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Autore: Love_My_Spotless_Mind    09/01/2015    0 recensioni
Due "bambini sperduti" riescono a ritrovarsi grazie alla magia di un racconto senza tempo che, senza saperlo, descrive anche la loro storia.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Leo, N
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PETER PAN

Leo giocava spesso a saltare la corda quando era ora del riposino. Tutti i bambini dormivano ma lui imperterrito trasgrediva alle regole delle maestre e restava in cortile a giocare. Non valeva a nulla provare a rimproverarlo, Leo era un bambino molto testardo, non ascoltava ragioni. Nemmeno le punizioni servivano con lui, il giorno seguente si comportava sempre allo stesso modo, non temeva nulla, era un bambino estremamente coraggioso e testardo.

Dopo il pranzo i bambini si lavavano le mani e tutti in fila entravano nella stanza con le brandine per l’ora del riposino. Alcuni di loro si addormentavano particolarmente in fretta, altri facevano qualche capriccio ma poi si abbandonavano al richiamo del sonno. Leo, invece, da quando era arrivato in quel piccolo asilo di paese aveva sempre trasgredito a questa regola.

Rubava la corda per saltare nel ripostiglio e sgattaiolava fuori, dove restava a giocare in completo silenzio, saltando senza stancarsi anche per un’ora intera. Da quando la maestra aveva rinunciato a rimproverarlo lui si sentiva più sereno, giocare da solo era il suo passatempo preferito, gli altri bambini non gli piacevano. Era proprio quando tutti erano impegnati a dormire che lui dava sfogo al proprio bisogno di solitudine e di pace. Quando poi gli altri si svegliavano per sparpagliarsi nel cortile e giocare rumorosamente tra di loro, lui si sentiva un pesce fuor d’acqua. Le maestre notarono questo suo strano atteggiamento fin dal primo giorno, avevano provato a farlo socializzare ma Leo era restio ad accettare il loro intervento.

Leo era un bambino strano agli occhi di tutti gli altri, alcuni dicevano che fosse un alieno perché non parlava mai. Hakyeon aveva spesso sentito parlare del “bambino alieno” ma non si era mai lasciato convincere da una storia del genere, aveva voluto verificare lui stesso quanto fosse strano e taciturno questo bambino. Hakyeon era uno dei bambini più grandi dell’asilo, era il preferito delle maestre, non creava mai problemi, spesso addirittura le aiutava a ripristinare l’ordine tra gli altri bambini. Ai giochi era sempre il leader del gruppo, aiutava i più piccoli, era bravissimo a disegnare, era allegro e pieno di energie.



Leo ed Hakyeon si conoscevano, spesso si erano scrutati senza scambiarsi nemmeno una parola poiché qualcosa delle loro personalità contribuiva a tenerli  a debita distanza l’uno dall’altro. Anche se Hakyeon parlava in genere con tutti i bambini con Leo non ci era mai riuscito, non perché credesse alla storia del “bambino alieno” ma semplicemente perché quando gli capitava di stare vicino a quel ragazzino sentiva la propria personalità appiattirsi, divenire sottile e vulnerabile fino ad annullarsi.

Era una sensazione che alla sua giovane età non aveva mai provato. Nei suoi libri di favole non aveva mai letto qualcosa del genere, la sua mamma non gliene aveva mai parlato, per questo ne era spaventato.

Spesso quando si svegliava durante l’ora del riposino gli capitava di guardare fuori dalla finestra, ogni volta lì fuori c’era Leo che saltava la corda con costanza, senza mai stancarsi. Lo osservava con attenzione, cercava di comprendere cosa potesse sconvolgerlo tanto di quel bambino taciturno. Tutti dicevano che fosse strano ma lui non trovava che quello fosse l’aggettivo adatto per descriverlo, Leo gli suscitava tutt’altri pensieri.



Era dicembre quando il fratello maggiore di Leo fu arruolato nell’esercito. Leo era molto affezionato a suo fratello, era l’unica persona che gli prestava costante attenzione, che gli insegnava l’alfabeto, che gli raccontava delle favole. I loro genitori lavoravano molto, a casa tornavano la sera tarda quando erano molto stanchi, erano felici di sapere che Leo si sentisse tanto amato da suo fratello e nel vederlo partire furono molto tristi per il loro figlio minore. Sarebbe restato per tanto tempo da solo, sicuramente ne avrebbe risentito, non sapevano cosa fare per renderlo felice.

