Anime & Manga > Tokyo Ghoul
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Autore: Hitsuki    12/01/2015    1 recensioni
{ hurt/comfort; introspettivo; tematiche delicate? }
«Però è strano» mormorò, tanto distrutta dal confidarsi alla polvere della stanza, il buio che celava alla vista e le finestre chiuse che non permettevano di udire gli acquazzoni o i canti dei pettirosso. Mosse leggermente la testa, percependo un leggero pizzicare al collo - si chiedeva per quanto tempo era rimasta in quella posizione tanto scomoda ma in un certo senso rassicurante. ×
La riflessione dell'esistenza - un'Esistenza che Hinami credeva perduta ma in realtà era sempre stata lì, accanto a lei, ad affiancarla come gli angeli custodi delle fiabe.
[ • Hinami!centric | what if? ]
[ • spoiler! del capitolo 15 —manga; episodio 6 —anime | ambientato post!capitolo 28 —manga; episodio 8 —anime ]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fueguchi Hinami
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Hinami si merita tutto il bene di questo mondo, perché lei riesce a scorgere il bene anche in una pioggia di carne e sangue; si merita questo e anche di più.
Prorompo in questo modo nel fandom, scrivendo una fanfiction incentrata su uno dei personaggi da me più amati. Il mio fiorellino number one perché, oh, è una delle mie amatissime figliuole, poi lei in particolare dev'essere nata dai fiori di ciliegio e i quadrifogli perché l'unica spiegazione dev'essere questa - facciamo così: il ciliegio è Ryōko e Asaki il quadrifoglio. Avrei davvero tanto fangirling sulla mia piccolina (e un tornado di feels di cui parlare a riguardo di Tokyo Ghoul, manga che mi sono divorata - giusto per rimanere in tema - durante le vacanze e be', sì, ho visto anche l'anime, ma il manga è nettamente migliore), ma preferisco evitare perché ho scritto un'intera one-shot di 1486 parole su di lei! Piuttosto, voglio precisare il perché del what if?. Ho pensato che Hinami, dopo gli avvenimenti del capitolo ventotto/episodio otto si fosse rintanata un'ultima volta nella stanza dell'Anteiku lasciandosi andare a un forte sfogo silenzioso. Non è un mio headcanon, siccome trovo che le parole di Kaneki l'abbiano convinta subito e completamente, ma è possibile un suo ultimo ragionamento su tutti gli avvenimenti e i vari dilemmi esistenziali molto stile "Ma davvero i ghoul sono insensibili?", un ragionamento suo e solo suo. 
Secondo me Hinami s'è convinta di non essere sola perché va bene, ci sono gli amici accanto e tutto, ma in particolare perché anche se fosse stata veramente sola lei era ancora viva e doveva (deve) agire lo stesso da viva, non da morta. È che la storia degli amici mi puzza di stereotipo e bisogna dare importanza anche all'individualità di una persona, che qui viene accentuata dal silenzio e l'oscurità (non intesa come notte ma come la desolazione interna che si ha nei momenti peggiori) e vari altri elementi. Ho voluto ricamare sulla contrapposizione luce/acquazzoni/pettirosso/grida (tra l'altro ho scelto i pettirosso in riferimento a questa filastrocca) e in alcuni punti sul verbo vedere + altre cosine che lascio sgamare a voi. Eh— mi piace inserire questi dettagli, che ci posso fare!
Per ultimo, mi piace il risultato finale. Sì, mi piace tanto. Tra l'altro questo è uno dei miei periodi d'ispirazione; quando vedo una serie e la amo mi viene voglia di scrivere su un personaggio/pair della suddetta serie, e /credo/ pubblicherò ancora su Tokyo Ghoul siccome è diventato uno dei miei manga preferiti (fuggite, voi che siete ancora in tempo!). Bop, vi lascio alla mia piccolina e i suoi pipponi/pensieri angst (non mi smentisco mai: chi mi conosce sa bene che per me introspezione ed angst vanno a braccetto, magari anche con un pizzico di hurt/comfort che qui è il genere portante), spero la leggiate con piacere.~

Hitsuki.

__________


 
Non è l'indossare un prato di quadrifogli che porta a vivere, è il vedere tutti gli arcobaleni colorati o monocromatici presenti in questo mondo sbagliato


 
Quando gli occhi di sua madre brillavano, erano così luminosi che per certi versi parevano il riflesso opaco del sole sul ghiaccio; allietavano così tanto il suo cuore.
 Tanto ottimista era la sua visione del mondo; quando sua madre si voltava, vedeva gli iris fiorire dall'asfalto al posto del desolante paesaggio di città - troppo gremito di gente da far sentire soli.
  Anche quel giorno, Hinami sapeva, sua madre era la farfalla che si posava su quegli iris speranzosi, la farfalla che li raccoglieva e sorridendo glieli porgeva.
  "Hinami, vivi".
 
