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Autore: PaginePerdute    06/01/2015    0 recensioni
Non preoccuparti.
Quel lurido schifoso morirà prima di farti del male.
Torneremo insieme a casa.
Continua a guardarmi.
Sarai salvo, e anche Kili.
Sei uno stupido leone.
Ti amo.
Le vicende qui narrate sono riprese da quando Fili e Kili vengon mandati sulla torre a controllare, ovviamente prima che questi muoiano, con l'inserimento di un OC: Dréin.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fili, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Then we should all die together
Autore: Fili /Michela
Avvertenze: Il personaggio di Dréin esiste in un gdr a base What if? su Tolkien, in cui è cugino di Kili e Fili e legato sentimentalmente a quest'ultimo





Il gelo si insinuava fin dentro le ossa, mentre il puzzo di morte lambiva il suo senso dell'olfatto, disorientandolo e mettendolo in allarme.
Nessun suono era avvertito, né da lui né da Kili, che con tanta decisione voleva quasi passargli avanti per trovare quel lerciume di orco, così da metter fine all'insana follia davanti alle porte di Erebor.


Quando era stata l'ultima volta che i suoi chiari occhi avevano potuto sostare sulle immense colonne portanti e le volte dal minuzioso decoro, simbolo di maestria da parte dei suoi avi?
Anni lo dividevano da quel ricordo, in cui era solo un bambino spaventato e pronto a fuggire dal fuoco e dalla morte, fra le braccia di un principe nanico.
E nei sogni la vedeva, la rimembrava la sua antica dimora, lasciata fra le grinfie di una stupida grossa lucertola alata.
Forte nel petto batteva il cuore, mentre si stupiva di quanti dettagli la sua memoria non ricordasse, imparagonabile alla realtà che si presentò davanti a loro, una volta giunti.

Non avevano fatto in tempo ad oltrepassare la soglia distrutta, dal passaggio di Smaug, e intrufolarsi fra i numerosi corridoi che Bilbo aveva chiamato a gran voce i loro nomi, tentando di frenare la loro avanzata.

La malattia che aveva avviluppato il re aveva stretto il suo cuore, mandando la razionalità bellamente giù dalla lunga scalinata che, infine, l'avevano portato all'abbaglio del mare di oro che, con cotanta maestosità, riempiva quasi tutto il piano inferiore.

E lì, in mezzo a quanto di più luccicante potesse esserci al mondo, la figura statuaria di suo zio l'aveva colto, all'improvviso, come un punto sfocato in quella lucentezza quasi fastidiosa.
La pazzia era facilmente individuabile già solo nel tono e nelle parole.
Maestria e bramosia fuoriuscivano dalle labbra screpolate del parente, e gli occhi erano inniettati di quell'insulsa smania di mostrare un qualcosa che, nella sua anima, aveva ben poco di inestimabile.

 Dréin, il cugino con cui aveva diviso lacrime e sangue, rabbia e gioie, era accanto a lui, trattenendolo per un braccio, come a mostrargli quanto il parente fosse racchiuso nella stessa malattia che aveva da sempre colto chi, stolto e sciocco, correva per una cosa infima come l'oro.

E le notti si erano susseguite, poche per poter assaporare il giusto connubio di felicità e malinconia, ripercorrendo con memoria delle parole e gesti ogni salone e ogni affranto, insieme al cugino e al fratello, di cui quest'ultimo ben poco sapeva di quelle mura silenziose.
Quando la follia aveva iniziato a scatenarsi fuori dalle porte del loro ritrovato regno, barricate con sudore e fatica dalle laboriose mani dei nani lì riuniti, aveva stretto denti e pugni per trattenersi dallo scavalcare quella stupida muraglia di fortuna, per gettarsi nella mischia.

A nulla erano valse le parole di Kili o quelle di Balin, persino Bilbo era stato cacciato e per poco lui stesso non finiva buttato giù dal muro, nel tentativo di Thorin di liberarsi del "ladro" che li aveva traditi.

E aveva visto i suoi occhi, aveva notato quelle lacrime malcelate, mentre il dolore poteva avvertirlo lui stesso, comprendendo cosa stesse passando nell'anima del re davanti alla realtà dei fatti.
L'unico di cui si era da sempre fidato, era stato il primo a voltargli le spalle, con giusta causa avrebbe potuto aggiungere, anche se agli occhi di Scudodiquercia ciò non veniva rilevato.

Quella folle malattia per l'oro veniva protratta senza che potesse dire o fare nulla, se non lasciarsi frenare da Dréin che, con costanza e pazienza raccoglieva la sua insofferenza.
Non seppe esattamente nemmeno lui cosa accadde, quando le grida all'esterno lasciarono presagire che la loro stessa gente stava perendo e indietreggiando per l'ultima folle corsa.

Seppe solo, come tutti lì riuniti, che da quella nube di fumo il re fece la sua comparsa, semplice nel suo vestiario, ma lui.
Nessuna maschera di freddezza o indifferenza, pronto ad accogliere a braccia aperte la battaglia e la morte.

E la barricata cadde sotto il loro grido di guerra, e i piedi furono mossi verso l'esterno, in un atto che agli occhi di Dain e il suo esercito, risultò come un'ultima carica gloriosa, ridando così speranza e voglia di scavalcare l'orrore che avevano davanti, per ricacciarlo nell'infimo buco dal quale era uscito.


