Libri > The Maze Runner
Ricorda la storia  |      
Autore: Margo Malfoy    11/01/2015    0 recensioni
Cosa sarebbe successo se Newt, invece che lasciare la sua lettera a Thomas, l'avesse lasciata a Minho?
"Si era chiesto come avrebbe fatto a capire quale sarebbe stato il momento giusto e, pensandoci, per lui sarebbe stato impensabile perfino aspettare il momento giusto. Ma si limitò a guardare il biondo che stava davanti a lui e ad annuirgli in fretta, prima di infilare la busta di carta nella tasca e seguire gli altri.
E fu nel momento in cui gli si ruppe la voce nel leggere a voce alta una seconda lettera del biondo che capì che la lettera che teneva in tasca da diversi giorni non poteva aspettare oltre."
Genere: Azione, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Minho, Newt, Thomas
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Even if I never told you, you are important for me.
 
“Giurami che non leggerai il contenuto di questa maledetta lettera finché non sarà il momento giusto”

Si era chiesto come avrebbe fatto a capire quale sarebbe stato il momento giusto e, pensandoci, per lui sarebbe stato impensabile perfino aspettare il momento giusto. Ma si limitò a guardare il biondo che stava davanti a lui e ad annuirgli in fretta, prima di infilare la busta di carta nella tasca e seguire gli altri.
E fu nel momento in cui gli si ruppe la voce nel leggere a voce alta una seconda lettera del biondo che capì che la lettera che teneva in tasca da diversi giorni non poteva aspettare oltre.
La prima lettera di Newt gli aveva spezzato il cuore, non si sarebbe mai aspettato che il suo migliore amico se ne andasse da lì senza opporre resistenza. Le parole scritte frettolosamente sul foglio lasciato sul tavolo erano state come un pugno nello stomaco:

“Sono riusciti a entrare. Mi stanno portando a vivere con gli altri Spaccati.
È meglio così. Grazie per la vostra amicizia.
Addio.”

Non voleva pensare che la seconda lettera avrebbe potuto contenere un messaggio altrettanto sconvolgente. Si costringeva a sperare che nell’altro foglio Newt avesse scritto di non abbandonarlo e di cercarlo in lungo e in largo per tutta Denver, se necessario.
Minho aspettò di essere solo per aprire la lettera stropicciata dell’amico. Si sedette su uno dei divani, lasciandosi sprofondare tra i cuscini bianchi. Prese un lungo respiro e poi posò gli occhi sulle poche parole scritte nello stesso stampatello sbilenco, quasi la calligrafia di un bambino:

“Uccidimi. Se sei mai stato mio amico uccidimi”

Tutta la speranza che aveva riposto in quel secondo foglio scivolò via, riempiendogli il petto di rabbia e malinconia: gli mancava Newt. E la cosa peggiore era che il suo migliore amico era cambiato e che, anche se l’avesse ritrovato, non sarebbe più stato lo stesso.
Strinse le mani che impugnavano la lettera tanto forte che un pezzo di carta si strappò e Minho si trattenne dal lanciare un grido di pura rabbia e frustrazione.
Rilesse quella lettera per almeno altre venti volte, e alla ventunesima decise che non ne avrebbe fatto parola con nessuno, nemmeno con Thomas. L’unica cosa che doveva fare era trovare Newt e spiegargli che l’avrebbero curato, e possibilmente convincerlo a tornare da loro.
 
