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Autore: saccuz    13/01/2015    2 recensioni
In un universo in cui magia e scienza convivono, un bambino proveniente dagli estremi confini della Galassia, in possesso di poteri che non credeva di avere, crescendo, dovrà riuscire a trovare il suo posto in essa, a qualunque costo.
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1 capitolo corretto il 22-12-2014
Genere: Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'Universo Inquieto'
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Capitolo 2
 

Alast aprì gli occhi. La stanza era ancora immersa nel buio, l'orologio olografico segnava le tre di notte, dalla finestra aperta entrava una lieve brezza notturna, mentre nel cielo, immersi in quel mare di stelle, piccoli oggetti orbitavano attorno alla Terra, residui mai cancellati di un passato ormai lontano. Nonostante l"ora tarda si sentiva sveglio, attivo. Si alzò. Al suo dito, incastonato nell'anello, il cristallo di Laren scintillava sotto i raggi della luna. E pensare che ci aveva messo così tanto per abituarsi ad averlo al dito... Si ricordava ancora la sensazione di calore che aveva percepito il giorno in cui era diventato novizio... Ancora adesso un po' gli dispiaceva che il cristallo di Laren fosse rimasto incastonato lì dentro, ma almeno così non si doveva più preoccupare di poterlo perdere... Gli avevano assicurato che quell'anello non si sarebbe tolto dal suo dito fino a che non fosse diventato un mago.
Il ragazzo, dentro i suoi vestiti completamente rossi, uscì nel piccolo balconcino su cui dava la stanza. L'immenso parco che si estendeva per chilometri, composto più che altro da una immensa foresta, appariva come uno straordinario oceano verde, le cui onde erano composte dalle cime degli alberi, inondate dai pallidi raggi lunari. Il soffice fruscio delle foglie e il delicato frinire dei grilli gli richiamavano alla mente quegli ologrammi di mari e oceani che spesso a casa sua, sulla colonia mineraria, gli piaceva guardare prima di dormire. Non aveva mai visto il mare dal vivo...
A volte gli veniva voglia di scappare, di mollare tutto, di rubare la prima navetta che avesse avuto a tiro e volare via, fino al mare...
Ma non si faceva illusioni, sapeva che sarebbe stato irrealizzabile, la Terra era disabitata, questo era vero, ma sarebbe stato rintracciato comunque.
I profondi mutamenti naturali che l'umanità, durante il suo secondo periodo (cioè quello in cui aveva imparato a utilizzare un'energia diversa da quella muscolare, come non mancava di ricordargli il suo maestro di storia) aveva causato, erano stati talmente gravi e profondi che lo stesso Equilibrio era intervenuto. In quel periodo, gli avevano insegnato, l'umanità rischiò per la prima volta l'estinzione: esseri esistiti soltanto in racconti mitici, come draghi, grifoni, elfi, giganti e troll, si erano abbattuti sulla razza umana, all'epoca ancora incapace di viaggiare liberamente nello spazio, come delle locuste: distruggendo, uccidendo, mettendo in ginocchio un'intera specie.
La salvezza era infine derivata da quelli come lui: uomini capaci di risvegliare in loro stessi antichi poteri, gli unici in grado di confrontarsi con quelle creature, che con sprezzo della vita ingaggiarono violenti combattimenti contro i mostri, riscendo a concedere più tempo all’umanità .
A quel punto la popolazione, protetta e aiutata dai maghi, che si erano uniti in una confraternita, aveva sviluppato una tecnologia che gli consentisse di lasciare definitivamente il pianeta. Lentamente l’umanità colonizzò prima Marte e la Luna, poi, con sforzi immani, l’intera galassia. Sulla Terra rimasero soltanto loro, a cui venne affidato il compito di riportare la Terra all’antico equilibrio. Nel corso dei decenni, sotto la spinta di potenti magie, il pianeta rinacque, mentre le creature lentamente svanirono, senza lasciare traccia del loro passaggio. Ora, dopo secoli, la Terra rimaneva ancora sotto il controllo della confraternita, che garantiva il mantenimento dell’equilibrio nella galassia.
 