Strinse il suo abito puntellato di quadrifogli; quando sorrideva le rose si schiudevano sulla veste, ma in quel momento le labbra erano tese come corde non ancora toccate di un'arpa. Rigida nei movimenti, immobile come una statua d'opale, le pupille che non vedevano iris ma solamente arcobaleni monocromatici attorno a lei. Si domandava, sempre con le dita che quasi stridevano a contatto con il tessuto, se era davvero giusta la morte sua e di sua mamma, la morte di tutti i ghoul, la possibile morte di coloro che considerava la sorella maggiore e il fratello maggiore sempre pronti a sorreggerla. Si domandava se i ghoul fingevano di amare e tutto l'affetto che giorni prima risiedeva placido nel suo cuore ed ora dava vita a matasse di fili ingarbugliati fosse un'ipocrisia. Forse sì, Hinami si sbagliava a ritenere i suoi sentimenti ortodossi e reali. 
  «Però è strano» mormorò, tanto distrutta dal confidarsi alla polvere della stanza, il buio che celava alla vista e le finestre chiuse che non permettevano di udire gli acquazzoni o i canti dei pettirosso. Mosse leggermente la testa, percependo un leggero pizzicare al collo - si chiedeva per quanto tempo era rimasta in quella posizione tanto scomoda ma in un certo senso rassicurante. Osservò i disegni - gli scarabocchi - presenti sul tavolo, il suo diario e gli appunti, rimembrando tutto ciò che aveva pensato di amare davvero e forse anche più di una persona normale; in particolare catturò la sua attenzione un disegno a cui lei non aveva mai dato importanza in precedenza.
  Era brutto, pensò: una linea ovale delineava il volto, mentre chiazze sproporzionate davano vita agli occhi e le labbra nascevano da un tratto incerto - naso ed orecchie non c'erano. Il corpo era un ingarbugliarsi di tracciati e sentieri, ricordandole i fili che s'intersecavano nel suo cuore. Il braccio, un rettangolo impreciso, comprendeva probabilmente anche la mano, arto che lei non era mai stata capace di raffigurare; proprio quella che doveva essere la mano destra stringeva un quadrifoglio, l'unica parte del disegno rappresentata discretamente bene.
  «È strano» ripeté «se non ci avessi messo del sentimento non sarei mai stata capace di disegnare così dettagliatamente un quadrifoglio». Adesso che Hinami aveva perso il padre, la madre, il sentimento, i quadrifogli le uscivano male e non aveva più voglia di disegnarli. Non c'era nulla di interessante in loro - il verde speranza le provocava pena per il quadrifoglio e per lei stessa, si rispecchiava nello stelo vibrante e le foglie facili da staccare come i suoi capelli bruni. 
  Sorrise tristemente, allungò il braccio, ma non riuscì ad afferrare il disegno quasi esso fosse più evanescente dei suoi incubi sia diurni che notturni - in quel lasso di tempo aveva cominciato a negare l'esistenza del tempo, erano presenti solo il buio squarciato dai ricordi e le lacrime e i fogli sul tavolo. La mano si perse per un attimo fra l'atmosfera bucata dall'agghiacciante silenzio, poi si accasciò lungo il petto della giovane. Ancora una volta percepì i quadrifogli dell'abito ma ormai non più riempirsi di nuova luce, bensì marcire; e ciò aveva senso, contando che al buio i quadrifogli e i fiori e la natura e tutto ciò di organico - organico come i ghoul, organico come lei - non possono vivere a lungo, non possono vivere felicemente. Ma là fuori, sotto la luce, la pioggia, i pettirosso, le grida dei suoi cari, ci sarebbe stata solo maggiore oscurità, l'oscurità peggiore, quella che si dirama nella mente per poi graffiarti fino a lacerare la tua esistenza. Un giorno Hinami aveva fatto un incubo, o meglio, aveva sognato di sentire ancora una volta i suoi genitori parlarle ed accarezzarle la testa, "Andrà tutto bene", aveva sognato la realtà passata. Risvegliandosi, non si ricordava più chi era. Quindi il ghoul peggiore, che vive anche nelle persone definite normali, che nessuno considera per la sovrannaturale - magari divina - potenza, era il perdere la propria essenza.
