Questo
potrebbe essere il Paradiso
16:49 - Baker Street
Il consulente investigativo era
seduto con le gambe incrociate sulla propria poltrona, mani giunte davanti al
viso e occhi chiusi.
C'era così silenzio nella stanza
che si sarebbe potuto udire il suo cervello lavorare frenetico, gli ingranaggi
ruotare e le molle scattare.
Rimase così per un buon quarto
d'ora, mentre fuori il tempo passava e il mondo correva.
Un botto. Sherlock aprì gli occhi.
Alla sua sinistra, John era entrato sbattendo la porta. Borbottando tra se,
lanciò malamente la borsa da lavoro sul divano. Tolse con stizza la giacca e si
buttò sulla poltrona.
“Sei arrabbiato.” Disse Sherlock.
“Non mi dire! E saprai anche il
perché immagino.” Prese il giornale dal tavolino vicino e lo aprì con forza.
“Non strapparlo che l'ho
acquistato oggi. Comunque, sì. Di nuovo il vicino rompiballe.”
“Un giorno o l'altro gli sparerò.”
“Sicuro,” convenne Sherlock “ma
non oggi. Rimetti la giacca, andiamo al Barts.”
“Non se ne parla. Voglio rimanere
tutto il pomeriggio su questa poltrona e mangiare quei dannati biscotti che ho
comprato ieri.”
L'altro per tutta risposta si alzò
elegantemente dalla propria poltrona, indossò il cappotto e si diresse in
cucina.
“Se vorrai ancora trovare quei
biscotti stasera, ti consiglio di venire. Ho sentito in giro che al gatto del
vicino piacciono. Tanto.”
“Oh, non oseresti.” John lo guardò
negli occhi. “Invece sì. Oh, maledizione.”
Sherlock nel frattempo frugava nei
cassetti. Mentre John rimetteva la giacca, trovò quel che cercava e lo intascò.
“Andiamo allora!”
17:34 – St. Bartholomeus
Hospital
John aprì la porta del laboratorio.
L'unico suono percepibile era il ticchettare dell'orologio appeso al muro. Il
laboratorio era in penombra. Sui piani di lavoro, vicino agli strumenti dei
medici, vi erano briciole, carte da regalo strappate e nastri colorati, bicchieri di plastica usati e una bottiglia
di spumante. I due uomini avanzarono nella stanza. Sembrava vuota. Poi Sherlock
girò la testa a destra e la vide. Seduta alla scrivania, nel punto più
adombrato della stanza, Molly Hooper scriveva dei fogli. Non si accorse subito
della loro presenza. Dei ciuffi ribelli, scappati dalla coda, le incorniciavano
il viso. La testa reclinata era sostenuta dalla mano sinistra e il camice era
semichiuso e stropicciato.
John si schiarì la voce e lei, alzando la
testa dai fogli, li accolse con un caldo sorriso. Aveva le occhiaie ed era più
pallida del solito.
“Ciao John, salve Sherlock,” posò la penna
e si alzò.
“Molly, buon compleanno! Come stai?” le
rispose John; Sherlock non si mosse.
“Oh, grazie. Sono molto stanca. Ho molto
lavoro in questo periodo.”
“Devi mangiare qualcosa. Hai mangiato
oggi, mmm?”
Molly si passò una mano sullo stomaco.
“Certo che sì. La mia collega mi ha portato una torta di compleanno.
Buonissima.” Indicò la porta. “Ne è rimasta un po', se ne volete, è nella
stanza di fronte.”
“Accetto volentieri. Non ho ancora fatto
merenda oggi,” il dottore lanciò un'occhiataccia all'amico, aprì la porta e si
affrettò verso il dolce.
La patologa lo guardò uscire divertita.
Resasi conto di essere rimasta sola con Sherlock, gli sorrise un po' in
imbarazzo e si sistemò il camice. Poi iniziò a ripulire i ripiani dalle tracce
della festa canticchiando Happy Birthday to you.
“Sherlock, non vuoi assaggiare la torta?”
Lui le si avvicinò, le mani dietro la schiena e il colletto dello Belstaff
alzato. “Vieni con me.”
“Dov...dove?”
“Dammi la mano e seguimi”.
“Disse colui che sparì per due
anni.” Lui le prese la mano sinistra. “Va bene, ti seguo.” Sospirò.
Entrarono in corridoio e svoltarono a
destra verso le scale. Le salirono per una decina di minuti. Dalle finestre
entrava una luce rosata, segno che il giorno volgeva lentamente al termine.
Quando non ebbero più nessuna rampa di
scale davanti, Sherlock le lascio la mano e frugò nelle tasche in cerca di
qualcosa.
“Io non le ho,” sospirò Molly poggiandosi
allo stipite della porta.
“Non porti il problema, le ho prese io
poco fa.”
“Prese? Rubate. Quel mazzo di chiavi
potrebbe servire a qualcuno.”
“Ah-ha” fece lui sorridendo per averle
trovate. Molly gliele levò dalle mani. “Fai aprire a me.”
Inserì la chiave giusta nella toppa e aprì
la porta metallica.
Erano sul tetto del St. Barth. Nello
stesso luogo dove due anni prima era accaduto quel fatto.
Molly avanzò lentamente, guardandosi
intorno. “Non ero mai salita quassù.”
Lui la affiancò. “Lo so, Molly, per questo
ti ho portata qui.”
“Ma perché?” fece lei arrestandosi e
voltandosi a guardarlo.