Alast sbatté le palpebre: perso com'era nei suoi pensieri non si era reso conto dello scorrere del tempo. I numeri che veleggiavano nella sua stanza indicavano ormai le cinque di mattina, e là, ad est, si iniziava ad intravedere un tenue bagliore rossastro spandersi nel cielo, cacciando nelle profondità dello spazio la grandiosa luce della via lattea. Nonostante fosse sulla Terra da anni, rimaneva sempre colpito dall'alba. La magnificenza della nascita e della scomparsa del sole erano per lui come le meraviglie dello spazio sono per uno che non ha mai lasciato il suo pianeta: bellezze per vedere le quali vale la pena morire.
 
Dopo aver ammirato a lungo il cielo tingersi di rosa, Alast si voltò e tornò nella sua camera. Era stato in piedi quasi metà della notte, e sapeva che presto ne avrebbe pagato lo scotto, ma sul momento si limitò a svestirsi, infilandosi sotto la doccia.
Alle sei in punto uscì dalla camera, camminando per i lunghi corridoi bianco lucido, fino alla mensa dove, come un'onda multicolore formata da abiti bianchi e rossi, i novizi e gli apprendisti ricevevano la fornitura di cibo per tutto il giorno.
Si mise in coda anche lui insieme ai novizi, rispondendo ai rapidi cenni di saluto di alcuni altri studenti. Vide poco più avanti nella fila l’aggraziato profilo di Karid, una novizia che non gli era affatto indifferente, ma di cui non riusciva in alcun modo a capire le intenzioni. Sbuffò: avrebbe proprio voluto riuscire a leggerle nella mente per riuscire a farsi un’idea chiara della situazione, ma sarebbe stato, oltre che tremendamente volgare e irrispettoso, anche tremendamente difficile, visto che erano tutti addestrati a chiudere la mente a qualsiasi tentativo di forzatura dall’esterno, e il tentativo non sarebbe di certo passato inosservato.
Alast dilatò la sua mente, prendendo coscienza della moltitudine di menti che lo circondavano. Ognuna aveva la sua particolarità, la sua conformazione, i suoi pensieri; fra tutte queste cercò quella di Karid e la trovò. Allungò la sua mente fino a quella e, con delicatezza la toccò. Con i suoi occhi la vide sobbalzare, mentre percepiva la sua mente chiudersi automaticamente, cercando di identificare l’intruso.
«Heilà Karid» pensò il ragazzo, inviando la frase fino alla mente della ragazza
«Oh, ciao Alast! Come va?» rispose quella
«Bah, tutto bene… Ho sentito che quel despota del tuo maestro ti ha fatto rimanere in condivisione magica per tre giorni»
«Lascia perdere, quando ho finito era esausta, ho a mala pena avuto la forza di buttarmi su un letto»
«Tutto questo proprio quando cade la giornata di libertà…»
«Mi brucia ancora adesso.. per colpa sua dovrò aspettare altre due settimane»
«Ricorda, prima il dovere e poi il piacere»
«Alast, vaffan…»
Il ragazzo preferì interrompere la connessione prima che Karid lo subissasse di insulti.
Finalmente fu il suo turno, e il novizio prese dalle poco cortesi mani dell’inserviente il contenitore con il cibo, da distribuire durante la giornata, fino a cena.
 
