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Autore: Internettuale    05/01/2015    3 recensioni
"Ella faceva tutto quello che gli dava sui nervi: si comportava da ragazza saccente e presuntuosa, lo prendeva in giro con una facilità innata e lo osservava con aria seccata e sdegnata.
È come se, d’improvviso, avesse davanti l’incarnazione di tutto l’odio che covava da tempo."
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Percy/Annabeth
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Ordinaria ottusità
Ship: Percabeth
Rating: Giallo
NdA: Scritta per l’iniziativa Demigod Exchange organizzata dal campmezzosangue, in cui si scambiano doni di Natale.
Questa letterina è di SunlitDays (richiesta #3 : “Percy/Annabeth AU in cui Percy è una frana con le ragazze e non fa altro che mettersi in imbarazzo”.) Ciao SunlitDays! Spero con tutto il cuore che ti piacerà questa fan fiction demenziale sulla Percabeth! Baci e ancora tanti auguri!

Nessuna ragazza comprende quanto sia imbarazzante per un ragazzo avere i capelli arruffati al primo appuntamento.
Il giovedì sono così splendenti e acconciati, che a ogni ragazzo pare di essere un protagonista della pubblicità per prodotti per capelli. Essi ammirano il loro riflesso allo specchio e non possono che complimentarti con se stessi per la loro chioma lucente e per il loro fascino destabilizzante.
Ma poi arriva il venerdì sera e con esso la distruzione del loro sex appeal e del loro charme innato: sono scarmigliati e privi di alcuna forma riconoscibile- sono mossi, lisci o ricci?-, potrebbero benissimo essere scambiati per dei ragazzi che si sono appena risvegliati dal coma.
Purtroppo i capelli sono il loro unico punto di forza: non possono truccarsi, indossare minigonne o vestiti luccicanti per attirare l’attenzione.
Ed era esattamente ciò che Percy Jackson si ripeteva costantemente in mente, mentre si contemplava sconsolato nello specchio della sua stanza da letto.
Inoltre, come se non bastasse, quel giorno stirò male la camicia. Ma ormai il dado era tratto, non poteva farci niente.
 
Il nervosismo, misto a quel senso d’irrequietezza che lo accompagnava sin da bambino, furono la causa del suo evidente problema di sudorazione, mentre si avviava impaziente verso il punto d’incontro.
Sperò ardentemente che le luci del ristorante fossero scadenti, o almeno che ci fosse un blackout, poiché così era inguardabile.
Arrivò all’incirca con dieci minuti d’anticipo e si maledì mentalmente per questo errore commesso. Tutti i passanti gli lanciarono quegli sguardi eloquenti che ti fanno comprendere, senza giri di parole, quanto tu possa sembrare ottuso. Egli era fisso nella sua postazione, aveva l'apparenza di una sentinella, mentre osservava con agitazione e a disagio ogni ragazza che pareva, seppur minimamente, rassomigliare all’Annabeth Chase che incontrò in libreria.
Come poteva non sembrare un incapace o un maniaco?
Ma il punto interrogativo più irrisolvibile dell’intera faccenda è: che cosa stava facendo in libreria Percy Jackson?
Vedete, miei cari lettori, egli non è quel tipo di ragazzo appassionato ai grandi classici o alle partite a scacchi. Non è molto riflessivo o particolarmente sveglio, anzi! Potremmo considerarlo un ragazzo abbastanza ottuso o incompreso.
Possiede un atteggiamento rilassato e un sarcasmo e un umorismo innati, molto spesso è irascibile e impulsivo, e ciò lo porta a essere rifiutato dalle ragazze dopo non appena tre minuti dalla loro conoscenza.
Queste ultime si avvicinano attratte dal suo fascino, per poi scoprire che è uno “sfigato”.
Perciò potete immaginare quale fu la sorpresa di Percy Jackson, quando si ritrovò rinchiuso in un posto stracolmo di scaffali e gremito di persone appassionate alla lettura.
Vi è mai capitato di entrare in un negozio privi di alcuna ragione apparentemente logica?
