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Autore: somewhereonlyiknow    19/11/2008    6 recensioni
Forse, un giorno lungo il cammino, loro si sarebbero ridotti per sempre ad appuntamenti segreti quando i loro bambini sarebbero andati alla stessa scuola elementare, o weekend insieme dietro la schiena di chiunque sarebbe stato abbastanza stupido da sposare uno di loro.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Troy Bolton
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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The scientist

The scientist

 

 

 

 

Science and progress
Did not speak as loud as my heart
Tell me you love me
Come back and haunt me

 

 

Se vivesse ancora in New Messico, sua madre lo chiamerebbe patetico e poi gli picchierebbe la testa con la sua borsetta. Gli farebbe una paternale sull’infrangere i cuori delle giovani ragazze e sulla sua fobia per le responsabilità, sulla sua vuota scemenza dell’essere scapolo. Si lamenterebbe che le sue sorelle sono già sposate e hanno dei figli, e sarebbe troppo chiedere di avere finalmente dei nipoti con il nome Bolton alla fine? Ispezionerebbe il perlopiù inutile frigorifero nel suo appartamento e si dispererebbe alla mancanza di cibo da ‘relazione’: carne, vino, uova, e formaggio.

 

“Non puoi vivere di birra per il resto della tua vita.” la immaginava dire, in quel modo che le madri hanno “Devi andare avanti. Cresci.”

 

Non parla più della birra ormai. È così dolorosamente ovvio di cosa sta parlando ora, e lui pensa che lei si incavolerebbe se sapesse che sua madre la compara ai sei pacchetti nel suo frigo, ma sua mamma non era mai stata una per l’astuzia.

 

Lui non vive più in New Messico. Vive in uno Stato più impegnato in una città più impegnata con persone più impegnate, che hanno i loro problemi. È stranamente confortante, lui pensa, che le vite delle altre persone siano altrettanto una merda come la sua.

 

La donna, Sarah, di fronte a lui è ben vestita, sofisticata, trapelante del semplice fascino della East Coast. Le sue labbra si increspano mentre legge attentamente la lista dei vini: “Bordeaux?” suggerisce.

 

“Certo,” lui sorride, fingendo che gli importi. L’invito a cena era un’idea di sua madre, che lo minacciava di disconoscerlo se non le avesse fornito uno steccato bianco, da due a cinque bambini e un cane di nome Spot. Lei ha buone intenzioni, ma lui non può fare a meno di desiderare che rimanga nella bolla del suo piccolo club del libro ad Albuquerque. Lei ha previsto un mondo di felicità per lui e lui in davvero non ha il cuore di dirle, lui vuole essere maledettamente miserabile.

 

Lui non può smettere di pensare a qualcun altro, e il pensiero gli fa rivoltare lo stomaco. Donne, innumerevoli donne, si appiccicano a lui come lucciole ad una luce e lui vuole poter offrire loro un futuro. Ma non può. Non con lei andata. Non può vivere senza di lei. Esistere, sicuro. Ma, non vivere. Perché questo è tutto. Un lavoro dalle nove alle cinque, un appartamento vuoto, il fissare il fondo di una bottiglia di tequila i venerdì sera. Un’esistenza. Duramente una vita, dalla misura di qualcuno.

 

Sarah ordina una bistecca, ben cotta. Lui caccia indietro il bisogno di fare una battuta, ed ordina un’aragosta, benchè non abbia avuto appetito per otto anni.

 

Si chiede come sarebbe se lei fosse ancora qui, con lui. Se starebbero insieme e fossero felici. Se tornerebbe a casa da un letto caldo, foto sulle pareti e un soffocato singhiozzo dalla camera da letto perché lei ancora una volta avrebbe ignorato il suo opportuno avviso e si sarebbe seduta a guardare Titanic. Si chiede se non siano mai stati destinati a stare insieme. O forse lo erano, ma solo per un breve momento, e poi il tempo è andato avanti, il mondo ha continuato a girare e quello è passato. Forse, un giorno lungo il cammino, loro si sarebbero ridotti per sempre ad appuntamenti segreti quando i loro bambini sarebbero andati alla stessa scuola elementare, o weekend insieme dietro la schiena di chiunque sarebbe stato abbastanza stupido da sposare uno di loro.

