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Autore: Thingsthinker    10/01/2015    3 recensioni
Rinuccio e Nina crescono fra la polvere e il dialetto cattivo di un quartiere poverissimo alla periferia della città.
Le ragazze si sposano a sedici anni e se qualcuno le tocca prima è dovere dei familiari ammazzarlo di botte.
Nina è la più brillante della sua classe; lo sanno tutti che scapperà da quel posto appena possibile e cambierà il suo destino.
Rino nel suo destino ci sta già dentro fino al collo, lo vive tutti i giorni quando si alza e va al cantiere; dodici anni, la pelle bruciata dal sole, le braccia forti - perchè devi essere forte, per fare il muratore.
Non potrà mai averla e lei non potrà mai avere lui.
Forse.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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L'AMORE INFAME è un racconto ideato e scritto da Lee, cioè me. Se vi servirà come fonte di ispirazione mi farebbe piacere che me ne parlaste.
Se me lo copiate vi spezzo le gambine. ^_^



3.
NELLA NOSTRA POLVERE (I°)

Nina ha superato il quarto ginnasio con la media dell'otto.
Quando torna a casa, quel giorno, con la pagella in mano, sua madre è sulla soglia: le ha detto che se non avrà buoni voti smetterà di pagarle i libri. Nina le consegna la pagella con un sguardo di sfida mentre è ancora sulla soglia, le spalle alla tromba delle scale. 
Guarda sua madre mentre strizza gli occhi: non sa leggere, ma capisce i numeri.
Dicono che fosse bella, sua madre. Ora ha quarant'anni, ma il lavoro e i cinque figli le hanno succhiato via la giovinezza. Sembra l'involucro di un albero a cui è stata tolta la linfa, nulla più che un incarto di cartapesta con niente all'interno, un'indole tutta schiaffi e rimproveri che una vita grama le ha affibbiato. Ha la bocca screpolata contratta, rughe profonde sulla fronte, le manca qualche dente e i capelli sono striati di bianco. 
Nina la osserva scorrere i voti, lanciarle un'occhiata assassina alla vista del sette in matematica - non è mai stata brava, con tutto l'impegno - mentre regge in braccio sua sorella Rosa, che ha due anni. Ad un certo punto sgrana gli occhi e Nina capisce che ha visto il dieci in italiano, ma sua madre non le dice niente. Le restituisce il foglio.
- Hai fatto il tuo dovere. E sono contenta che questa stronzata è finita, era ora che badi un po' ai tuoi fratelli. - 
Le molla la sorellina e rientra in casa sbattendo la porta.
Nina sospira, caccia indietro le lacrime. Hanno prospettive diverse. Quella stessa cosa che per Nina assume il significato di futuro, per sua madre è una stronzata.
Ma decide di ignorarla, come ha sempre fatto. Ha tante persone da incontrare ed è sicura che almeno una le darà soddisfazione. Scende a rotta di collo le scale della palazzina con la bambina in braccio che lancia gridolini eccitati.
Quella bambina è nata due anni prima, quando sua madre l'ultima cosa che voleva era un figlio, e sebbene Nina non ci sia mai, le due sorelle si amano moltissimo.
Nina si chiede come sarà il destino di Rosa, se avrà la forza come lei di tirarsi fuori da quella merda, o se finirà sposata prima del compimento dei diciotto anni. Lei sta impiegando tutte le sue energie nel distaccarsene: vuole dimenticarlo, quel posto.
Si sente crudele e forse lo è, ma l'odio per la sua nascita si infittisce quando va nella sua bella scuola del centro, impegnata politicamente, e vede le vetrine e la gente che si saluta cordialmente. E poi ripiomba in quell'inferno di polvere e dialetto, dove i ragazzi un po' più ricchi si trascinano in macchina le ragazzette senza un padre che venga a prenderli a mazzate.
Nina quel posto se lo vuole scordare per sempre.

Giugno ha aggredito il rione con la sua afa pesante, il terreno secco e polveroso delle strade che alza grandi nuvole di terra se ci passa qualche macchina. Nina, con la bella pagella che le scalda il cuore in una mano e la bambina coi riccioli bruni in braccio, cammina rapida. Raggiunge il campo da gioco, fa un fischio ai suoi fratelli. 
Le vengono incontro gridando il suo nome e sbracciandosi. 
Per prima Lella, con quei suoi capelli neri neri e le gambe secche e lunghe, il seno praticamente nullo anche se ha quasi quattordici anni. Non hanno mai litigato, lei e Nina: ognuna ha osservato la vita dell'altra come dietro una teca di vetro, troppo diversa, troppo distante dalla sua.
Lella la scuola la odiava ed è stata felice quando ha smesso, tre anni prima. Sta diventando quel che rimarrà per sempre: parla sboccata, ride sguaiatamente per attirare l'attenzione maschile, gesticola esageratamente. Si trucca di nascosto, imbottisce con delle pezzette il reggiseno, si occupa dei fratelli in modo violento ma efficace. Sembra vecchia nel suo corpo piccolo e quasi da bambina: il volto secco e scavato anche se mangia, le mani piene di croste e vesciche a forza di lavare i panni e passare lo straccio per terra. Porta i segni di una vita passata e futura, sempre uguale, sempre faticosa.
Nina e Lella, Giovanna e Raffaella, non si riconoscono l'una nell'altra ma si vogliono bene, si studiano con una sorta di incredulità attenta e bonaria. Lo sanno entrambe che prima o poi le loro strade saranno così lontane che non si vedranno più, si sentiranno al telefono una volta al mese, e penseranno all'altra con uno strano misto di orgoglio e delusione. 

