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Autore: lenina_90    11/01/2015    0 recensioni
In Inghilterra giunge la notizia della nomina di George Washington a comandante dell'Esercito Continentale delle colonie americane. Un Uomo del Re è costretto a fare una scelta che condizionerà la sua intera vita pur di prestar fede al proprio servizio per l'Inghilterra, a danno dei propri figli. Una scelta cui il destino non impiegherà molto a tracciare le fila di una vera e propria rinascita.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Prologo : Londra, 9 luglio 1775

La calura estiva cominciava ad essere fastidiosa persino di notte, nonostante la pioggia londinese battesse sulle finestre di Smith Manor. Le gocce che si depositavano sugli infissi della dimora creavano un baluginare insolito sul viso straziato di Samuel. Chino sulla sua scrivania, con entrambe le mani sulla fronte, fissava la missiva che gli era giunta una settimana prima.
73 morti e 174 feriti a Concord. I ribelli hanno nominato George Washington comandante di quello che chiamano Esercito Continentale.
Il maggiore Samuel Smith era stato richiamato in America, in quanto Uomo del re, per porre fine alla ribellione del Nuovo Mondo. Da lì a tre giorni avrebbe dovuto salpare dal porto delle rive del suo amato Tamigi e prestare il suo aiuto in virtù del suo giuramento. Samuel si massaggiò le tempie, mentre il continuo brillare di lampi provenienti da fuori lo rendevano più iracondo che dispiaciuto. Il senso di colpa gli montò dentro al pensiero di doversi preoccupare di essere concreto e pragmatico, al pensiero di dover risolvere il problema dei suoi due figli, piuttosto che piangere sul ventre ormai sgonfio di sua moglie deceduta quella stessa notte. La governante, Mrs Tessa, avanzò verso di lui porgendogli una tazza di tè.
“Al diavolo il té, avrei preferito un brandy” pensò Samuel, ancora in colpa al pensiero di non aver gradito l’attenzione della vecchia donna, governante ormai da anni di quella antica dimora che da generazioni e generazioni portava il suo cognome.
<< Devo partire per forza, Mrs Tessa.>>
La vecchia governante gli annuì comprensiva e si sedette all’altro lato della scrivania con fare stanco. << Signorino Samuel, sapete bene che vi aiuterei volentieri io ma...>>
Samuel odiava essere ancora chiamato Signorino Samuel. Era una vecchia abitudine che la sua altrettanto vecchia governante aveva sin da quando era davvero un signorino. Quel vezzeggiativo, che spesso gli generava un forte senso di dolcezza e protezione, talvolta, lo rendeva più irritato che mai.
<< Lo so. Rose è troppo piccola e George...>> proseguì Samuel con tono cupo. Sapeva bene di non poter lasciare i suoi due figli alla sua vecchia governante. La piccola Rose, nata da sole cinque ore, era talmente piccola da aver necessariamente bisogno di una balia mentre George, di quattro anni, necessitava delle cure e delle attenzioni di una donna giovane, capace sia di insegnargli i primi rudimenti dell’Inglese, Francese e Tedesco, sia di tenere a bada i suoi primi istinti curiosi e ribelli. Avrebbe potuto, certamente, assumere un’altra donna al suo servizio ma Samuel odiava dover assumere persone che non rientravano nella stretta cerchia di parenti e familiari della servitù al servizio della sua famiglia da generazioni, figuriamoci se questa donna avesse dovuto svolgere i primi compiti del suo lavoro in sua assenza! Samuel inoltre aveva notevolmente a cuore le emozioni del piccolo George che si era dimostrato sempre molto sensibile ed emotivo. Con giusta causa, era stato sempre sotto le dolci e premurose attenzioni della sua dolce e virtuosa moglie, Lady Isabelle Green.
<< Rose avrebbe bisogno di una balia. Deve essere allattata.>>
Samuel alzò gli occhi al cielo. Lo sapeva, non c’era di certo bisogno di ricordarglielo. Quelli erano compiti di una madre ma lui di certo conosceva bene quali fossero le tappe della crescita di un bambino. Talvolta odiava la solita presunzione femminile capace di sminuire l’intelligenza maschile.