 

Il loro cibo arriva e lui guarda Sarah che mastica metodicamente la sua bistecca. Lui spinge la sua cena attorno al piatto, irritato con se stesso per aver ordinato una maledetta aragosta. Non è che non possa permettersela. Sarah non sembra notare il suo essere di merda, e se lo fa, è un’esperta nel nasconderlo. Parla di cose che importano come la salute, la crisi globale finanziaria, la guerra in Iraq e il nuovo ristorante giapponese aperto a Tribeca. Lui ascolta educatamente e provvede moderatamente a stimolare la conversazione.

 

Se lei potesse vederlo ora, riderebbe. Forse si soffocherebbe un po’ con la sua insalata greca e il pollo grigliato. Certamente non la bistecca.

 

Quando arrivano i dessert, lui dice al cameriere di mettere la sua aragosta in un contenitore. Sarah non dice niente e invece gli chiede se vuole un dessert.

 

“Non proprio,” si tocca lo stomaco vuoto “Sono pieno per la cena.”

Lui non perde il guizzo dei suoi occhi mentre il cameriere mette la sua aragosta intera e intonsa in un sacchettino: “Tua mamma…” inizia, e lui chiude i suoi occhi per un momento.

 

“Due ore,” sospira “Abbiamo passato quasi due ore senza menzionare mia mamma. Ti ha chiesto per favore di sposarmi, vero?”

 

Sarah ride nel suo bicchiere di vino: “Potrebbe averlo menzionato,” ammette “Stavo solo chiedendo se hai il suo numero perché sto pensando di trasferirmi ad Albuquerque e avevo bisogno di un parere sui beni immobili là.”

 

“Oh, giusto,” cerca nella sua tasca e le tende il suo cellulare “Ehm, è la chiamata veloce quattro.”

 

Sarah gli sorride velocemente e lui prende il bicchiere di vino. Non gli importa molto del vino, ma ha bisogno del più alto livello di alcol nel sangue se deve sostenere una conversazione con sua madre, cosa che accadrà inevitabilmente.

 

Abbastanza sicura, Sarah scosta il BlackBerry dal suo orecchio imbarazzata e gli allunga il telefono: “Sembra arrabbiata,” si morde il labbro per scusarsi “Scusa.”

 

Lui abbassa il vino e avvicina il telefono all’orecchio.

 

Quattro?” sibila sua madre attraverso trentatre stati “Sono la chiamata veloce quattro?”

 

Lancia un’occhiata fulminante attraverso il tavolo a Sarah che sta fingendo di essere interessata ai brutti dipinti del ristorante.

 

“Ciao, mamma.”

 

“Sono tua madre, giovanotto!” borbotta “Ora puoi anche non vivere a casa e puoi non parlarmi più di tutto…”

 

“Più? Vuoi dire mai. Non ti parlo mai di niente!”

 

“…ma sono ancora tua madre. Non dirmi di stare calma, Jack! Mi ha messo sul quattro! Quattro! Sono tua madre e sono un quattro? Un travaglio di quindici ore e sono un quattro?”

 

Lui fa un respiro profondo e prende la bottiglia di vino, stappandola con i denti e prendendo una lunga sorsata. Durerà un bel po’.

 

“Chi è il tre?” domanda improvvisamente lei “Vorrei davvero sapere chi è più importante della donna che ti ha dato la vita.”

 

“Uhm,” prende tempo, sapendo che non le piacerà la risposta “Il ristorante cinese take away sotto casa?”

 

C’è un lungo silenzio.

 

“Quindici ore di travaglio!” strilla a pieni polmoni e lui allontana il telefono dall’orecchio “Quindici ore! Mi ha quasi rotto la vagina e sono ancora piazzata sotto un contenitore di riso fritto?”

 

“Il miglior riso fritto nell’area di tre Stati, mamma.”

 

“Chi è il due, Troy? E se rispondi la pizzeria, ti farò volare qui per il Ringraziamento e mi aiuterai a farcire il tacchino.”

 

“Il mio capo.”

 

C’è una lunga pausa, come se la matriarca dei Bolton stia considerando se il suo unico figlio possa essere perdonato per mettere la carriera sopra sua madre. Infine, lascia andare un lungo sospiro: “E chi è l’uno?”

 

Lui può quasi sentire la cena che non ha mangiato risalirgli in gola: “Nessuno.” risponde.

 

“Bruciava quando facevo pipì per nove mesi, giovanotto. Tu me lo dirai.”

 

“Mamma.”

 

“Incredibile. Quattro.”

 

“Mamma.”

