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Autore: Elfa    05/02/2005    3 recensioni
Non so da dove sia saltata fuori l'idea di scrivere sta fic cmq... Primo incontro tra Leggy ed Aragorn, ecco come è avvenuto secondo me. Storia n. 134 di questa categoria... che onore! Per il primo capitolo mi sono un pò ispirata alle clamp, ditemi se la cosa è troppo palese!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aragorn, Legolas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le Memorie Del Bosco

Le Memorie Della Foresta.

 

 Prologo 1.

 

Le foglie danzano al vento

In uno stormire aereo e sonante

Di voci nascoste da un tempo distante,

Un lungo racconto di gioia e tormento

Raccontano oggi a chi presta orecchio.

Passati son gli anni nel Bosco Incantato,

e mai più tornerà, il tempo che è stato!

Ormai non ricorda, né il giovane o il vecchio

Il canto degli elfi, triste e lontano,

che risuonava nel Grande Reame Silvano!

Brezza che porti lontano, oltre il mare,

delle foglie, il segreto mormorare,

e il rimpianto di chi resta,

continua a raccontare

Le Memorie della Foresta!

 

Prologo 2.

 

L’Anduin scorreva davanti a noi, nell’ombra. La notte era gelida, il mio respiro si condensava in piccole nuvole, mentre canticchiavo a mezza voce.

L’acqua tra le rocce.

Il vento tra le canne.

E il mio canto.

Gli unici rumori intorno a noi.

RONF! Ah già… dimenticavo il russare di Gimli. Per rovinare tutta la poesia di una cosa, non c’è niente di meglio di un nano!

Lo guardai, scontroso. Continuava a dormire, placido.

Sospirai: a quel nano in particolare mi ero affezionato, in effetti, ma dubitavo enormemente che sarei mai riuscito ad estendere quel sentimento al resto della sua razza! Sentii un movimento dietro di me e mi voltai, di scatto, con l’arco già in mano. Aragorn alzò una mano.

-         Sono io. –Disse. Abbassai le armi.

-         Non dormi? –Chiesi. Lui scosse la testa.

-         Non ho sonno. –Rispose, laconico. –Tu riposa pure, se vuoi. Finisco io il tuo turno. –Non avevo affatto sonno, ma

ubbidii lo stesso. Mi avvolsi nel mantello e mi sdraiai per terra, guardando le stelle, cercando di confondere realtà e sogno, ma senza riuscirci. Rimasi immobile a lungo, poi mi voltai verso il mio amico. Non so perché dissi quelle parole, sembrarono quasi uscire da sole.

-         Aragorn… I grogo… (ho paura) –Si voltò verso di me, guardandomi in silenzio. Mi fece cenno di avvicinarmi. Mi

sedetti accanto a lui. Continuò imperterrito a fumare la sua inseparabile pipa. Non disse nulla. Non un rimprovero, né una parola di conforto. Rimasi in attesa, sentivo che sarei andato in pezzi, da lì a poco, se Aragorn avesse continuato a stare in silenzio. Si staccò la pipa dalla bocca e lanciò in aria un anello perfetto. Abbassai lo sguardo.

-         Perdonami… -Mormorai, sentendomi in colpa. Mi sorrise.

-         Ne abbiamo tutti. –Chinai la testa: avevo le lacrime agli occhi, ma questo sarebbe stato troppo. Il ramingo se ne

accorse comunque… a volte mi chiedo se non abbia occhi da elfo! Mi attirò a sé, la mia fronte poggiava contro la sua spalla. Piansi. Me ne vergognai, ma è ciò che feci. Mi staccai da lui, asciugandomi gli occhi.

-         Scusami.

-         Di niente, fratellino. –Lo guardai. E mi concessi un sorriso. Ricordavo le circostanze in cui ci eravamo fatti quella

promessa. La promessa che saremmo sempre stati fratelli.

Già… il nostro primo incontro… beh, non si può dire che fosse venuto in circostanze normali!

 

Cap. 1: La richiesta del padre.

 

Lasgalen era in fiamme. L’ennesima sortita di quel maledetto drago!

Ma perché? Dopo essersi insediato sotto la montagna, se n’era sempre stato più o meno buono… perché ora era uscito così allo scoperto? Perché aveva attaccato? A noi era anche andata bene, il fuoco del drago lambiva i confini a nord est del bosco, ma la città di Dale doveva aver subito danni molto maggiori!

Mi muovevo veloce tra i rami, diretto verso il palazzo. Non che fosse un vero e proprio palazzo, dato che invece che sul piano del terreno si snodava nel sottosuolo(Per una strana ironia della sorte, erano stati i nani ad aiutare a costruire, quella che oggi è la dimora degli elfici re silvani), ma in ogni caso, io vivevo laggiù e ovviamente anche mio padre, sire Thranduil, signore dell’Eryn Lasgalen! Ed io mi ci stavo dirigendo per portare le prime notizie, per fortuna buone, riguardo l’attacco del drago.

