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Autore: Sana e Akito    12/01/2015    3 recensioni
La storia è una mia versione dell'episodio 3x07, perciò spoiler per chi non segue la programmazione americana. Ho pensato molto prima di postarla, ma alla fine ho scelto di far decidere voi se merita oppure no.
Dal testo:
«Il problema è che Felicity doveva trovarsi qua da più di un'ora.» Oliver parlava alla schiena del suo partner.
[...]«No, Oliver,» iniziò avvicinandosi «il problema è che Felicity si trova con un altro uomo. E non importa se si tratti di una cena di lavoro o meno: lei non è qui. Con te.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen, Roy Harper
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Questa è la mia prima storia su questo fandom. Adoro Arrow e l’Olicity e l'idea per questa fanfiction mi è venuta dopo gli spoiler dell'episodio 3x07, dove Felicity viene invitata ad una cena di lavoro con Ray Palmer. Ho messo nero su bianco quello che la mia fantasia mi dettava prima della visione dell'episodio e quello che andrete a leggere è la mia personale versione di quel momento, con qualche aggiunta della mia mente bacata e malata di questi due personaggi. 
Preferisco salutarvi qui e lasciarvi alla lettura della storia, chiedendovi di lasciarmi un vostro parere: critiche costruttive o commenti positivi sono sempre ben accetti. 

Buona lettura!


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Beginning
 
«Dove l'avrò messo?» 
«Con questo disordine, è meglio che ti dia una mano.»
Felicity si trovava nel suo ufficio con Ray, in cerca del suo progetto. 
«Mi dispiace. Per colpa mia, sei in ritardo.» gli disse, mentre scartava le cartelle sparse sulla scrivania. 
Ray Palmer l'aveva invitata ad una cena di lavoro. Sulle prime, Felicity non era sicura se accettare - in fondo non ne sapeva nulla di affari - ma Ray l'aveva convinta che sarebbe stata una buona occasione per far conoscere il suo progetto. 
«Siamo in ritardo. E comunque non preoccuparti, troviamo questa cartellina così possiamo andare al ristorante.» la tranquillizzò, controllando i fascicoli nei cassetti. 
Continuarono a cercare in silenzio, quando Felicity, in un impeto di gioia per aver trovato quella giusta, urtò una pila di cartelle sistemate in un angolo sulla scrivania. 
«Cavolo. Sono proprio un disastro.» sospirò lei, inginocchiandosi a prenderli. Non si era accorta del cellulare che era scivolato dalla pochette, poggiata al suo fianco. 
«Oggi non è proprio la tua giornata.» Ray le si avvicinò aiutandola a raccogliere i fogli caduti. 
«Hai ragione. È da stamattina che non ne combino una giusta.» gli rispose Felicity, mentre poneva i fascicoli al proprio posto, seguita da Palmer. 
«È divertente vederti balbettare per cercare di sistemare qualche situazione imbarazzante.» Ray le sorrise ricordandole la figuraccia fatta quella mattina con un dirigente dell'azienda. Si erano scontrati,  lei gli aveva rovesciato il bicchiere di caffè addosso e poi aveva iniziato a balbettare per scusarsi.
«Ora andiamo.» la esortò prendendo il fascicolo del progetto. Felicity l'aveva fatto nello stesso momento e si ritrovarono a toccarsi le mani. La ragazza si ritrasse, un po' imbarazzata. 
«Puoi portarlo tu.»
Lui le sorrise, offrendole il braccio per poi uscire.
 
