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Autore: Ruta    06/01/2015    3 recensioni
Altri ricordi. Molly che impallidiva e arrossiva alternativamente, che si mangiava le parole, che gli sorrideva nervosamente. Molly e quella sua speranza abbagliante, la felicità dei suoi sguardi quando li sollevava dal lavoro che stava svolgendo per accoglierlo.
Era sempre stato efficiente nel far dileguare quegli sguardi trasognati, nello spegnere sul nascere quei suoi sorrisi troppo amabili.
Pensava di aver vinto. Non aveva mai capito.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Errata corrige: Mi sono appena resa conto che, in quanto a tempistiche, ho preso un granchio COLOSSALE. Janine compare nel secondo episodio, ma la storia è ambientata molti mesi prima che Sherlock la incontri al matrimonio dei Watson e che poi succeda quel che sappiamo. Voi chiudete un occhio e soprassedete alla mia idiozia e se potete, perdonate l'errore :) ricordo

Quando la felicità ci viene incontro non è mai vestita come pensavamo. Spesso ci passa accanto silenziosa e non sappiamo riconoscerla.
Romano Battaglia, Un cuore pulito, 2001

 

Il ricordo della felicità non è più felicità; il ricordo del dolore è ancora dolore.
George Gordon Byron, Marlin Faliero doge di Venezia, 1821

 

 

 

 

 

 

 

“Dovresti dirglielo.”
Sherlock scostò gli occhi dal libro che stava consultando per fissarli con irritazione sulla donna bruna di fronte a lui. Janine Hawkins, la riconobbe. Pensava di essersene liberato.
Il sorriso di lei esprimeva l’esatta misura dell’errore in cui era incappato. Oh, Sherl, diceva leziosamente, non ti libererai mai di me.
Con una smorfia Sherlock riportò la sua attenzione sulla pagina che stava leggendo, ma interi paragrafi si dislocarono e le parole d’inchiostro scivolarono oltre il bordo della carta, pesci rossi in un mare minacciato da predatori più grandi. Gli svolazzarono davanti al naso e poi si allontanarono verso il centro della stanza, indisturbati. Sherlock storse il naso, seccato. “Dire cosa a chi?”
Janine sorrise, il sorriso di chi ha appena conseguito una vittoria. “Dire a Molly Hooper quello che provi.”
Sherlock chiuse il libro e il rumore rimbombò nella stanza vuota come uno sparo.
“John ha ragione e tu lo sai,” seguitò Janine con deliberata lentezza, piegando la testa su un lato e osservandolo con curiosità. “Di cosa hai paura, Sherlock?”
“Di perderla.”
“Oh, Sherlock.” La stessa espressione che aveva usato Mary, pronunciata nel medesimo tono di dispiacere e condiscendenza. Oh, Sherlock, non capisci? Tu l’hai già persa.
Janine gli sfiorò la spalla con la mano. Pelle morbida, unghie curate, il profumo di lei e dei cosmetici che impiegava, del lucidalabbra che portava quando accostò la bocca al suo orecchio. Il suo alito sapeva di caffè e di ciliegie. “Non hai mai avuto Molly Hooper, non davvero.”
“Avevo la sua lealtà.”
Janine schioccò le labbra. “Così devota, così comprensiva. Molly Hooper è stata la moglie che non hai mai voluto. Strana cosa il destino. Ora tu la vorresti, ma lei sta per diventare la moglie di un altro.”
“Molly non lo sposerà.”
“Perché no?” Janine si prese una ciocca di capelli e ne studiò la punta con aria intenta. “Lui la rende felice, non le spezza il cuore.”
Vecchie memorie, affermazioni pungenti e raggelanti, vorticarono nella sua memoria, inafferrabili e per questo impossibili da prendere e mandare via.
Sherlock irrigidì il collo. “Non sapevo quello che facevo.”
“Bugiardo.” Janine gli puntò un dito contro, premendoglielo sulla spalla. “Tu sapevi esattamente quello che facevi. Ti divertivi a umiliarla.”
Sherlock contrasse la bocca in una smorfia. “No.”
“A ridere di lei.”
“No.”
“A sminuire i suoi sentimenti solo perché ha avuto la sfortuna di provarne per te.”
“No!”
Janine era scomparsa, ma Sherlock sapeva di non essere solo e quando sentì il rumore attutito di passi emergere dall’angolo estremo della stanza, seppe anche chi avesse preso il posto dell’altra.
“Hai smesso di essere il burattinaio.” La voce di lei era ferma e fredda e fece male, smisuratamente. “Hai smesso di essere il mio burattinaio.”
Sherlock cercò il suo sguardo, ma lei gli aveva già dato le spalle. “Molly.”
“Addio, Sherlock.”