<< Non saprei da chi portarli. Non di certo in un orfanatrofio...>> ragionò lui a voce alta e la governante si portò, con estrema sorpresa, una mano davanti alla bocca.
<< Oh signorino Samuel, per carità!>> Samuel scosse la testa e agguantò la tazza di tè bollente. Se la portò alla bocca, stizzito, tanto che nel bervi velocemente si bruciò la lingua. << Ma forse io avrei la soluzione, sapete?>>
Samuel si leccò le labbra con fare disgustato alla testimonianza di non aver più il senso del tatto sulla sua lingua. << Ovvero?>>
<< Vostra moglie aveva una zia in campagna e ricordo che questa zia aveva tante figlie...>> disse la governante con una scintilla di orgoglio negli occhi.
Samuel si morse il labbro inferiore con forza, prendendosela con sé stesso, al pensiero di non averci pensato prima. La signora Thompson, zia di sua moglie Isabelle, era una vedova da anni abbandonata a sé stessa insieme alle sue nove figlie. Samuel sperò con tutto il cuore che almeno una di quelle figlie potesse provvedere all’allattamento della piccola Rose. Dopotutto non ricordava di certo tutti i nomi e le età di quelle fanciulle, ma di certo ad occhio e croce una delle tante doveva aver l’età giusta per generare figli. La soluzione era la migliore. I loro figli sarebbero stati al sicuro in campagna e sotto la protezione di molte donne, sue parenti. Al pensiero di quante donne abitassero quella tenuta di campagna, però, Samuel trasalì quando vide il piccolo George avanzare verso di lui con il suo peluche stretto al petto.
<< Padre, ho paura dei lampi.>> disse la sua voce infantile. In altre circostanze Samuel gli avrebbe rimproverato di comportarsi da uomo e di tenere a bada le proprie paure di fronte a quello stupido evento naturale, ma quella non era la notte giusta per farlo. Accolse il suo bambino sulle ginocchia e nel guardarlo così tenero la sua governante, Tessa, sorrise addolcita ed alquanto commossa. Samuel pensò alla possibilità che almeno due delle nove figlie dovessero aver già dei figli. Immagino il suo piccolo ed elegante Samuel, già capace di leggere in modo discreto, in mezzo ad un branco di bricconcelli di campagna, con calzoni corti e camice sporche, bambini già abituati a contrastare i problemi della vita con l’astuzia e piccole marachelle.
<< Mrs Tessa credo che accetterò il vostro consiglio. Credo sia la soluzione migliore per George e Rose a patto che voi...>> Samuel osservò sul viso della sua vecchia governante un’altra scintilla di orgoglio. << ..che voi facciate visita alla tenuta almeno una volta ogni quindici giorni così da controllare lo stato dei miei figli.>>
La vecchia annuì, osservando il piccolo George battere le sue manine sulla scrivania del padre. Samuel frenò quelle piccole braccia pronte a far marachelle e a far cadere l’inchiostro dal calamaio ed il bambino obbedì. << Nel caso in cui doveste accorgervi di qualche strana situazione affido a voi il compito di decidere se prelevare i bambini da lì o meno. Mi fido di voi.>>
E Samuel lo credeva sul serio. Dopotutto era stato lui, per primo, un bambino affidato alle cure di quella governante senza figli e che aveva reso felice la sua infanzia, a tempo debito, e quella di tutti i bambini che avevano popolato la sua casa.
<< Non vi recherete mai con intervalli regolari di quindici giorni ma varierete l’intervallo. Dovete essere imprevedibile.>>
La governante annuì e George gli tirò il cravattino per richiamare la sua attenzione. << Dove andrò, padre?>>
Samuel guardò la vecchia e con un solo sguardo sembrò congedarla e darle un ordine. << Partiremo domani mattina.>>
 
 
Dopo i funerali di sua moglie, svolti nella stretta cerchia familiare e di città, Samuel provvide al viaggio dei suoi due figli. Mrs Tessa aveva preparato i bagagli dei due bambini, ancora contrariata all’idea che il suo padrone non le avesse permesso di portare la culla della piccola Rose.