Ecco, questo fu quello che accadde al nostro protagonista: entrò in una libreria, molto probabilmente, per ammirare la polvere che lentamente si posava sugli scaffali, quando adocchiò con interesse una giovane ragazza che sfogliava un libro di architettura.
Era in compagnia di due suoi amici, rispettivamente un ragazzo e una ragazza, che chiacchieravano tra loro con entusiasmo.
La giovane in questione interruppe i due ragazzi, pregandoli di aiutarla nella scelta del suo libro, ma i due inizialmente non le prestarono attenzione.
Percy si avvicinò, chiedendosi se l’amico dalla corporatura mingherlina e dai riccioli bruni fosse il suo ragazzo, quando una voce nella sua testa rispose alla sua domanda: egli non era così affascinante da catturare l’attenzione di una ragazza di quel calibro.
Quest’ultima era alta e slanciata, dai lineamenti mediterranei; occhi color ghiaccio incorniciavano il suo viso abbronzato e i riccioli biondi erano raccolti in una voluminosa coda di cavallo.
Percy si riordinò i capelli con le mani e si aggiustò la maglia sgualcita, cercando di apparire però il più naturale possibile.
Si accostò alla ragazza e ascoltò ciò che stava dicendo:- Leo, Piper, ascoltatemi, vi prego. Se mi trovate un libro di architettura che costi meno di questo, vi pago una cena.-
I due ragazzi irruppero in una risata divertita e gentilmente rifiutarono la sua offerta; così Percy, preso dall’euforia e dalla voglia di concludere qualcosa con quella ragazza, prese il primo volume in mano che gli ricordava vagamente un libro d’arte e lo consegnò alla ragazza.
-Tieni, ho trovato questo. -, disse istintivamente.
La ragazza arrossì leggermente e guardò stupita i due amici, che la osservarono con gli occhi sgranati.
Il suo sguardo, però, improvvisamente divenne rigido e giudicante.
Prese in mano il volume che Percy le aveva consegnato e se lo mise in borsa, biascicò un ringraziamento e se ne andò via con i suoi amici.
Percy, ormai abituato ai rifiuti da parte delle ragazze, si allontanò sospirando, deciso a capire cosa c’era che non andava in lui.
Uscì dal negozio e s’incamminò verso la via di casa, quando una mano gli sfiorò una spalla e la voce senza fiato di una ragazza interruppe il corso dei suoi pensieri.
Percy si voltò e vide la ragazza della libreria che respirava affannosamente, evidentemente aveva corso per raggiungerlo.
-Penso che ti dovrò una cena. -, replicò con un sorriso.
Egli proruppe in una risata fragorosa, ricca di nervosismo:- Dici per davvero?
La ragazza gli rispose con un biglietto con su scritto il suo numero.
Detto questo, si allontanò e Percy, che non riusciva a trattenere la voglia di urlare e danzare come un iperattivo amante del tip tap, imparò a memoria il numero di quella ragazza.
E così, rispettando la regola dei tre giorni, chiamò la ragazza e la invitò a cena, dicendole che non doveva preoccuparsi e che lui avrebbe tenuto conto di tutto.
In questo modo Percy Jackson conobbe Annabeth Chase.
 
Osservava con concitazione l’orologio del telefono, quando la vide giungere; era genuinamente meravigliosa e il battito del suo cuore accelerò, provocandogli il dilatamento delle pupille.
Indossava un vestito verde che le arrivava un po’ sopra le ginocchia e i capelli le ricadevano ondeggianti sulle spalle scoperte e abbronzate.
Voleva raggiungerla di nascosto per farle una sorpresa, così di soppiatto annullò il distacco, pronto a sorprenderla.
Era a pochi centimetri da lei e le sussurrò un saluto nell’orecchio, ma ella gli rispose con un calcio nei testicoli.
La vista gli si appannò e si piegò in due per il dolore, rivolgendo mute preghiere al Signore e sperando di essere ancora fecondo come in passato.
Ella si voltò per stenderlo con un ultimo colpo di grazia, ma quando lo vide si accasciò con lui per terra e cercò in tutti i modi di farsi perdonare.
