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Autore: Slytherin Nikla    20/11/2008    2 recensioni
è fondamentalmente una storia senza pretese, tranne quella di divertirmi un po' mentre la scrivo e, spero, divertire chi la leggerà. Claire ha trent'anni, un nome che odia, una collega con il QI di un'escherichia coli e una famiglia vergognosamente numerosa che ama i raduni...
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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momentaneous

Chiusi gli occhi, cercando di respirare facendo il minimo rumore possibile. La solita, maledetta emicrania… un chiodo teso tra le tempie, ecco come mi sentivo: ma sorrisi tra me, sovrapponendo per un attimo il mio viso a quello della creatura del dottor Frankenstein. Solo una cosa riusciva a lenire quella dolorosa – seppure abituale – compagnia, e stranamente devo constatare che fui fortunata: qualche minuto dopo essermi coricata, infatti, un gradevole sottofondo di pioggia delicata si fece largo nella mia stanza, riempiendola del tenue mormorio dell’acqua fra le tegole.

Mi lasciai accompagnare da quel suono fino a che non presi a scivolare nel sonno, sempre più profondamente. Una notte agitata e popolata di mostri tradizionali e cani che mi inseguivano, non senza dimenticare qualche bel grido di terrore al momento giusto… Uno di quegli strani, sciocchi incubi che facevo sempre da bambina: ne attribuii la responsabilità alla pizza tonno e cipolle che avevo mangiato per cena, allungai il braccio verso il comodino fino al Maalox, ne scartai uno senza svegliarmi e mi girai dall’altra parte, riprendendo il sonno questa volta con relativa calma.


« Hai una pessima cera, Claire ». Ovvero, il modo migliore di allenare gli istinti omicidi di una persona. Non mi ero truccata (a cosa sarebbe servito?), avevo passato la notte lottando con un tonno assassino e una cipolla in tenuta da lottatore di sumo… E miss “maquillage perfetto - non ho un filo fuori posto”, Alicia Camerani della scrivania davanti a me, veniva a parlarmi di “pessima cera”?

« Sono stata sveglia tutta notte cercando un modo raffinato per ucciderti. Avrò un brutto aspetto, ma ne è valsa la pena… », le sibilai, serissima.

« Cretina! » Una raffica, in stile bora, di stramaledetto profumo al gelsomino (maledetto lui e chi l’aveva inventato) investì la mia scrivania al vistoso girarsi di Alicia. Mi alzai e raggiunsi la macchina del caffè, l’evento della mia risposta meritava un premio: così mi concessi un doppio espresso, con il quale brindai, rigorosamente sola, alla rivincita sull’onnipotente/ onnipresente/ onnisciente (no, decisamente questo no…!) Alicia, al secolo il batuffolo biondo platino a misteriose strisce castane con cui condividevo l’ufficio.

Non che il mio lavoro non mi piacesse, anzi… Al di là delle scartoffie, dei bolli, delle circolari, delle convocazioni e delle public relations (ovvero di ciò che occupava il 90% buono del mio tempo) fare la segretaria nel mio ex liceo, ancora rigorosamente classico e ancora rigorosamente statale, mi piaceva eccome!

Certo però ogni volta che vedevo quella strana puzzola a colori invertiti di Alicia (momento… per la verità “Alice”, ma dal momento che io avevo un nome esotico se n’era inventata uno anche lei: come se poi Claire Lo Monaco suonasse bene!) mi era difficile mantenere la concentrazione sul bello del lavoro…


« Ehilà, Claire, che espressione soddisfatta! Hai messo in atto il mio piano? » Guardai la ragazza di fronte a me con discreto stupore, non mi ero accorta che si fosse avvicinata.

« Cosa fai fuori di classe, Simona? » Lei sbuffò, togliendosi un tratto-pen dai capelli.

