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Autore: SSJD    12/01/2015    12 recensioni
‘‘Storia partecipante al contest ‘In viaggio’ indetto da Emanuela.Emy79 ”.
Dal testo:
Eravamo stipati già da un paio di giorni in quegli angusti corridoi, ma sapevo che avrei dovuto dividere quello spazio stretto e scomodo con i miei fratelli, i miei compagni, sayan come me, ancora per poco.
Il capitano ci aveva mobilitato fin dal mattino. Aveva deciso che avrebbe conquistato quel pianeta, a detta sua, il più difficile di tutta la sua vita, entro sera...
Genere: Avventura, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TRUNKS




Dicono che la parte più difficile dell’intraprendere un nuovo viaggio sia uscire dalla porta di casa. Beh… possiamo dire che, nel mio caso, questo non sia del tutto vero.
Anzi.
Per quanto mi riguarda, affermare che quella sia la parte più facile non è del tutto inappropriato visto che, in effetti, fuori di casa ti ci butta qualcun altro. Ma questa è un’altra storia.
Quella che vi voglio raccontare, invece, è chi sono, da dove vengo e, soprattutto, qual è il mio unico scopo nella vita.
Appartengo ad un popolo di grandi conquistatori. I più infallibili che l’Universo intero abbia mai generato.
Tutti ci conoscono, molti ci sottovalutano, alcuni ci temono, altri si disinteressano e certi ‘cervelloni’ hanno anche studiato modi più o meno discutibili per evitare le nostre ‘conquiste’.
Tutti sanno chi siamo e, soprattutto, come agiamo.
Siamo esseri dotati di un istinto alla conquista innato e veniamo generati per un unico, preciso e semplice scopo: viaggiare per la galassia in cui veniamo catapultati alla ricerca di pianeti ospitali atti a perorare la nostra causa o, per meglio dire, a conservare e preservare la stirpe da cui discendiamo.
Il mio viaggio iniziò così. Esattamente come quello intrapreso da mio padre prima di me e dal padre di mio padre, senza alcuna differenza.
Ero stipato già da una quindicina di giorni in quegli angusti corridoi, come una sardina in una scatoletta di metallo, ma sapevo che avrei dovuto dividere quello spazio stretto e scomodo con i miei fratelli, i miei compagni, esseri della mia stessa razza Sayan, ancora per poco.
Il capitano ci aveva mobilitato fin dal mattino. Aveva deciso che uno di noi avrebbe conquistato quel pianeta, a detta sua, il più difficile di tutta la nostra vita, entro sera.
Poche ore dopo la nostra mobilitazione, il clima intorno a me si era fatto pesantissimo. Alcuni dei miei compagni erano entrati in uno stato di panico a dir poco sconcertante, altri invece erano così eccitati che sarebbero usciti letteralmente di testa prima dell’inizio della missione.
Io non sapevo cosa aspettarmi.
Certo ero stato creato e addestrato per questo, per non permettere l’estinzione della mia razza, ma ci era giunta voce che tutte le precedenti  missioni avevano visto partire uomini e donne come me che non avevano mai più fatto ritorno e, per quanto ne sapevamo, erano morti prima di poter conquistare il pianeta.
Milioni di valorosi persi in galassie sterili e prive di pianeti atti ai nostri scopi di conquista. Non era giusto. Tutte quelle vite perse solo perché i calcoli del capitano sulla corretta acquisizione dell’orbita del pianeta che gli interessava, non si erano rivelati corretti. Finora.
Poco dopo il preallarme, ci fu dato il segnale. La strana astronave su cui viaggiavamo, stretti l’uno all’altro, con una strana accelerazione entrò nella galassia dove si trovava il pianeta che avremmo dovuto fare nostro.
Sentimmo il capitano prendere gli ultimi accordi con l’imperatrice di quel piccolissimo pianeta, a noi ancora sconosciuto, ma che lui sembrava conoscere perfettamente. Non riuscivo a sentire bene cosa stesse dicendo: parlava a bassa voce, forse per non farsi sentire da noi. Non riuscii nemmeno a percepire cosa lei gli avesse risposto, ma poco importava visto che, poco dopo, partì il consueto segnale che dava il via libera alla nostra imminente attivazione.
La nave si mise in movimento. Si avvicinò dapprima lentamente e poi, entrando nell’orbita del pianeta, fu trascinata in una forte turbolenza.
Ci reggemmo gli uni agli altri, senza sapere minimamente che il nostro incarico avrebbe avuto un così drammatico inizio.
Pochi istanti dopo, fummo catapultati tutti all’esterno, in un turbine vorticoso che fece perdere il senso dell’orientamento alla maggior parte di noi.
Seguirono momenti di grande confusione. Ci trovammo tutti in quel nuovo ambiente, completamente diverso da come ce lo aspettavamo: buio e… denso. La temperatura era insopportabilmente elevata, se confrontata a quella del vano porta passeggeri in cui avevamo viaggiato.
Quando fummo tutti fuori, l’astronave se ne andò lasciandoci lì e risucchiando molti dei miei compagni verso lo spazio aperto. Sarebbero morti di lì a mezz’ora in quelle condizioni: per loro non ci sarebbe stata nessuna possibilità di sopravvivenza, ne ero assolutamente cosciente.