Dopo circa dieci minuti uscì dalla mensa, ed entrò nel giardino interno. Lì vi trovò una vecchia donna, avvolta dentro la caratteristica tunica grigia, che sedeva su una panchina, con il bastone appoggiato sulle gambe.
«Salute Fena!» disse Alast allegramente
«Salute a te Alast, come stai oggi?» rispose l’altra
«Non c’è male maestra, non c’è male»
«Spero che i tuoi ricordi ti abbiano lasciato in pace stanotte, perché oggi ti servirà avere la mente sgombra!» E detto questo, si alzò con un’agilità insospettabile per l’età.
«Seguimi» disse rivolta ad Alast.
Condusse il ragazzo nuovamente all’interno, lungo altri corridoi.
Ben presto uscirono in una sala immensa, dal soffitto altissimo, con il pavimento di un uniforme colore grigio chiaro. Ogni singolo spazio interno era occupato da rampe, carrucole, attrezzi, macchie scure e, soprattutto, strani oggetti di dimensione e forma variabile, dai tre ai trenta metri, che emettevano luci e suoni.
«Le navette! Ma allora oggi si va all’esterno!» disse Alast
La vecchia si limitò a sogghignare.
«Karl! – urlò – che cos’hai per me?»
«Dipende da cosa ti serve!» A rispondere era stato un uomo alto e muscoloso, con baffi a spazzola e radi capelli sulla testa.
«Lispar e Rdet si sono portati via i cargo planetari migliori, dovevano formulare un so quale  arcano incantesimo corporeo in Amazzonia e in Artide» aggiunse
«Non c’è problema – rispose l’insegnate di Alast – a me basta un modulo biposto»
«Nel qual caso puoi stare tranquilla, di quei trabiccoli ne ho da vendere!»
«Trattali con il dovuto rispetto quei “trabiccoli” – disse Fena – se non fosse per quelli saresti disoccupato! Devo forse ricordarti che questo hangar non abbonda di incrociatori e di navi intergalattiche?»
«Non girare il coltello nella piaga, lo sai da quanto tempo chiedo un trasferimento all’hangar 2!»
A quelle parole un ricordo si affacciò alla mente di Alast.
“Era appena sceso dalla nave che lo aveva portato sulla Terra, era piccolo, aveva caldo, molto caldo, ma soprattutto aveva paura. Paura di non essere all’altezza, paura di aver improvvisamente perso tutti i suoi poteri, paura di fallire, ma soprattutto paura di rimanere da solo. Durante tutto il viaggio aveva sentito terribilmente la mancanza di Dereb, verso il quale, nonostante lo avesse incontrato solo per poche ore, provava un fortissimo e particolare moto di affetto. Non appena scese dalla nave uno straordinario spettacolo si parò davanti a lui. Si trovava in uno spiazzo enorme, probabilmente più ampio di tutta la superficie dell’asteroide su cui era sempre vissuto. Era così grande che non riusciva a vederne la fine, e in lontananza riusciva solo a scorgere immagini sfocate di altre astronavi ormeggiate.
«Ma andiamo – disse la sua maestra riportandolo alla realtà – cosa ci faresti al porto? Puliresti i vetri delle navi dalla polvere cosmica? Moriresti di noia al controllo atterraggi! L’unica sarebbe riuscire a farti ritrasferire al centro di riparazione 3, ma ormai sei troppo vecchio per quello!»
«Ma che idiozie vai dicendo! Sono ancora fresco e pimpante come un ragazzino, anzi, forse di più!»
«Certo certo – disse svogliatamente Fena – ma adesso dobbiamo andare, abbiamo già perso troppo tempo.»
«D’accordo… Ho un classe 2 appena revisionato, nucleo energetico non maggiorato, con autonomia di duecentomila chilometri. Ti può andare?»
«Non speravo di meglio! Andiamo Alast!».
 
La navetta, un ammasso di metallo di forma ovoidale, con un'unica capsula, schizzava rapida sopra la foresta, facendola diventare un’unica distesa di un verde uniforme. Per quanto fosse un modello ormai superato il ragazzo doveva ammettere che l’interno era indiscutibilmente comodo.
 
