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Autore: Mary Serpeverde    05/01/2015    2 recensioni
"alcune cose si scordano. Non si può sapere o ricordare tutto, sono un essere umano e ho il permesso di non essere perfetto, perchè la perfezione non esiste davvero. Non è solo un proverbio, la perfezione è inesistente."
Jason Miller è un ragazzo che non ha mai avuto amici. Sua madre è morta di parto mentre suo padre, quando Jay -Jason- aveva dodici anni, si è suicidato. Lui rimane con il nonno, e si affeziona davvero a lui, più di qualunque altra persona, finché pochi mesi dopo, muore anche il nonno. Jason si ritrova solo, circondato da parenti che pur di non averlo tra i piedi, lo lasciano mandare all'orfanotrofio.
Quando finalmente compie sedici anni, si avvera il suo sogno: andare al liceo. Qui conoscerà una persona che lo sorprenderà dal primo momento, e un'altra persona, nonché il secondo migliore amico, capace di leggere pensiero. All'inizio, quando questo suo amico scopre una cosa molto imbarazzante su di lui, Jason si sente umiliato appena lo vede, anche se lui non ha mai svelato nulla. Ma saprà Jason trattenere il segreto di leggere la mente, cioè il segreto di Derek, cercando di non farsi scoprire dalla persona che ama? Derek lo proteggerà, lo aiuterà?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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PRESTAVOLTI:

Jason Miller:


Christian Lawren: 




All'eta di soli dodici anni, diventai orfano. Mia madre era morta già di parto, e mio padre si era suicidato. Mi sentivo in colpa, come aveva fatto a resistere al mio carattere prepotente e magari anche presuntuoso per dodici anni di fila? E come aveva superato la morte di mia madre, sua moglie? Fui spedito in uno di quelli che chiamano "orfanotrofio", ma per me basta dire "collegio" o magari "prigione per bambini". Mi sentivo diverso dagli altri, anche se lì dentro c'erano ragazzi più meno della mia età che avevano perlopiù la mia stessa storia. Insomma, non spediscono all'orfanotrofio quelli che hanno entrambi i genitori, a parte le eccezioni di chi viene abbandonato. Ma credo che il concetto sia uguale. Arriviamo al punto, non riuscii ad avere amici. Non riuscii ad avere amici oltre al fatto che mi sforzavo tantissimo per ottenerli dei nuovi. E, con il mio carattere piuttosto all'antica, come mi aveva detto mio nonno prima di morire, ero considerato un bambino sbaglia-to, se facevo vedere a qualcuno che scrivevo con la mano sinistra. Gli chiesi il perchè, e lui disse «È la mano del Diavolo, mio caro». La prima volta che me lo disse, mi spaventai molto. Per alcune settimane mi sentii completamente un mostro, il Diavolo in persona, fino a quando mio nonno disse che questo si pensava solo tanto tempo fa. Ma io non rispondevo, non dicevo niente. Ero arrabbiato con lui, il motivo esatto non lo sapevo. Sapevo solo che mi aveva fatto sentire per un po' di tempo così male da farmi sembrare appunto un mostro, per poi dirmi che in quest'oggi non si consideravano le persone come me così, non più.
Fu solo quando morì, che mi dispiacque per non averlo perdonato subito. No, non mi dispiacque, fui proprio deluso da me stesso. Amavo mio nonno, e mi sentivo tutto crollare addosso. Era l'unico, con tanti parenti che avevo, che mi aveva mostrato un po' di affetto e di amore, e lui mi amava veramen-te. Quando rimasi solo, all'eta di dodici anni, non seppi perchè nessuna zia, nessun cugino, nessun parente mi prese con loro, ma preferirono spedirmi all'orfanotrofio. Mi adattai a quell'atmosfera che i primi giorni odiavo tanto, che i primi giorni non riuscivo a respirare, che i primi giorni consideravo aria maledetta.