- Mio Dio!-, pronunciò lei, sinceramente preoccupata per l’incolumità del ragazzo, -Ti avevo scambiato per uno stupratore o, non so, per uno scippatore. Non dovresti spaventare così le ragazze.-
Percy la guardò con gli occhi lucidi e uno sguardo da vittima, mentre cercava in tutti modi di sembrare felice di vederla.
Annabeth irruppe, allietata, in una risata, mentre lo aiutava a rialzarsi:- Per favore, smettila di sorridere. Sembri uno squilibrato che ha l'intenzione di ammazzarmi. -
Il dolore lentamente svaniva, cosicché Percy le rispose con una frase poco consona alla situazione.
-Se il mio amico dovesse funzionare poco bene questa sera, sappi che non è di certo colpa mia.-
Il silenzio calò tra i due, la ragazza si distaccò da lui con indignazione.
-Perdonami, non intendevo quello che hai capito tu … E’ stata una battuta di pessimo gusto, il dolore ha ostacolato la mia capacità di pensiero e mi ha reso un completo imbecille.-
-Non preoccuparti. -, replicò Annabeth, visibilmente sollevata, - Anzi, mi dispiace per il calcio che ti ho dato. –
Sopraggiunsero al ristorante in orario e Percy sorrise soddisfatto: tralasciando i capelli scompigliati, la camicia stirata male, il dolore ai testicoli e il commento fuori luogo, tutto procedeva secondo i piani.
Il ristorante era italiano e dall’esterno appariva ricercato ed elegante, non troppo sfarzoso, e dall’ambiente comunque confortevole. Ai tavoli erano sedute varie coppiette che si sorridevano appagate e il cibo possedeva un aspetto invitante.
Però, ciò che più angustiava Percy in quel momento, era una domanda che lo tormentava dall’inizio della serata: doveva aprirle la porta per sembrare un gentiluomo, oppure la ragazza lo avrebbe considerato come un gesto alquanto stupido?
Alcune ragazze impazzivano letteralmente per questo gesto così semplice, altre invece lo consideravano un atteggiamento maschilista. Era un salto nel buio e la sua testa era così presa dal valutare i pro o i contro della situazione, che Percy non si accorse della ragazza che lo pregava gentilmente di spostarsi e che si apriva la porta da sola per entrare nel ristorante.
 
Il cameriere li fece accomodare a un tavolo vicino alla finestra che si affacciava sulla strada, permettendo così ai passanti di ficcare il naso nell’appuntamento del povero Percy Jackson.
Portarono loro dei menù rilegati in pelle, così Percy incominciò a sfogliarne le pagine. Per poco non cadde dalla sedia per lo spavento: questa perla rara, che i suoi amici gli avevano consigliato, dai prezzi accessibili, era molto più costosa di quanto si aspettasse e un piatto non costava meno di un suo rene.
La sua mente rispolverò velocemente l’argomento di conversazione sull’uguaglianza di genere e quella socioeconomica, nel tentativo disperato di non andare in bancarotta.
-Allora…-, iniziò con tensione, - Credi nella parità dei sessi?-
Annabeth strabuzzò gli occhi:- Stai scherzando?-.
-No, parlo seriamente. Cosa ne pensi?-
La ragazza alzò un sopracciglio con aria confusa, poi replicò:- Ovviamente. Credo nell’uguaglianza dei generi e non sopporto gli atteggiamenti maschilisti o le Rosie the Riveter. Ciò non vuol dire che non gradisca essere oggetto di gesti galanti, mi piacerebbe avere qualcuno che mi ceda il passo all’ingresso o che mi apri la porta.-.
Percy si guardò intorno con sguardo evasivo e cercò di non pensare agli straordinari che avrebbe dovuto compiere quel mese.
Stranamente la ragazza ordinò uno dei piatti più economici e lo stesso - mi pare ovvio, mio caro lettore- fece Percy.
Egli ordinò anche una birra, mentre Annabeth preferì dell’acqua naturale.
-Cosa ti piace fare nel tempo libero?-, domandò Percy, con aria interessata.