Dietro Lella corrono i maschietti, Peppe e Mario. Peppe ha undici anni e questo per lui è stato l'ultimo anno di scuola. A differenza di Lella a lui la scuola piaceva, ma i voti non sono stati abbastanza buoni e poi il padre ha bisogno di una mano con il lavoro, quindi da Agosto Peppe lavorerà con lui alla calzoleria. 
Nina da la buona notizia a tutti, Peppe gli fa i complimenti e la abbraccia forte, Mario la guarda in uno stato di ammirazione completa, Lella le dice "brava" ma ci crede poco.
Poi Peppe e Mario corrono a giocare, Lella si siede con Nina su uno dei muretti su cui da piccola la maggiore controllava i fratelli mentre studiava. 
Nina la ascolta raccontare delle amicizie, di chi si è messo con chi, di quello che ha detto male di quell'altro allora dei terzi l'hanno riempito di mazzate. Ascolta senza sorpresa di come Lella le dice in un dialetto stretto che ieri Alfio Marchi ha provato a portarsela in macchina mentre tornava a casa con la spesa.
"E tu che gli hai detto?" chiede, sempre in dialetto, mentre con un occhio controlla Rosa che, seduta a terra, fa dei pupazzetti di fango secco.
"Che poteva andare a farsi fottere."
"E lui?"
"Ha detto che fottere non era divertente senza di me. Io gli ho detto che doveva andare a fanculo."
"Brava." Nina non è disgustata, solo infastidita dal suo stesso accettare quella realtà con cui convive fin  da piccola.
"Poi lui ha girato la macchina e se n'è andato. Forse ha preso la strada per fanculo."
Lella ride sboccata, si ravvia con un gesto esagerato i capelli nerissimi, Nina sorride per non farla restare male. In quel momento, Lella si accorge che Rosa si sta ficcando in bocca della terra. Le sposta in malo modo la mano dalla bocca, le molla un ceffone sulla guancia paffuta, poi la sgrida urlando.
La pelle della bambina si arrossa velocemente, Rosa scoppia a piangere.
Nina la prende in braccio e fissa truce l'altra sorella.
"Quanto sei violenta, mi sembri nostra madre."
Lella fa una risata cattiva che spaventa la maggiore: è la risata delle donne del rione, la risata di chi è abituata a inventare rapidamente insulti fantasiosi gonfiati di parolacce per rispondere male al vecchio ubriaco che ti tocca il culo. E' la risata cattiva di chi attacca per difendere.
"Violenta?" dice "Ma vaffanculo, nostra madre ci riempie di botte da quando siamo piccole. E pure papà. Anzi no, a te no."
Nina sta in silenzio, perchè alla verità non può ribattere.
Lui se le ricorda, le litigate dei genitori, anche se aveva solo quattro anni. Quelle cose non te le dimentichi. 
Quando lei era nata, suo padre non ci era rimasto male più di tanto. Desiderava un maschio, ma era il primo figlio, non era grave, sua madre era giovane. Poi era nata Lella, poi un'altra femmina che avevano chiamato Addolorata, detta Ada.
E lì erano cominciati i guai. Nina li sentiva dalla sua camera minuscola, con Lella stretta al petto e Ada nella culla.
"Solo femmine sai darmi!" diceva suo padre, calmissimo, senza urlare. Però poi Nina sentiva i tonfi, le botte, il rumore di oggetti che cadevano. E le grida arrabbiate di sua madre, senza paura, con l'unico scopo di farlo arrabbiare di più.
Due mesi dopo Ada era morta, e suo padre era parso sollevato.
Ma aveva cominciato a picchiare Lella: non forte, però continuamente. Finchè una volta, mentre salivano le scale, lei era caduta e lui l'aveva trascinata per tirarla su, tanto da farle un livido sul braccio. Allora sua madre gli aveva detto che se toccava un'altra volta una delle sue figlie lei se ne andava con tutte e due, oppure lo ammazzava. Non l'aveva più picchiata tanto - ovviamente qualche schiaffo, anche a Nina - ma le botte per sua madre non erano mai diminuite, anzi: lei sembrava provocarlo apposta.
L'anno dopo, sua madre aveva messo al mondo Giuseppe, e dopo altri due anni Mario. Rosa - Rosaria - era stata solo l'ennesima fatica.

E ora Nina in Lella vede sua madre ben oltre la somiglianza fisica. La vede nei gesti, nel modo di pensare, nelle cattiverie volgari che le scaturiscono dalle labbra: vede Lella fra tre anni già sposata, fra cinque con figli. Però allo stesso tempo vede che Lella ha i paraocchi: che non vuole nessun futuro al di fuori di quello perchè quello è l'unico che conosce.
Così Nina si limita a cullare Rosa finchè non smette di piangere.



 
 
Ho diviso questo capitolo in due parti altrimenti era troppo lungo, se ce la faccio pubblico anche la seconda parte, altrimenti l'avrete domani.
Ci vediamo all'altro, ciau  C:
  
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