 

 

 

 

 

Quello che è stato

 

 

 

 

 

“Sei di nuovo solo, fratello. Impegnati a fortificare i tuoi arieti, se ne hai l'intenzione. La solitudine è una fortezza che non puoi sperare di non far tua.”
“Vattene via.”      

 

 “Dannazione, Mycroft, ti ho detto –”

 
 

“Vattene via.”
“Io - ” rispose una voce con gentilezza. La voce apparteneva a Molly Hooper. “D’accordo.”
Sherlock riaprì gli occhi di scatto. La intravide, nella penombra del salotto: era in cappotto e appariva incerta sul da farsi, esitante come non gli capitava di vederla in sua presenza da anni. “Molly?”
“Ero venuta per parlare con te,” rispose lei, “ma capisco se non è un buon momento.”
“Non dire assurdità,” reagì istintivamente. (Ti sei divertito a umiliarla? A ridere di lei?) Sherlock si rabbuiò. “Accomodati.”
Gli occhi di lei danzarono sul suo viso, assumendo una sfumatura preoccupata. “Sherlock, stai bene?” Alzò il braccio e se lui non si fosse alzato dalla poltrona con un movimento elastico, probabilmente le dita di lei gli avrebbero sfiorato la guancia per accertarsi che fosse davvero così. A fronte dello spostamento repentino, il braccio di Molly le ricadde contro il fianco e Sherlock si diede dell’idiota.
“Mai stato meglio, grazie.”
Incredibile a vedersi, l’espressione di Molly si ammorbidì. “Mi era mancato, sai. Il modo in cui pronunciavi il mio nome, come un rimprovero,” spiegò, “ogni volta che disattendevo le tue aspettative o quando non ero abbastanza veloce e non riuscivo a tenere il passo con le tue richieste. Non che accadesse di rado.” I ricordi non la ancoravano al passato; non gravavano su di lei, ma la sorreggevano, l’avevano resa più forte e sicura. Molly scoppiò in una risata lieve, allegra, fissandolo con tranquillità. “Hai delle aspettative troppo alte. John le ha riequilibrate, grazie al Cielo.”

Non solo John. Il moto di fastidio che provava, tuttavia, non era stato provocato da quello. “Non hai mai disatteso le mie aspettative.”
Molly inarcò le sopracciglia, sorpresa come se avesse appena fatto una piacevole e inaspettata scoperta. “Sei diventato gentile.”
“Solo se costretto,” ribatté lui e la vide ridere di nuovo. Farla ridere era facile e soddisfacente. Quel pensiero lo orientava verso altri pensieri, lo portava in lidi minati, perciò spostò la conversazione su un diverso tracciato. “Mi era sembrato di capire che volessi parlarmi di qualcosa.”
Mutevole, ancora una volta, lei cambiò espressione e la luce si affievolì. “Tom mi ha chiesto di sposarlo.” Giocherellò con l’anello di fidanzamento, rivoltandolo e premendo i polpastrelli contro la durezza della pietra che vi era incastonata. “Lo aveva già fatto, ma questa volta io gli ho dato una risposta.”