“Ma ce ne saranno di certo lì, Tessa. Non possiamo viaggiare con un carico così grosso” aveva risposto Samuel. Lei non aveva ribattuto, anche se dallo sguardo che la vecchia continuava a rivolgergli in carrozza sembrava attendere con spasmodica ansia il momento in cui il suo caro padrone avrebbe avuto la testimonianza di aver sbagliato la propria valutazione. La carrozza attraversava le regolari strade di città fino a cominciare a sobbalzare sui ciottoli che davano il via alle tipiche strade di periferia. Proseguendo il viaggio, infatti, le ruote sembravano affondare sempre di più sul terriccio privo di qualsiasi tocco umano e il piccolo George sembrava quasi spezzarsi ad ogni piccolo sobbalzo. Samuel guardava con un velo di tristezza quei due piccoli fagotti, contrariato all’idea che li avrebbe visti, come minimo, a distanza di quattro mesi. Quando finalmente la tenuta di campagna dei Thompson si fece vicina, Samuel tirò un sospiro di sollievo e così anche la sua governante che aveva tenuto stretta la piccola Rose così tanto da averle permesso un sano riposo nonostante le scomode condizioni di viaggio. Samuel scese dalla carrozza con un balzo e, preso il piccolo George per i fianchi, lo calò giù. Attese che Tessa gli ponesse quel piccolo fagotto di Rose tra le braccia e poco dopo, tendendole una mano, la aiutò a scender giù. Nonostante l’afa di quella mattina, Londra era attraversata spesso da strani venti gelidi, così tanto che Samuel aveva ritenuto opportuno viaggiare con un mantello. Osservando la maestosa tenuta di campagna dei Thompson, da cui provenivano versi di animali da fattoria, Samuel non riuscì a non notare le innumerevoli figurette che ora facevano ombra alle numerose finestre della tenuta. Prese per mano il piccolo George ed avanzò verso la tenuta, mentre Tessa si teneva a tre passi di distanza dal suo padrone con in braccio la piccola Rose.
<< Ora sarai l’ometto di casa, George.>> disse Samuel, facendosi coraggio nel lasciarlo lì.
Ciò che Samuel più temeva, infatti, era proprio l’animo sin troppo dolce ed educato di suo figlio che a paragone dei piccoli ragazzetti di campagna avrebbe potuto facilmente essere sopraffatto.
<< Usa sempre questa.>> gli disse, indicandogli la sua piccola testolina con l’indice. << E ricorda sempre che sei uno Smith. Il tuo cognome dice tutto, George, e ti difende. Qual è il tuo cognome, George?>>
<< Smith.>> ripeté il bambino con fierezza e Samuel sperò che il suo piccolo ricordasse quella lezione per i mesi della sua lontananza.
<< Avrai tante mamme qui, George Smith.>> disse lui con voce dolce ma George non accettò quella frase di circostanza.
<< Io ho una sola mamma.>> rispose il bimbo e Samuel, seppur dispiaciuto dall’esser contraddetto, si scoprì stranamente fiero del temperamento mostratogli dal bambino. D’un tratto, finalmente, Samuel vide il corpo grasso di Mrs Thompson avanzare verso di lui. I suoi capelli erano ancora spettinati e mentre avanzava si sistemava con fare disordinato uno scialle sulle spalle, pronta ad aprire i cancelli della tenuta. La signora si avvicinò con fare stupito e allo stesso reverenziale verso di lui, prendendogli subito dall’avambraccio il mantello superfluo che quella mattina aveva indossato.
<< Maggiore Smith!>> esclamò la signora. << Che onore.>>
Samuel subito intuì che il messaggio che avrebbe dovuto ricevere la donna qualche ora prima del suo arrivo non fosse pervenuto.
<< Mrs Thompson ho mandato un messaggio che avvisava del mio arrivo...>>
La signora annuì facendo spallucce, sin troppo occupata ad osservare la testolina bionda di George e a lanciare occhiate incuriosite verso il fagotto che Tessa stringeva a sé.