Rivide il biondo solo quando aveva ormai perso le speranze di riuscire a trovarlo. Lui e Thomas erano in macchina con un uomo, Lawrence, che li stava portando al quartier generale della C.A.T.T.I.V.O. per prendere la cura. Stavano attraversando un vicolo in penombra, a detta di Lawrence pieno zeppo di Spaccati, producendo un rumore non troppo discreto con il vecchio furgoncino che l’uomo stava guidando. Newt era in un angolo della strada, il viso riconoscibile solo perché illuminato dalla flebile luce di un lampione prossimo allo spegnimento. Stava appoggiato al muro, fissando davanti a lui un punto indistinto, ma quando sentì il rumore dell’auto spostò velocemente gli occhi sulla vettura, avvicinandosi.
Thomas tirò una gomitata a Minho, che sedeva in mezzo: «Quello non è Newt?»
A sentire il nome dell’amico, Minho scattò verso il finestrino, sporgendosi dalla macchina per vedere se fosse effettivamente Newt, con grande disappunto di Lawrence, che continuava a ripetere che gli Spaccati li avrebbero notati in un batter d’occhio se Minho non fosse tornato a sedersi. Ma lui non capiva che Minho sperava proprio che gli Spaccati lo notassero, in quanto il ragazzo indicato con tanta foga da Thomas era davvero il biondo.
L’asiatico tornò a sedersi tra i due, girandosi poi verso Lawrence: «Fammi scendere»
L’uomo inchiodò l’auto e si girò verso Minho guardandolo come se avesse appena detto di volersi suicidare: «Sei impazzito?»
«Ho detto di farmi scendere» ripeté irremovibile Minho.
Thomas gli posò una mano sul petto: «Che cosa hai intenzione di fare? Vuoi parlare con lui? Non penso riusciresti a ragionarci, rischieresti soltanto di venire ucciso da lui o da uno dei suoi allegri amici»
«Ho bisogno di parlargli, Thomas. Almeno tu...» Minho cercò l’appoggio dell’amico, che gli rivolse un timido sorriso e si sporse poi verso Lawrence: «Lasciagli cinque minuti, se non rientra in macchina scendo io e lo riporto qui»
L’uomo li guardò scettico, per poi annuire. «Cinque minuti» ripeté una volta che Minho scese dal furgone, «non di più».
L’asiatico fece un ampio respiro, prima di girarsi e incamminarsi verso Newt, che si era già avvicinato alla macchina. Quei pochi metri che li separavano sembrarono interminabili da percorrere. Ogni volta che Minho muoveva un passo la distanza sembrava aumentare, invece che diminuire, ma dopo qualche minuto i due si erano ritrovati di fronte.
«Ti avevo chiesto di leggere quella lettera al momento giusto» fu la prima cosa che disse Newt.
«Ti aspettavi davvero che se l’avessi letta in tempo ti avrei ucciso?» gli chiese Minho non potendo credere che Newt volesse davvero che il suo migliore amico ponesse fine alla sua vita.
«Mi aspettavo che fossi disposto a fare qualsiasi cosa per il tuo migliore amico, per me»
«È proprio questo il punto! Non sarei mai capace di farti una cosa simile proprio perché sei il mio migliore amico. Quando ho letto la lettera in cui dicevi che te n’eri andato sono rimasto senza parole, credi davvero che ti ucciderei?»
«Tu non capisci!!!» gridò Newt alzando le braccia che teneva dietro alla schiena e rivelando una pistola stretta nella mano sinistra. «Tu non puoi capire, Minho. Io non voglio essere questo. Non voglio diventare come gli Spaccati che abbiamo incontrato. Ma più di ogni altra cosa non voglio dimenticarmi di voi. Del Labirinto, di Alby, di Chuck, di Thomas, di te. Non voglio morire tra sprazzi di follia e altri di lucidità, magari divorato da un altro Spaccato. L’ho chiesto a te perché voglio che sia il mio migliore amico ad uccidermi. Voglio ricordarmi di te per un’ultima volta!»
Minho abbassò la testa, visibilmente scosso dalle parole di Newt, che lo fissava con uno sguardo che mai prima di allora gli aveva visto negli occhi. Quegli occhi castani che un tempo erano in grado di infondere fiducia, di condividere felicità, di dimostrare forza, ora erano vuoti. Come se tutti quei sentimenti che erano capaci di esprimere si fossero volatilizzati e fossero diventati due semplici occhi marroni.
«Non posso farlo Newt» la voce bassa, rauca. A Minho dispiaceva andare contro la volontà del biondo, ma non sarebbe mai stato in grado di perdonarsi un simile errore, e sapeva che mai si sarebbe pentito di quella scelta: non avrebbe ucciso Newt, a costo di morire ucciso da lui.
«Per favore!» gridò il biondo allungando verso l’asiatico la mano che stringeva l’arma. «Fallo, o ti ucciderò io, e poi passerò a torturare Tommy laggiù» indicò con un cenno del capo l’auto da cui Thomas e Lawrence fissavano la scena.