Ovvio. “Gli hai detto di sì,” disse, suonando alle sue stesse orecchie inespressivo.
Lei annuì quietamente, sollevò il mento e lo guardò con serietà. C’era qualcosa di solenne e meritevole di ogni lode e onore in Molly, nel modo in cui aveva trovato il suo sguardo e nel modo in cui non distolse neanche per un attimo il suo dal proprio. Molly era la forza che non vessava, prepotente, ma si manifestava in casi di urgenza e necessità. Era il lato gentile e compassionevole del coraggio, dell’affetto che non si tirava mai indietro e porgeva sempre l’altra guancia in ritorno a un torto subito. Sherlock in passato ne avrebbe trovato il fallo, gliene avrebbe fatto una colpa. Non più.
“Sherlock.” Molly trasse un respiro profondo, prima di proseguire. “Voglio che tu mi risponda in tutta onestà. Voglio la verità e non importa se non sarà gentile. C’è un motivo per cui avrei dovuto dire di no a Tom?”
Sherlock riconobbe la cosa fragile che si rincorreva nel viso di lei. (Altri ricordi. Molly che impallidiva e arrossiva alternativamente, che si mangiava le parole, che gli sorrideva nervosamente e pressava le labbra tra loro come se stesse esprimendo a se stessa il desiderio di essere inghiottita dalla terra e sparire dalla sua vista. Molly e quella sua speranza abbagliante, la felicità luminosa dei suoi sguardi quando li sollevava dal lavoro che stava svolgendo per accoglierlo. Era sempre stato efficiente nel far dileguare quegli sguardi trasognati, nello spegnere sul nascere quei suoi sorrisi troppo amabili. Pensava di aver vinto. Non aveva mai capito.) Non batté ciglio. “No.”
Molly annuì, le spalle rigide in una posa che, lui lo sapeva, sarebbe diventata dimessa non appena fosse uscita da Baker Street. “Grazie,” rispose e si alzò sulle punte. Prima che riuscisse a comprendere cosa stava facendo, lei gli aveva posato un rapido bacio sulla guancia, gemello di quelli che lui le aveva dato e che ora sembravano appartenere a tempi remotissimi, quelli in cui lui non aveva saputo.
L’immagine di lei che gli dava le spalle nel gesto definitivo del commiato nel suo Palazzo Mentale, come una conclusione, era ancora troppo fresca e recente, così quando si concretizzò, lui non riuscì ad evitarsi di trattenerla, soltanto un altro poco. Un ultimo scorcio di Molly Hooper da avere e conservare. 
“Molly.”
Lei non si voltò subito e nel momento in cui lo fece, ruotò la testa, rimanendo con la mano sul pomello della porta dell’appartamento.

Sarai felice, Molly? Con lui sarai felice?
“Cerca di essere felice.”
Molly sorrise, un sorriso che non le raggiunse gli occhi, ma che glieli fece brillare ugualmente. “È quello che spero.”
Se ne era andata.
Sherlock ripiombò a sedere nella propria poltrona. Chiuse le mani e le pose davanti al viso, assorbito nella ricerca di conforto, di un minimo di sollievo. Sapeva dove trovarlo. Il suo Palazzo Mentale.
Si ritrovò nella stessa stanza, sullo stesso tappeto, di fronte alla stessa libreria. Prese lo stesso libro dallo scaffale e lo aprì alla stessa pagina.
“Avresti dovuto dirglielo, sai. Dirle la verità.”
E tutto ricominciò.

  


N/A:

La scena qui sopra dovrebbe - e dico dovrebbe - verificarsi successivamente a quanto ho scritto in “Dieci cose che (non) sai”, ad un giorno di distanza più o meno.
Andati via anche John e Mary, Sherlock cerca un po’ di pace dal tumulto nel proprio Palazzo Mentale e trova che la propria coscienza non ha niente di meglio da fare che rinfacciargli l’idiota che è per aver deciso di non dire a Molly quello che prova. Qualcuno di sfacciato che lui non riesca a scacciare via e verso cui nutra magari un latente senso di colpa, qualcuno che gli spiattelli in faccia la realtà senza lusinghe o le remore di un amico. Janine, personaggio fantastico, era la risposta alle mie preghiere. Janine che, dopo aver girato il dito nella piaga abbastanza soddisfacentemente per lei, cede il posto di fantasma torturatore a Molly.

Il giorno dopo la Vigilia ho immaginato che Molly si sia recata a Baker Street con l’intento di chiarire quel qualcosa che ha intravisto nello sguardo di Sherlock la notte precedente e che l’ha scombussolata e fatta ripiombare nella vecchia se stessa, per un istante. Molly però non è la stessa Molly di allora, va da Sherlock e lo affronta di petto e si fa spezzare il cuore l’ennesima volta. Non sa, però, che facendolo lui ha spezzato anche il proprio.

E ci sono ricaduta con tutte le scarpe, angst a palate con uno Sherlock che è tanto sconvolto da questo prematuro e definitivo faccia a faccia con Molly che quasi non sa come reagire dapprincipio, se mantenersi distaccato o mostrarsi delicato per non ferirla ulteriormente. Nello stordimento del momento, l’unica cosa su cui concentra ogni sua attenzione è Molly. Quindi, se la narrazione ne è uscita di conseguenza un po’ strana o forzata, pazienza, era un tentativo e non volevo calcare la mano sulle emozioni che Sherlock prova e sente vividamente, solo tratteggiarle e lasciare alla perspicacia e alla sensibilità di chi legge il trovarle.

Detto fatto, ritorno alla mia calzetta :P
Un bacio a chi leggerà!

P.s.: prometto che la prossima storia sarà qualcosa di allegro o comunque più leggero!         


  
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