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Autore: Bellis    16/11/2008    4 recensioni
Nai aistalë Eldaron hilya le, Beleg Cùthalion, mellon nîn.
Possa la benedizione degli Elfi accompagnarti, Beleg Arcoforte, amico mio.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tolo Dan Na Ngalad

Esausto.
Una parola inadatta a descrivere l'immensità del torpore, la necessità di un riposo, la spossatezza delle membra incapaci di muoversi.
Eppure tale è la condizione del nostro linguaggio: esso affonda le sue radici nella notte dei tempi, consumato dall'orgoglio delle stirpi che vollero sostituire precisione a musicalità.

Tuttavia erano parole, quelle che rimbombavano, come un'eco di sventura, nel pensiero afflitto di Tùrin, figlio di Hùrin, erede della Casa di Hador.

Parole dense di veleno, colme di un odio senza fine e senza requie.
Senza possibilità di scampo.

Mîm il Nano lo aveva barbaramente tradito.
Aveva attirato sulla sua piccola ma libera compagnia lo sguardo infuocato e furente di Morgoth.
Gelosia?
Vendetta?
Erano forse queste le due dame nere, Streghe in un mondo di Lupi, che perseguitavano la sua famiglia con passo leggero e morbido, che tuttavia lasciava tracce indelebili?

Frammenti senza ordine nè patria, schegge di una mente abbrutita dalla Maledizione dell'Ombra.

Lo avevano trascinato in ceppi, privato della libertà per la quale aveva dato tanto, e perduto i più cari tra i suoi affetti.
Solo Beleg era rimasto al suo fianco, nonostante tutto.
Più di un fratello, legato a lui da un'amicizia più solida e più duratura del sangue.

Seviziato e torturato dal branco di orride creature che aveva portato la morte nel suo piccolo regno, Tùrin cercava solamente il conforto dell'incoscienza.
Privato di spada ed elmo, di ogni cosa che ai suoi nemici potesse parere preziosa, egli non vedeva e non sentiva più nulla.
Si era ribellato, aveva lottato con quanta forza era nelle sue vene.
Inutilmente.
Le sue braccia potevano irrigidirsi e tendersi, ma le corde che lo legavano al solido palo erano molte e robuste, intrecciate da mani nere e permeate da un potere disumano.

Aveva infine abbandonato il capo in avanti, ed i suoi capelli folti e lunghi coprivano malamente il volto pallido, schermando un poco il rosseggiante scintillìo del fuoco maligno degli Orchi.

Non sentì il fruscio di piccoli passi elfici, nè avvertì la pressione della lama che lo distaccava dal tronco robusto, nè provò dolore quando due paia di braccia non riuscirono a giungere in tempo per attutire la sua caduta.

Si accasciò al suolo, sordo al suo stesso nome che veniva pronunciato con accento di quieta preoccupazione, e di sollievo, alla scoperta del suo respiro (seppur mozzo ed irregolare).

Perchè tale era il destino di Tùrin turún' ambartanen: la cecità ed il dubbio, mentre la Sciabola della Sorte si abbatteva inevitabilmente, non vista, sul capo biondo.

Trascinato da mani non sue: tale fu e tale rimase per tutta la sua vita densa di tregedia e di dolore.

Sentì punte acuminate scalfire la pelle del suo viso (ahimè, figlio di Úmarth, rovi erano, non lame nemiche!), e la rabbia ribollì nel suo cuore, come la lava nel ventre del vulcano attende, paziente, conscia del proprio crescente potere.

Un'improvvisa fitta di dolore: egli non conosceva il volto che, nell'oscurità, era chino su di lui.
E non seppe allora che quelle mani che recidevano i suoi legami erano guidate dall'affetto e dall'amicizia, non dalla saggezza: e più di tutti il Fato crudele e maligno le indusse ad un fatale sbaglio.

L'ira esplose nel petto di Tùrin, e le sue possenti braccia scagliarono Beleg Arcoforte lontano, mentre il figlio di Hùrin si gettava su di lui e gli strappava la spada.
Una lotta veloce, un sospiro di terrore: ed Anglachel affondò nel fianco dell'Elfo.

Mentre dagli occhi sbarrati svaniva quella scintilla irripetibile di vita ed il suo animo si innalzava ai Grigi Porti, una saetta squarciò le tenebre, e la sua luce pervase il pallore del viso Sindarin.

E Gwindor, cosa potè fare?
Non più schiavo, ma conscio ora di una prigione più sottile, invisibile ai più, all'interno della quale era scivolato lentamente insieme a Tùrin, maledetto da Morgoth: coprì il suo volto straziato ed attese.