  «C'è un'altra cosa… strana» qualche singhiozzo separava le parole, come se il solo parlare le facesse rischiare di morire soffocata, mentre stringeva le mani al petto percependo il cuore pulsare con insistenza - un cuore che voleva fuggire da quella orribile gabbia di orrori più reali di ogni goccia di pioggia sul corpo inzuppato, gocce che giorni prima avevano abbracciato la madre nel suo ultimo respiro e l'avevano custodita come fiori su una tomba, una scena terribile vista per un impercettibile ma indimenticabile attimo. «Mia mamma… in quel momento, ha sorriso. Io l'ho vista. Ha sorriso come quando vedeva l'asfalto, ma immaginava gli iris schiudersi; anzi, ha sorriso ancora più soddisfatta». Prese fiato e nessuna lacrima rigò il volto, infatti esso rimase secco poiché già attraversato in precedenza da un vero e proprio acquazzone di tristezza. «Anche mio papà… forse, probabilmente… sicuramente» si stava convincendo per davvero, sorrise con l'amarezza del caffè sulle labbra «… ha sorriso. E io so per certo che il loro sorriso è sincero. Può non esserlo il mio, ma il loro no. Loro sono mia mamma e mio papà». Sua mamma e suo papà, suoi e solo suoi, non di certo degli investigatori e nemmeno dei suoi amici. Loro erano la sua famiglia, ed ora invece lei era sola. Abbandonata, anche. Tacque, dimenticandosi di togliere il sorriso dalle labbra, dimenticandosi che aveva sorriso e sorrideva ancora. O forse, riteneva la sua convinzione sbagliata ed infatti impulsivamente diede un leggero schiaffo alla guancia cadaverica. «Io non sono sola! Sì, ci sono i miei amici e i genitori vivono ancora nel mio cuore». Rise, quelle sue parole erano assolutamente banali. Vere, certo, ma non le uniche che avrebbe pronunciato, non l'affermazione più importante. «Ci sono gli acquazzoni e i pettirosso, la felicità e la tristezza, c'è la vita davanti a me e io non la so vedere». Pausa, l'intero corpo si rilassò come mai aveva fatto in quei giorni. I muscoli divenirono piume di pettirosso, le ossa foglie di quadrifoglio e il sangue pioggia impossibile da fermare. «Anche quando sarò da sola, anche quando davvero sarò abbandonata, io dovrò vedere oltre. C'è sempre qualcosa, anche se non so precisamente cosa, che spinge uomini e ghoul alla sopravvivenza; è fusa all'avidità terrena e la speranza ultraterrena». Quasi sentiva, al suon della sua stessa voce, il profumo dei petali e della carne nell'aria. Era un'atmosfera tutto sommato dolce, quasi romantica.
  Ridacchiò, percependo ravvivarsi i suoi quadrifogli e perfino quello raffigurato nel suo vecchio disegno; la figura del foglio era una ragazza, era lei, e vedeva rappresentazioni invisibili dei suoi genitori tinteggianti di verde, vedeva cose che solo lei, Hinami, lei che era ancora viva, poteva vedere. Nel mitigare il dolore aveva trovato la vera felicità, la propria soddisfazione nell'aver compreso qualcosa di importante e quasi immenso per lei che ancora vedeva il mondo con il naso ingenuamente all'insù. Sarebbe cresciuta e diventata forte, nella costante consapevolezza che lei era forte e lo sarebbe sempre stata.
  Chiuse gli occhi, le palpebre finalmente leggere, ma ghiacciate per il voler assaporare l'attimo tanto simbolico - era diventata nuovamente una statua ma ora era più lucente e levigata dai sussurri d'ossidiana che aveva sconfitto definitivamente, perfino il respiro pareva trattenuto poiché i suoi movimenti erano impercettibili. Come il battito di ali di farfalla il suo cuore pulsava e pulsava, smaltendo tutto ciò che lei non avrebbe voluto vedere ma aveva visto, mentre ora immaginava i genitori in un immenso giardino di quadrifogli e lei che fra i pettirossi e la pioggia danzava, vedeva la rugiada baciare i timidi boccioli oppure la brina abbracciare il terriccio morbido. Vedeva tutti gli arcobaleni inondarsi di colore quando prima erano stati animati dal monocromatico; li vedeva chiaramente, li riusciva a toccare con la punta delle dita, sentiva il cielo accarezzarle il capo e le nuvole fra le mani. I suoi palmi si protendevano verso il soffitto e gli spazi fra le dita s'assottigliavano e poi diventavano maggiori e così via, fino a quando fece ricadere le braccia lungo i fianchi e inspirò a pieni polmoni un'aria nuova. Danzanti erano i pensieri, che seguivano diligenti la scia color pastello - come quella dei suoi schizzi - tracciata dal suo sentimento, marcava ogni singola ambizione sapendo che sì, lei era viva, lo era sempre stata; e certamente non avrebbe smesso di appassire assieme agli iris della mamma proprio in quel momento, nel fiore degli anni non ancora schiuso.
  
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