_@_@_@_
 
Mentre aspettava l'ascensore, Felicity ripensava alla cena appena conclusa. Doveva ammettere che si era divertita: non era stato così difficile avere a che fare con persone più avvezze di lei nel settore del business. Il Sig. Pein poi le era risultato addirittura simpatico, con il suo incedere zoppicante anche con le parole, e il suo progetto - almeno per ora - era stato catalogato come discorso nella prossima riunione. 
Poteva essere orgogliosa di sé. 
«Entri?» la voce di Ray la distrasse dai pensieri. Si scusò, affiancandolo nell'abitacolo dell'ascensore. 
«Mi dispiace che tu mi abbia dovuta accompagnare. Oggi davvero non è la mia giornata.» 
«Non è un disturbo, non hai niente da scusarti. Troviamo questo cellulare così possiamo tornare a casa.» le sorrise di nuovo. Aveva perso il conto delle volte in cui lo aveva fatto, quella sera. 
Non era sciocca. Sapeva che il suo capo aveva interesse per lei, e non solo per le sue doti da informatica.
Riconosceva anche che era un bravo ragazzo. Con lui poteva essere se stessa, lui era se stesso. Non la allontanava, si prendeva ciò che voleva, senza spezzare il cuore a chi diceva di amare. Non aveva paure né custodiva segreti. Con lui poteva avere la vita che desiderava.
«Dove l'hai lasciato?» Felicity ritornò nel mondo reale quando varcarono la soglia del suo ufficio, Ray già vicino la scrivania.
«Credo si trovi sotto la scrivania.» lo indicò Felicity dopo averlo intravisto «Deve essermi caduto quando stavamo raccogliendo i fogli.»
Solo in quel momento si rese conto di non aver dato sue notizie e sperò che non fosse successo nulla al team. Aveva promesso che sarebbe passata al covo a fine cena, circa un'ora prima. 
«C'è qualcosa che non va?» Ray la riportò per la terza volta sulla Terra. Lei lo guardò interrogativa. «Sei strana. E silenziosa. Cosa che non è da te.»
Felicity fu sorpresa che Ray la osservasse più di quanto si aspettasse. «Nulla. Davvero. È solo stanchezza.» gli sorrise. Ray le si avvicinò porgendole il cellulare. 
«Credo di non averti ancora detto quanto tu sia bella, stasera.» Felicity boccheggiò spiazzata. Non si aspettava una risposta del genere. 
 
Okay che non era una ragazzina e certe cose le capiva, ma così all'improvviso... 

Le gote le si imporporarono senza che lei potesse farci nulla. 
«Ti ringrazio. Anche tu stai molto bene.» ricambiò. 

In fondo era solo un complimentono? 

«E credo anche che non sia un mistero che tu mi piaccia.» Per un secondo, si sovrappose la figura di Oliver a quella di Ray. Scosse lievemente la testa per scacciare via la sua immagine e ritornò a guardarlo.
«Non dirmi che ti sei scritto un discorso. Per me.» lo prese in giro. 
«In realtà, no. È tutto improvvisato.»
«Allora direi che sei un bravo adulatore.» cercò di chiudere  la conversazione, voltandosi e avviandosi verso la porta, quando Ray le prese il polso e la voltò. La domanda che stava per porre le morì in gola, zittita da un bacio. Rimase ferma, rigida, con gli occhi spalancati dalla sorpresa. 
L'aveva baciata. Sapeva che sarebbe successo prima o poi, e forse un po' lo aveva voluto, ma ora che lui lo aveva fatto non sentiva nulla. Solo un dolore al petto.
 
Non era giusto. Non era lui che voleva. Anche se desiderava lo fosse, anche se Ray sembrava l’uomo perfetto, la strada facile, lei voleva quella difficile. Ray non le faceva battere il cuore a mille, al suo fianco non sentiva nessun calore alle guance, nessun dolore al petto. Provava per lui solo sincero affetto. Ray non era Oliver e il suo cuore non faceva entrare nessun’altro. Nonostante il dolore e i rifiuti, non poteva smettere di amare Oliver Queen.