Varcai i cancelli con una certa irruenza e mi diressi verso la sala del trono.

I miei passi riecheggiavano nei corridoi insolitamente vuoti e silenziosi, il recente attacco di Smaug aveva, a quanto pareva, scosso l’intera zona, senza risparmiare neppure la quiete del palazzo.

Entrai nella stanza senza farmi annunciare e un mormorio di disapprovazione corse per la sala, insieme a qualche commento pungente sull’etichetta fatto a mezza voce, cosa che m’indispettì enormemente: un giorno a sedermi su quel trono ci sarei stato io, avremmo visto allora, chi avrebbe levato quei commenti e parlato alle mie spalle! A mettere ulteriormente alla prova la mia pazienza, furono certe occhiate lanciate alla mia casacca, leggermente bruciacchiata sull’orlo, e al viso, sporco per il fumo. Che s’aspettavano? Ero andato a controllare i confini divorati dal fuoco, non ad una scampagnata!

Gli occhi verdi e profondi di mio padre si posarono su di me, scrutandomi, facendo passare in secondo piano quei pensieri. Mi inchinai: ero davanti al mio sire, ora.

-         Ebbene, Legolas?

-         Tra la nostra gente non ci sono state perdite, abbiamo solo feriti e ai confini la situazione è sotto controllo.

-         Bene. –Per un attimo l’ombra di un sorriso balenò sul volto troppo serio del re, subito rimpiazzato dalla sua solita

espressione austera. –C’è altro?

-         In effetti sì, mio signore. Non abbiamo notizie degli abitanti di Dale, sul lago. Temo che siano in grave difficoltà: saranno stati i primi ad assaggiare la furia del drago. Mai come ora hanno bisogno del nostro io. –Esclamai, concitato.

La voce di uno dei saggi si frappose contro la mia con altrettanto ardore.

-         Sire, ciò che dice il principe è indubbiamente vero. Tuttavia non sappiamo ancora cosa abbia scatenato l’ira del drago. Riterrei più saggio attendere e badare ai nostri confini. È molto meglio evitare di alimentare l’ira di Smaug! –“Evitare di

alimentare l’ira di Smaug”? Ma si erano bevuti il cervello? Quelle parole mi fecero scattare come una molla.

-         E così ora dobbiamo aspettare i comodi di quel lucertolone? Da quando siamo diventati così pavidi? Il nostro popolo è dunque caduto così in basso da negare il suo aiuto ai propri vicini? Smaug non è che l’ultimo e più miserabile erede della sua stirpe ormai estinta, basterebbe un manipolo di buoni arcieri a bucare quel suo fetido ventre troppo gonfio, e a mettere fine, una buona volta, a tutta la faccenda! –Non avessi mai pronunciato nulla di tutto ciò! Le mie parole

scatenarono un vespaio; tutte le api dell’alveare mi si coalizzarono contro. Penso di non aver mai sputato tanto veleno come quella volta!

Mio padre bloccò subito la discussione, richiamandoci con parole dure.

Il silenzio cadde nuovamente nella sala.

Passarono alcuni tesi istanti, in cui non feci che fissare quel branco di rammolliti che non avevano neppure il coraggio di ribellarsi a ciò che quella bestiaccia ci stava imponendo. Mi sentivo friggere di rabbia! Strinsi i pugni: sentivo che avrei potuto prendere a schiaffi qualcuno, altrimenti.

Intanto, lo sguardo del re continuava a fissarci, severo, ma questo non mi calmò minimamente, tuttavia non ero tanto sfrontato da attaccare briga coi consiglieri di mio padre proprio sotto i suoi occhi! Mi costrinsi a inghiottire la rabbia.

Poi mio padre parlò di nuovo, alzandosi in piedi.

- Questa seduta è tolta. Che i confini vengano sorvegliati, riguardo agli abitanti di Dale, vi comunicherò le mie disposizioni

domattina. Ora andate. –Aprii la bocca per ribattere, ma lui mi fermò, alzando una mano. Stizzito, mi voltai e feci per uscire, insieme ai saggi, ma mio padre mi richiamò quando già ero sulla soglia. –Tu no, Legolas. Devo parlarti in privato. –Mi fermai su due piedi e aspettai che anche l’ultimo elfo fosse sparito oltre la porta.

A quel punto mi voltai, pronto a dar libero sfogo alla mia stizza.

-         Padre, io… -Cominciai, volgendomi di scatto. Le parole mi morirono in gola: mio padre era di nuovo seduto sul trono,

quasi curvo, una mano portata alla fronte, come se fosse immerso in chissà quali pensieri e decisioni. Mi avvicinai a lui, preoccupato. Non sembrò fare caso a me. –Padre… state bene? –Si riscosse dai suoi pensieri e mi guardò, quasi stralunato. Poi finalmente si sciolse, regalandomi un raro, stanco sorriso.

