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Autore: KokoroLilium    13/01/2015    3 recensioni
«Raccontami di nuovo dell'acqua»
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❝Mi avvicinai a te e ti abbracciai, e ti baciai il viso, perché volevo che ti sentissi al sicuro, che sapessi che il fuoco non ti avrebbe mai sfiorato.
E tu continuavi a ripete che no, il fuoco non ti piaceva, il fuoco non ti piaceva. Non ti piaceva affatto.❞

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{CHANSOO} ( AU! ➞ Angst; Twoshot)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chanyeol, Chanyeol
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Poche parole: Hi, everyone (ma everyone chi, poi…). Chiedo immenso perdono per la secolare assenza, sono tornata con una piccola twoshot ChanSoo scritta in due giorni, di getto. Che gran rientro, già (no). Ad ogni modo, proprio perché ho detto che è una twoshot, saranno due capitoli, quindi il primo, “Giorno”, e il secondo, che arriverà tra una settimanella, circa. A questo punto, come al solito, e sperando che sia così, Buona lettura. Koko~
Hope you like it!










. «Raccontami di nuovo dell’acqua».
La tua voce flebile, tremante, mi chiese un’ultima storia, ma i tuoi occhi assonnati bramavano sogni. Sorridendo, pensai che non saresti arrivato alla fine del racconto. «L’acqua è viva» iniziai, per l’ennesima volta. «Non ha colore, ma se volessi disegnarla sarebbe blu, come il cielo, quel colore che è profondo e freddo come il ghiaccio allo stesso tempo. Te ne ho parlato, ricordi? ».
Annuisti.

«Ecco, ha proprio quel colore, ed è quasi… morbida, come l’aria. Se fai attenzione, quando ti lavi puoi sentirla che ti accarezza e porta via lo sporco, il sudore, il bruciore. L’acqua ti accarezza e porta via con sé ogni cosa brutta. Ed è potente, molto potente, più potente del fuoco».

La mia voce risuonò più forte di un uragano nel suo mormorare quando non ti sentii più rispondere e notai quanto si fossero fatti profondi i tuoi respiri.
Scuotendo la testa e sorridendo ti osservai per un secondo e decisi che, per quella notte, ti avrei guardato dormire.
Mentre, da bravo fratello, ti rimboccavo le coperte, pensai che avrei spento la luce ed avrei acceso una sola candela per non svegliare i nostri genitori, ed avrei lasciato il mio letto freddo per una notte, per addormentarmi poi pian piano nel tuo.
Strisciai sotto le coperte, silenziosamente per non svegliarti da quei tuoi sogni che – lo capii allora nonostante avessi appena nove anni – erano il tuo unico modo di vedere.
Mi chiedevo cosa vedessi, tu che mai avevi conosciuto condizione diversa della tua cecità. Sperai che le mie storie ti aiutassero ad immaginare un mondo colorato, un mondo fatto di volti, di foglie, di acqua e fuoco, un mondo di luce, non di buio.
Perché è questo che sei sempre stato, Kyungsoo. Luce nella tua personale oscurità.
Alla luce della candela, ti guardai sognare. Il tuo petto si alzava ed abbassava, percepivo il tuo respiro caldo e mi sembrasti più vivo che mai. La tua pelle lattea diventava rosea quando dormivi.
Mi coricai e ti strinsi una mano, forte, con il desiderio, nuovo ed incontrollabile, di penetrare nei tuoi sogni.
Qualche momento dopo, sentii che il tuo respiro regolare stava inesorabilmente per farmi addormentare. Da quando arrivasti, il tuo respiro fu sempre la mia più dolce ninna nanna.

«Chanyeol?».

I tuoi occhi si aprirono e le tue labbra pallide si schiusero nel pronunciare il mio nome.
«Ti ho svegliato, Kyungsoo yah?».

Non rispondesti, i tuoi occhi scrutavano il vuoto, velati di pensieri impenetrabili e mi parevi così anziano e stanco nella tua più infantile età.
«Pensi che scoppierà davvero la guerra?».Il silenzio della stanza fluttuò per un attimo nel vuoto. Fu questa l’impressione che ebbi nel sentire la tua domanda rimbalzare contro le strette pareti. Suonò vuota, lontana.

«Non lo so, Kyungie» risposi, stringendoti la mano sotto le coperte. «Non lo so davvero».

«Tu non mi abbandonerai» mi dicesti e non era una domanda, tu sapevi. Ricambiasti debolmente la stretta, per quanto le tue poche forze permettevano, e un fulmine mi colpì al petto.
Capii, Kyungsoo. Capii che da quel momento ti avrei protetto sempre, avrei filtrato il tuo dolore, che sarei stato il tuo scudo, oltre che i tuoi occhi. Tuo, ed insieme l’arma più fedele nelle tue mani gracili.
«Non lo farò» risposi. «Resteremo sempre insieme».
Sapevo che avrei mantenuto la promessa, mi sentii più determinato di quanto fossi mai stato.
Mi voltai e tu dormivi di nuovo. E il tuo viso rilassato era illuminato da uno splendido sorriso, e le tue dita erano ancora intrecciate con le mie.
Le strinsi forte e chiusi gli occhi.









Apro gli occhi.

