Piuttosto
che guardare il paesaggio all’esterno
preferì concentrarsi sul riflesso dei propri occhi sul
vetro della finestra. A
quanto pare non le piaceva lo scenario di distruzione
post-apocalittico. Invece
io non potevo fare altro che vedere in quel paesaggio la promessa di
una
vendetta, di un riscatto: il mondo intero mi apparteneva. La donna
continuò a
fissare il vetro. Mi ignorava, convinta che io fossi rimasto con gli
occhi
chiusi, ma si sbagliava. Un ninja non si distrae mai. Ciò
che vide mi riempì di
gioia. Vide due pupille dilatate, in preda al panico. Immaginai cosa
avesse
pensato: doveva restare calma, non mostrarmi la sua paura. Certo, non
sarebbe
stato facile, con quella bella collana acquamarina che le avevo fatto
indossare.
Una promessa di morte o, perlomeno, di cambiamento. Potevo sentire il
suo cuore
battere velocemente, i respiri profondi che si imponeva per calmarsi.
Ma non
poteva sapere che era tutto inutile. Le avrei incusso timore fino alla
fine di
quella maledetta ora.
Quella
donna prese un bel respiro e tornò a sedersi
alla sua sedia, tolse il tappo della penna con la bocca e
cominciò a prendere
appunti. Aveva capito che odiavo aspettare.
-
-
Molto interessante…
La
giovane donna si sistemò gli occhiali sul naso,
mentre valutava la situazione. Sospirò.
-
-
Mi faccia capire meglio. Lei mi sta
dicendo che aveva un amico…
-
-
Era come un fratello, per me.
La
donna sobbalzò lievemente, non riuscendo a evitare
del tutto di mostrare le proprie sensazioni. Un sorriso percorse la mia
faccia
tirata. Amo vedere il terrore sul volto dei miei nemici, come dei miei
adepti. Ma
la professionalità di quella donna ebbe ancora una volta la
meglio. Poco male. C’era
ancora tempo.
-
-
Bene…
Ma in seguito, la donna che amavate entrambi ha scelto il suo amico.
-
-
Lui
me l’ha rubata!
-
-
Si
calmi, signor Saki. – il tono della donna era scosso da
impercettibili brividi.
Faceva bene ad avere paura di me. – Siamo qui solo per
parlare. Dunque,
dicevamo, lei per vendetta, ha attaccato il suo amico nella sua stessa
casa, e
ha involontariamente appiccato un incendio che ha causato la morte
della donna.
Ciò l’ha colpita molto, immagino.
-
-
Tang
Shen era mia… Lei è morta per colpa di Hamato
Yoshi!
La
donna poggiò la fronte tra indice e pollice. Non capivo
cosa ci fosse di complicato. Anzi, era così palese! Era
colpa di quel traditore
di Yoshi. Era sempre stata colpa sua.
-
-
D’accordo.
Ha quindi rapito la figlia del suo amico, per crescerla
nell’odio e nei
confronti del suo vero padre… Ma non le ha mai mentito, vero?
-
-
Le
ho detto di essere suo padre per proteggerla. Su sua madre, sulla colpa
di
Yoshi, non le ho forse detto la verità? Inoltre
l’ho allevata come la figlia
che non ho mai avuto… io sono suo padre!
Karai.
Ricordo ancora i primi allenamenti, tutte le
soddisfazioni che mi hai dato. Figlia mia, che ti è successo?
-
-
Uhm…
- la donna continuava a prendere appunti, ma con la coda
dell’occhio mi
fissava. Ghignai. Mi teneva d’occhio. Eppure, se avessi
deciso di attaccarla di
sorpresa, neanche con i migliori riflessi sarebbe riuscita ad evitare
le mie
lame affilatissime. – Passiamo avanti. Quindici anni dopo, ha
scoperto che il
suo amico-nemico era ancora vivo, e che si nascondeva qui a New York.
Perciò si
è trasferito da Tokyo per portare a termine la sua vendetta.
La figlia del
signor Hamato…
-
-
Karai.
Mia figlia si chiama Karai.
Lei
si schiarì la gola. Aveva capito di aver appena calpestato una mina. Aspettai. Prima o poi avrebbe dovuto alzare
il
piede.
-
Mi
perdoni, sua figlia Karai. Quando sua figlia Karai ha scoperto le sue
origini,
le si è ribellata.
La
cura che impiegava nello scegliere le parole era
sconcertante. Decisi che non sarebbe saltata in aria. Non in quel
momento.
-
-
Dunque,
usandola come esca, l’ha chiusa in una gabbia sospesa su una
vasca di…ehm… mi
perdoni, come ha detto che si chiama?
-
-
Mutageno.
È la stessa sostanza che ha al collo.
Strinsi
gli occhi, gustandomi quel breve istante: la
donna passò due dita sul collier di mutageno che le
stringeva il collo come un
cappio. Il nuovo mutageno al suo interno, procuratomi dai Kraang, mi
aveva
permesso di prendere possesso della città. Mi aveva reso
l’uomo più potente
della Terra. Ed era anche un utile strumento di persuasione. La
collaborazione
dei Kraang si rivelava sempre più interessante e vantaggiosa.