In quei giorni Leo fu più silenzioso del solito, non collaborava alle attività di gruppo, sembrava completamente assente. Più volte la maestra tentò di coinvolgerlo in quel che facevano ma lui reagiva in modo del tutto indifferente. La maestra ad un certo punto si arrese, aveva altri venti bambini di cui occuparsi, non poteva fare altrimenti e lasciò che Leo si escludesse dai giochi, restando in un angolo, completamente in silenzio. Hakyeon non aveva mai assistito ad un comportamento del genere, iniziò a pensare che quel bambino non poteva restare da solo.

Durante l’ora del pranzo tutti i bambini entrarono nella mensa, contenti di poter finalmente mangiare. Leo non era sceso, era restato al piano superiore. Hakyeon non riuscì a resistere, in gran segreto sgattaiolò dalla stanza della mensa, dopo aver chiesto agli altri bambini di non dire nulla alla maestra, e raggiunse il piano superiore.

Le stanze vuote risuonavano di uno strano silenzio a cui non era per nulla abituato. I giochi erano sparsi sul pavimento, più tardi la bidella li avrebbe riordinati e loro dopo aver dormito li avrebbero sparpagliati nuovamente a terra. I giorni all’asilo si susseguivano sempre uguali, senza mai una novità, senza mai un imprevisto. Eppure al tempo quella ripetitiva routine ai suoi occhi appariva rassicurante.

Hakyeon entrò nel ripostiglio dove la luce era stata lasciata accesa. Nascosto tra gli scatoloni vi era Leo, rannicchiato nell’ombra, tutto intento ad osservare le pagine di un libro. Hakyeon accostò la porta dietro le proprie spalle in modo che nessuno potesse immaginare che si trovassero lì ed avanzò verso il ragazzino.

 

-Che ci fai qui? È ora di pranzo. – Domandò a bassa voce, bisbigliando.

 

Leo alzò lo sguardo ed appena si trovò Hakyeon di fronte pensò che le maestre stessero per arrivare pronte a sgridarlo per aver trasgredito all’ennesima regola.

 

-Vattene via, nessuno deve sapere che sono qui. Spione! –

-Non lo sa nessuno, non l’ho detto a nessuno . –

 



Hakyeon si mise a sedere di fianco a Leo e provò a sbirciare il libro che aveva tra le mani. Era ancora troppo piccolo per saper leggere, distingueva solamente le lettere che componevano il proprio nome. Leo, invece, era completamente assorto nella lettura, aveva un’espressione concentrata in viso, sembrava che nulla e nessuno sarebbero riusciti a distrarlo.

 

-Ma tu sai già leggere? – Domandò allora Hakyeon dopo un po’ che restava in silenzio.

 

Leo si limitò ad annuire.

 

-E cosa leggi? Me lo dici? –

 

Leo restò in silenzio per interminabili minuti. Era un bambino strano, era vero, ma Hakyeon iniziava a sentirsi più tranquillo a stare al suo fianco. Osservava i tratti del suo viso, gli zigomi sporgenti, la forma degli occhi, non l’aveva mai guardato tanto attentamente.

 



-Peter Pan. Leggo Peter Pan. – rispose infine Leo, tornando a sfogliare il libro fino ad arrivare alla prima pagina.

-Chi è Peter Pan? –

-È un bambino che non vuole crescere. –

 

Hakyeon annuì provando ad immaginare una cosa del genere. Lui non vedeva l’ora di diventare grande, voleva fare il maestro e viaggiare il mondo, vedeva solo lati positivi nell’essere grande.

 



-Ma tutti devono crescere. Me lo ha detto la mamma, lei ha sempre ragione. –

-Peter Pan non vuole crescere ed ha ragione. Se si cresce si va via. –

 

-E non è bello andare via? –

-Non per chi resta. –

 

Hakyeon non sapeva cosa volesse dire andarsene e nemmeno cosa volesse dire restare, cioè, il concetto lo capiva, ma non riusciva a mettersi nei panni di Leo, a comprendere perché fosse così triste senza suo fratello.

 

-Me la racconti la storia di Peter Pan? –

 



Da allora Hakyeon e Leo divennero migliori amici. Ogni giorno Leo gli leggeva il libro di “Peter Pan” ed Hakyeon lo ascoltava rapito. Anche quando la sua lettura si faceva lenta ed incerta Hakyeon restava lì ad attendere che continuasse, senza mettergli fretta, senza protestare.

Leo non aveva mai avuto un amico che non fosse suo fratello, non riusciva nemmeno a capire cosa volesse dire averne uno, era avvenuto così in fretta e così spontaneamente che semplicemente non aveva potuto nemmeno ragionare sul legame che condivideva con Hakyeon.




