14/01/2015
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Sono di nuovo davanti all'ultima valigia rimasta da chiudere, indecisa ancora sul da farsi. So che è giunto il momento di chiuderla, ma per qualche motivo le mie mani non rispondono ai miei comandi. Nonostante chieda loro di mettersi in moto, esse trovano sempre una scusante per fermarsi. Si impigliano nei capelli, nella sciarpa, non vogliono proprio saperne.
E le capisco.
Vedete, chiudere questa valigia è un passo importante, forse un po troppo.
Non sto per partire per un lungo viaggio, non vado a dormire da un'amica.
Sto lasciando la mia casa.
Non posso più vivere qui.
Va bene, da come l'ho detto sembro la solita sedicenne in piena tempesta ormonale adolescenziale che ha appena litigato coi genitori.
Se pensate così, vi sbagliate di grosso.
E pure di molto.
Questa casetta dell' Oregon, una volta abitata da una grande famiglia, ora non è che un guscio vuoto dove riecheggiano ancora le risa e le parole dei suoi ex abitanti.
Le loro mura ne sono pregne fino alle fondamenta, e in queste due settimane passate da sola a bazzicare da una stanza all'altra continuavo a sentirle, mi hanno perseguitato nelle giornate uggiose e nelle notti insonni, in cui i fantasmi tornavano, portando con sé i loro ricordi da lanciarmi addosso.
È un po difficile spiegare quello che è successo a questa famiglia. I giornali e le folle sanno solo ciò che ha riportato la polizia nelle sue indagini, dopo essere giunta sul luogo.
Un'intera famiglia viene brutalmente uccisa da un pazzo assassino. Una sola superstite.
La cosa peggiore di assistere al massacro dei tuoi famigliari?
Sopravviverne.
Se tu venissi privato dal più profondo delle cose più care che hai, proveresti rimpianto per no averle valorizzate quando potevi?
Sicuramente.
E il rimpianto ti logora da dentro.
Vivo in uno stato confusionale da quattro settimane, in cui sono passata di mano in mano a diversi medici che hanno gettato la spugna difronte alla mia ostinazione nel volermi rifiutare di riferire ciò che provavo.
È stata la quarta psicologa di turno, la dottoressa Campbell, che sembra particolarmente ossessionata dal mio caso, e determinata a rimettermi in carreggiata per "ritornare a vivere", a suggerire di abbandonare questa casa di ricordi dolorosi e fantasmi tormentati.
Quindi oggi sono qui, circondata dalle mie cose, forzata a lasciare il mio guscio per tornare alla luce del sole, dove dovrei ricominciare.
So che oggi ancora non lo sono, ma so che presto sarò pronta per attuare i miei piani.
E ora eccomi qui, colei che rasentava la sufficienza in italiano, con carta e penna in mano intenta a raccontarvi i suoi suddetti piani, rendendovi partecipi dei miei giorni successivi alla perdita.
Ma se oggi sono qui per scrivere questa storia, non è per parlarvi del mio tormento personale, dei miei dubbi e delle mie paure.
No.
Assolutamente no.
Questa è la storia di una ragazza che è stata spogliata da se stessa dal rimpianto e dal dolore, che è implosa perdendo una parte del suo lato umano, che è all'inferno ma che non ha paura dei demoni. Di chi ha perso innocenza e sentimento.
Che ha perso tutto tranne che una cosa:
Il desiderio di vendetta.
Mi chiamo Meredith Price, e questa è la mia storia.
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*Si affaccia titubante*
Salve a tutti sono Daisy! Scrivo questa storia che mi frulla da un po di tempo nella testa e finalmente oggi ho deciso di riversare i miei pensieri su carta (o meglio sulla tastiera) e niente la storia è appena iniziata, spero comunque che l'intro vi sia piaciuto e che vi spinga a leggere oltre!
Per ora passo e chiudo!
Daisy