Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: angelo_nero    08/01/2015    2 recensioni
Dal testo:
"Rosso. Come il sangue innocente che ha versato, come quel fiore chiamato rosa tanto amato da lei, come le lenzuola nella sua stanza. Rosso come le pareti della camera gravitazionale attiva, rosso come il mantello che da piccolo portava fieramente sulle spalle, come la maglietta di lei la prima volta che aveva posato le proprie labbra sulle sue, come i dettagli nella propria stanza, come il reggiseno che le aveva tolto l'ultima volta che avevano fatto l'amore.[...] Il rubino gli ricordava quella donna in una maniera impressionante, forse perché portava quasi sempre qualcosa di quel colore addosso, forse perché gli aveva rivelato essere il suo colore preferito, forse perché quel colore piaceva anche a lui, forse perché quel colore li rappresentava. "
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nick EFP/Forum: angelo_ nero - bulma97
TitoloRed 
Personaggi: Vegeta, Bulma
Coppia: Vegeta/Bulma
Colore che rappresenta la coppia: Rosso
Frase da far pronunciare ad un personaggio: “Dimmi che mi ami, non chiedo altro” 
RatingVerde
Genere: Introspettivo, Missing moment, Romantico
Note : Questa storia partecipa al Contest " Una frase per te!" di Nede 





 

Red

 

 

Sembrava che quel giorno il cielo avesse deciso di piangere al posto suo. Riversava le sue lacrime sulla città frenetica, all'ora di punta quasi avesse capito la sua disperazione.

Le nuvole nere coprivano l'immenso cielo blu, ormai da due settimane; lo stesso lasso di tempo da quando il Cell-Game era finito, mettendo un punto a quel lungo periodo di terrore.

Se ne stava inginocchiato a terra, a fissare quella scatola davanti a lui come se avesse potuto dargli una risposta. Strinse le mani sulla stoffa dei pantaloni che indossava, così diversi da quelli che era abituato a portare. Abbassò la testa sconfitto, si sentiva un fallito.

Con un sospiro mise il coperchio alla scatola, all'interno la sua divisa da combattimento, completa di armatura. Si alzò da terra ed uscì dalla camera gravitazionale mentre la porta automatica si chiudeva alle sue spalle.

Non vi sarebbe più entrato.

 

***

 

Il buio avvolgeva la sua stanza, nessuna luce filtrava dalle persiane serrate né alcuna lampadina era stata accesa.

Strano però, per uno come lui, vissuto sempre nella completa oscurità, sentirsi come a disagio in mezzo a tutto quel silenzio. Il fatto di riuscire a sentire i propri pensieri, così, liberamente, senza le urla di quella donna dai capelli azzurri.Afferrò un cuscino buttato distrattamente sul letto proprio da lei, era rosso con una scritta dorata sopra.

Rosso. Come il sangue innocente che ha versato, come quel fiore chiamato rosa tanto amato da lei, come le lenzuola nella sua stanza. Rosso come le pareti della camera gravitazionale attiva, rosso come il mantello che da piccolo portava fieramente sulle spalle, come la maglietta di lei la prima volta che aveva posato le proprie labbra sulle sue, come i dettagli nella propria stanza, come il reggiseno che le aveva tolto l'ultima volta che avevano fatto l'amore.

Si accigliò rendendosi conto di quanto Bulma amasse quel colore, in ogni cosa che faceva doveva sempre esserci qualcosa di rosso. Che fosse un pomodoro nell'insalata o la cintura sui jeans, un cuscino nella stanza o il rossetto sulle labbra. Quante volte l'aveva sentita ripetere la frase “voglio un uomo che mi sbavi il rossetto, non il mascara”? Beh lui il rossetto glielo aveva sbavato più e più volte.

Si tirò su a sedere di scatto: com'era finito a pensare a lei? Il suo sguardo si posò sul cuscino che ancora stringeva, ecco come.

Buttò il cuscino di lato con rabbia passandosi le mani sulla faccia in un gesto esasperato, possibile che non riusciva a lasciarlo in pace!? Non le bastava essergli davanti al naso tutti i santi giorni, entrare nei suoi sogni e tormentargli le notti, adesso anche da sveglio era nella sua testa!

Avvertì un leggero bussare -Che vuoi!?- urlò al povero malcapitato dietro la porta. Avvertì un leggero sussulto proveniente dall'altra parte, poi la porta si aprì lentamente facendo entrare uno spiraglio di luce e un cascata di capelli azzurri spuntò oltre il legno. -Posso entrare?- chiese titubante.

Vegeta annuì impercettibilmente posando i piedi sul pavimento e prendendosi la testa tra le mani, affondando le dita nella chioma scura.