<< Signorino George.>> disse la signora, chinandosi verso il piccolo. << Benvenuto.>>
<< Lei è la mia governante, Mrs Tessa.>> disse Samuel, presentando la sua vecchia alla signora Thompson.
<< A cosa devo questa visita?>> chiese la signora con indiscrezione. << Vostra moglie?>>
Samuel trasse un profondo sospiro e osservò il piccolo George chinare la testa. << E’ deceduta ieri notte, Mrs Thompson n. Ha dato alla luce mia figlia, Rose, ma il parto non è stato semplice e...>>
George questa volta alzò il capo e Samuel lo vide allargare le narici. Gonfiò il petto e sembrava comportarsi da vero e imperturbabile adulto. Mrs Thompson si portò teatralmente una mano al petto, forse prevedendo già il motivo della strana visita mattutina.
<< Ho da chiedervi un favore.>> pronunciò Samuel con fare sicuro, un tono di voce che non lasciava spazio ad obiezioni. La signora, infatti, si limitò ad invitarli nella sua tenuta.
La porta fu loro aperta e rivelò, in una casa buia e sovraffollata, una marea di docili e giovani donzelle appena strappate alle loro faccende domestiche. Samuel avanzò senza mostrare lo stupore nel ritrovarsi di fronte ad un covo così numeroso di donne, tale da poter quasi dar vita ad un collegio.
<< Perdonate le condizioni della mia umile dimora, maggiore.>>
Samuel non seppe dove voltarsi a guardare. D’un tratto sembrò essere assalito da quella folla di giovani donne pronte a tirargli giù la giacca dalle spalle, a poggiare il mantello su un piolo, pronte a sposargli una sedia allo scarno tavolo e a fiondarsi in cucina per offrirgli qualcosa. George seguì con riluttanza il padre e così fece anche Mrs Tessa.
<< Perdonate la mia introduzione, piuttosto.>> disse Samuel, osservando ancora alcune giovani donne in tenuta da notte coprirsi con fare imbarazzato. << Immagino abbiate intuito il motivo della mia visita. Eravate la zia di mia moglie ed io debbo partire per l’America dopodomani.>>
La signora Thompson annuì osservando George.
<< Quel che più mi preme, zia...>> disse Samuel fingendo un tono affettuoso e consapevole del fatto che quello stupido tono, che lui aveva sempre odiato, fosse capace di far accondiscendere una donna ormai di mezza età non più abituata a sguardi docili ed amorevoli. << ...è la crescita di Rose. Ha solo poche ore di vita e naturalmente ha bisogno di essere allattata. Speravo che tra le vostre figlie...>>
<< Figlie, nipoti, amiche!>> esclamò la donna, agitando le mani e quasi infastidita dalla presenza di cotanta presenza femminile.
<< ...ci fosse qualcuna in grado di farlo.>> disse lui, con tono sommesso.
<< Ce ne sono tre. Vostra figlia avrà di che mangiare.>>
Samuel annuì grato e congiunse le mani sul tavolo. << Per quel che riguarda George vi assicuro che sarete ricompensata a dovere. Ad intervalli di quindici giorni sarete rifornita delle mie risorse tramite le visite di Mrs Tessa. Speravo anche che tra le vostre figlie...>>
<< Figlie, nipoti, amiche...>> disse la signora Thompson, stavolta con tono stanco.
<< ...ce ne fosse almeno una capace di portare avanti le sue lezioni. Sa già leggere, a scrivere sembra avere ancora un po’ di difficoltà ma...>>
<< Non avete di che preoccuparvi, la mia figlia maggiore ha una buona istruzione. Questo non vale per...>>
<< Nipoti e amiche.>> concluse Samuel con un sorriso smagliante e con fare scherzoso, tanto che la signora arrossì vistosamente dando un colorito più acceso e salubre alle sue grassocce guance.
