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Autore: Raya_Cap_Fee    05/01/2015    4 recensioni
Heike De Vries ritorna a Chicago dopo essersi laureata in giurisprudenza a Yale ed è finalmente pronta a prendere in mano le redini della propria vita. Heike ha sempre desiderato essere una donna forte, indipendente e soprattutto in carriera. Non ha mai permesso a niente e a nessuno di intralciarla o distrarla dai suoi studi e dalla carriera che ha sempre voluto. Questo fin quando non torna a casa. Questo fin quando non incontra Sebastian Jenkins.
**
Mi superava di buoni dieci centimetri, piuttosto magro e dalla carnagione chiara. La sua figura era illuminata dalla luce naturale delle vetrate e gli occhi grigi spiccavano sul viso dai lineamenti appuntiti. Prima che potessi studiarlo più approfonditamente il mio sguardo fu attirato da quello che aveva il mano.
-E’ disgustoso- protestai arricciando appena il naso. Una volta avevo visto mio fratello uscire dal bagno con un metro da sarto tra le mani e quando gli avevo chiesto a cosa gli fosse servito lui aveva riso e scrollato le spalle. Avevo undici anni. Lui dodici. Quando ci ero arrivata avevo sempre associato i metri a quell’episodio traumatico.
Il ragazzo inarcò appena un sopracciglio biondo e guardò il metro senza capire –Cos’è disgustoso?-
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Capitolo 10
 
 
 
1 mese dopo
 
 
Mi sistemai sul divano e, tazza di tè verde in una mano e svariati fogli in grembo, cominciai la lettura del mio nuovo e primo caso per lo studio legale di Cassandra Blane. Il mio capo mi aveva dato la notizia solo quella mattina e io ci tenevo a fare bella mostra delle mie capacità e del frutto degli anni trascorsi a Yale.

Ero giunta a leggere appena i dati di Hugo Blackburn, il mio cliente nonché parte offesa del processo, quando qualcuno bussò alla porta. Lanciai un’occhiata all’orologio che avevo al polso e sollevai le sopracciglia. Erano le nove e mezza di sera e c’era una sola persona che poteva anche solo pensare di venire a disturbarmi.

-Va’ via, Jackson!- gridai senza nemmeno alzarmi. L’ultima volta aveva funzionato.

Ci fu un momento di silenzio e poi risuonò di nuovo qualche colpo.

-Ho da fare- sottolineai ancora.

Nessuno rispose ancora una volta e a quel punto appoggiai la tazza sul tavolino, sistemai i fogli nella cartelletta e mi alzai in piedi percorrendo il breve corridoio d’entrata.

-Jackson, giuro che se non la smetti di presentarti qui a casa mia per trascinarmi fuori…- borbottai senza nemmeno guardare dallo spioncino, come ero solita fare. Aprii la porta di scatto, nel tentativo di spaventare il mio fastidiossimo fratello, ma non feci in tempo a sollevare lo sguardo verso il viso dell’altro che un pugno mi colpì in viso.


 
 
-Signorina De Vries? Heike? Mi senti?-

Strizzai le palpebre, avvertendo un dolore lancinante alla testa, e mi lasciai scappare un lamento dalle labbra socchiuse.

-Ho chiamato il 911 e l’ambulanza sta arrivando. Riesci a capirmi?-

Mi sforzai di aprire gli occhi e mi agitai non appena mi resi conto che dall’occhio destro non vedevo quasi niente, sotto la guancia ricobbi il parquet di legno e il tappeto dell’ingresso.

-Non muoverti-

Tom, l’anziano portiere del palazzo, fece il suo ingresso nel mio limitato campo visivo. La fronte corrugata, lo sguardo ansioso.

-Cos’è successo?- chiesi. Provai a girarmi su un fianco ma una fitta al costato me lo impedì facendomi digrignare i denti –Perché non ci vedo? Tom?-

-Hai un taglio sul sopracciglio e il sangue ti disturba. Non so cosa sia successo. Sono salito per il mio primo giro di ronda serale e ho trovato il tuo portone spalancato con te a terra-

Anch’io non ricordavo niente ma di sicuro mio fratello non mi avrebbe mai colpito. Sentii una mano sulla spalla, come per rassicurarmi.