L'azzurra entrò, lasciando l'uscio della porta leggermente aperto, in modo da far penetrare un po' di luce in quella perenne oscurità. -Com'è buio qui, posso aprire un po' le persiane?- chiese guardandosi intorno per poi posare lo sguardo su di lui. Il Saiyan alzò le spalle -Fai come vuoi.- le rispose.

Bulma si avvicinò alla finestra e l'aprì facendo entrare la tenue luce del giorno, oscurata dai nuvoloni grigi, l'umidità e il rumore della pioggia. Inspirò profondamente, adorava l'odore della pioggia e dell'asfalto bagnato. Diede le spalle alla finestra appoggiandosi sul davanzale, da quella posizione aveva la completa visuale sull'uomo che se ne stava seduto con la testa tra le mani e lo sguardo basso. Era strano. Strano per un guerriero come lui starsene rinchiuso in una stanza invece di allenarsi, per un uomo del suo calibro starsene seduto sul letto a guardare il pavimento. Strano per lui non inveirle contro perché aveva invaso il suo territorio e violato il suo muto invito di essere lasciato solo. C'era qualcosa che non andava.

-Tutto bene?- gli chiese in un filo di voce. Lui non rispose né si mosse, continuando a guardare il pavimento, quasi ci fosse qualcosa di interessante in quell'incastro di piastrelle.

Bulma, con cautela, si avvicinò al letto rimanendo a pochi passi da lui, sembrava solo e abbattuto. Lui non si mosse, consapevole della sua presenza rimase nella stessa identica posizione, ancora una volta, se non fosse per il leggero rumore del suo respiro sarebbe potuto benissimo sembrare pietrificato.

L'azzurra prese un profondo respiro e si azzardò ad avvicinarsi di più, temendo un suo rifiuto. Beh, pensò, sarebbe stato comunque meglio di quel maledettissimo silenzio. Gli mise una mano sulla spalla attirando la sua attenzione, lo fece voltare, se pur per pochi secondi.

 

Avvertì il calore della sua mano sulla propria spalla, ebbe un brivido ma non lo diede a vedere, si voltò leggermente nella sua direzione scrutandola: nonostante il suo sorriso rassicurante, nei suoi occhi si leggeva una nota di preoccupazione. Passò in rassegna il suo abbigliamento, indossava una maglietta a maniche lunghe rossa, che lasciava scoperte le spalle, un paio di blue jeans slim con una cintura rossa.

Sospirò facendo scivolare le braccia sulle gambe. -Stai bene?- si sentì chiedere dolcemente. Non seppe perché ma si ritrovò a scuotere la testa con veemenza -No, niente va bene. Niente!- quasi urlò, stringendo i pugni furioso.

Si sentiva uno schifo: non era stato in grado di sconfiggere uno stupido cyborg tirato fuori da qualche mente malata, usando le cellule di tutti i guerrieri più forti sul pianeta; non era stato in grado di proteggere suo figlio né tantomeno di vendicarlo quando fu ucciso da quell'essere viscido.

Lentamente aprì le mani ed abbassò la testa -Non sono capace di fare neanche ciò per cui sono nato. Non sono stato capace di proteggere mio figlio. Non sono stato in grado di vendicare la sua morte. Sono un fallito.- sussurro più a se stesso che a lei. Era la prima volta, dopo la fine del Cell-Game, che tirava fuori ciò che lo torturava. Ed ancora una volta la testimone di tale sfogo era lei, tornò a stringere i pugni in un gesto rabbioso. Quando vide le sue manine bianche posarsi sulle proprie strette alzò lo sguardo incontrando due occhi azzurri, in cui ci si sarebbe potuto perdere, e un sorriso rassicurante -Perchè pensi questo di te?- gli chiese sedendosi accanto a lui. -Perchè è ciò che sono!- disse alzandosi dal letto ed andando ad appoggiarsi al davanzale della finestra.

Avvertì due braccia stringergli la vita mentre appoggiava la testa sulla propria schiena -Non sei un fallito, non è vero che non sei capace di fare nulla. Posso capire che tu ti senta frustrato per la storia del Cell-Game, soprattutto per la morte di Trunks.- sentì la sua voce incrinarsi pronunciando quel nome, poi la sentì sospirare riprendendo il controllo delle sue emozioni. -Ma adesso è tutto finito, è passato. Trunks è vivo ed è tornato alla sua epoca sano e salvo mentre Cell è scomparso, per sempre. È inutile che tu continui ad arrovellarti il cervello sul passato, non lo puoi cambiare né modificare; a questo punto bisogna solo andare avanti, voltare pagina e non pensarci più, tanto stando qui,a spremerti le meningi sentendoti in colpa per ciò che hai o non hai fatto, non puoi tornare indietro comunque.- ridacchiò, una risata triste attirando inevitabilmente l'attenzione dell'azzurra che si sporse oltre la sua spalla per osservarlo. -Cosa c'è da ridere?- gli chiese.