Come
se nulla fosse, la donna riprese il colloquio.
-
-
La
ringrazio. Su una vasca di mutageno. Durante una colluttazione, lei ha
tagliato
la catena che teneva sospesa la gabbia, facendola precipitare nella
vasca. Anche
questo deve averla sconvolta molto.
-
-
Amavo
mia figlia. Maledetto Hamato Yoshi! È lui il responsabile
delle mie sventure!
Il
silenzio che seguì le mie parole mi infastidì.
Perciò
decisi di rendere il tutto più interessante.
-
-
Ma
ha avuto ciò che si meritava. Che possa marcire nei meandri
più oscuri delle
sue amate fogne. Ho ferito a morte il suo allievo prediletto, e ho
mostrato ai
suoi mostri la sconfitta del loro maestro. La città
è mia, e nessuno osa
ostacolarmi. Ho vinto! … Eppure, ora non provo
più soddisfazione. Voglio tornare
ad essere lo Shredder spietato di un tempo.
Mi
alzai lentamente dal lettino. L’armatura gridò,
digiuna di sangue da troppo tempo. Ma non l’avrei saziata
oggi.
-
-
È
per questo che ho ordinato ai Kraang di non mutarla. I miei uomini mi
hanno
caldamente consigliato di parlare con del personale qualificato, e so
che lei è
una dei migliori psicologi nel suo settore. So che ha lavorato per
molti anni
con un bravissimo dottore.
Lentamente
mi avvicinai alla sua scrivania, e presi
posto sulla sedia di fronte a lei. Una minuscola goccia di sudore le
imperlava
la fronte. Mi inebriai del terrore che le stavo inoculando
semplicemente con la
mia presenza. Sorrisi nel notare che cercava di distogliere lo sguardo
dal mio
occhio offuscato. Il Kuro Kabuto poteva proteggerla dalla rovina del
mio volto,
ma non dalla patina di odio e veleno che rivestiva la mia vista.
-
-
Si…
ho lavorato col dottor O’ Neil.
-
-
Dottoressa,
sto aspettando una risposta.
Di
solito, quando usavo quel tono con Bradford o
Xever, ottenevo un inchino patetico, e delle parole balbettate. Quella
donna mi
stupì. Prese un bel respiro, e poi mi si rivolse a me, la
voce sicura.
-
-
Le
interessa davvero la mia opinione? O vuole solo che le dica
ciò che vuole
sentirsi dire?
Trattenni
una risata. Sarebbe stata una combattente
eccezionale. Aveva grinta e coraggio che ai miei uomini mancavano.
-
-
Dottoressa,
ho seguito un consiglio dei miei uomini solo per un motivo. Sono stanco
di
sentire quei leccapiedi che mi elogiano. Voglio sentire qualcuno che
dica ciò
che pensa realmente di me. Perciò parli pure con
serenità. Non la sfiorerò con
un dito.
La
vidi respirare profondamente. Poi si sistemò
nuovamente gli occhiali sul naso e lesse i suoi appunti, il tono
neutrale atto
a nascondere ogni traccia di emozione dalla voce.
-
-
Lei
non accetta la sconfitta. Per questo prova questo odio bruciante nei confronti di Hamato Yoshi, e sempre per questo motivo nella sua folle e cieca corsa alla vendetta travolge e distrugge tutto ció che intralcia il suo cammino... anche se si tratta di persone a lei care. Ma di nuovo, non accetta la sconfitta, che lei sia responsabile o no, ha scelto come
capro
espiatorio il suo ex amico, e lo accusa di ogni evento negativo: della scelta di
Tang Shen,
della sua morte, della mutazione di Karai… Seppure, due
volte su tre, la colpa
sia sua. E il problema è che lei crede davvero in
tutto ciò che dice. Complimenti,
signor Saki, è riuscito a mentire benissimo perfino a se
stesso.
Una
nuova prospettiva. Finalmente. Le sorrisi.
-
-
La
ringrazio per il suo tempo, dottoressa. Arrivederci.
-
-
Quindi…
non si è irritato? Non mi farà niente?
-
-
Non
mi permetterei mai. –
le mostrai il
telecomando che controllava la collana– Come puó ben vedere non ho mosso un dito. Addio.
Uscii
da quella porta con nuovi pensieri in testa,
mentre mi rigiravo tra le mani quel telecomando. Rahzar e Tigerclaw
erano lì
fuori ad aspettare, come avevo ordinato loro.
-
-
Maestro,
come è andata?
-
-
È
un’incompetente. Ma ha coraggio. È stato
interessante.
-
-
Perciò…
non c’è bisogno di…
Quanta
pena mi fa ogni volta quel mostro ossuto. Davanti
a me guaisce come uno stupido cane randagio.
-
-
No.
Non ci sarà bisogno di ucciderla. Merita di piú.
Guardai
il telecomando. Poi con un sorriso premetti
il pulsante. Mi sentivo già molto meglio.