Frankie» chiamò mamma da dietro la porta bussando, ma non aspettò il permesso per entrare «ti va una pizza con i vicini stasera?»
Girai la testa verso di lei e mi misi a sedere. Mi strinsi nelle spalle. Avevo dimenticato che fosse sabato e che mamma aveva sempre impegni con amici e compagnie varie, e cercava sempre di trascinarmici.
«Dai Frank, non puoi restare a casa anche oggi, così sembri asociale, e non lo sei, quando sei con la compagnia giusta ti diverti così tanto!»
Alzai gli occhi al cielo, e alla fine annuii. Non ero di molte parole, mai stato, mi limitavo a dire “sì, no e forse” con la testa e con gli occhi. Accettai, alla fine era solo una serata in compagnia. Magari non mi sarei annoiato, avrei anche potuto fare amicizia con i vicini di casa. Mamma era socievole. Io ero abbastanza timido.
Guardai l’ora, era ancora primo pomeriggio, che avrei potuto fare fino a sera? Giocare alla playstation, disegnare, leggere qualcosa... optai per il sonno. Dormii. Non fu difficile addormentarmi.
 
 
«Frankie, mi raccomando, presentati, sii gentile, offri una mano e soprat- buonasera!»
Roteai gli occhi, ed era già un modo per stare antipatico ai vicini. Si presentò alla porta una signora di almeno mezza età, che ci scrutò con gratuita simpatia, ma che non mi andò a genio. Mamma sembrò gettarsi tra le sue braccia, fossi stato nella padrona di casa mi sarei spaventato, e invece ricambiò l’abbraccio cordialmente. Feci saettare lo sguardo ovunque quando dovetti entrare pur di non guardare in faccia nessuno, e sembrò funzionare finché mamma non mi agguantò il braccio come una piovra presentandomi alla coppia adulta davanti a noi, che mi fissavano in modo insistente e con un sorriso largo che sembrava messo apposta come su una statua di cera. Mi sentii in soggezione e per poco non mi venne un attacco di panico. Lui mi tese la mano, e quando dovetti porgere la mia per presentarmi, stava sudando. Ottima mossa, Frank.
La serata procedette così, tra sguardi all’apparenza felici e cordiali, che mi mettevano a disagio e dovetti constantemente tenere la testa bassa, finché ci proposero di andare a fare un giro nel centro della città. Mamma, come al suo solito, era d’accordissimo, le piaceva camminare e andare in giro. Io fui costretto a seguirli.
Tutto d’un tratto fui attratto da un rumore assordante. C’erano due automobili che slittavano sul cemento liscio. Una delle due finì capovolta. Non seguii tutta la scena. Non capii cosa successe davvero. Vidi solo le due automobili , una capovolta, l’altra contro il muro, ammaccata. Ne uscì fuori un uomo, barcollando. Aveva dei tagli sulla fronte.
«Frank!» chiamò mia madre. Mi voltai un attimo e tornai a guardare la scena. Perché non si avvicinavano anche loro a guardare? Perché ignoravano quell’incidente? Qualcuno poteva essersi fatto male.
«Frank, non fermarti!»
Feci per avvicinarmi, ma lei fu più veloce e mi tirò per un braccio. «Andate avanti.»
Furono le prime parole della serata. Mamma mi ascoltò. Si allontanò con la coppia adulta e rimasi da solo ad assistere a quel casino. Non c’era folla attorno a tutto quanto. Non c’era nessuno in giro.
L’uomo cadde per terra, pensai di dover andare a dare una mano, ma qualcosa mi bloccava. Mi sentivo paralizzato.
Distolsi lo sguardo per un attimo, e quando guardai c’era un’ambulanza. Quando era arrivata? Non l’avevo sentita, nemmeno la sirena. Vidi che prendevano dall’auto capovolta il corpo esile e giovane di un ragazzo dai capelli corti e color rosso fuoco. Lo guardai. Aveva gli occhi chiusi e le sopracciglia contratte. Stava soffrendo. Era così bello. Feci per avvicinarmi, ma dopo due passi mi sentii paralizzato di nuovo. Lo misero nella vettura. Sentii il rumore delle scariche elettriche. Poi sentii il fischio della macchina per il battito cardiaco. Sentivo qualunque cosa. Una scarica di terrore mi percorse la schiena, riempiendomi di brividi, qualcuno era morto, era morto davanti a me. E nessuno si era avvicinato per vedere appena era successo.