-Non mi pare abbiano rubato nulla, o almeno, niente mi sembra fuori posto-

Un’aggressione senza rapina in un palazzo con un portiere e probabilmente videosorvegliato. Feci per dire qualcos’altro, o almeno provarci, ma le sirene dell’ambulanza sembrarono coprire ogni cosa.

 
 
-Heike? Heike?- avevo riconosciuto la voce allarmata di Jenna De Vries anche prima di vederla sbucare oltre la tenda, nel pronto soccorso.

-Mamma, sto bene-

I coniugi De Vries, nonché i miei genitori, apparivano per la prima volta da che ricordassi chiaramente sconvolti. Li guardai entrambi e cercai di distendere le labbra in un sorriso.

Dopo che mi avevano ripulito dal sangue sul volto finalmente riuscivo a vederci nuovamente da tutte e due gli occhi, nonostante i quattro punti di sutura sul sopracciglio. Mia madre mi prese le mani e mi guardò con i suoi occhi scuri e pieni d’apprensione –Cos’è successo? Ti senti bene? Ti hanno fatto del male?-

Spostai lo sguardo verso mio padre e lui si sedette di fianco al letto, sulla sedia, allungando una mano per accarezzarmi un braccio. Raccontai quello che ricordavo, cioè molto poco, e sembrarono sconcertati.

-Com’è possibile che qualcuno sia entrato senza che Tom l’abbia visto? E perché poi ti hanno aggredito?-

-E’ una cosa orribile-

-Disgustosa-

-L’importante è che tu stia bene-

Mia madre e mio padre si alternavano ad ingiuriare contro il mio sconosciuto aggressore quando avvertii chiaramente la voce di Jackson oltre la tenda –E cosa aspettate allora? Controllatele quelle stramaledettisime costole-

Trattenni un sospiro –Jackson?- chiamai. Mio fratello sbucò oltre la tenda, seguito dall’infermiera bionda che aveva assistito il dottore nel mentre che mi ricucivano.

-Il prima possibile provvederemo a farle la lastra, signorina De Vries. Non ci vorrà molto. Il dolore è sopportabile?- parlò l’infermiera ignorando l’espressione torva di Jackson alle sue spalle.

Annuii –Si tratta solo di muovermi il meno possibile ma va bene- risposi calma. Ero stata aggredita nel mio appartamento eppure tutti sembravano più agitati di me, ed io ero turbata senza dubbio.

Non appena l’infermiera se ne andò, Jackson mi lanciò una lunga occhiata indagatrice ed io per la prima volta sentii scalfire il muro che avevo eretto per non piangere. Piangere mi avrebbe fatto senz’altro male, con tutti i singhiozzi derivanti. Restituì per un breve momento lo sguardo di mio fratello poi mi concentrai sul lenzuolo che mi copriva e la mise ospedaliera.

Ma a quanto pareva i visitatori non erano terminati. Qualcun altro entrò e quasi non mi sorpresi di vedere l’inseparabile amico di mio fratello: Sebastian Jenkins. I suoi occhi, a metà tra l’azzurro e il grigio, mi scrutarono oltre i miei genitori e mio fratello.

-Ehy- mi salutò quasi soffiando via l’aria dai polmoni.

-Ehy- risposi prima che Jackson mi si avvicinasse –Lo sapevo che dovevi restartene a casa con noi. Chi è stato? Descrivimelo nei minimi dettagli quello stron..-

-Jackson- lo riprese mia madre

-Quello stronzo mamma. Ed è la parola più gentile che potessi usare in tua presenza-

Mio fratello sembrava fuori di sé.

-Potreste smetterla di gridare?- mormorai io, guardandoli. Mia madre socchiuse gli occhi e poi guardò William –Andiamo a parlare con i dottori-. Si allontanarono in silenzio e io ripetei a mio fratello le stesse parole sull’aggressione che avevo detto poco prima ai nostri genitori.

L’impossibilità di calmare mio fratello dall’insultare, maledire e minacciare mi fece ben presto rinunciare a stare ad ascoltarlo.

Presi a giocherellare con un lembo del lenzuolo senza guardare nessuno dei due, nel tentativo di scaricare il mio nervosismo.

Io non avevo visto chi mi aveva aggredito ed ero stata così stupida, come aveva tenuto a ricordarmi Jackson, dal non guardare prima dallo spioncino. La polizia non mi aveva ancora interrogato e probabilmente, a meno che le videocamere del palazzo non avessero registrato qualcosa, ci sarebbe stato ben poco da fare.