La prima sensazione che percepisco è un’acuta fitta di dolore al collo per essermi addormentato su una sedia di duro legno con la testa penzoloni. Mi raddrizzo contro lo schienale e sento le gambe della sedia scricchiolare pericolosamente.
Ho freddo. Potrei prendere una delle poche coperte a mia disposizione, ma proprio perché sono poche decido di lasciarle a preservare una specifica vita in quella stanza, e non è la mia.
Accostato ad una parete tarlata c’è un piccolo letto, e in quello giaci tremante tu, il non più così piccolo Kyungsoo, che nonostante i vent’anni passati continui a sembrarmi il bambino cagionevole di salute di più di dieci anni prima. Sei sommerso dalle coperte fino al naso ed il calore del piccolo braciere accanto a te non riesce a far sì che i tremori spietati e continui cessino.
Mi alzo dalla sedia e sento gli arti svegliarsi dolorosamente. Mi prendo un paio di secondi per guardare fuori dalla stretta finestra e capire che è mattina, poi mi inginocchio accanto al letto.
Dormi ancora, con la fronte sudata e i capelli scompigliati e bagnati, con le labbra esangui e le palpebre tremanti. Decido di non svegliarti per non interrompere i tuoi sogni ma sfilo da sotto il letto la ciotola con una pezza logora immersa nell’acqua, la strizzo e prendo a tamponarti la fronte.
Da settimane ormai la tua salute non è più cagionevole, bensì perfettamente inesistente e,come un fuscello che perde lentamente ogni singola foglia, appassisci.

Ti accarezzo accora un po’ la fronte con lo straccio freddo ed umido, rabbrividisci, così ripongo il tutto sotto il basso letto e ti rimbocco le coperte.
Hai conservato negli anni la corporatura esile, il colorito pallido, gli arti molli di chi non riesce a correre. Tuttavia, i tuoi occhi non hanno mai smesso di ardere, desiderosi di vedere ciò che non potranno mai.
Il mio corpo invece è cresciuto, irrobustito, adattandosi alla nuova vita di fatica e fame.
Mi alzo senza far rumore ed apro la porta cigolante del piccolo rifugio. Davanti a me si estendono imponenti, spaventosi quasi, ettari di fitto bosco, buio, dimora di quell’ombra che tuttavia ho imparato col tempo a considerare casa.

Esco e lascio che i pochi raggi del sole mi sfiorino il viso e chiudo gli occhi. Mi sento al sicuro, protetto, lontano dalle polveri della città, lontano dal sangue e dai lamenti, dal fuoco, dalle bombe.
Quando eravamo piccoli, Kyungsoo, e mi chiedesti se pensavo che sarebbe davvero scoppiata la guerra, avrei dovuto risponderti “no”, avrei dovuto darti la sicurezza, seppur infantile ed incerta, che sarebbe andato tutto bene.
Invece di raccontarti del fuoco, delle fiamme, avrei dovuto parlarti del sole, del piacevole tepore cheemanano i raggi sottili, della loro delicatezza nel riflettersi contro i prati umidi di rugiada.
Questo penso, ad occhi chiusi, mentre il sole pallido mi accarezza, e capisco che è questo ciò che provi nell’abbandonarti a tutti sensi, meno che alla vista.
Sei in balia di ciò che ti circonda, ed è un tipo di movimento quasi rilassante, come l’essere trasportati a largo dalle onde.
Capisco perché, paradossalmente agli eventi, adori vivere in una simile catapecchia in mezzo ad un bosco, qui ogni sensazione è amplificata, anche per te che solo nei giorni migliori riesci ad alzarti con il mio aiuto da quel letto ed uscire fuori per calpestare la terra fresca e colorarti le guance della luce del sole.
Non avrei mai pensato di abituarmi a questa vita, al campare giorno per giorno come se potessimo morire da un momento all’altro, ma in ogni caso è così.
La morte è più vicina a noi ora di quanto lo sia mai stata, in qualsiasi occasione. Conservo ancora il ricordo dei nostri genitori, quel ricordo dolce delle loro maniere gentili e protettive, dei loro sorrisi, dei loro abbracci. Impedisco alla mia mente di addentrarsi oltre e ricordare il loro terrore quando la furia della guerra esplose anche nel nostro paese, mi vieto di ricordare le loro mani che ci spingono giù per la collina, nel bosco, dritti verso il rifugio dove giocavamo da piccoli, per tenerci al sicuro.
Sono felice che tu non abbia potuto vederli allora, Kyungsoo.
Non ricordo esattamente quando i miei pensieri assunsero la forma della seconda persona, sai? Probabilmente proprio quella notte in cui mi addormentai nel tuo letto, dopo essermi ingenuamente ripromesso che per tutto il tempo ti avrei guardato dormire.

«Chanyeol?».

Mi giro di scatto e ti vedo seduto precariamente sul letto, con lo sguardo verso di me, ma puntato nel vuoto, e con due falcate nette e veloci sono subito accanto a te.
«Ti ho svegliato, Kyungsoo yah?».

Ti accarezzo dolcemente una guancia, ti bacio la punta del naso e ridi piano.

«C’è il sole, oggi?», mi chiedi, con una voce così flebile che sembra uno spiffero attraverso la porta. Le tue mani fragili cercano il mio viso, così le prendo tra le mie e le porto ad incontrare i miei occhi, il mio naso, la mia bocca. Mi accarezzi con la delicatezza propria di un soffio di vento e sorridi perché mi stai vedendo.
Ti rispondo che c’è il sole c’è e tu vuoi vederlo, nonostante oggi non sia uno di quei giorni positivi in cui riesci a camminare da solo, ma sei così forte dentro di te che nulla ti ha mai fermato.
Naturalmente oggi riuscirai a vedere il sole, non è vero, Kyungsoo yah?



















  
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