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Autore: Alaska1914    09/01/2015    3 recensioni
[James Dean]
Alle volte certi ricordi sono più reali di altri.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le erano sempre piaciute le storie, fin da quando era soltanto una bambina. Le ascoltava e catalogava continuamente. Alcune volte cercava anche di viverle, di immaginare gli odori e le sensazioni. All'età di cinque anni un'amica di sua madre le chiese quale fosse il suo sogno, e si aspettava qualche risposta del tipo “Vorrei essere una principessa” o qualcosa del genere, e invece le rispose “Io.. io voglio una storia. Come quelle della nonna e il nonno. Voglio una storia che deve essere la più bella delle storie.”
E adesso di anni ne aveva settantanove, e la più bella delle storie l'aveva vissuta, ma mai raccontata.
Aveva iniziato a pensare che, se l'avesse raccontata, le sarebbe fuggita via ed era la sua parte migliore, quella storia, sparendo l'avrebbe portate via con sé.

 
Un giorno, una mattina presto, guadandosi allo specchio si riscoprì giovane: quei lunghi boccoli color nocciola che le scivolano sulla schiena e quei suoi occhi da cerbiatto che sorridevano, amati. Di quell'amore che ti brucia l'anima, quello forte che non lascia scampo. Quello che ti uccide e ti tiene in vita allo stesso tempo, l'amore sussurrato, quello vero.
Per un attimo le prese un fortissimo dolore proprio vicino al cuore, aveva archiviato quel tipo di amore per così tanti anni che adesso se lo sentiva tutto addosso, tutto insieme.
Cercò la scatola di legno intagliata a mano che teneva sotto il letto e che non apriva mai e uscì. Prese un treno per Salinas, vedeva la sua immagine riflessa sui finestrini e sorrideva perché si vedeva di nuovo giovane e bellissima. Quando scese, si guardò intorno; tutto le era così familiare.
Non aveva più lasciato la California, nonostante i suoi cambiamenti, lo smog e tutto il resto. Ogni ponte, strada, panchina o parco, seppur cambiati, erano impregnati dei loro baci a mezzanotte e delle corse sul cemento a piedi nudi, che loro il dolore non lo sentivano neanche.
Si sedette su di una panchina, lì, alla stazione. Guardava le macchine arrivare, uomini scendere ed abbracciare le proprie donne ed i bambini. E lei rise perché sapeva che anche il suo uomo stava venendo a prenderla, per portarla con sé, dopo tutto quel tempo.

 

'51. 

Il loro incontro non fu particolarmente spettacolare, uno di quei primi incontri che non vedi l'ora di raccontare. No, non fu il primo incontro ad essere indescrivibile, ma tutto quello che venne dopo.
Si conobbero una sera che pioveva, in un localetto della zona. Niente di che, tranquillo. Buona musica e divanetti comodi; non li frequentava quei posti lui e nemmeno lei, ma certe sere erano una mano santa. Lui entrò bagnato dalla punta dei capelli alle dita dei piedi; bestemmiava che era una meraviglia. Lei nemmeno lo notò tanto era impegnata a leggere quel suo libro dalla copertina ridicola.
“Hey, giovanotto, stai bagnando tutto” lo sgridò il tizio calvo al bancone.
“Scusa capo.” rispose prontamente lui. In modo sarcastico, ovvio, non sentiva mai il bisogno di scusarsi davvero.
La notò subito in fondo alla sala, lei ed il suo libro ridicolo. La notò non perché fosse l'unica o la più carina, la notò perché leggendo ogni tanto sorrideva e faceva una cosa con la mano che era come scrivere nell'aria. Lui si avvicinò e non si preoccupò nemmeno di inventare una scusa, semplicemente le si sedette di fronte e le sorrise. Lei non sembrò accorgersene, ma quando fece per parlare disse “prevedibile”. E lui non parlò. Dopo qualche minuto fu lei a rompere il silenzio incitandolo ad andarsene.
«Non lo vuoi davvero.» rispose spavaldo.
«E tu non vuoi davvero una denuncia per molestie.»
«Volevo sol-»
«Sessuali.» lo interruppe lei senza staccare gli occhi dal libro per neanche un secondo.
Lui sorrise nervosamente, mai nessuna l'aveva respinto in questo modo.
«Dammi almeno una chance, non credi?»
Silenzio.
«Che c'è, la mamma ti ha detto di stare lontano da quelli come me?»
Ad un certo punto, spazientita, chiuse il libro ed incrociò le mani. Prese a fissarlo intensamente e dopo qualche secondo gli rispose: «Tu non mi piaci, Jimmy. E non piaceresti nemmeno a mia madre, ma il motivo principale per cui ho deciso di ignorarti è che non mi interessi, semplicemente. Hai fatto soltanto uno spot e uno stupido gioco, non sei nessuno.» dopodiché tornò al suo libro.
Lui rimase lì per qualche frazione di secondo, non sapendo bene cosa rispondere, poi si alzò.
«Magari ci avrei provato con te, non puoi saperlo. Magari invece alla mia di madre saresti piaciuta, anzi probabilmente le saresti piaciuta, ma non possiamo sapere nemmeno questo. Volevo soltanto fare due chicchere, fuori piove e tu hai l'aria di essere intelligente e sveglia. Beh, evidentemente non lo sei. Mi chiamo James, non Jimmy, non Jimbo, James. E adesso me ne vado.»