Solo quando Ray le sfiorò il labbro chiedendo di più, sembrò tornare in sé. Lo spinse via e lo guardò frastornata. Per un secondo lo vide guardare alle sue spalle, ma pensò di averlo immaginato. 
«Sei impazzito?» Lo guardava e malediva il suo cuore perché era pazzo di un altro.
«Mi dispiace. Credo di aver corso troppo.» continuò a fissarlo in cerca di qualche… cosa. Qualunque cosa, ma lesse solo delusione.
Sospirò. «Non sono pronta per... beh, per questo e non lo sarò mai. Sei una persona meravigliosa e forse, in qualche altra vita, saresti stato perfetto per me, ma non in questa.» Era stata sincera, forse un po' cruda, ma onesta. «Non voglio farti soffrire, ma non voglio nemmeno illuderti. So cosa si prova e non voglio che succeda ad altri a causa mia.» continuò, non ricevendo risposte. 
«Immaginavo un rifiuto e lo avevo messo in conto, ma un due di picche è sempre difficile da digerire.» le sorrise infine debolmente. «Dai, andiamo, ti accompagno a casa.» 
Voleva chiarire il loro rapporto, ma lui la precedette. Le offrì il braccio proprio come ore prima e lei lo assecondò in silenzio. Ci sarebbe stato tempo per parlare.
 
_@_@_@_
 
«Non capisco quale sia il tuo problema!» esclamò Diggle. 
«Il problema è che Felicity doveva trovarsi qua da più di un'ora.» Oliver parlava alla schiena del suo partner.
«Avrà avuto un contrattempo.» gli rispose, concentrato vicino ai computer. 
«Lo sa che per catturare Lanton abbiamo bisogno di lei.»
Diggle girò la sedia per poterlo guardare. «No, Oliver,» iniziò avvicinandosi «il problema è che Felicity si trova con un altro uomo. E non importa se si tratti di una cena di lavoro o meno: lei non è qui. Con te.» gli appoggiò una mano sulla spalla. «Quando accetterai che sei tu ad aver bisogno di lei?» si risedette, sapendo che il suo amico non gli avrebbe risposto. 
«Possiamo almeno accertarci che stia bene?» in fondo si era aspettato una risposta simile. Sospirò, domandandosi quando Oliver si sarebbe svegliato e avrebbe fatto la sua mossa. Quella giusta, stavolta. 
«Okay. Rintraccio il segnale GPS del suo cellulare.» disse, mentre digitava tasti e cliccava vari invio. «Trovata! Si trova alla Queen Consolidated, contento?» gli chiese, voltandosi verso di lui. 
«Solo quando l'avrò vista.» asserì Oliver, uscendo dalla fonderia.
 
_@_@_@_
 
Mentre sfrecciava sulla strada, Oliver non riusciva a non preoccuparsi. 
Che ci faceva in azienda, se doveva andare ad una cena? 
Da quando Felicity gli aveva detto della cena, aveva perso la sua lucidità. Il suo autocontrollo, di cui si vantava, era andato a farsi benedire. Era così... arrabbiato? Geloso era il termine giusto. Geloso marcio. Quel Manichino da strapazzo non solo si era fregato la sua società, voleva rubargli anche la sua... 
 
Tua, cosa? L’hai sempre tenuta da parte, poi le riveli che la ami, senza concludere nulla. La illudi di nuovo per un appuntamento e poi le dici che non vuoi stare con lei. Non aspetterà te in eterno. Te lo ha anche detto. Se non ti sbrighi la perderai. E dopo non potrai tornare indietro.
 
A quanto pareva la sua coscienza ne sapeva più di lui ma, anche se aveva ragione e amava Felicity più di qualunque altra cosa, non poteva stare con lei. Non poteva essere Oliver Queen e Arrow contemporaneamente. Doveva sacrificare qualcuno e aveva fatto la sua scelta. 
Sacrificare la tua felicità è una scelta? 
Oliver fece tacere la sua mente. Era arrivato alla meta. Scese dalla moto, percorse il più velocemente possibile l'ingresso e si diresse all'ascensore. Si sentiva quasi elettrizzato e non ne capiva il motivo. 

Perché la stai per vedere e saprai che è al sicuro.

