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Autore: Gotick_92    16/11/2008    10 recensioni
Black restò inerte mentre l'amico gli afferrava delicatamente il viso con le mani, si avvicinava e portava le labbra del ragazzo alle sue. E non negò di non sapere cosa fare quando si toccarono.
Che
Cosa
Devo
Fare
Ora?
Peux-je m'en enivrer?
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Diaphane
Allegorya #1
Diaphane


Un raggio di luce entrò nella stanza.
Il sole, a quanto sembrava, aveva fatto capolino tra le nuvole.
Alzò lo sguardo, forse sorpreso, forse solo incuriosito di sapere qual'era il fattore di disturbo che gli stava riscaldando la mano intorpidita. Quando i suoi occhi incontrarono la finerstra, si socchiusero, per difendersi dalla luce che consumava quelle vetrate e le sue cerulee iridi.
Abbassò il capo, soffrmandosi, prima di rimettere la sua attenzione sul foglio che aveva davanti, ad osservare la polvere che danzava nell'aria. Giocò un poco con la mano ghiacciata, aprendola e poi serrandola a pugno di nuovo. Che gioco di movimenti creava, quella polvere.
Vagò ancora con i suoi occhi annoiati nell'ambiente che lo circondava, poi riprese a scrivere.
Il raggio di luce si era ritirato, intanto, riportando la stanza in quel freddo semibuio tipico delle mattine di inizio Novembre, col cielo coperto da nuvolette grigiastre, che sembravano essere cariche di pioggia.
Le labbra si muovevano impercettibilmente, ripetendo ciò che stava annotando. Il loro colore roseo quasi creava una stonatura con il resto della faccia.
I capelli neri, che serpeggiando sulla sua testa si univano e si dividevano fino a formare dei riccioli morbidi, ricadevano dolci sulla sua fronte liscia, fin quasi a raggiungere quelle sopracciglia sottili, lineari. Gli occhi erano azzurri, ma rovinati da una patina opaca che ne attenuava la vivacità, e, se qualcuno dei lettori crede che siano "lo specchio dell'anima", qui potrà avere una controprova. Oppure l'eccezione che conferma la regola, faccia un pò lui. Quegli occhi non riflettevano nulla.
Solo erano occhi. Occhi e basta.
Il mento era lievemente arrotondato, come da uno scultore che desiderasse dare alla sua opera uno sprizzo di gioia, di assoluta e ineguagliabile perfezione giocosa che riflette la salute e la goliardìa. Sforzo vanificato dagli zigomi incavati e dal colore perlaceo della sua pelle. Un secondo raggio di luce entrò prepotentemente dalla finestra, imponendogli la propria presenza. Questa volta non si mosse. Lasciò che un finto tepore invernale si posasse sulla sua mano.
Le dita flessuose e forti erano serrate attorno alla penna, e mettevano in risalto la sottigliezza dei suoi polsi, e quella delle sue braccia. Gli avanbracci erano scoperti, mentre il resto degli arti superiori era coperto da una felpa nera aderente, sobria, che terminava con un cappuccio. Al collo sottile era appeso un pendaglio che teneva nascosto dentro la maglia, e indossava dei jeans di quel colore imprecisato che sta bene sotto tutto, che gli incorniciava le gambe esili.
Controllò l'ora all'orologio a muro.
-Hm.- emise.
Con calma si alzò, chiuse il libro, il quaderno e li ripose nella borsa. Rimise la sedia che aveva occupato sotto il tavolo, poi aprì la porta della stanza e, uscitone, la richiuse, silenzioso come un refolo di vento che accarezzi lievemente, senza muoverle, le foglie di un albero.
Scese le scale con passo felpato, con noncuranza, e nell'enorme atrio vuoto non pervenì un suono. Sebbene fosse chiaramente udibile il rimbombo del più piccolo movimento, del più minuscolo frusciare di rami che sbattevano contro le finestre, del suo passaggio non si ebbe traccia.
Terminata la rampa, si diresse verso il grande portone di vetro con sbarre rosse, dalle quali la vernice era quasi del tutto venuta via, a causa dell'incuria. Nemmeno la sua natura silenziosa potè impedire a quell'entrata di scricchiolare, di emettere un fastidioso gracidio di metallo. Incurvò di poco le sopracciglia, così da costringere il suo volto ad assumere un'espressione "accigliata", quando lo udì. Si strinse nel cappotto, iniziando a camminare lungo il viale che, dall'edificio da cui era appena uscito, si immetteva sulla strada. La strada era rumorosa.
Continuò a scendere il viale, l'aria ancora umida per via della pioggia della notte prima, ma adesso era riscaldata da quel pallido sole che si sforzava di compiere il suo mestiere anche in una stagione che sapeva non essere la propria. Osservò la sua ombra su di un muretto. La fissò. La guardò. Le fce un cenno di saluto che questa ricambiò con piacere. Poi, la sua attenzione (e quindi anche quella della sua ombra) si spostò sul muro. Un muro di manifesti di morte. Si strinse le spalle, e proseguì.
Camminò col suo fare impassibile fino ad arrivare ad una palazzina anonima nel bel mezzo di una strada di case anonime. Sfoderò le chiavi e le premette sulla serratura. Il piccolo foglietto di metallo vi entrò senza problemi, incastrandosi alla perfezone col meccanismo interno, in una gelida precisione e perfezione meccanica che quasi faceva paura. La porta scattò e lui la spinse, ed entrò in quella che tutti avrebbero chiamato "casa".
Si, la domenica era un bel giorno.
E tanto meglio: aveva avuto la libertà di starsene in pace a fare quel che desiderava.
Già.
E, tanto, nessuno si era accorto che aveva passato la notte nella scuola.
Nessuno si era accorto che non era proprio uscito dalla costruzione, sabato mattina.
Non perchè lui fosse particolarmente abile a nascondersi o cosa, ma perchè semplicemente nessuno se ne era accorto, forzandolo ad andarsene.
Dopotutto, quando ci si riguarda in foto, si nota la propria ombra? No. Eppure c'è. E' lì più di te, sotto i tuoi piedi. Però nessuno le presta attenzione. Ecco. Esattamente.
Un'ombra.
Una piccola, nascosta, noncurante, Ombra.