Dopo circa un oretta di viaggio il mezzo atterrò in piena foresta. Le coordinate sul quadrante indicavano che si trovavano in quella che Fena, da buona appassionata di archeo-geografia, gli aveva spiegato essere anticamente chiamata Foresta Nera.
Alast rabbrividì per il freddo.
«Certo che avremmo potuto prendere degli abiti adatti Fena»
«Draghi miei che mammoletta che sei ragazzo, quand’ero giovane passavo intere giornate a meditare in Alaska con quello stesso vestito che indossi tu! Comunque non ti preoccupare, presto non sentirai più la differenza di temperatura!».
Camminarono per circa un quarto d’ora nel folto della foresta, finchè non uscirono in una piccola radura, al cui centro spiccava un enorme albero, che si stagliava nella foresta per diverse decine di metri.
«Quello che vedi è uno degli alberi più antichi del pianeta, è sopravvissuto a tutti gli sconvolgimenti causati dall’uomo negli ultimi mille anni. Al momento del tuo esame ti è stato chiesto di scrutare le energie magiche, e tu sei riuscito ad arrivare, cosa non comune, lo riconosco, fino ad osservare l’intensità magica dell’uomo. Ma devi sapere che oltre, più a fondo, c’è un’altra energia magica, molto più potente ed antica, che affonda le sue radici nell’intero pianeta. Questo albero è posizionato precisamente sopra uno dei punti di sfogo di quest’energia, per questo è sopravvissuto così a lungo.»
Fena lo fece sedere, con le gambe incrociate e la testa appoggiata contro il tronco dell’albero.
«Bene, ora apri la mente, cerca all’esterno, come quando cerchi altre menti o forze magiche…»
Alast chiuse gli occhi, e lasciò che i suoi sensi, opportunamente aiutati da influssi magici, si espandessero attorno a lui… Percepì il frusciare di una foglia contro un’altra, l’odore di morte di quelle cadute, la ruvidezza delle singole fibre della corteccia dell’albero contro la sua fronte, percepì Fena ammutolire la sua mente e la sua forza magica per non disturbarlo… eppure non percepiva niente altro, il vuoto completo…
Aumentò il flusso magico, incanalandovi buona parte dei suoi poteri. Iniziò a percorrere con la mente tutta la foresta, fin dove riusciva ad arrivare, eppure non avvertiva niente di niente.
Senza preavviso Fena si mosse, i suoi passi nella mente di Alast risuonarono come le esplosioni di plasma che si usavano a casa sua nelle miniere:
«Non così! – Gli disse – se avessi dovuto sondare l’intera superficie della foresta non sarebbe stato più semplice usare i sensori della navetta? Non limitarti alla materia, vai oltre!»
Il ragazzo distolse gli sforzi dai sensi, concentrandosi del tutto sulla mente. Improvvisamente, nel buio dei suoi sensi, comparve una scintilla, poi un’altra, e poi un’altra ancora. Con lentezza estenuante le scintille iniziarono ad unirsi, prima a coppie, poi sempre di più, fino a formare un sottilissimo filo di energia. Alast aprì gli occhi, lasciando che la visione si sovrapponesse alla vista, e ciò che vide lo lasciò senza fiato. L’albero davanti a lui era interamente percorso da sottili condotti di energia, che salivano fino ai rami più alti, fin dentro le singole foglie; e poi giù, nelle radici, dove da singoli fili diventavano matasse, che andavano sempre più in profondità nel terreno, ingrossandosi. All’improvviso, seguendo queste scie, il ragazzo vide non una matassa di fili, ma fiumi interi di energia che scorrevano nel sottosuolo, vide fitti canali diramarsi sotto tutta la crosta terrestre, intersecarsi, mescolarsi e, in qualche punto, salire in superficie, connettersi alle forme di energia esterne. Si mise a seguire uno di questi fiumi per tutto il percorso, fino ad un punto in cui toccava il suolo: vide l’energia mantenere in vita un piccolo cespuglio di selce, che vi era nato sopra, vide un grillo con un’ala rotta guarire semplicemente toccando le foglie dell’arbusto… Tornò indietro, era curioso di vedere l’origine di quell’energia: vide la scia ingrandirsi, tornare una matassa, poi un fiume, poi un mare, poi un oceano intero, eppure percepiva la sua continuazione, avvertiva la mancanza di un punto finale, era euforico, voleva andare sempre più avanti, non fermarsi…