Si dice che gli elfi posseggano il dono dell’immortalità e dell’eterna giovinezza. Beh, è vero che i nostri corpi non invecchia, ma il tempo lascia segni anche su di noi. Mi accorgevo di questo ogni volta che guardavo gli occhi di mio padre, di bosco e cielo, profondi come pozzi e antichi come le montagne, animati da una luce verde, come le venature di una foglia.

Verdefoglia.

Mi inginocchiai accanto a lui e, dopo un attimo di esitazione, appoggiai il viso sulle sue ginocchia. Era una cosa che mi piaceva… mi ricordava quando ero bambino. Mio padre mi accarezzò i capelli.

-         Sempre così, Legolas… così impulsivo… -Parlava a voce bassa, quasi a sé stesso. Alzai gli occhi su di lui. E lui li

abbassò su di me. Mi alzò il viso, tenendomi il mento tra le mani. –Sei così giovane… -Rimase a guardarmi, in silenzio, chinando appena la testa. –Capirai col tempo. –Disse infine, semplicemente; poi sospirò. –Ho bisogno che tu faccia una cosa

per me.

-         Cosa volete che faccia, mio signore? –Domandai, rialzandomi. Lo sguardo di mio padre si fece incredibilmente serio.

Si appoggiò allo schienale del trono, sospirando.

-         Devi andare ad Orthanc. –Sgranai gli occhi.

-         Orthanc? –Ripetei, confuso. –È un bel po’ di strada…-Non un commento troppo brillante, in effetti. –Perché dovrei andare laggiù?

-         Mi serve qualcuno di cui mi possa fidare e Ohtar è impegnato altrove. –Ohtar era il messaggero di fiducia di mio

padre. Un gran bravo soldato, coraggioso e fedele al suo re. Forse la persona di cui mio padre si fidava di più. Se c’era da portare a termine un incarico rischioso o di alta fiducia, era a lui che ci rivolgevamo. Vista la gravità con cui mio padre parlava di quell’incarico che ora stava affidando a me, mi chiesi in quale ancor più importante impresa Ohtar fosse impegnato! La risposta non giunse mai.

Mio padre si alzò in piedi e scese gli scalini che portavano al trono, continuando a parlare. –So che non ti sei mai allontanato

tanto da Bosco Atro ma non posso davvero mandare nessun’altro, e il tempo è agli sgoccioli. –Uscimmo dalla stanza e camminammo lungo il corridoio, fino ad arrivare al suo studio. Era una stanza austera, disadorna, in legno massiccio. Mi metteva sempre in soggezione essere là.

Mio padre si sedette dietro la scrivania mentre io rimasi in piedi, dall’altra parte, in attesa. Lui appoggiò le mani su una carta della Terra di Mezzo, indicando Isengard.

-         Per rispondere alla tua domanda di prima, se quelli del consiglio ne hanno azzeccata una, è che non sappiamo cosa ha scatenato le ire del drago. Non vorrei che la cosa fosse collegata con Dol Guldur… temo di aver eccessivamente trascurato quel problema, in effetti. –Scosse la testa. –Sto divagando… in ogni caso, se qualcuno può saperne di più quello è Mithrandir… solitamente si fa vedere lui quando c’è bisogno di lui o quando ne ha voglia… ma questa volta non possiamo aspettare i comodi di quello stregone!

-         Non abbiamo la certezza che sia effettivamente laggiù… -Replicai, debolmente. Mio padre scosse la testa.

-         No in effetti… ma nel caso non lo trovassi, laggiù c’è sempre Saruman. È forse il più saggio del suo ordine… ma preferirei evitare che tu lo incontrassi, in effetti.

-         Perché? –Lui sorrise, con un’espressione furba sul volto, come quella di un bambino dispettoso. Faceva uno strano effetto vedere una simile espressione su quel viso.

-         Lo capirai quando lo avrai davanti. –Tornò serio. –In ogni caso, prendilo come un favore che ti chiedo… la strada

verso Orthanc è lunga, e non priva di pericoli. Potrò farti scortare solo fino alla fine del bosco. Pensaci bene. –Ci pensai. Circa due secondi, poi annuii. Mio padre mi guardò, inarcando un sopracciglio, come se pensasse che non stessi prendendo la cosa abbastanza seriamente… in effetti, aveva ragione! –Sei certo? Non sarà una passeggiata. –allargai le braccia, come a dire “Pazienza”. Sorrisi: era il primo incarico che mio padre, una cosa che m’inorgoglì enormemente. Più tardi ci avrei fatto l’abitudine.

-         Un po’ di tempo lontano da palazzo non è poi così male. –Mio padre mi guardò, serio. Quando parlò, la sua voce era

grave.

-         È una tua scelta… spero che in futuro tu non abbia a pentirtene. –Abbassò gli occhi sulla mappa. –Va a riposare ora… partirai domattina. –Mi congedai.

  
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