Lui rise ancora una volta -Dopo tutto quello che ti ho fatto, ancora sei qui a farmi la predica?- le chiese all'improvviso.

Lei tornò ad appoggiare la testa sulla sua schiena chiudendo gli occhi -Lo sai il motivo. Questo non è l'uomo che conosco, sei diventato l'ombra di te stesso. È ora di reagire, buttarsi il passato alle spalle ed andare avanti, con una nuova vita.- Se gli stava chiedendo di tornare a stare con lei? Non lo sapeva, forse ci sperava anche con la consapevolezza che lui avrebbe potuto non accettare. Lei rivoleva solo il suo uomo, il guerriero orgoglioso e cocciuto di cui si era innamorata perdutamente, rivoleva il padre di suo figlio in tutto e per tutto, compreso il suo caratteraccio.

Rimase a pensare a quelle parole per un po', appoggiato al davanzale della finestra con la sua donna che lo abbracciava cercando di rassicurarlo. Incredibile dopo tutto quel tempo ancora pensava a lei come la sua donna? Alzò un sopracciglio confuso, sicuramente il suo cervello aveva smesso di lavorare nel modo adeguato da quando aveva messo piede in quella casa.

La sentì allontanarsi per dargli modo di voltarsi a guardarla, si perse nuovamente in quelle due iridi chiare, come aveva fatto molte volte durante il tempo che avevano passato insieme.

Lo sguardo gli cadde sula suo collo niveo dove brillava una catenina d'oro su cui spiccava un piccolo rubino, sfiorò la collana con le dita e sorrise leggermente: quella collana gliel'aveva regalata lui o meglio, lui le aveva regalato il rubino poi lei ci aveva fatto una collana.

Il rubino gli ricordava quella donna in una maniera impressionante, forse perché portava quasi sempre qualcosa di quel colore addosso, forse perché gli aveva rivelato essere il suo colore preferito, forse perché quel colore piaceva anche a lui, forse perché quel colore li rappresentava. Il rosso del sangue, il rosso della passione. Travolgente che crea dipendenza, esattamente come lei.

-Bella vero? Non la tolgo mai, neanche quando faccio la doccia o mentre lavoro.- disse lei prendendo il piccolo ciondolo tra le dita ed osservandolo.

Era stata una sorpresa quando lui glielo aveva portato dicendo che lei ne avrebbe fatto un uso migliore. Anche se non lo aveva mai ammesso, Bulma era sicura che lui gli avesse regalato quella piccola pietra come dimostrazione che, in fondo, a lei ci tiene veramente.

Tornò ad appoggiare la testa al suo petto ascoltando i battiti del suo cuore. -Nuova vita o meno, ho comunque deciso di non combattere mai più.- disse lui.

Bulma alzò la testa fissandolo negli occhi, Vegeta aveva, però, voltato la testa dalla parte opposta negandole la vista di quei due splendidi pozzi d'ossidiana. -Cosa vai blaterando? Tu sei nato per combattere, tu vivi per combattere ed ami farlo! Non puoi, di punto in bianco, decidere di non farlo più. Eri tu quello che me lo ha ripetuto fino alla nausea, tutte le volte che ti ho chiesto spiegazioni sul perché di questo accanimento verso il pericolo. Ricordi?- gli disse lei, più determinata che mai.

Incredibile, si stava facendo riprendere da lei sulla decisione di non massacrarsi più di allenamenti, proprio lei che lo sgridava quando usciva da quella stanza più morto che vivo. Ironia della sorte, i ruoli si sono invertiti. -A che scopo? Quel decelebrato è morto, non c'è più alcun motivo valido.- alzò le spalle noncurante. Sapeva benissimo che una cosa c'era, ma gli costava troppo ammetterla, il suo orgoglio si sta riaffacciando dopo giorni di completa agonia.

-La tua famiglia non è un motivo abbastanza valido? Guardami in faccia quando ti parlo!- lo sgridò attirando la sua attenzione, adesso stava diventando combattiva: rivoleva il suo orgoglioso, cocciuto e temerario guerriero, e lo avrebbe avuto!