Quando compii sedici anni, finalmente ebbi l'opportunità di cominciare il liceo, di andare a scuola. Ma il primo non giorno non andò come pensavo.
Mi sedetti all'ultimo banco della fila centrale, la seconda.
Vicino al mio banco, c'era un ragazzo dai capelli lisci e biondi che mi guardava in continuazione. I suoi occhi erano grigi e profondi, che mi ricordarono dal primo momento mio padre. Deglutivo a fatica, non seppi il motivo, ma ebbi anche una fitta al cuore. Cosa mi sta succedendo, riprenditi Jason, riprenditi, pensai. Per sostenere la mia testa che sembrava che qualcuno, o qualcosa, stesse dando forti colpi al cervello, mi poggiai una mano alla fronte, fissando il banco verde acqua. Ma cosa mi succede, mi domandai ancora. Le braccia e le gambe sembravano tremarmi.
Oh mio Dio, cosa faccio? Mi sta fissando, farò una figura ridicola, pensai ancora, evitando di agganciare il mio sguardo con quello del ragazzo.
Quando riuscimmo ad agganciarli, come se fosse una conseguenza non riuscii a togliere lo sguardo dal suo. Fu lui che mi salvò, abbassando la testa e arrossendo. Feci altrettanto, mentre entrava la professoressa. Per mancanza di abitudine non mi alzai per salutarla, grazie a Dio che stavo nell'ultimo banco. Non mi avrà visto, sicuramente, mi rassicurai. Mi alzai anche io, nascondendomi dai ragazzi davanti a me che erano sicuramente più alti e robusti. Davanti a quei corpi grandi che mi sembravano evoluti, io mi sentivo una formica, con il mio corpo magro e debole. D'improvviso si abbassarono, e io li imitai.
«Buongiorno anche a voi, ragazzi» a parlare era stata proprio l'insegnante. Una voce stridula e quasi fastidiosa per le mie orecchie, gli angoli della sua bocca piegati in una smorfia che mi sembrò fosse schifata. La sua bocca era riempita di rossetto di un colore simile al rosso, solo più acceso e meno "invitante", forse era troppo, ma messo comunque bene. Devo capire a cosa serve il rossetto alle insegnanti, se devono solamente insegnare.
Gli angoli dei suoi occhi piccoli e azzurri scuri erano leggermente piegati in giù, la sua pelle era rovinata dal trucco e sembrava molla. Era una donna di mezza età, con i capelli biondi scuri raccolti in uno chignon disordinato, forse erano mossi e il disordine era una caratteristica, ma non era molto gradevole.
«Molti ragazzi nuovi. Vediamo, vediamo... Derek Armlake, Larry Chripton, mi ricordo di aver avuto solo voi, quando avevate otto, magari nove o dieci anni. Non mi ricordo molto bene, sapete?» Un ragazzo davanti al mio banco, e uno dalla parte opposta, chinarono il capo in segno di saluto. La professoressa si schiarì la voce, e ritirò le guance in dentro, come se se le teste risucchiando. Poi spinse la lingua nella guancia destra, e parlò: «Emh, lo so che questa è educazione, ma ricordate cosa vi ho insegnato?» i miei nuovi compagni stettero zitti, abbassando gli occhi, suppongo. Avevo visto abbassare gli occhi solo a Derek, che si trovava nella parte opposta dalla mia e quel di Larry, di cui la posizione mi permetteva di guardarlo al viso di profilo.
«Ragazzi, è semplice: Alzarsi e poi chinare il capo, mi pare che voi l'avete solo chinato...» rimproverò i due poveri alunni.
«Ci scusi professoressa» Si scusò Larry. Derek rimase zitto, ma alzò la testa.
«Mi pare che ce l'abbia spiegato sette anni fa, molte cose le ricordiamo, come non ricordiamo le restanti.» lo vidi deglutire. L'insegnate lo fissò. Per me aveva detto una cosa giusta, mio nonno diceva lo stesso, ma non era il motivo principale, perchè se il nonno diceva qualcosa di sbagliato io non lo dicevo, ma lo pensavo. Invece, Derek aveva fatto una scelta giusta.
«Può ripetere, per favore, signor Armlake?» domandò la professoressa. Tutti rimasero zitti, aspettando la reazione dell'alunno, cioè chiedere scusa a lei per poi subito dopo cominciare la prima lezione.
«Hey, deve aver un bel coraggio, vero?» Mi disse qualcuno. Mi girai, e mi accorsi che a parlare era stato il compagno che avevo vicino.
«Bè emh... dici a me?» Lui sorrise e abbassò un po' la testa.
«Sì, parlo proprio a te... se non sembra, bè... dimmelo se sono strabico, per favore... potrei farmi curare» sorrise apertamente, mentre io abbassai la testa e feci altrettanto, solo di meno.