«Newt, ascoltami. Non sono mai stato in grado di fare questo genere di discorsi, ma ora ci proverò, okay?» disse Minho appoggiando le mani sulle spalle del biondo e guardandolo negli occhi.
Newt annuì, senza dare troppa importanza alle parole dell’amico.
«Il Labirinto, te lo ricordi amico? Laggiù c’erano centinai di ragazzi, e con quanti di loro ho legato?» chiese Minho.
Newt alzò le spalle e spostò gli occhi sulla bocca dell’asiatico, che riprese a parlare: «Pochi. E tu fai parte di quei pochi. Quando ero giù di morale eri la prima persona a cui pensavo. Sei sempre stato capace di far sorridere la gente Newt, eri sempre quello ottimista. Perché adesso non lo sei più? Adesso non sei più il ragazzo con cui volevo parlare quando mi sentivo male»
«Tu non ti sentivi mai giù di morale, Minho. Tu sei sempre stato quello forte, il “duro” della situazione. Non avevi bisogno di qualcuno con cui parlare» disse semplicemente Newt, senza nascondere di essere un po’ sconsolato.
«Perché non mi serviva parlare con te, mi bastava vederti e sapere di averti vicino per sentirmi meglio. E ora in che cosa ti sei trasformato? Dov’è finito il ragazzo che avevamo scelto per accogliere i Fagiolini? Ti avevamo scelto perché eri in grado di infondere fiducia, eri dolce e coraggioso. Dov’è quel Newt?»
«Non esiste più. Ora Newt è uno Spaccato. Ecco perché tutte quelle qualità che ti mancano tanto non ci sono più» disse Newt. «E ora, ti prego, fallo» gli porse di nuovo la pistola, fissandolo con sguardo supplicante.
«Non lo farò, Newt. Sappiamo dove tengono nascosta la cura, vieni con noi e tornerai quello di prima. Saremo tutti sani e salvi, e quei bastardi della C.A.T.T.I.V.O. non ci controlleranno più» anche Minho lo stava supplicando. Minho sperava di riuscire a convincere l’amico che la cura avrebbe funzionato e che non era necessaria una soluzione così drastica. E, anche se fosse stata l’unica soluzione, Minho si sarebbe rifiutato di ucciderlo. Non si sarebbe sporcato le mani con il sangue del suo migliore amico, mai e poi mai.
«Cosa ti dice che la cura funzionerà?» chiese il biondo iniziando a camminare avanti e indietro, usando l’arma che stringeva nella mano per grattarsi la nuca.
«Non posso averne la certezza, ma non vale la pena provare?»
Newt si fermò per un attimo, come a studiare con attenzione la domanda dell’asiatico, che lo fissava pregando che accettasse di seguirlo.
«Newt, so che in questo momento pensi che farla finita sia l’unica soluzione, o comunque la soluzione migliore, ma pensa alle persone che ti vogliono bene. Pensa a coloro che in questo momento stanno soffrendo perché non sanno dove tu sia, se tu sia vivo o morto, se tu stia bene o no. Non credi che loro sarebbero distrutti se venissero a sapere che tu stesso hai voluto essere ucciso? Da me, tra l’altro. Anche se non te l’ho mai detto, tu sei importante per me» continuò Minho, cercando di nascondere la frustrazione che gli pervadeva il corpo.
Newt continuava a tacere, fissando il marciapiede con gli occhi lucidi, pizzicati dalle lacrime.
Nella speranza di convincere il biondo con quelle ultime parole, Minho disse un’ultima cosa: «Senti, facciamo così: vieni con noi e, se la cura non funziona, allora io...» tentennò un attimo prima di terminare, guadagnandosi un’occhiata spazientita dell’amico, che sembrava ignorare la fine ovvia della frase. «Allora io ti ucciderò» concluse serrando la mascella e distogliendo lo sguardo.
Il biondo posò gli occhi sui suoi a mandorla, e serrò la mascella a sua volta. «Me lo prometti?» chiese indicandolo con la canna della pistola. La punta metallica dell’arma sfiorò la camicia dell’asiatico, toccandogli uno dei possenti pettorali. Minho abbassò lo sguardo sulla pistola e poi lo riposò su Newt.
«Te lo prometto» disse in tono solenne, anche se sapeva che se la cura non avesse funzionato, avrebbe fatto la stessa fatica di quel momento ad accontentare il biondo.
Newt non disse nient’altro e superò l’amico dirigendosi verso il furgone dall’altra parte della strada. Minho sospirò seguendo il biondo e pregando che quella caspio di cura funzionasse, altrimenti quel giro infinito di parole sarebbe stato inutile e molto più doloroso di quanto non dovesse essere.
Dopo aver impiegato altrettanto tempo per convincere Lawrence a far salire Newt sulla macchina, si diressero verso il quartier generale della C.A.T.T.I.V.O. per prendere la cura.
 