« ‘Sti maledetti cosi non tengono per niente. Cosa? Ah, già… Sì, dai, c’è filosofia… Pesante… Ma allora? Hai fatto come ti ho detto? »

« Nooo… »

« Ma dai! Sai come prenderebbe bene un cerino in quella nuvola di similcotone? » Cercai di non ridere, ma dubito di aver conseguito un risultato decente: in effetti la scena avrebbe meritato…

« Ok, è vero, ma devi valutare anche le conseguenze… Hai idea di quanti gas nocivi produrrebbe, una simile quantità di lacca combusta? » Simona mi guardò dall’alto al basso, con lo sguardo diabolico che la rendeva tanto simile a sua madre (la mia ex professoressa di italiano, con la quale – mi sembra evidente, visto il rapporto con la figlia – conservavo ottimi rapporti).

« Ma lo sai che quasi quasi sei più stronza di me? »

« Fila in classe, va’… » Naturalmente, si incamminò nella direzione opposta.

« Il tragitto per il bagno è così lungo e avventuroso… Talmente irto di pericoli… Chissà se mi sarà dato di farne ritorno… »

« Simo! Vai in classe! » Il suo viso cambiò espressione con naturalezza, mettendo su un finto broncio da premio Oscar.

« Eddai, zia Claire… Solo un minutino… Non fare l’ovetto Kinder della situazione, eh?, che uno basta e avanza! » Girai sui tacchi e mi strinsi nelle spalle, sospirando un

« Si chiama Maria Grazia… » ancor meno che poco convinto. In fin dei conti, fino a qualche anno indietro ero la prima a chiamare “Ovetto Kinder” quella bidella bisbetica dall’incredibile forma ovoidale!


« Pausa lunga, eh? »

« Fai un favore ad entrambe, Alice… Fatti una pausa anche tu, e per l’amor di Dio, che sia più lunga della mia! » Mi chiusi nel più assoluto mutismo per l’intera mattinata, smistando dieci giorni di documenti arretrati da archiviare e spedendo in amene località turistiche almeno tre insegnanti, piovute in segreteria a lamentarsi a turno dell’increscioso comportamento delle colleghe nei propri riguardi: con la prima avevo sbuffato, con la seconda guardato il soffitto fin quasi a rovesciarmi gli occhi… Di conseguenza alla terza, Bianca Bottari in Martino insegnante di inglese, che per sua somma sfortuna somigliava pure alla zia che di tutto il mio vasto parentado più disprezzavo, spiegai con una certa dovizia di particolari in quale misura fossi interessata al pacchetto di Marlboro Light lasciate – “Senz’altro dalla Grandi! Per farmi dispetto!” – nel suo stipetto.

Non gradì più di quel tanto, credo, ma sospetto che avesse anche fatto girare la voce che quella mattina in segreteria non tirava aria da bischerate: nessuno mi disturbò più per tutta la giornata, e mi godetti – pur con lo sciocco cicaleccio di Alicia, che quando era al telefono dava oggettivamente il peggio di sé – la piacevole, rilassante sicurezza che solo il mettere a posto inutili pezzi di carta può dare.


E me li sarei pregati a gran voce, quei documenti da ordinare, un paio d’ore più tardi… Quando, con sommo sgomento, realizzai che per il quarto anno di fila mi ricordavo all’ultimo momento della prova più ardua che l’orgoglio umano possa affrontare: l’oceanico raduno familiare dei Lo Monaco! Al quale stavo quindi per partecipare senza allenamento, priva dell’adeguata preparazione psicologica e sprovvista delle necessarie due settimane di esercizi di self-control.

Mi restavano due ore. E naturalmente le impegnai tentando fino allo stremo di trovare una scusa per astenermi dalla rimpatriata, dal raffreddore alla SARS a svariate patologie tropicali ad un improvviso quanto gravissimo attacco di agorafobia… Pensai di tutto, e tutto fui costretta a scartare: ragion per cui un’ora e mezza dopo, indossato il mio tailleur più elegante e scelte le scarpe più alte (ho sempre adorato poter guardare dall’alto certe persone della mia famiglia), salii in macchina fermamente decisa a rendere una volta per tutte pariglia alle mie sempre perfette, impeccabili e nobili (col cavolo… ma chissà perché convinte di esserlo) cugine. In una parola, andava in scena la rivolta di Cenerentola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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