<< Vostro figlio avrà una stanza tutta sua, maggiore. Ve lo assicuro. Per quel che riguarda la piccola, invece, sarà in stanza con una delle puerpere.>>
Samuel si limitò ad annuire col capo e la signora si alzò dalla sedia invitandolo a seguirla. Nell’alzarsi dalla sedia, di nuovo, Samuel si sentì quasi assaltato da quella folla di giovincelle pronte a servirlo come fosse il re di Inghilterra.
“Re George mi invidierebbe!” pensò Samuel, ironizzando su quella assurda situazione. Seguì la signora Thompson tenendo George per mano e cominciò a salire le scale sulle quali, ad ogni piano, trovava almeno due donne in attesa di inchinarsi al suo cospetto. Una volta giunti al terzo ed ultimo piano, dove sorgeva una piccola soffitta, Samuel notò tre figurette vestite meglio delle altre pronte a salutarlo. Questa volta la signora Thompson frenò la sua corsa alla mostra della stanza del piccolo George per presentargli le giovincelle al suo cospetto. Samuel intuì facilmente che quelle tre ragazze dovessero essere le figlie della donna.
<< Permettetevi di presentarvi le mie figlie. Lei è Shannon, la maggiore delle tre. Ha diciannove anni.>> disse la signora, facendo avanzare, quasi spinta, la maggiore delle sue tre figlie. Samuel notò con facilità che fosse la meglio abbigliata e pettinata delle tre, nonché quella che mostrava la maggiore rigidità. << Non è ancora fidanzata. In realtà nessuna delle tre lo è.>>
<< Oh, e come mai?>> chiese Samuel con circostanza, spazientito da quel modo di mostrargli le figlie neanche fossero delle merci.
<< Non hanno dote.>> disse la signora Thompson con sufficienza. << Ma guardatele, non sono bellissime? Sorridi, Shannon!>>
La ragazza gli sorrise riluttante e Samuel passò in rassegna i suoi occhi zaffiro e i suoi capelli corvini. Non era del tutto male, in effetti, ad un esame più scrupoloso era davvero una affascinante giovane donna ma di certo la signora aveva dimenticato che lui fosse diventato vedono da meno di ventiquattro ore. << Vedete, ha bei denti e sa ricamare, rammendare, cucinare...>>
Samuel si limitò ad annuire col capo e a sorridere con comprensione alla ragazza ma non contenta la grassoccia signora proseguì a presentargli le altre due. << Lei invece è Charlotte, la seconda figlia.>>
Fortunatamente stavolta la signora si soffermò poco sulla seconda figlia che mostrava un temperamento molto più confidenziale della prima. Nel suo sguardo, infatti, Samuel scorse una certa strafottenza al suo cospetto, tanto che non seppe se sentirsi offeso. La guardò con cipiglio e lei, con fare ironico, gli sorrise. Anche lei somigliava molto alla prima figlia mostratagli, anche se era sicuramente abbigliata in modo peggiore. Samuel intuì velocemente, guardando fugacemente anche la terza delle tre, che gli abiti delle ultime due figlie fossero passati da mano a mano. La seconda, infatti, alta quasi quanto lui, aveva un vestito che le lasciava scoperte le caviglie e che si rivelava, a livello delle maniche, molto corto. L’ultima delle tre, che gli fu presentata come Rebecca, chiamatela “Becky”, le aveva detto la grassa signora, vestiva di un abito molto più grosso e lungo di lei. Era evidente che la piccola Becky, che a differenza delle altre due aveva capelli più chiari, fosse colei che, purtroppo, riceveva vestiti di terza mano. Quando finalmente la signora Thompson ebbe finito le sue presentazioni gli mostrò la camera destinata al piccolo George. Il bambino avanzò con riluttanza nella camera, che di certo non era bella e raffinata quanto quella di Smith Manor. Samuel lo osservò richiamandolo con lo sguardo, contrariato all’idea che suo figlio si mostrasse schizzinoso nei confronti di donne che gli stavano offrendo il loro aiuto.
“Sarà un buon modo per insegnargli il valore delle cose che, per nascita, ha.”