Thomas aveva impiegato una vita e mezzo a scappare dalla C.A.T.T.I.V.O. con la cura, e l’attesa che Minho e Newt avevano dovuto sopportare era stata infinita, anche se in realtà non era passata più di un’ora. E l’attesa che i due avevano vissuto in seguito era stata anche peggio: Thomas aveva scoperto che gli scienziati della C.A.T.T.I.V.O. avevano catturato altri immuni e che li avevano rinchiusi nel Labirinto. I vecchi Radurai avevano allora un nuovo compito da svolgere: salvare i Muni e farli uscire dal Labirinto. Quella missione era lunga quanto impossibile, ma alla fine come avrebbero potuto lasciarli lì?
Radunare i nuovi Radurai e portarli fuori dalla Radura era stato difficile, soprattutto considerato che alcuni di loro avevano appena scoperto di non ricordare nulla della loro vita precedente ed erano piuttosto scossi. Nonostante ciò riuscirono a portarli nel Labirinto, organizzandosi per bene riguardo come e chi avrebbe dovuto inserire il codice di autodistruzione dell’enorme struttura in pietra.
Tornare nel Labirinto aveva riempito il petto Minho di emozioni contrastanti che lo portavano a pensare che la sua nuova vita faceva schifo. Aveva passato la maggior parte del tempo a correre tra le imponenti mura di un Labirinto gigante e la parte restante a scappare da zombie assetati di sangue o a fuggire dalle mani degli scienziati della C.A.T.T.I.V.O., le cui intenzioni erano solo quelle di manovrargli il cervello. Forse avrebbe preferito non essere immune e morire sotto l’effetto dei sintomi dell’Eruzione. Probabilmente era quello in cui sperava Newt: morire prima di scoprire che c’era una nuova Prova da affrontare. In quel momento lo capiva come non era riuscito a fare a Denver, ma non si sarebbe mai rimangiato ciò che gli aveva detto: l’avrebbe ucciso solo se la cura non avesse avuto effetto.
Raggiunta la tana dei Dolenti, i ragazzi riconobbero un Pass Verticale infondo al corridoio. Nessuno di loro vedeva l’ora di oltrepassarlo. Tutti volevano trasformare quell’esperienza devastante in un lontano ricordo, e ricominciare una nuova vita. Ma prima di poterlo fare, Minho doveva togliersi il peso di scoprire se Newt sarebbe guarito o no.
Una volta superato il Pass Verticale, i ragazzi si ritrovarono in un luogo che somigliava molto alla Radura. Fortunatamente, a circondarne il perimetro non c’erano enormi mura di pietra, ma solo boschi e foreste. A partire da quel particolare, anche tutto il resto diventava molto più accogliente e rassicurante rispetto a ciò che in precedenza caratterizzava la Radura, quel luogo dove alla fine erano cresciuti tutti, da quando avevano memoria.

