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Autore: Strawberry Swing    17/11/2008    9 recensioni
"Un angelo mi fissa negli occhi; i suoi, chiari ma indefiniti, esprimono sorpresa, mentre i miei un misto di desiderio e curiosità."
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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The End.

Ah.
Le luci della sala si accendono, le persone intorno a me si alzano e raccattano le loro giacche e i contenitori vuoti dei pop-corn.

Un’ultima lacrima mi scivola lungo la guancia bagnandomi la mano che ho appoggiata sulle gambe.

Improvvisamente sembro svegliarmi dal mio stato di trance. Una signora vorrebbe passare per uscire dal cinema e non può perché ci sono io di mezzo. Mi alzo celermente e lascio passare la donna che mi lancia uno sguardo scioccato. Faccio spallucce, prendo giacca e borsa ed esco dalla sala cinematografica. Mi infilo il giubbotto, il freddo inizia a farsi sentire, e, dopo aver salutato il bigliettaio del centrale, esco dal cinema.

Vado spesso al cinema da sola, me lo godo di più perché posso piangere, ridere o sghignazzare quando più mi fa comodo, senza nascondere le mie manifestazioni davanti ad altri. Adoro la grande sala, molto più della televisione, mi triplica il senso di pace che mi invade quando guardo un film. Alzo gli occhi al cielo, non si vedono né le stelle né le nuvole, poiché la luce dei lampioni che illumina la strada è molto forte. Fortunatamente via Matteotti la domenica è chiusa, non mi piace camminare sui marciapiedi ammassati di persone. Guardo le vetrine dei negozi, ma non le vedo veramente, il mio sguardo si posa su borse varie e scarpe senza scorgerle, il mio pensiero vaga ancora sul film, la bella storia smielatamente romantica, che ho appena finito di vedere.

Sorrido di me stessa: non posso permettermi di sperare nelle favole, nell’arrivo del principe azzurro della storia. Un giovane tenta di vendermi un giornale comunista, ma quasi non me ne accorgo. Intorno a me vedo passare molta gente, una mamma trattiene il figlioletto che tenta invano di scappare per andare ad accarezzare un cane, poco più avanti un gruppo di ragazzi si atteggia a “Divi”, di fianco a loro la mia amica Celeste mi saluta con la mano, restituisco il saluto e tiro avanti.

Sento gli occhi dei ragazzi che mi sfiorano la schiena, sento i brividi.

Attraverso i tavolini del Melody proprio in mezzo alla strada e saluto altri ragazzi seduti su uno di questi.

Passo davanti al Gohà e do un’occhiata alle porte chiuse. Vecchi ricordi mi sfiorano la mente.

La prima volta a ballare, la mia emozione e la mia sorpresa, il ballo frenetico, le luci psichedeliche, l’odore acre e la puzza di sudore, i sorrisi, i baci, gli abbracci…

Chiudo la mente, o almeno ci provo, non mi va di pensare a quelle serate.

Stringo con forza i pugni e le labbra.

Volgo lo sguardo dritto davanti a me.

Inizio a camminare più velocemente. Voglio arrivare a casa il prima possibile, voglio lasciarmi dietro il Gohà, con tutti i suoi problemi e le sue parole.

Non voglio essere ferita ancora, non voglio più sognare, non voglio più credere nelle favole.

Vado avanti, supero il teatro dell’Ariston, poi il tabacchino.

Mi fermo a vedere una vetrina, delle scarpe, cercando di lasciarmi il dolore alle spalle, dentro quelle porte chiuse a chiave. Tento di distrarmi, di tornare alla realtà.

“Ale, vieni a vedere questi stivali” per istinto volgo lo sguardo verso la persona che ha parlato.

Una ragazza saltella allegra fino alla vetrina, coprendo il ragazzo che l’aveva chiamata poco prima.

Faccio finta di niente e continuo a guardare le scarpe.

Sento un brivido lungo la schiena, qualcuno mi fissa.

Mi giro e la borsa mi scivola lenta lungo la spalla, finendo sull’incavo del gomito.

Un angelo mi fissa negli occhi; i suoi, chiari ma indefiniti, esprimono sorpresa, mentre i miei un misto di desiderio e curiosità.

Sono spiazzata, non ho mai visto nessuno di cosi bello.

I suoi capelli, neri come il carbone, sono abbastanza lunghi.

Distolgo lo sguardo dal quel viso perfetto.

Gli guardo i jeans a vita bassa, la giacca nera con la cerniera bianca, ma, inaspettatamente, mi ritrovo a fissargli le labbra carnose, il naso dritto, le guance arrossate dal freddo e poi di nuovo i suoi occhi.

Improvvisamente la medesima Ale di prima lo chiama.

Lui si gira e io mi trovo a fissargli la folta chioma nera.

Volgo lo sguardo, non più ipnotizzata dai suoi occhi e continuo a camminare, concentrandomi di mettere un piede avanti all’altro.

Ma ad un certo punto, non ce l’ho più fatta a trattenermi e mi sono rigirata a fissarlo.

Di nuovo inizia il nostro gioco di sguardi, la lotta di chi lo abbassa prima, di chi perde.

Poi di nuovo la ragazza si mette tra di noi, lui è costretto a guardarla, io esulto sorridendogli.

Poi sento ciò che non vorrei sentire.

“Amore?”, lei chiama lui.

Sento una vocina dentro di me che mi dice di non esserne troppo sorpresa. È la voce del mio pessimismo cronico, la voce della sacrosanta verità.

Aumento la velocità. Sento i loro passi dietro di me. Giro l’angolo, voglio scappare.

Il suo sguardo continua a perforami la schiena, faccio finta di niente e continuo a fuggire.

Raggiunto il centro della piazza mi volto per vedere se mi segue. Lo vedo fermarsi al parcheggio dei taxi. La ragazza lascia la mano a penzoloni, lui se la tiene nella tasca dei jeans e parla a un taxista, probabilmente amico suo.

Mi giro e inizio a camminare velocemente. Lo guardo un’ultima volta e vedo che mi fissa. Sorrido e proseguo verso casa mia.

Percorro tutta la piazza senza accorgermene, quasi volando.

In un attimo sono davanti al cancello della proprietà e inizio a rallentare.

Mi giro, sperando di vederlo comparire, e allora inizio a deridermi.

Le favole non esistono, lui sarà ancora in piazza con la tipa, magari si stanno anche baciando ed io mi ero immaginata tutto. Io ero nulla.

Inizio a ridere, quasi istericamente per aver creduto che quel colpo di fulmino avesse colpito anche lui.

Poi sento dei passi, smetto di ridere, di camminare, di respirare.

Qualcuno si è fermato dietro di me e, con voce ansimante mi chiede: “Scusa, come ti chiami?”.

 
 
 
Angolo dell'autrice
 
Io tengo molto a questa storia.
Sarebbe un misto di fantasia e di un fatto reale.
l'ho riletta ora, dopo 5 anni che la scrissi e, oltre a trovare ovvi errori lessicali, ho corretto anche i pochi grammaticali o di stesura quivi incisi
Attendo giudizi, positivi o negativi che siano.
spero che la storia vi sia piaciuta e vorrei ringraziare le mie due compagne di banco poichè mi hanno aiutato a migliorarla.
sono due settimane che ci lavoro. xD
vi saluto.
Giulia
  
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