-Studio architettura all’università, perciò non ho molto tempo libero. Di norma leggo o mi alleno, tutto dipende dalle situazioni. Tu, invece?-
-Oh, non sono uno di quei ragazzi che legge. Sono un istruttore di nuoto, perciò passo la maggior parte del mio tempo a contatto con bambini e con il cloro.-
Annabeth lo osservò con aria sorpresa:- Cosa ci facevi in libreria, allora?-
-Sinceramente non lo so, una forza mistica deve avermi condotto lì.-
La ragazza trattene volutamente un sorriso:- Quindi, in poche parole, sei uno di quei ragazzi che le altre ragazze considererebbero: “uno stupido”. -
-No! Cosa te lo fa credere?-
Annabeth lo osservò attentamente: posò i suoi occhi severi sui capelli arruffati, la camicia stirata maldestramente e lo sguardo che inebetito la ammirava.
Fece spallucce e, dopo aver sorseggiato un bicchiere d’acqua, mentì replicandogli:- Niente. Sembri abbastanza sveglio. -
Annabeth si arrotolò i capelli su un dito e lo fissò attentamente, aggiustandosi il vestito.
-Perciò non studi?-, gli domandò interessata.
-Umh, non è una delle mie maggiori priorità al momento.-
-Ma lo studio è fondamentale per realizzarsi in futuro! Oggigiorno hai bisogno di una laurea per dimostrare chi sei e che vali. Se non studi, che futuro avrai? Non puoi lavorare come istruttore di nuoto per sempre. -, lo rimproverò la ragazza, sbalordita.
- Per caso c’è qualcuno che me lo vieta?-
-No, ma… Okay, lasciamo correre. -
I primi piatti arrivarono e li gustarono in silenzio; Annabeth lo osservava con attenzione ma non appena egli incrociava il suo sguardo, ella lo distoglieva e nervosamente puntava gli occhi sulla strada.
-Non ti fa freddo?-, gli chiese, rabbrividendo, la ragazza.
Percy la osservò incuriosito:- Sinceramente? No.-
La ragazza fissò la sua giacca per altri tre minuti con insistenza, ma Percy non prestò attenzione a questo dettaglio.
-Sei proprio ottuso. -, affermò esasperata.
Il ragazzo risucchiò gli spaghetti che stava mangiando, sporcandosi la camicia:- Mh?-
-Niente, non importa. -
Il cameriere portò del vino e Annabeth sorrise entusiasta:- L’hai ordinata tu per me?-
Si stava mordendo le labbra che tremolavano leggermente, mentre i suoi occhi brillavano.
Il ragazzo osservò la bottiglia, perplesso:- No, devono essersi sbagliati. -
-Ah, - replicò scoraggiata, - capisco. -
A volte dei silenzi imbarazzanti calavano tra di loro e ciò era così stressante per Percy, che incominciò a sudare ancora più di prima.
Ottimo”, pensò, “Credevo che avremmo fatto scintille. Invece, quando mi hai dato il tuo numero è stato perché eri così sola che pensavi non avresti mai trovato nessuno con cui andare d’accordo.”
Anche Annabeth, terribilmente annoiata, meditò su questa situazione: “Sto prendendo seriamente in considerazione l’idea di ordinare del cibo da portare via e dirti: «Lo sappiamo entrambi perché gli ho chiesto di incartarmi la pasta.», almeno spero, hai l’aria di un deficiente che non sa stirarsi le camicie”.
Percy prese un'altra birra e la scolò tutta in pochissimo tempo.
-Proviamo a fare degli indovinelli?-, gli chiese all’apice della noia la ragazza.
- Okay, per me non ci sono problemi.-
Annabeth sorrise, soddisfatta; uno dei pochi sorrisi sinceri di quella serata:- Siamo ventiquattro sorelle, tutti i giorni rinasciamo, ma mentre una nasce l’altra muore. -
Percy ci meditò su e, dopo all’incirca due minuti, rispose:- Le ore?-.
Annabeth aveva l’espressione più indecifrabile del mondo- scocciata, allibita, incredula?
-Sì. Ora tocca a te. -, replicò, riacquistando quel minimo di buon umore.