Svoltò l'angolo e intravide Ray e Felicity. Il primo riusciva a vederlo, la ragazza gli dava le spalle. 
Erano vicini. E... le manteneva un polso? Un secondo dopo stava sgranando gli occhi. Aveva sentito uno strappo al cuore. Forse si era spezzato. 
Chiuse le palpebre, strinse le mani a pugno e inspirò per calmarsi. 
Quando riaprì gli occhi guardava le porte dell'ascensore. Doveva andare via subito; se fosse rimasto anche solo un secondo in più, nessuno avrebbe rivisto Ray Palmer.
 
_@_@_@_
 
Era passata quasi una settimana dalla cena con Palmer e Felicity non riusciva a capire il comportamento di Oliver. Quella sera aveva spiegato il motivo del suo ritardo e del suo silenzio ed era andata direttamente a casa, considerando che non avevano bisogno del suo aiuto per quella notte. Il giorno successivo aveva notato che Oliver era freddo e distaccato nei sui confronti. Pensando che fosse solo un giorno no non ci aveva dato peso, ma nei giorni seguenti il suo atteggiamento non era cambiato. Non riusciva a capire quale fosse il problema. Poteva ipotizzare che la cena non gli fosse andata a genio, ma addirittura ignorarla le sembrava troppo. Non aveva fatto niente di male, e poi non stavano mica insieme.
 
È stata solo una cena, per la miseria! E anche di lavoro.
 