-Io e Trunks, siamo la tua famiglia nel caso te lo fossi dimenticato, siamo noi il tuo motivo per continuare ad allenarti. Non vuoi proteggere tuo figlio? Vederlo crescere ed allenarlo come non hai potuto fare nel futuro di Trunks? Non ti piacerebbe essere fiero di lui, farlo diventare più forte di Gohan?- lo fissava dritto negli occhi, questa volta non avrebbe potuto sfuggirgli. Aveva toccato il tasto della sfida e del confronto, sapeva che gli rodeva il fegato sapere che il figlio di Goku era più forte di lui. -E' figlio tuo no? Potrà diventare invincibile se sarai tu ad allenarlo.-

Nessuna risposta, continuavano semplicemente a guardarsi negli occhi intenti a prevalere sull'altro. Entrambi testardi e caparbi non sarebbe stata facile spuntarla. -Non sono stato in grado di proteggere quello del futuro come pensi possa farlo con lui?- -Oh andiamo, Vegeta!- urlò esasperata allontanandosi da lui, fece qualche passo per la stanza e poi si voltò per guardarlo in faccia: aveva incrociato le braccia nella sua solita posa. -Smettila di autocommiserarti! Smettila di fare il bambino! Smettila di fare la povera vittima! Non hai ragione, ti stai comportando da stupido e non è da te!- al limite della sopportazione lo vide rimanere immobile, forse una leggera alzata di spalle indifferente. Non gli importava un gran che. -Al diavolo!- gli si avvicinò a passo svelto, i pugni serrati lungo i fianchi e l'andatura decisa. Gli puntò un dito sul petto per enfatizzare le sue parole. -Sai benissimo che saresti in grado di farlo, solo che non vuoi, perché hai paura! Ma la paura si sconfigge facilmente senza che lei ti rincorra per il resto della vita, diventando sempre più grande. Andiamo, so che lo puoi fare, ci devi mettere solo un po' di buona volontà.- la sua rabbia era quasi completamente scemata, lasciando il posto alla delusione quando lui voltò lo sguardo da un'altra parte senza degnarla di una risposta.

Si voltò dandogli le spalle -Cosa devo fare per convincerti? Cosa vuoi in cambio?- disse sottovoce. La faccenda si stava rivelando più complicata del previsto, era, si testardo, ma aveva anche un orgoglio, e che diamine!

Ancora nessuna risposta. -Va bene, fai come vuoi.- Con un sospiro si avviò verso la porta, camminando lentamente. Non poteva crederci, il grande Principe dei Saiyan si arrendeva così alla tristezza, commiserandosi. Lui che tanto odiava i sentimenti terrestri ora ne era la vittima assoluta. Aprì la porta lasciata socchiusa, si voltò un'altra volta ma lui era sempre nella stessa posizione. Sospirò appoggiando la mano sulla maniglia aprendo del tutto la porta che dava sul corridoio, si voltò un'altra volta nella speranza che avesse cambiato idea. Era sparito, scomparso, nel nulla. Chissà in quale meandro della Terra si era andato a rifugiare, solo con il suo orgoglio a pezzi e la sua testardagine. Mise un piedi fuori dalla porta, aveva n bambino da crescere, con o senza padre.

Un paio di braccia forti però le impedirono di varcare la soglia tenendola stretta contro il corpo caldo del proprietario. -Dimmi che mi ami, non chiedo altro.- lo disse in un sussurro, talmente basso che se non fosse stato a due centimetri dal suo orecchio non l'avrebbe sentito.

Il suo cuore accelerò i battiti, aveva fatto forse la più grossa cavolata che potesse mai fare. Ma ormai era fatta, le aveva fatto quella richiesta che tanto gli rimbombava nel cervello in quei giorni. Quei pochi secondi di silenzio sembrarono infiniti ai suoi occhi, non attendeva altro se non una risposta.

Bulma appoggiò la testa sulla spalla del compagno, appoggiò le mani sulle sue e sorrise, felice. -Ti amo.- gli disse sottovoce, quasi si potesse spezzare l'incantesimo.

La fece girare tra le su braccia, intrappolandola in un abbraccio di ferro, posando le mani sui suoi fianchi attirandola a sé. La baciò, con trasporto, con rabbia, con tristezza, con bisogno, con dolcezza, con passione, facendo scontrare i denti e danzare le lingue. Le morse il labbro inferiore, facendone uscire una goccia di sangue che lavò via con un altro bacio.

Rosso era il colore delle lenzuola tra cui fecero l'amore, rosso era il colore del reggiseno che le tolse, rosso era il colore del sangue che uscì quando si mordevano le labbra, rosso era il colore di quel rossetto che lei amava portare, rosso era il colore della passione che stavano consumando e che li avrebbe consumati, rosso era il colore dell'amore che li legava, trascinandoli in un vortice di sensazioni, per sempre.


 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: angelo_nero