Non trovai quella forza che mi opponeva a muovermi. Riuscii a sbloccarmi e indietreggiai. Corsi via.
La mattina dopo in città, nella piazza principale, vidi un gruppo di persone.  Mi avvicinai per vedere cosa stesse succedendo, e stavano tutti in fila per firmare qualcosa. Fu il mio turno, ma non firmai. Riuscii solo a leggere un nome: Gerard Way.
Mi chiesi chi fosse, perché non lo avessi mai sentito nominare. Forse aveva la mia età, forse più grande. Una donna dietro di me faceva le stesse domande, e le risposte furono “quel giovane caro, ha perso la vita così presto” e un’altra “la macchina si è capovolta e lui è morto sul colpo”.
Parlavano di ieri. Dell’incidente di ieri. Nessuno si era avvicinato, nessuno se n’era preoccupato, allora perché improvvisamente firmavano qualcosa per la sua morte così all’improvviso? Cos’era successo in quelle dieci ore di tempo?
Mi sedetti sulla panchina vicino all’ingresso del parco, come ogni domenica mattina. Un’ombra davanti a me sembrò sostare. Non alzai lo sguardo. Magari non ce l’aveva con me.
«Scusami, potr-»
Sobbalzai. Si spaventò anche la persona davanti a me per la mia reazione. Non aveva una voce così roca. Aveva un tratto del viso femminile, se non fosse per le sopracciglia. Lo osservai meglio, e in due secondi mi balenò in mente lui, quel Gerard Way, quello morto nell’incidente.
«Ti ho spaventato?»
Scossi la testa con nervosismo. Aveva uno sguardo così penetrante. Non poteva essere Gerard Way, lui era morto. Era morto ieri sera, davanti a me, davanti ai miei occhi, avevo assistito ai suoi ultimi secondi di vita. Mi sentii stringere il petto. Che sensazione orribile.
«Volevo chiederti se è libero accanto a te» disse con tranquillità, come se non avesse capito che ero terribilmente a disagio. Annuii. Dopotutto sapevo fare solo quello: dire “sì, no e forse” con la testa.
Si sedette. Presi il cellulare e guardai nervosamente lo schermo, facendo avanti e indietro con la schermata principale come se fossi impegnato a fare qualcosa. Fui tentato di alzarmi e scappare ma sarebbe sembrato fatto apposta. Quel ragazzo era Gerard Way. Ma Gerard Way era morto.
«Scusa, sai l’ora? Ti sto dando fastidio, lo so.»
Alzai di scatto la testa e ci scambiammo un’occhiata. Reagii imbarazzato qualche istante dopo. Lessi l’ora.
«Le dieci e mezza.»
Annuì con gratitudine. Anche quando distolse lo sguardo per cercare nella sua tasca qualcosa, continuai ad osservarlo. Non poteva essere Gerard Way. Gerard Way era morto.
Tirò fuori un libro. Era Il Palazzo Della Mezzanotte. Cavolo, uno dei miei libri preferiti!
«Ti piace Zafòn?» chiesi, senza nemmeno pensarci due volte. Lui mi guardò con uno strano bagliore negli occhi.
«È il mio autore preferito» sorrise a trentadue denti. Notai che aveva dei denti piuttosto piccoli. Era inquietante da vedere, ma il suo viso era davvero bello. Aveva gli occhi verdi. Verde chiaro, stupendi.
«Ho letto Il Palazzo Della Mezzanotte quando ero più ragazzo, ne ero innamorato» iniziai una conversazione con una persona che forse era morta, e nemmeno lo sapevo. Forse parlavo da solo. Forse ero pazzo.
Lui annuì. «Il mio preferito è Il Gioco dell’Angelo. Sai, misteri, tanta gente che muore... sono proprio il mio genere. Non sono psicotico, semplicemente mi piacciono le cose psicotiche» fece una risatina che sembrò forzata.
Rabbrividii.
«Ho capito solo dopo aver letto L’Ombra del Vento il vero significato di quel romanzo. È davvero tutto molto contorto, non trovi?»
Improvvisamente non sapevo cosa rispondere. Non era Gerard Way quel ragazzo. Gerard Way era morto.
Feci che annuii, turbato. Se ne accorse. Stava per chiedermi se avessi qualcosa, lo sospettavo. Ma mi alzai mormorando una scusa qualsiasi e mi allontanai stringendo le dita in un pugno. Non sentivo il cuore battere così velocemente da troppo tempo.
 