«No, non intendevo questo, solo... non sono abituato a parlare con le altre persone, e mi sembra un po' strano... comunque sì, ha proprio un bel corag-gio.» Risposi arrossendo leggermente. Non era normale che un ragazzo così giovane dicesse che non aveva molti amici, magari l'altro avrebbe pensato che era una specie di asociale, forse.
Rimasi a guardarlo. Era davvero un bel ragazzo... emh... cioè, non per fraintedere, un bel ragazzo... dal punto di vista di... una ragazza. Mi schiarii la voce, spaventandomi per il pensiero che avevo in mente. Bel ragazzo? Ma cosa mi prende, dico sul serio! Bel ragazzo?! No, no. Non lo è, i suoi occhi sono belli, solo... solo perchè mi ricorda mia madre... tutto qui.
«Mi scusi professoressa» mi ero scordato che Armlake doveva ancora rispondere, e nel frattempo anche di chiedere il nome al ragazzo. Mi schiarii ancora la voce, più piano che potei, per non farmi notare da tutti. E per fortuna nessuno mi guardò, al contrario di come succedeva all'asilo. Ero tormentato dal fatto che tutti mi guardavano solo quando ero davvero ridicolo. E poi, dal mio carattere e i miei gusti, sembravo femmina. Davvero, dico sul serio. Per fortuna dai lineamenti per niente. Lì sarei stato preso in giro da tutti. Appena parlavo, all'asilo, tutti mi guardavano con disgusto, mi mi solo sempre illuso che fosse una mia sensazione. Non ho mai saputo la verità quanto non ho mai avuto un amico.
«Mi scusi ancora, ma alcune cose si scordano. Non si può sapere o ricordare tutto, sono un essere umano e ho il permesso di non essere perfetto, perchè la perfezione non esiste davvero. Non è solo un proverbio, la perfezione è inesistente. E non posso biasimarla se mi metterà in punizione, ma ricordi che io sono un essere umano, non sono perfetto come non lo è ognuno di noi, e posso sbagliare, scordare e dimenticare.» Si schiarì la voce anche lui, ma sembrò pentito di ciò che aveva appena detto. Però io non ero tanto sicuro che la perfezione fosse inesistente, magari esisteva solo la sensazione della perfezione, come in poche parole aveva detto lui, magari esisteva e basta.
Alla fine della lezione tutti si accerchiarono intorno a Derek per chiedergli se andava tutto bene, per poi complimentarlo del suo discorso. Solo quando tutti se ne stavano andando, compreso lui, io mi ci avvicinai e lo fermai. Ma gli chiesi solo se andava tutto bene, perchè io non volevo mentire. Non sapevo se era giusto ciò che aveva detto, e se non lo fosse stato, avrei solamente mentito. E ripeto, a me non piace mentire.
«Ciao, emh... io sono J...» Lui mi interruppe, ed ebbi la sensazione che stesse annuendo leggermente.
«Tu sei Jason Miller, lo so. Hai sedici anni e sei nuovo. L'ho visto nella lista con le foto. Sai, non sei venuto molto bene, ma non preoccuparti, nessuno la andrà a vedere.» Fece per andarsene, ma poi aggiunse: «Sì, sto bene, grazie. E mi sono accorto che non trovi molto giusto il mio discorso, ma non importa, mi è uscito dalla bocca spontaneamente. Ho detto quello che pensavo, quello che tu immagini sul mio discorso non mi interessa tanto, ma sono sicuro che diventeremo amici. Ho visto che mi fissavi, più o meno.» era vero, lo stavo fissando. Annuii impercettibilmente.
«E ho sentito il tuo discorso con... lui, qualunque sia il suo nome.» il lui che stava dicendo era il ragazzo a cui non avevo chiesto il nome.
«E, non ti preoccupare...» Abbassò molto la voce, tanto che le sue parole diventarono un sussurro. «In questa classe ci sono molti che pensano sia un bel ragazzo...» Entrai nel panico totale. Cosa voleva dire? Era un sensitivo? O magari l'avevo detto a voce alta? Come aveva fatto a saperlo? Un brivido mi percorse la schiena. «Ma attento a non farlo vedere.» Aggiunse.
«Io non dirò niente, se tu non dirai niente della mia specie di potere.» Potere? Ma di che cosa stava parlando?
«S... sei un sensitivo?» Balbettai. Non aggiunsi altro, non riuscivo a parlare.
«Shhh! Abbassa la voce! Sì, leggo nel pensiero.» E se ne andò, lasciandomi in un oceano di confusione.



Angolo Autrice ^^

Ciao ragazziiii XD
Ho pensato di fare una fanfiction con una coppia un po'... particolare. Bè, sicuramente non vi anticipo nulla e... che altro dire? È la mia prima fanfiction di questo genere, romantico, perciò...... siate buoni con me *_*
Ora vi saluto, al prossimo capitolo, aggiorno con almeno una recensione :)
E.... GRAZIEGRAZIEGRAZIE a chi ha letto questa storia fino a quaggiù, e a chi recensirà...
Ciao!
   
 
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