L'Erede di Hador stette immobile a fissare quel viso amico ed esanime, soffuso ora nuovamente dall'Ombra che era calata su quelle terre.
Cadde in ginocchio, vagando nella follia, mentre al frammento di realtà che pur vedeva si sovrapponevano le più svariate immagini di gioia e di passato splendore.

Beleg che incoccava una freccia all'arco possente di duro legno, che solo la sua forza era stata in grado di domare...
... L'Elfo che lo istruiva come avrebbe fatto con un figlio, durante la sua lieta permanenza nel Doriath...

... era tornato.
Aveva fatto ritorno nelle Marche Settentrionali, unendosi alla compagnia di fuorilegge e sacrificando il proprio onore all'affetto.
Si era avvicinato, silenzioso come uno spettro, giungendo tra loro sino a quando non si erano levati tutti, sospettosi e pronti allo scontro... e poi gettando indietro il cappuccio del verde mantello era scoppiato a ridere...
... una risata cristallina e lieve, vibrante della sconfitta di ogni saggezza dinanzi al fraterno orgoglio.
Tùrin, corsogli incontro, lo aveva abbracciato di slancio, lieto di rivederlo, incurante del turbamento che aveva percorso il viso di Andròg, focoso ed incauto bandito...

Tutto ciò gli occhi del giovane videro, mentre lui e Gwindor davano indegna ma onorevole sepoltura al corpo senza vita.
E la sua mente vagava lontano, rifiutandosi di cedere alla verità, pervasa da una vita mutilata dall'inganno e dalle orme indelebili del Destino.

Corse a fianco di Gwindor, lasciando che lo guidasse, non curandosi della destinazione.
Le catene degli Orchi erano nulla, in confronto al peso che gravava ora sulle sue spalle.

Fu sull'Ethel Ivrin che la mente ottenebrata del figlio di Hùrin ritornò alla luce della ragione e della pace.

Un sussurro lontano, una voce melodiosa, ancora colma dell'antica musica degli Eldar.
Un raggio di luce che strappò e ridusse a brani il velo costante del dolore.
"Svegliati, Tùrin, figlio di Hùrin!..."

... Tolo dan na Ngalad...
... Ritorna alla Luce...

"Sul Lago di Ivrin il riso è perenne. E' alimentato da cristalline fonti inesauribili e lo protegge da ogni contaminazione Ulmo, Signore delle Acque, che in tempi antichi ne ha plasmato la bellezza..."

... Lasto beth nîn. Tolo dan na Ngalad...
... Ascolta la mia voce, ritorna alla Luce...

Fissò le iridi sull'acqua che riluceva d'un magico riflesso argenteo.
Lo chiamava, sussurrava parole ch'egli comprendeva.
Una melodia da lungo tempo dimenticata, una voce serena e lieta.

Si accoccolò sulla riva del Lago, immergendo nel liquido pacifico e trasparente le mani rosse, e macchiando d'un nero ricordo quei lidi puri.
La pelle ritornò rosea, il sangue di Beleg Cùthalion si disperse.
Lacrime lavarono il viso stanco e mutato di Tùrin.
Egli ruppe in singhiozzi, poggiando su quella riva benedetta il capo, e sciogliendo il dolore nel pianto.
Tale era il potere di Ulmo e delle sue acque lenitrici.

Quando fu pronto a levare il capo ed a posare sulle nubi dense lo sguardo infuocato, Turin mostrò al cielo le proprie mani rinnovate, e gridò, sprezzante del pericolo, straziato da una ferita troppo profonda per esser curata.

"Guardate, Sommi Valar! Ogni cosa conoscete, posate il vostro sguardo su queste mani!
Le lacrime del Grande Ulmo le hanno mondate, eppure io scorgo ancora il colore del fratricidio su di esse!
Guardatemi, ed accogliete in voi il mio giuramento, poichè altro per gli Uomini non osate fare!
Non sarò più Tùrin, nè di Hùrin io sarò più degno! Il mio nome sarà un altro, più adatto a questi giorni di sventura.
Agarwaen sono, l'Insanguinato! Ed Úmarth mi diede certamente alla luce, non certo un fiero Re degli Uomini."

Alle Foreste ed alle chiare sorgenti di Ivrin cantò.
E raccolse in poche parole le gesta del fratello Beleg Arcoforte, unico tra i suoi cari, morto per mano sua.
Il Laer Cù Beleg.


Nai aistalë Eldaron hilya le, Beleg Cùthalion, mellon nîn.
Possa la benedizione degli Elfi accompagnarti, Beleg Arcoforte, amico mio.


Note dell'Autrice

Grazie di aver letto!
Spero che questa piccola oneshot Ti sia piaciuta, veramente questo è il mio primo esperimento serio di fiction su argomento Tolkieniano.
Chissà, magari scriverò qualcos'altro.
Per ora, Namárië!

Bellis Naëmàr

   
 
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