<< Naturalmente deve essere sistemata, Maggiore, ma conto che nel giro di oggi pomeriggio sarà tutto in ordine per il piccolo George.>>
Samuel annuì e le credette con facilità, dato l’enorme quantitativo di donne che la signora disponeva in casa. Infatti, nel giro di pochi minuti, mentre la grassa donna indicava a Mrs Tessa dove condurre la piccola Rose, la stanza di George fu invasa dalle tre figlie della signora Thompson.
La maggiore delle tre, che sicuramente era quella più interessata a catturare la sua attenzione, si avvicinò con fare dolce al bambino. << Vi ho preso un po’ di cioccolata, George. Sarò la vostra insegnante.>>
Samuel notò con facilità che la ragazza aveva abbassato con minuzia la scollatura del proprio vestito, così da risultare più una calamita per i suoi occhi. Il suo sguardo tinto di quel blu intenso salì ad incontrare i suoi occhi, come a ricercare una approvazione. Samuel gli annuì sorridendo grato, seppur leggermente infastidito da quel modo di fare. Aveva appena perso una moglie! Inoltre, di certo non era un ragazzino al primo prurito, pronto a farsi abbindolare dalla prima vergine in cerca di una scalata sociale.
<< Vi ringrazio...>> disse Samuel, osservando con imbarazzo che già aveva dimenticato il suo nome.
Come uno stupido non era riuscito a nascondere quella defaillance, tanto che la ragazza se ne accorse e, con tono cupo, proseguì la sua frase. << Shannon.>>
Samuel annotò quel nome con insistenza nella sua mente, costringendosi a non dimenticarlo mai più.
<< Shannon.>> disse lui, ripetendolo, ma la ragazza sembrava ormai già tremendamente offesa. Non era colpa sua! Ne erano così tante in quella casa ed il suo stato emozionale degli ultimi giorni gli permetteva, talvolta, di essere in sovrappensiero. Non era colpa sua se ricordava meglio il nome della seconda delle due figlie, Charlotte, che gli era parsa di certo quella più simpatica delle tre e che portava anche il nome della loro graziosissima regina. Shannon si alzò e provvide ad aprire le finestre della camera così da far passare aria, mentre Charlotte provvedeva ad alzare il materasso e a sistemare alcune doghe malmesse del letto. Intanto, la più piccola delle tre, provvista di quella strana e ridicola veste due volte più grande di lei, si occupava di disfare i bagagli di George e di sistemargli al meglio i vestiti nell’armadio. La ragazza, il cui nome ricordava solo finisse con Y, gli si avvicinò con fare intimidito e gli fece la domanda meno originale che un componente della Compagnia del Re avesse mai ricevuto.
<< Siete stato già in America?>> ma i suoi occhi colmi di curiosità ed interesse erano cosa insolita nella formulazione di quella domanda. Solitamente Samuel riceveva quella domanda come la solita domanda di circostanza, una di quelle frasi dette per blaterare e riempire i silenzi. Stavolta la ragazza che aveva di fronte, invece, sembrava attendere con ansia una risposta da lui e Samuel, sorprendentemente, si sentì importante nel giro di pochi secondi.
<< Certamente.>> rispose lui, quasi più interessato di lei nel risponderle. Lei annuì sorridendo.
<< E com’è?>> chiese con aria quasi sognante.
Samuel le sorrise spontaneamente e si impegnò nel trovare aggettivi suggestivi nel descrivere quella misteriosa e sterminata terra. Alla fin fine, optò per gli aggettivi che sempre e comunque, pur non del tutto opportuni, descrivevano al meglio quel grosso continente.
<< Una vergine ribelle.>>
La ragazza avvampò in un istante e Samuel le sorrise ancor più sfacciato, rendendosi conto che più sorrideva più lei avvampava. Alle sue spalle, Samuel avvertì la risata maliziosa e divertita di Charlotte che si prodigava ad agitare le mani del tutto divertita da quella definizione. Fu l’unica a ricambiare il suo sorriso con uno sguardo quasi ammaliatore, mentre la maggiore delle due fissava, indignata, la finestra.
   
 
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