“Te lo spiegherò dopo. Adesso,” prese
dalla tasca un lettore mp3, “metti le cuffie e ascolta.”
Lei gli rivolse uno sguardo interrogativo,
poi titubante prese il lettore mp3 e indossò le cuffie. Le sue dita cercarono i
tasti di accensione e premette play.
Una musica a lei nota filtrò dalle cuffie.
Sherlock le sorrise e le fece segno di avvicinarsi al parapetto.
Lo spettacolo che si poteva ammirare da
lassù toglieva il fiato.
When she was just a girl,
She expected the world,
But it flew away from her reach,
So she ran away in her sleep.
Il sole stava terminando il suo percorso
e, lentamente, spariva dietro la moltitudine dei palazzi. Il suo fulgido
bagliore dorato creava raffinati decori tra le nuvole, e il cielo era tinto di
variopinte sfumature. Giallo, rosso, rosa, turchese. Come un pittore che
dipinge i minuziosi dettagli su una tela, così il sole impreziosiva il
paesaggio intorno.
And dreamed of para-para-paradise,
Para-para-paradise,
Para-para-paradise,
Every time she closed her eyes.
Soffiava una brezza leggera. Le
scompigliava i capelli e le solleticava il viso. Inspirò, chiudendo gli occhi.
Nell'aria vi era un profumo di primavera in arrivo.
Alcune finestre dei palazzi riflettevano i
raggi del sole e le macchine, che passavano veloci sotto di loro, creavano scie
luminose e colorate. Londra brulicava di vita, di colori e odori.
In the night, the stormy night,
She closed her eyes.
In the night, the stormy night,
Away she flied.
Molly osservava quello scenario con gli
occhi di una bambina. Era emozionata e aveva un largo sorriso stampato sul
volto.
And so lying underneath those stormy skies
She'd say, 'oh, ohohohoh I know the sun
must set to rise'
La luce del
giorno andava a scemare sempre più velocemente. Molly, le braccia strette sul
petto, ritornò da Sherlock.
“Io...” aveva
gli occhi lucidi. Si schiarì la gola. “è stato... bello. Bello davvero.” Fece
per parlare nuovamente, richiuse la bocca. Gettò un’ultima occhiata al
tramonto. “Hmm... perché questo gesto?”
Negli oggi di
ghiaccio di lui era riflesso il colore caldo del cielo. “Beh, da dove iniziare.
Ormai ci
conosciamo da tanto tempo. È inutile negare che non ti sia affezionato. Ne sei
a conoscenza... o forse no? Dicevo, sei a conoscenza dell’affetto e della stima
che provo per te e, pur non essendo nelle mie usanze festeggiare ricorrenze di
chicchesia, volevo donarti... ciò che ho visto io prima di ‘buttarmi’. Direi
che sia meglio un tramonto alla cupa e nuvolosa visuale dello stesso luogo
accompagnato da una sensazione di disagio e paura (?) causate dalla
consapevolezza di dover inscenare la propria morte e sparire per due anni. Non
credi? E in più con il sottofondo di una canz...”, ma non finì la frase.
Molly gli si
buttò contro e lo strinse in un forte abbraccio. Per una manciata di secondi
rimasero così, lei con il naso nel cappotto di lui, ispirandone l’odore, e lui
con la testa poggiata su quella di lei. Poi si separarono. Molly, le guance
rosse, diede un fugace bacio sulla guancia dell’uomo. La pelle fresca e ruvida
le solleticò le labbra.
“Buon
compleanno, Molly Hooper.” La guardò negli occhi. “No, non piangere.” Con il
polpastrello le asciugò una lacrima solitaria che le solcava il volto e
sorrise.
“Grazie, sono
commossa e non...”
“Te lo saresti
mai aspettato da me.” Concluse lui. “Divento umano anch’io, raramente, ma
accade.”
Lei rise, una
risata timida e felice. “Credo che adesso debba tornare giù. Non voglio sentire
il direttore lamentarsi il giorno del mio compleanno.” Si avviò verso le scale,
cercando di sistemare i ciuffi ribelli dei capelli. “Scendi?”
“Sì, arrivo.
Aspettami sotto.”
La patologa
annuì e socchiuse la porta.
Sherlock,
rimasto solo, sorrise. Era uno di quei sorrisi che appaiono in rare occasioni,
dopo la pioggia, quando esce l’arcobaleno, o quando qualcuno prepara il nostro
cibo preferito. O quando si passa un momento speciale con una persona speciale.
Ormai era quasi
buio sul tetto del St. Barts. Sherlock passò una mano tra i capelli, chiuse a
chiave la porta e si avviò per le scale.
This could be
Para-para-paradise
Para-para-paradise
This could be
Para-para-paradise
Oh oh...
Ooh
//
Spazio Pazzia //
Se siete
arrivati a leggere fino a qui, vi faccio i complimenti.
*applausi
generali*
Un’altra Sherlolly per voi!
CaVissimi scrittori di questo genere, vi prego continuate a
pubblicare senza sosta.
Da
Una lettrice disperata.
Anyway, spero vi sia
piaciuta. Fatemi notare se i personaggi sono OOC e provvederò a metterli in
riga.
Alla prossima ff!*
E buon anno!
Irene.
PS: *sto
preparando una long. Pregate per me affinché riesca a finirla.
PPS: Vi
consiglio di leggere la parte del tetto ascoltando Paradise dei Coldplay.