Senza nemmeno accorgermi, mi ritrovai a muovermi velocemente con un gruppo di valorosi guerrieri come me. Uomini e donne attratti tutti quanti da quello strano e minuscolo pianeta. Mi voltai solo una volta per vedere in quanti saremmo riusciti a raggiungerlo e… fu terribile. I più lenti e più deboli di noi venivano catturati da strani filamenti appiccicosi che si propagavano per tutta la galassia. Altri non riuscivano a muoversi, a causa dell’alte densità dello spazio che ci circondava. Taluni si misero a girare su loro stessi, come piccoli cagnolini che giocano ad inseguire la propria coda e altri subirono la sorte peggiore: ignari del fatto che sarebbero andati incontro a morte certa, si diressero verso l’unico spiraglio di luce che riuscirono ad intravvedere alle loro spalle, tentando di inseguire invano l’astronave che, ormai lontana, non li avrebbe comunque potuti recuperare. Decisi di non voltarmi mai più indietro e di accelerare il più possibile per svolgere il compito che mi era stato assegnato.
Dopo aver percorso una distanza che sembrava infinita, quando finalmente riuscii a vedere la mia ambita meta in lontananza, io e i miei compagni fummo attaccati. Degli strani asteroidi che giravano per la galassia, si aggrapparono alle nostre tute protettive, divorandole sotto i nostri occhi increduli. Pensai che, di lì a pochi istanti, sarebbe giunta la fine: come potevo sopravvivere in quell'ambiente così ostile senza nemmeno la mia protezione?
Difficile spiegare come mi sentii: anziché morire, provai una sensazione di estrema e piacevole ‘leggerezza’. I miei movimenti erano diventati più fluidi e la mia velocità era pressoché raddoppiata. Eccitato da questa positiva novità, passai in testa al gruppo dei pochi rimasti con me, per guidare la spedizione. Riuscire a conquistare quel pianeta avrebbe reso orgoglioso il mio capitano e fatto di me l’unico sovrano incontrastato di quel mondo sconosciuto.
La distanza che ancora avrei dovuto ricoprire, per giungere all’ambita meta, avrebbe scoraggiato chiunque, ma non me, né i pochi che, a fianco a me, avevano il mio stesso obiettivo; sapevo che non potevo mollare. Se lo avessi fatto, la mia vita sarebbe andata persa come i milioni prima di me e le migliaia che mi ero lasciato alle spalle e che non rivedrò mai più.
Mi mossi con tutta la forza e il coraggio che avevo in corpo. I miei compagni cercavano continuamente di scavalcarmi e di prevaricarmi, ma io decisi di resistere e così riuscii ad arrivare per primo nell’orbita del solitario pianeta.
Con non poche difficoltà riuscii ad atterrare e, con tutte le forze che mi rimanevano, iniziai a scavare una trincea in cui infilarmi per organizzare la mia base e iniziare da lì l’invasione. Penetrai la superfice del pianeta con tutto il mio corpo e lo sforzo mi fece perdere addirittura la coda. La cosa mi lasciò al quanto indifferente, anche se un po’ ci rimasi male: tutto sommato era anche grazie a lei che ero riuscito ad arrivare per primo, oltre ad una buona dose di fortuna, il mio coraggio nell’affrontare tutte le difficoltà o semplicemente, per merito del destino.
Quando fui dentro, vidi tutti i miei compagni, che non avevano scavato velocemente come me, o erano arrivati troppo tardi, venire improvvisamente allontanati da una forza misteriosa, generata dal pianeta.
“Addio, miei compagni di avventura” pensai vedendoli sparire nella misteriosa galassia che, ora, potevo dire essere solo mia.
Poco dopo sentii il foro che avevo creato per entrare chiudersi e una specie di barriera protettiva ricoprire l’intero pianeta.
Mi sentii avvolto, come in un caldo abbraccio e la sensazione fu bellissima, come di… accoglienza. Non mi ero mai sentito così, in tutta la mia vita. Avvertii una forza attrarmi al centro del pianeta e fu lì che capii: ce l’avevo fatta, l’avevo conquistato io.
Intuii che era inutile perdere altro tempo e mi feci trasportare verso quello che sembrava essere una sorta di involucro. Quando il mio corpo lo toccò, le nostre superfici si fusero l’una con l’altra ed entrando incontrai lei… l’altra metà di… me. Ci unimmo in un abbraccio che sarebbe stato per sempre e insieme decidemmo che era giunto il momento di costruire la base tattica.
Manovrammo insieme per alcuni minuti per trovare il punto più adatto della galassia in cui far crescere il nostro pianeta.
Quando lo trovammo, al confine nord est, attraccammo ad una delle pareti soffici e accoglienti che l’imperatrice della galassia aveva generato solo per noi.
Era incredibile.
Ce l’avevo fatta.
Nessuna nostalgia per il mio luogo di provenienza.
Ora avrò tempo nove mesi per occupare tutta questa bellissima galassia, apparentemente molto ospitale.
Poi quando nascerò e sarò un po’ cresciuto sarò fiero di poter chiamare papà colui che sarà sempre il capitano dell’incredibile astronave che mi ha portato qui e mamma l’imperatrice della galassia che mi ha accolto, permettendomi di iniziare il fantastico e incredibile viaggio chiamato vita.
 
 


 
FINE





NOTA AUTORE: Spero di aver reso la sorpresa fino alla fine. Se vi è piaciuta o no, grazie cmq di averla letta e se vorrete lasciare un commento, sarà solo gradito!
Alla Prox,
SSJD

   
 
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