“ Le stelle, per quanto meravigliose, non possono in alcun modo immischiarsi nelle faccende umane, ma devono limitarsi a guardare in eterno. È una punizione che si è abbattuta su di loro così tanto tempo fa che nessuna stella ne ricorda il motivo. E così quelle più anziane sono diventate cieche e taciturne, ma quelle più giovani si meravigliano ancora di tutto.”

Hakyeon osservava le proprie dita allungarsi, i tratti del proprio viso perdere la rotondità dell’infanzia e divenire più marcati. Anche Leo cambiava progressivamente, diveniva più alto , più magro, persino al sua voce iniziò a cambiare. Per diversi anni avevano smesso di preoccuparsi di cosa volesse dire “crescere”, Leo non sembrava più essere terrorizzato dal cambiamento come quando era bambino. Ora che erano degli adolescenti in piena trasformazione avevano domande diverse, le favole erano troppo distanti dalla loro vita, cercavano altro.

Dopo aver pranzato Leo saltava ancora la corda, instancabile, silenzioso. Hakyeon lo osservava stando seduto sul pavimento della veranda. L’inverno era passato da poco, la primavera permetteva ai loro corpi di sbocciare, alle loro menti di fiorire. Quando stava con gli occhi chiusi e pensava, Hakyeon era davvero affascinante. La pelle ambrata lo distingueva dai suoi coetanei, era slanciato, aveva modi gentili ed era incredibilmente intelligente. Alle ragazze piaceva parlare con lui, a San Valentino riceveva lunghe lettere d’amore.

Leo era diverso dal suo amico, il suo carattere negli anni non era cambiato di molto, per questa ragione gli altri continuavano a tenerlo a debita distanza ritenendolo una persona fredda, con cui non valesse la pena parlare. Ma Hakyeon lo conosceva, sapeva che il suo amico era tutt’altro. Forse da quando suo fratello era venuto a mancare  a causa di un’infezione, agli occhi degli altri Leo era divenuto ancora più schivo, assente. Leo nascondeva il dolore di chi aveva visto qualcuno andar via e non tornare mai più, un dolore che Hakyeon non ancora comprendeva, ma che aveva ugualmente accettato.

Una ragazza aveva iniziato ad aspettare Hakyeon ogni giorno fuori da scuola, lui la trovava simpatica, ma non riusciva a provare altro. Eppure tutti in quel periodo parlavano dell’amore, che cosa fosse non lo sapeva. Quei bambini suoi compagni nell’asilo di paese ora avevano la sua età ed erano tutti impegnati con le ragazze, facevano di tutto per attirare l’attenzione di quelle che fino a qualche anno prima ignoravano definendole “noiose femmine”.  Persino sua madre, che ora non aveva quasi mai ragione, gli parlava spesso del matrimonio, lo spingeva tra le braccia di quella ragazza di buona famiglia.

Lei gli stringeva la mano, posava la guancia contro la sua spalla. Il suo piccolo palmo era caldo e soffice, ad Hakyeon piaceva proteggerla dal freddo, ridere con lei, eppure oltre questo non gli trasmetteva niente. Probabilmente lei attendeva che lui la baciasse ma lui non riusciva in alcun modo a farlo. La guardava negli occhi e si sentiva vuoto, distante.



Leo ed Hakyeon in estate osservavano spesso le stelle insieme. Ragionavano sul loro silenzio, sulla loro punizione, come la chiamava il libro. Ma Leo pensava che anche loro stessero subendo una punizione, non sapeva per cosa, ma sentiva il suo peso gravargli sulle spalle.

 



-Non voglio crescere, Leo. –

 

Leo si voltò improvvisamente, distogliendosi dai propri pensieri. Osservò Hakyeon in silenzio, pensò alla sua voce, a quanto lo scuotesse ascoltarla.

 



-Non voglio baciare quella ragazza, non voglio sposarmi. Anche se lei ha delle belle labbra, anche se ha un calore che non ho mai sentito, anche se dice di amarmi. Torniamo indietro, Leo. Quando queste decisioni non si dovevano prendere, quando eravamo felici. –

 

Leo accennò un sorriso, il suo amico sembrava profondamente agitato. Strinse la sua mano, percorse con le dita il suo dorso.

 



-Non eravamo felici nemmeno allora, tu non vedevi l’ora di arrivare a questo punto. –

 

Hakyeon iniziò a piangere, silenziose lacrime attraversarono il suo viso, inumidirono le sue guance. Leo asciugò lentamente le sue lacrime, con gesti delicati, quasi solenni.