Percy non riusciva ancora a inquadrare il suo senso dell’umorismo.
“Non ha ancora detto neanche una parolaccia. E’ una di quelle a cui danno fastidio? Si offende se ne diciamo una? Magari in realtà le piacciono le barzellette sconce come a noi ragazzi, e aspetta che sia io a fare il primo passo. O dovrei reprimere totalmente la mia personalità nel caso fossi il tipo di persona che odia?”
-Umh, vediamo un po’… Lo metti in bocca, è duro, entra ed esce velocemente finché non fuoriesce un liquido bianco...sai cos'è?-
La ragazza lo ispezionò con aria disgustata: gli occhi sgranati, la bocca semi aperta e dall’espressione nauseata e un sopracciglio alzato.
-Oh, mio dio…-, mormorò contrariata.
- E’ uno spazzolino!-, replicò ridendo.
Ma Annabeth non rideva. Ella lo osservava ancora più sconvolta di prima, e ogni suo tentativo di rianimare la serata era morto sul punto di nascere.
Percy ordinò un’altra birra e la finì nuovamente in pochissimo tempo.
Ella faceva tutto quello che gli dava sui nervi: si comportava da ragazza saccente e presuntuosa, lo prendeva in giro con una facilità innata e lo osservava con aria seccata e sdegnata.
È come se, d’improvviso, avesse davanti l’incarnazione di tutto l’odio che covava da tempo.
-Vado in bagno.-, lo avvisò lei, con aria scontrosa.
-Okay, ti aspetto qui. -
Il telefono vibrò nella sua tasca, Percy lo prese in mano e lesse il messaggio che gli era appena arrivato.
allora? com’è lei?- Grover.
Percy roteò gli occhi, irritato. Poi rispose al messaggio del suo amico.
si chiama Annabeth ed è una stronza, arrogante e orgogliosa del cazzo. – Percy.
Qualcosa vibrò nella borsa di Annabeth e il ragazzo si accorse di aver inviato il messaggio alla persona sbagliata.
-Cazzo! Cazzo! Cazzo!-, sussurrò a bassa voce con l’ansia che gli invadeva l’animo.
Prese la borsa della ragazza e la aprì, cercando in tutti modi di trovare il suo telefono.
Quando ormai lo trovò, Annabeth era uscita dal bagno con un sorriso e il rossetto rosso steso sulle labbra.
Immediatamente la sua espressione mutò: dalla sorpresa alla confusione, dalla confusione all’ira.
-Cosa diamine stai facendo con il mio telefono?-, domandò con rabbia.
-Io? Avevo sentito il telefono squillare e…-
-Dammelo!-, disse la ragazza strappandogli dalle mani il cellulare.
Lo sbloccò e lesse il messaggio che le era stato appena inviato da Percy in persona.
In quel momento Percy capì tutto: i suoi sguardi, il suo modo di parlargli e di mettersi in mostra, il modo in cui le labbra le tremolavano …
Il ragazzo voleva tornare indietro nel tempo e cercare di migliorare la situazione. Lei si era resa bella per lui, aggiustandosi e cercando di sorridere nonostante la serata fosse stata un totale fiasco.
Lui, invece, l’aveva appena umiliata in una maniera agghiacciante e voleva scomparire per la vergogna.
Dopotutto un po’ le piaceva: sebbene fosse così altezzosa e sapientona, possedeva quel qual cosa d’inspiegabile che lo attirava terribilmente.
Pareva decisa e ferma nelle proprie decisioni, giudiziosa e ironica; forse avevano solo bisogno di tempo per conoscersi e capire meglio com’era fatto l’altro, ma lui aveva appena mandato tutto al diavolo.
-Oh, merda.-, sussurrò la ragazza con la voce rotta dal pianto.
- Cosa ci faccio qui? Oh, merda. Merda. -, ripeté con le lacrime agli occhi.
Annabeth prese la sua borsa e se ne andò via, con le tiepide lacrime che le attraversavano le gote.
Percy lasciò il conto sul loro tavolo e si alzò per inseguirla e per rimediare ai suoi errori.