Fine della Prima Allegorya.
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Note dell'Autore: Ecco, dopo tre mesi di lavoro attento e meticoloso, ho incominciato questa storia. Era in cantiere da tanto, ma veramente da molto tempo. Ho impiegato tanto per scegliere frasi, trama, caratterizzazione dei personaggi. Volevo dire che a questa storia tengo molto. Dentro ci saranno, come è solito nelle mie storie, molti dei miei "amici", come personaggi oppure come parte di essi, ma, per la prima volta, penso di costringere anche me ad entrare qui. Molto di questa storia viene direttamente da me, da quello che vivo, che sento (che NON sento) e che provo. E' per questo che questa storia sarà curata con particolare attenzione. Pertanto non posso permettermi di promettere che aggiornerò costantemente, o con intervalli molto rapidi. A volte potrà capitare che posti anche due capitoli per volta, oppure che faccia attendere settimane per uno nuovo. Che dire... voglio veramente mettere tutto ciò di cui sono capace in questa storia. Non ho ancora ben deciso, pensate, se voglio che diventi una "soprannaturale" (idea che mi alletta molto) oppure rimanere fedele al piano originale. Ma ora... vorrei concludere queste Note (che fra un pò diverranno più lunghe del capitolo...) con le dediche. Si, ci sono molte persone a cui questa storia va dedicata. Inizio:
  1. A l_s, perchè mi ha aiutato con il titolo e con tutto, sopportandomi mentre sproloquiavo di questa storia, di quanto la desiderassi.
  2. Al mio amico D., poichè verrà COSTRETTO a leggere (in senso buono) e perchè ci sarà anche lui, qui... e mi ha dato molta ispirazione per le cose che scriverò... Un sentito grazie!
  3. A Ele, ovvero miss dark, per via di ciò che ci unisce. Mi hai fatto trovare le parole, e la forza per scriverle.
  4. Ad Hachinana, a Iryuchan e MIKYma, che mi seguono sempre... spero verrete a leggere! E commentare!!!!!
  5. Ultimo, e per questo più importante, una persona che non credo leggerà mai questa storia: Luka, altrimenti detto Ego Me Stesso ed Io. Prendila, se mai ti perverrà, come un ricordo di come siamo stati, virtualmente, fortemente, Amici. Ci tenevo a fartela giudicare, ma la mia indecisione mi ha fregato. Per me rimarrai un modello. Per me e per noi tutti!
Al prossimo capitolo!  Gotick_92
  
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