Hakyeon strinse la sua maglia tra le dita, evitò il suo sguardo ma inutilmente poiché aveva una gran voglia di guardarlo, di tremare di fronte alla sua profondità. Aveva aspettato quel periodo con trepidazione, era vero, si era emozionato per ogni trasformazione ma ora gli sembrava di essere sul ciglio di un baratro infinito. Non voleva sprofondare, voleva appigliarsi a ciò che restava di più bello, non voleva ancora altro, non voleva ancora perdere qualcuno, aveva già perso troppo di se stesso.

 



-Baciami, stupido! Dimmi che è giusto così. –

 

Gridò senza riuscire più a controllarsi, si sentiva perduto, non voleva più respirare, voleva svanire.

Leo impresse un tenero bacio sulle labbra del suo amico, accarezzò la sua guancia ancora umida di lacrime, sapeva che non fosse giusto ma non glielo avrebbe detto, sarebbe stato crudele farlo.

 

 

«Wendy», continuò con un tono a cui nessuna donna è mai riuscita a resistere, «Wendy, una ragazza vale più di venti ragazzi».



Trascorsero due settimane nelle quali i due amici non si incontrarono mai, nemmeno per caso. Per quanto Hakyeon cercasse di vedere il suo amico, Leo faceva di tutto per non incontrarlo. Così i giorni andavano avanti tristemente, il tempo scorreva, l’autunno si avvicinava. Ogni mattina la ragazza aspettava Hakyeon fuori da scuola e passeggiavano a lungo, parlavano di tante faccende.

 



-L’hai mai letta la storia di Peter Pan? – le domandò lui mentre attraversavano il ponte.

 

-Si, qualche volta, quando ero bambina. Ma non mi piaceva, ero più un tipo da Cenerentola. – spiegò lei, sorpresa da tale domanda inusuale.

-Non avevi paura di essere grande, proprio come lui? –

 

-No, io non vedevo l’ora di essere adulta. Una brava donna deve sposarsi, avere dei figli, un marito che la ama. È tutto ciò che ho sempre desiderato, da sempre, davvero. –

-E nei tuoi desideri ci sono anche io? – domandò lui stringendole ancora la mano, sempre così piacevolmente calda, morbida.

Lei sorrise timidamente, una ciocca di capelli le scivolò sul viso, lei la sistemò dietro l’orecchio. Nei suoi occhi grandi una piccola luce vacillava, sembrava che fosse sul punto di piangere. Hakyeon non aveva mai visto una ragazza piangere, non sapeva di che spettacolo sconvolgente si trattasse.

-Si, ci sei sempre stato tu nei mei desideri. Ad occupare il posto più importante. –

 

Sussurrò con un fil di voce, le sue dita sfiorarono nervosamente i capelli raccolti sulla nuca. Lei attese un bacio che però non arrivò. Hakyeon le accarezzò la guancia, la guardò negli occhi e si sentì nuovamente perso in una foresta, catturato dai pirati e gettato sul fondo del mare.

Corse a casa, voleva dire a Leo che lo amava, che per quanto gli sembrasse che il suo destino fosse già stato scritto da terzi, lui non l’avrebbe accettato, avrebbe combattuto. Ma Leo non c’era, le stanze erano vuote. Leo non rincasò nemmeno a sera. Hakyeon lo attese sulla veranda, lo immaginò baciarlo, stringerlo, immaginò di comunicargli quello che aveva capito.

Pochi giorni a seguire scoprì che Leo si fosse arruolato nell’esercito, per seguire le orme del fratello. Ai suoi genitori aveva lasciato una somma di denaro, dicendo che fosse destinata per l’organizzazione del matrimonio  del suo amico Hakyeon. Aveva lasciato una lettera che Hakyeon rilesse diverse volte, fino a consumare l’inchiostro, fino ad interiorizzare ogni parola. Quei giorni in cui erano due bambini sperduti non sarebbero più tornati, erano diventati grandi ed anche se non avevano ancora ritrovato loro stessi non c’era più tempo di cercare.

 

 



«Campanellino, come osi bere la mia medicina?» Ma lei non rispose. Stava già annaspando nell'aria. «Che ti succede?», urlò Peter, improvvisamente preoccupato. «È veleno, Peter» gli disse dolcemente. «Sto per morire». «Oh, Campanellino, l'hai bevuta per salvarmi?» «Sì». «Perché l'hai fatto?» Ora le sue ali a malapena riuscivano a reggerla, ma per tutta risposta volò alle sue spalle, gli morse affettuosamente il naso e gli sussurrò in un orecchio: «Stupido somaro».

 


 

 

  
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