Era chiaro che non era stata un’aggressione casuale e non potevo fare a meno di chiedermi perché o, soprattutto, chi.

-Vado a cercare di nuovo quell’infermiera. Non vorranno farti stare in eterno qui!-

Jackson scomparì come una furia oltre la tenda, rischiando quasi di scardinare i gancetti, e io mi trattenni ancora una volta dal sospirare profondamente. Era rimasto soltanto Sebastian che dopo quel saluto appena mormorato non aveva aggiunto nient’altro.

Aspettai qualche momento prima di guardarlo e lo trovai con le mani affondate nelle tasche dei jeans scuri e la testa volta verso la tenda. Come se avesse avvertito il mio sguardo tornò a guardarmi.

Non riuscivo a capire cosa gli passasse per la mente ma il fatto stesso che non mi stesse asfissiando con delle domande mi rincuorò. Ci guardammo in silenzio per qualche secondo poi venne a sedersi sulla sedia abbandonata da mio padre.

-Te l’avranno già chiesto un’infinità di volte ma sei sicura di stare bene?-

Mi parlò con tono calmo, basso. Affondai la testa nel cuscino e feci appena una smorfia quando il movimento sembrò ripercuotersi in tutto il corpo.

-Non mi piace quello che è successo- risposi. Diversamente da quanto avevo detto ai miei genitori stavo comunicando come mi sentissi davvero –Non mi piace per niente sentirmi così confusa e turbata-

Sebastian incrociò le braccia sul bordo  del mio letto –E’ comprensibile. Quello è un quartiere dove non accade mai niente ed è quantomeno strano che ti abbiano aggredita, Heike. Non hai proprio idea di chi possa essere e perché?-

Scossi appena la testa e ripresi a torturare il lenzuolo –Perché sei qui?- domandai poi. Lui non si scompose, rimanendo serio –Ero con Jackson in un locale del centro quando l’hanno chiamato-

-Stavate abbordando qualcuna?-

Colsi l’ombra di un sorriso increspargli le labbra –Jackson si stava dando da fare, sì-

-E tu? Non eri tenuto a rovinarti la serata- un attimo dopo aver fatto quella domanda avrei voluto rimangiarmela. Implicava che gli importasse di me.

-Io ci lavoro lì. Due volte a settimana, la sera. Perciò facevo solo da spettatore- mi rispose lui. Distesi le labbra in un sorriso e tornai a guardarlo. Anche lui accennava un sorriso ed io mi chiesi per la prima volta come potessi apparire in quel momento.

-E poi, Heike, l’unica cosa a rovinarmi la serata è stato sapere che ti avevano portato all’ospedale dopo che eri stata aggredita in casa tua. Sei la sorella di Jackson ed io sono suo amico, di conseguenza anche il tuo, no?-

Sebastian Jenkins mio amico? Ricordavo bene cosa avevo pensato di lui la prima volta che l’avevo visto.

-Sì, suppongo di sì-

Ma ricordavo bene anche cosa avevo pensato di lui dopo. Rimanemmo in silenzio e poi fui io a fargli una domanda –Sebastian?-

-Mhm?-

-Quando andremo via di qui, mi accompagneresti al mio appartamento? Sono sicura che la mia famiglia non mi lascerebbe un attimo in pace e io vorrei riuscire a stare calma-

Lui mi guardò senza che, ancora una volta, riuscissi a capire cosa stesse pensando –Sei sicura di voler tornare lì?-

Io annuii e lui fece un cenno del capo –Se è quello che vuoi ti accompagnerò ma non sono sicuro che Jackson sarà d’accordo che ritorni lì e nemmeno io-

-Lo farai, Seb?- chiesi conferma e lui annuì, guardandomi.



 
Angolo Autrice
Buon anno nuovo carissime! <3 Grazie di essere qui a leggere questo nuovo capitolo del nuovo anno xD Ringrazio crazy99 e nuvoletta14 che hanno inserito la storia tra le preferite; Lacoeur che l’ha inserita tra le ricordate e Eli12, et239 e Be_My_Friend che l’hanno inserita tra le seguite. Che ne dite di lasciarmi un’opinione? Giuro che non mordo, anzi, mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate. Un bacione e alla prossima,

Raya_Cap_Fee

 
 
   
 
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