Improvvisamente venne brutalmente riportato alla realtà: l’oceano sconfinato di energia venne sostituito da una violenta luce bianca, sentì le ginocchia cedere (anche se non si ricordava di essersi alzato) e la testa iniziare a dolere. Venne afferrato a mezz’aria da un paio di mani, che gli evitarono di colpire il suolo e lo appoggiarono delicatamente sul terreno. Lentamente la luce bianca svanì, e gli occhi tornarono a vedere, inquadrando il vecchio viso di Fena, che lo osservava in parte preoccupata e in parte compiaciuta.
«Bene, vedo che hai trovato la rete universale Alast, sono molto contenta»
Il ragazzo si mise in ginocchio con un grugnito
«Riposati adesso, sei stravolto. Vedere quello che hai visto senza venire annientati dalla sua potenza è difficile, e richiede una notevole quantità di magia… Sinceramente non mi aspettavo che riuscissi ad arrivare fino a quel punto.»
«Punto? Quale punto? - chiese l’allievo – non vedevo altro che una distesa sconfinata di energia, e basta! Ho cercato di raggiungerne la sorgente, ma mi hai bloccato prima!»
«Hai la fronte che scotta, gli occhi iniettati di sangue e sei esausto: non sei ancora in grado di superare gli oceani metafisici, solo i maghi, e anche quelli solo dopo un lungo addestramento particolare, riescono a passarli indenni… per quanto riguarda la sorgente di tutto questo, ti posso rispondere io, non esiste! Prima di tutto devi capire che tutto quello che hai visto, che ti è sembrato puramente metafisico, in realtà è saldamente legato alla realtà: per esempio un oceano come quello che hai osservato è circa la quantità di energia che passa per un sistema solare.
La fonte che stavi cercando di raggiungere, che materialmente parlando è più al di là del nostro stesso universo, anzi, alcuni recenti teorie sostengono che vada oltre il nostro intero piano di esistenza, non è visibile per due motivi: uno, è troppo lontana, perché neanche noi maghi riusciamo a superare il piano di esistenza, e due, perché le risonanze magiche che sono state eseguite mostrano come ad un certo punto questa enorme quantità di energia non abbia un inizio, ma che sia, ad un certo punto, formata da masse magiche di uguali dimensioni.»
«Ma queste sono solo teorie, giusto?» Disse Alast, cercando di afferrare quei concetti che nonostante tutta la sua buona volontà, non riusciva ad afferrare a pieno.
«Teorie con solide basi! Non chiedermi quali perché non ho mai studiato cosmo-metafisica. Comunque vedo che ti sei ripreso, direi che è ora di andare!»
E così dicendo si alzò, dirigendosi verso al navetta. Solo allora il ragazzo si accorse che sole stava tramontando.
«Fena, per quanto sono rimasto ad osservare tutto questo?»
«Tutta la mattina e buona parte del pomeriggio, poi, dopo che ti ho richiamato, sei rimasto in sospensione mentale per diverse ore.»
Il novizio la fissò allibito, per poi dirigersi anche lui verso la navetta.

 

Angolo, o meglio sgabuzzino, dell’autore: con questo capitolo, un po’ (forse un po’ tanto) più lungo dei precedenti, ho voluto segnare una battuta di arresto degli avvenimenti, rallentare un po’ in vista del prossimo capitolo, che però temo con ancora più ritardo di questo, voglio infatti risistemare un po’ i precedenti capitoli e quelli del pescatore di stelle, che necessitano urgentemente di una revisione. 

   
 
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