 
«Ma che ti è preso ieri sera? Cosa guardavi?»
Mi meravigliai di quella domanda. Cosa guardavo, aveva chiesto. Non aveva visto niente, o forse non aveva voluto vederlo.
«Frank» insistette.
«Mamma, chi è Gerard Way?»
«È morto in un incidente stradale qualche anno fa, era il figlio del sindaco Way. Perché me lo chiedi?»
Qualche anno fa?
«N-no così, ero curioso. Sì, ero curioso.»
Mi guardò di traverso. «Frank, hai smesso di prendere i farmaci? Di nuovo?»
Io non prendevo medicinali. «C-che farmaci? Cosa stai dicendo? Credi che sia pazzo? Non sono pazzo!»
«Calmati, tesoro, calmati, fai finta che questa conversazione non sia mai esistita.»
Corsi di sopra, in camera. Raggiunsi la camera. Mi venne in mente quel ragazzo dai capelli corti e rossi come il fuoco uscire dalla macchina, senza vita. Poi lo vidi di nuovo, che mi chiedeva l’ora, sorridente, sereno. Uscii dalla stanza. Aprii la porta del bagno. Vomitai. Non ero pazzo. Gerard Way era morto. Non era Gerard Way, l’avevo scambiato per qualcun altro. Non sapevo nemmeno che faccia avesse Gerard Way, poteva essere chiunque. Forse il ragazzo della macchina era un soggetto, quello della panchina era un altro, e Gerard Way non era nessuno. Sì, non era nessuno. Dovetti ripetermelo diciassette volte per convincermi. Gerard Way non era nessuno. Non l’avevo mai visto. Stavo bene. Non ero pazzo.
 
 
 
 
 
SPAZIO AUTRICE (leggetelo, almeno questo qui)
Premetto che è la prima fanfiction frerard che scrivo nonostante le mille idee che ho sempre in mente (idee migliori di quelle di Gee sicuramente), nonostante la tanta voglia di scrivere qualcosa, questa è la prima frerard in assoluto.
Come potete notare è piuttosto strana e ammetto di essermi ispirata moltissimo a A Splitting Of The Mind, che un bel numero di sventurati ha letto e che probabilmente hanno ancora quella ferita scoperta nel sentirla nominare, ebbene, se trovate dei riferimenti a quella fanfiction sappiate che sono fatti apposta, non intendo copiare l’autrice e prendermi dei meriti non miei.
Ringrazio Miriam (@ghostvofme) che mi ha incitata a scrivere e pubblicare e non vi annoio più, ve ne sarei grata se in una recensione, anche breve, mi diceste cosa ne pensate!
Aggiungo infine che troverete errori di battitura, di ortografia, sintassi e quant’altro, ma dopotutto non sono una scrittrice, mi passo solo il tempo scrivendo le idee folli. No, non metto su band, le mie idee sono migliori.
Un abbraccio, Adam Angelica
  
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