Stava impazzendo. Non solo la mollava prima ancora di iniziare una loro storia, ora faceva anche l'indifferente. Oppure era un altro il motivo per cui si comportava così? Non l’amava più? Eppure glielo aveva detto più volte. Si era stufato? Era stanco della sua parlantina e la detestava?
Sembrava fosse tornata ragazzina, insicura e infantile.
Davvero, Felicity non sapeva più dove sbattere la testa. 
Non le rivolgeva parola, se non necessario e non la guardava nemmeno. Le mancavano i suoi occhi: era già stato attento a non sfiorarla dalla loro rottura all'ospedale, ora evitava anche di guardarla. Era stata in silenzio per così tanto, era stata seduta al suo posto in attesa che lui si accorgesse di lei, senza mai illudersi. Lo aveva visto andare da una donna all'altra soffrendo in solitudine. Ora continuava a stare male perché si amavano, ma lui si ostinava a dire che non poteva stare con lei. 
«Felicity?» Roy le aveva sventolato una mano davanti al viso. «Ci sei?»
La it-girl alzò il viso e guardò il ragazzo spaesata. «Sì, cosa c'è?» si riprese.
«Sei riuscita a decriptare i dati nel computer che ti ho dato?» si intromise Oliver.
«Ci sto provando.» In realtà, aveva appena iniziato, si era distratta troppo e aveva trascurato il lavoro. 
«Vedi di sbrigarti. L'acquisto delle armi potrebbe avvenire in qualsiasi momento.» si era pietrificata. Quel tono freddo e intimidatorio: si era stancata. Girò la sedia di scatto verso di lui, si alzò e gli si avvicinò.
«Con chi credi di parlare?» gli ringhiò, puntandogli un dito contro. Vide di sottecchi Diggle e Roy adocchiarsi tra di loro, per poi uscire dal covo. Avevano capito tutto.
«È da una settimana che mi tratti come se fossi invisibile. Il che fosse divertente se avessi l'abilità di esserlo, invece sono carne e ossa e tu stai facendo di tutto per ignorarmi. Posso sapere almeno cosa ti ho fatto per farmi detestare da te?» era esplosa. Non le piaceva la situazione. Doveva sapere. Lo fissava dritto negli occhi, determinata a terminare quella conversazione, in qualunque modo essa sarebbe finita. 
«Non... Non ti detesto. Cosa vai blaterando?» giocava in difesa? E quello cos’era stato, un balbettio? 
«Parlo del fatto che mi sembra di essere lo zerbino di casa tua. Casa che non hai più, quindi nemmeno lo zerbino, ma non è questo il punto...» riprese fiato, osservando Oliver che aveva abbozzato un sorriso. Sorriso? «Perché cavolo ridi? Sono seria.»
«Non sei riuscita a non delirare neanche durante una sfuriata: c'è tanto da ridere.» e lo fece. Rise nel suo modo silenzioso, ma bellissimo. Ok, adesso davvero non avrebbe messo insieme una frase concreta. Com'era arrivata a quel punto?
Continuò dopo aver ripreso un minimo di controllo. «Oliver» incrociò il suo sguardo. «Sul serio, cosa succede?»
«Non so davvero di cosa tu stia parlando. Va tutto bene e te lo ripeto: non ti detesto.» precisò.
«Non va tutto bene, stai mentendo. Voglio la verità.»
«La verità...» Felicity lo vide scuotere la testa e sorridere rassegnato. «Ormai è troppo tardi.» si lasciò sfuggire.
«Tardi per cosa?» la ragazza cominciava a essere confusa. «Oliver!» insisté, al suo silenzio. In un attimo, Felicity si trovò imprigionata tra Oliver e il tavolo d’acciao, senza capire esattamente come fosse successo.
«Vuoi la verità? Okay!» iniziò, inchiodando gli occhi di lei nei suoi. Felicity era rimasta sconvolta dall'impeto improvviso di Oliver e rimase in silenzio. «La verità è che ti ho persa e non posso incolpare altri al di fuori di me stesso. Ho inconsciamente pensato che mi avresti aspettato, ma non ho fatto bene i conti.» Felicity lo vedeva così sicuro e allo stesso tempo afflitto. «La sera di una settimana fa eri in ritardo e ti sono venuto a cercare. Eri con Ray Palmer alla Queen Consolidated.» Felicity sgranò gli occhi, intuendo a cosa volesse alludere, ma Oliver non si fermò. «E lì ho capito che ormai non eri più mia.» Aveva aspettato tanto quel momento. Non era una dichiarazione vera e propria, ma con Oliver aveva imparato a leggere tra le righe e quello che aveva letto le aveva gonfiato il cuore di gioia. «Tutto quello che avrei potuto dirti è inutile. È tardi, ormai.»
Meglio tardi che mai. «Sei un imbecille! Quando origli le persone assicurati di aver visto fino alla fine.» gli disse, mentre lo allontanava quel poco che bastava da appoggiarsi meglio al tavolo. «Ray mi ha baciata, ma io l'ho respinto.» Tanto valeva mettere le carte in tavola. Non poteva soffrire più di quanto già non facesse. «Perché sono tua.» gli confessò, tenendolo dolcemente per i polsi, quasi a trattenerlo. 
In un secondo, Oliver si liberò: con una mano le afferrò la schiena e la strinse a sé; con l'altra le accarezzò il viso, avvicinandolo al suo. Felicity chiuse gli occhi e sentì le loro labbra unirsi. Per la seconda volta, Oliver la baciò, ma questo era totalmente diverso dal primo. All'ospedale era stato un addio, ora invece era un inizio. Era passionale, un conoscersi con la promessa che non sarebbe stato l'ultimo. Se il primo era stato dolce, questo urlava urgenza tanto da farlo diventare rude. 
Si strinsero così forte da fondersi insieme, le mani strette sul viso dell'altro. Si separarono quando era troppa la mancanza d'aria. Scontrarono i loro occhi e rimasero a guardarsi così vicini da unire i loro respiri. 
«Non ci sono telecamere, vero?» Felicity ruppe il silenzio. 
Oliver sorrise. «Nessuna telecamera. È tutto reale.» le rispose, confermando dandole un bacio a stampo. 
«Domani non mi allontanerai di nuovo, se ci sarà un'esplosione?» era sbagliato cercare delle sicurezze? 
«Non ti allontanerò. Voglio averti al mio fianco. Sempre.» L'abbracciò e Felicity non ebbe nient'altro da dire. Appoggiò la testa al suo petto, ascoltando il battito del suo cuore.
Aveva avuto il suo inizio e non poteva desiderarne uno migliore.
Oliver non era un uomo come gli altri e sapeva che dovevano affrontare ancora tanti ostacoli – la maggioranza probabilmente posizionati da lui - ma avrebbero continuato a scrivere la loro storia. Insieme.
  
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