Ora erano lì, pochi ma buoni, i più forti combattenti di cui Thorin poteva vantare, nell'ultima missione che li vedeva riuniti per fermare il massacro prossimo.
Inalò della gelida aria, muovendo appena le labbra screpolate fra loro, in un gesto di indecisione, mentre frenava il fratello da avanzare ulteriormente.
-Tu vai di sotto, qui controllerò io-

Il loro re li aveva mandati in avanscoperta, giovani e dalla vista acuta, mentre accanto a se aveva tenuto Dwalin e Dréin, pronti a ricevere un rapporto di ciò che avevano trovato in quelle torri, all'apparenza senza alcuna forma di vita.
Ma il puzzo di orco invase le sue narici, una volta giunto negli stretti e innevati corridoi al piano superiore, sentendo il cuore iniziare a pompare nel suo petto coperto.
Nella mano le lame, fidate compagne di inumerevoli lotte, ora sporce del nero sangue di chi era già crollato ai suoi piedi.

Non ebbe il tempo di prendere fiato, comprendendo dal debole luccichio di torcie infuocate che il nemico si stava avvicinando da più punti, e che si erano infilati senza alcuna via di scampo in una maledetta trappola.
L'istinto gli urlava di scappare, di trovare una via per scivolare all'esterno e tornare dagli altri, mentre il cuore ruggiva l'insofferenza di essersi lasciato ingabbiare così facilmente.

Indietreggiò, trovando altri sinistri suoni e passi di guerra, mentre anche l'ultima strada era sbarrata dall'avanzata.
E colpi furono menati, fendenti andarono a buon fine, facendo crollare ai suoi piedi i corpi di puzzolenti creature dall'orribile aspetto, fautrici del male più puro, imbevuti nel loro stesso sangue.

Spalle al muro, le braccia iniziarono a cedere sotto la stachezza dei muscoli contratti, e gli occhi si riempirono di orrore nel vedersi circondati dal nemico, piccolo topo nella morsa del predatore.
Non ci fu alcuna pietà per lui, che ora disarmato e pestato fu preso per i capelli, costretto a strisciare sulla nuda roccia, graffiandosi mani e gambe, sputando sangue e insulti nella sua natia lingua.

Pugni andarono a vuoto, come calci, mera illusione di poter ritardare il destino abbiecco che lo spettava, poco più avanti, di fronte alla mole dell'Orco Pallido.
Azog afferrò la sua blusa, dopo averlo nuovamente atterrato con un poderoso pugno, trascinandolo nel punto per lui più agiato, per essere visto da chi, impotente, era lontano per poter fare qualunque mossa.

Parole di sfida furono lanciate, mentre gli occhi del giovane nano si puntarono sulla figura austera dello zio, che non mascherava ora in alcun modo con freddezza e sangue freddo il terrore che lo avviluppava.
Accanto a lui vi era Bilbo, forse giunto in un secondo momento ad avvertirli del pericolo che stavano correndo, troppo tardi per salvare i più giovani ora in quella posizione di svantaggio.

Sapeva che Kili era ancora ai piani inferiori, magari ben nascosto per non farsi acciuffare, mentre la sua gola divenne arida, nel sentire la presa dell'orco sul suo collo, per tenerlo fermo come un trofeo da mostrare al suo acerrimo nemico.

Dwalin picchiò la sua arma contro la nuda roccia, stringendo i denti per l'impotenza di essere troppo lontano.
Ma colui che ebbe il potere di annientare il battito del suo cuore, renderlo senza difese davanti al fato che stava per sopraggiungere, fu il nano con l'arco ben teso, accanto alla figura dello zio.

Dréin era un fascio di muscoli, frementi nell'attesa di poter scoccare quella freccia contro chi, senza pietà, aveva catturato la sua gemma, il suo unico interesse in quella terra arida e dimenticata dai Valar.
Lo vedeva tremare, solo in viso per l'ansia e la rabbia che pian piano stavano crescendo nel suo indomito cuore.
E le parole di Azog rimbombarono su quella lastra di ghiaccio che si estendeva sotto di loro, fiume nascosto dal gelo invernale.
-La tua discendenza finirà oggi. il primo sarà lui.-

E la sua voce rimbombò, senza tremori, mentre il cuore batteva incessantemente nella gabbia toracica, quasi a scoppiare.
Gridava di non fermarsi, di proseguire, di non pensare a nient'altro se non mettersi in salvo.

Poteva vedere la mano di Bilbo tremare, mentre stringeva la piccola spada dalla lama luminescente, il viso contratto dal dolore di Thorin e Dwalin che ripeteva il suo nome.
Chi era immobile era Dréin, occhi nei suoi, come a rivolgergli un milione di parole al secondo.

Non preoccuparti.
Quel lurido schifoso morirà prima di farti del male.
Torneremo insieme a casa.
Continua a guardarmi.
Sarai salvo, e anche Kili.
Sei uno stupido leone.

Ti amo.

Il dolore che lo colse in un unico frangente gli fece scivolar via dalle labbra quel sorriso appena accennato, portandolo ad aprirle per prender fiato.
La lama bruciava nel suo corpo, rendendolo inerme di fronte al baluginio della morte, amara spettatrice e compagna dell'ultimo viaggio.

Non avvertì nulla, né parole o suoni, né risa o urla, quasi estraniato completamente da quel piano terreno in un singolo secondo.

Finché non tirò un ultimo soffocato gemito e nelle orecchie rimbombò un frastuono assoluto, e a regnare su tutto un urlo prolungato, quasi un ruggito di un animale ferito, nel quale avvertì più volte il suo nome.

Il resto scivolò sulla sua pelle lentamente più fredda, insieme al sangue vermiglio, linfa di vita che pian piano lasciava il suo corpo morente, buttato senza più pretese nel vuoto.

Spento, come un fuoco dimenticato in un camino di pietra.
Negli occhi quell'ultima coscienza di se, che portava oltre il velo dell'illusione di questo fulgido mondo, l'amore per chi aveva lasciato alle spalle.

   
 
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