***

Minho si ritrovò seduto all’interno di una stanza dell’edificio al centro dello spiazzo d’erba, che ricordava lontanamente il Casolare della Radura. Di fianco a lui c’era Thomas, in piedi, che sbuffava impaziente, tenendo le braccia incrociate e alternando una camminata nervosa ad un tic  del piede quando si fermava sul posto. Di fronte all’asiatico, invece, era seduto Newt, che lo guardava come se Minho lo stesse per torturare. Minho stringeva nella mano una delle siringhe che Thomas aveva recuperato dalla sede della C.A.T.T.I.V.O., che si sperava riuscisse a curare il biondo.
«Dopo quanto farà effetto?» chiese Minho a Thomas, girando il capo verso l’amico. Sapeva che il moro non conosceva la risposta esatta, ma sperava in un lasso di tempo generico che potesse garantirgli la certezza che il contenuto della siringa stesse davvero curando Newt.
«Non saprei. Credo un giorno al massimo» disse Thomas spostando gli occhi, che fino a poco prima rimbalzavano da una parte all’altra della stanza, su Minho.
L’amico gli annuì guardando poi Newt e alzando la mano che impugnava la siringa per infilarla nel braccio del biondo. L’ago si infilò nella pelle pallida di Newt creando un piccolo foro violaceo attraverso il quale il contenuto della siringa stava invadendo l’organismo del biondo. Il ragazzo fece uno scatto alzandosi in piedi non appena Minho gli infilò l’ago nel braccio e, una volta che la siringa si svuotò, prese a boccheggiare e barcollare, cadendo sul letto dietro di lui e iniziando ad essere percosso da una serie di spasmi che lo portò a gridare più di una volta. Newt poi si lasciò trasportare nel sonno, chiudendo gli occhi che fino a poco prima erano sbarrati.

***

Newt si svegliò il giorno seguente, avverando la previsione di Thomas, stringendo gli occhi e poi lanciando un’occhiata ai due amici che lo fissavano dall’altra parte della stanza – e che erano rimasti vigili per tutta la durata del suo sonno –.
«Che avete da guardare, pive?» chiese alzandosi sui gomiti.
I due, ancora un po’ indolenziti dalla notte che avevano passato insonni, si girarono verso l’amico senza nascondere il sollievo che avevano provato nel sentire la sua voce e nel vedere che i suoi occhi sembravano finalmente tornati alla normalità: castani ed espressivi come una volta.
«Newt?» chiese Thomas.
«Sì, Newt. Cos’è, non mi riconosci più Tommy?»
La cura, sempre che stesse funzionando, aveva represso i ricordi della vita da Spaccato di Newt. Probabilmente non si ricorda nemmeno della lettera che mi ha scritto, si disse Minho. Lo sperava, avrebbe reso tutto quanto più facile.
«Ti senti bene?» chiese ancora Thomas.
Il biondo annuì, come se non si ricordasse davvero nulla di ciò che era successo prima. Si guardò poi intorno, fissando stranito le pareti della stanza, a lui sconosciute. «Dove siamo?»
«È finita, amico. Qui staremo bene» disse semplicemente il moro, senza fare inutili giri di parole su come avesse scoperto quel posto, nella sede della C.A.T.T.I.V.O.
Newt si limitò ad alzare le sopracciglia con fare sorpreso e ad accennare un sorriso.
«Beh, non so voi ma io sono stufo di stare rinchiuso qua dentro. Ci vediamo fuori» disse poi Thomas oltrepassando la soglia della porta di legno e allontanandosi verso il bosco.
Minho si alzò in piedi, imitato dal biondo, e si avviò verso la porta, girandosi verso Newt: «Andiamo anche noi?» chiese indicando con un cenno della testa il moro che continuava a camminare in direzione della foresta.
L'amico annuì e sorpassò Minho fermandosi un attimo per sussurrargli all’orecchio: «Grazie per non avermi ucciso». Poi uscì dalla stanza e si mise a seguire Thomas.





Nota dell'autrice:
Ciao pive!
Intanto chiedo scusa se ho cambiato così drasticamente i fatti, ma essendo una What if? ho voluto scrivere cosa penso sarebbe potuto succedere se Newt avesse dato la lettera a Minho. Poi magari Minho l'avrebbe ucciso lo stesso, ma mi piace pensare che Newt viva felice e contento insieme al suo amore Tommy e al suo migliore amico Minho ^^
In ogni caso, spero che la storia vi sia piaciuta e che non mi odiate per il grosso cambiamento XD
Poi, come sempre, qualsiasi critica costruttiva o apprezzamento è bene accetto :)
Direi che ho finito, a presto pive <3
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > The Maze Runner / Vai alla pagina dell'autore: Margo Malfoy