Si sentiva un completo idiota, aveva appena ferito una delle ragazze che più lo affascinavano e forse l’unica con cui aveva conversato per più di un’ora.
Spesso le ragazze tendevano a evitarlo come se fosse un randagio stracolmo di pulci, probabilmente perché appariva realmente come uno stupido o forse perché nessuna ragazza era tanto interessata a lui da cercare di ignorare la sua evidente scarsa intelligenza e da desiderare di apparire più affascinante per lui.
La ragazza procedeva velocemente e Percy cercava in tutti i modi di raggiungerla per spiegarle che non pensava realmente ciò che aveva scritto.
Finalmente si avvicinò a lei e la immobilizzò per il braccio; Annabeth si svincolò dalla sua stretta energica e gli tirò un altro calcio nei testicoli.
Percy urlò per il dolore, mentre tutti i pedoni lo osservavano sconvolti. Sicuramente lo avevano scambiato per un maniaco che stava cercando di abusare di una ragazza affascinante.
-Ehi, tu! Allontanati o chiamo la polizia!-, gli urlò un uomo in tono minaccioso.
-Non sono uno stupratore!-, gridò di rimando Percy – Sto solo cercando di farle capire che ho sbagliato e che mi piace!-
A dispetto delle mille stelle che gli giravano attorno con aria beffante, Percy proseguì con la stessa tenacia di prima, infischiandosene dell’uomo che lo inseguiva.
Riuscì alla fine ad annullare la distanza che lo separava da Annabeth e questa volta le strinse le braccia con ancor più forza.
La ragazza piangeva silenziosamente, sussultando a ogni singhiozzo; il trucco si era un po’ sbavato e gli occhi grigi erano posati sull’asfalto.
- Guardami, Annabeth.-, la pregò con gentilezza, ma lei non ubbidì.
-Cazzo, guardami! Ti scongiuro! Ho un uomo che tra due minuti mi raggiungerà e mi denuncerà per tentato stupro, perciò guardami!-
La ragazza sollevò contrariata lo sguardo e lo posò negli occhi di Percy: sebbene fossero arrossati e cerchiati di nero, erano gli occhi più belli che il ragazzo avesse mai incrociato.
- Mi hai visto, sono un’esimia testa di cazzo. Non riesco a pettinarmi i capelli, non so stirarmi le camicie e per il nervosismo finisco per far grondare la mia maglia di gocce di sudore. Non sono un tipo riflessivo e, signore e signori, non riesco a risolvere gli indovinelli! Ma, soprattutto, inizialmente non capisco come una ragazza, che è esattamente il mio opposto, voglia mettersi in mostra e pavoneggiarsi per farmi capire che è una ragazza dalle doti intellettive splendide … Mi correggo: non solo intellettive. -, Annabeth sorrise, rallegrata, - E ti chiedo scusa perché, purtroppo l’ho capito solo ora. E mi piaci, mi piaci per davvero. -
La ragazza si liberò dalla morsa di Percy, ma rimase lì, con lo sguardo fisso negli occhi del ragazzo.
- Potrai fornirmi prova della tua intelligenza la prossima volta, giusto?-
-E’ un invito per un secondo appuntamento?-
La ragazza si alzò in punta di piedi e lo baciò teneramente sulle labbra.
Profumava di shampoo al limone e le sue labbra erano morbide e carnose; Percy non riusciva più a capire chi fosse e da dove venisse.
Quella sensazione inebriante gli aveva invaso il corpo e la mente, paralizzandolo del tutto.
- Credo che sia un sì.-, disse Percy con aria istupidita.
Annabeth sorrise, con le guance che lentamente s’imporporavano; il ragazzo la afferrò per mano e la condusse dietro un vicolo.
-Scusami, ma ormai quell’uomo ci aveva quasi raggiunti. -
Si chinò su di lei e, attirandola a sé, le regalò un bacio appassionato.
-Spero tu possa perdonarmi. -, le sussurrò in un orecchio, con l’emozione che lentamente gli cresceva nel petto.
-Sei la persona più ottusa che io conosca. -, replicò Annabeth con un sorriso.
 
  
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