 
La seconda volta che si videro fuori non pioveva e con sé lei non aveva nessun libro ridicolo, sedeva su di una poltrona rossa di un teatro vuoto. Conosceva l'addetto alle luci e lei aveva un bel paio di occhioni grandi, che sorridevano a comando. Nessuno resisteva e quindi eccola lì, nel bel mezzo di un immenso teatro vuoto. Lei chiudeva gli occhi e immaginava la più belle delle scenografie lì, su quel palco, eseguita solo per lei. Era così che contrastava la tristezza; non se ne andava mai, ma la frenava per un po'. Veniva considerata strana, molte volte anche positivamente: era l'epoca in cui strano significava misterioso che a sua volta significava bello. Lei, tuttavia, non credeva di essere strana: non si è strani quando si cerca di combattere i propri demoni, si è solo incredibilmente coraggiosi.
«Noto con piacere che la principessa frequenta gli stessi luoghi di noi comuni mortali.» la prese in giro James, scendendo quei pochi scalini che li dividevano.
Lei sorrise; non poteva fare altro, se lo era meritato.
«Potrei provare a dire che di solito non sono così, che sei capitato in una sera sbagliata, ma significherebbe mentire. Ho sempre la battuta pronta e generalmente delle persone me ne importa poco e mi si legge in viso; allora perché nasconderlo?»
James sorrise e si sedette a qualche poltrona di distanza, stette in silenzio per un po', e poi disse:
«Adoro il teatro ed ogni forma di recitazione; poter essere chiunque e nessuno. A mia madre piaceva il teatro, le piaceva molto. Mi portava a vedere tutti gli spettacoli della domenica e quando morì.. mi parve tutto così futile. Che senso aveva il teatro se lei non poteva più goderselo?»
Non si girò a guadarla nemmeno per un attimo, tanto ché lei iniziò a pensare che parlasse fra sé e sé.
«Io non potrò essere il tipo di persona che ti interessa, ma non sono nemmeno la persona che pensi che sia.» poi fece per andarsene, quando fu fermato da una domanda semplice, ma complessa al tempo stesso.
«E allora cosa sei?»
«Qui dentro sono tutto quello che voglio, lì fuori sono niente. Ma almeno sono il niente che dico io, e non la nullità che la società mi impone di essere. C'è qualcosa di più importante a questo dannato mondo?»
E poi se ne andò, semplicemente. Lei rimase ancora qualche secondo, poi lo seguì. Non gli parlò per metà del viaggio, stava lì e camminava al suo fianco; estranei ma estremamente vicini. Lui non parlò non perché non avesse niente da dire, ma perché gli piaceva sentire il respiro di lei: irregolare, leggero. Si immaginò con la testa sopra il suo petto nudo a sentir quel respiro che gli premeva leggero sulla nuca, mentre ascoltava il battito del suo cuore; se lo immaginava elegante e bellissimo. 
«Non ho ben capito il tuo nome» le disse subito dopo; una fantasia così bella doveva per forza possedere un nome.
«Mi stupirei del contrario, dal momento in cui non te l'ho detto.»
«E hai intenzione di farlo?»
«Dipende da dove mi porterai.»

 
Una volta arrivati, glielo disse.

 

 

 

  
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