 

“Jack, tuo figlio è un asino.”

 

“Mamma.”

 

“Dimmelo, Troy!”

 

Lui non dice niente. Guarda in basso, le sue scarpe, il telefono ancora attaccato all’orecchio, sentendosi di nuovo un diciottenne, seduto sul pavimento del bagno, che piange sulla spalla della madre. Non sente niente tranne che staticità all’altro capo, e sa che lei ha capito. Sa che sta per dire qualcosa, qualcosa imbevuto di pietà: “Mamma, no.”

 

“Oh, Troy.” sospira lei.

 

“No.”

 

“Troy.”

 

Sarah sta girando le pagine di una rivista, ma lui sa che sta ascoltando. Si gira sulla sua sedia, cercando di parlare attraverso la gola infiammata. La sua voce esce bassa e gutturale, come se stia per vomitare sul pavimento: “Solo non sono… pronto. Non sono ancora pronto, okay?”

 

“Sarai mai pronto?” lei chiede, nel modo in cui le madri chiedono “Sarai mai pronto, Troy?”

 

Lui cerca di pensare ad una risposta soddisfacente: “Devo andare ora, mamma.” risponde infine.

 

“Troy.”

 

“Ci vediamo per il Ringraziamento.”

 

Tr…”

 

Lui termina la chiamata.

 

Sarah chiude la rivista, sorridendo come un albero di Natale, come se davvero abbia appena letto i 365 oggetti da non perdere per l’inverno: “Va tutto bene?” domanda.

 

Lui alza lo sguardo. Ed annuisce: “Sì. Solo… le mamme, lo sai.”

 

Quando l’appuntamento finisce, accompagna Sarah a casa. Rimangono fuori, tremando nella notte stranamente fredda. La bacia educatamente sulla guancia e le dice che dovrebbero farlo di nuovo qualche volta, anche se sa che questa è l’ultima volta che la vedrà. Lei gli dice che ha passato una bella serata e che lo chiamerà. Lui dice okay, scrive una sequenza di numeri a casaccio sul palmo della sua mano e finge che lei sia l’unica, la chiamata veloce uno.

 

Ma lei non lo è, e nessuno lo sarà mai.

 

E lui si sente davvero dispiaciuto per la povera ragazza che sarà abbastanza stupido da sposarlo.

 

 

###

 

 

Se vivesse ancora in New Messico, andrebbe a visitare la tomba di Gabriella Montez.

 

Andrebbe là con dei gigli bianchi ogni notte e si stenderebbe sulla zolla d’erba di fianco alla sua pietra tombale e guarderebbe le stelle. Le parlerebbe come erano soliti, con la speranza nelle loro vene, come se fossero ancora al liceo con scintillanti visioni del futuro. Essendo i padroni dei loro destini.

 

La vita non è accaduta esattamente come avevano progettato.

 

Lui non vive più in New Messico. Vive in uno Stato più impegnato in una città più impegnata con persone più impegnate, che hanno i loro problemi. È stranamente confortante, lui pensa, che le vite delle altre persone siano altrettanto una merda come la sua.

 

Quindi invece, è seduto a casa. La TV lampeggia sullo sfondo. È seduto, una birra in una mano, il cellulare nell’altra.

 

Preme i tasti sul telefono lentamente, deliberatamente. Infine, la schermata che vuole compare.

 

Cancellare chiamata veloce uno?

 

Il suo pollice indugia sul tasto ‘sì’.

 

Sono passati otto anni. È tempo di lasciare andare.

 

È pronto.

 

 

###

 

 

“Mamma? Ciao, sono io. Grazie per le quindici ore di travaglio… lo apprezzo. Ti sto… ti sto chiamando con la chiamata veloce. Chiamata veloce uno.”

 

 

Nobody said it was easy
No one ever said it would be this hard
Oh, take me back to the start

 

 

 

Fine

 

 

 

 

Eeeh lo so, solo cose tristi in questi giorni XD Ma che ci volete fare, va così XD

 

Spero che vi sia piaciuta, a me almeno ha colpito molto X3

 

La canzone usata è, appunto, The scientist dei Coldplay.

 

Ringrazio anche chi ha commentato Falling into you: Angels4ever, Titty90, Angel_R, lovely_fairy, KissMe e Tay_.

 

Prometto che la prossima sarà molto più allegra!

 

Un bacione a tutte,

 

Hypnotic Poison

 

  
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