Cooking lessons
Yuka entrò in cucina
canticchiando tra sé e sé. Quello era il momento adatto,
l’occasione che aveva aspettato per giorni e giorni;
Kouta era fuori con i vecchi amici del liceo, il che
le avrebbe dato tutto il tempo di preparare ciò che lei aveva
architettato da tempo.
La giovane si diresse alla
dispensa, aprì le ante e iniziò a prendere gli ingredienti che le
occorrevano.
«Nyu?»
Sobbalzò alla voce che era
appena risuonata dietro la sua nuca, e si voltò ansimante a guardare la
strana ragazza che lei e Kouta avevano
trovato tempo prima sulla spiaggia, priva di memoria e di una capacità
linguistica adeguata.
«Nyu-chan»,
ansimò, «mi hai fatto spaventare!»
Per tutta risposta, la ragazzina
dotata di piccoli corni – in quel momento nascosti sotto il fazzoletto
che Yuka le aveva prestato
insieme ai vestiti – si limitò ad inclinare il capo e ad indicare
i vari contenitori che lei aveva in mano.
«Nyu?»,
chiese in tono curioso.
«Oh… Vuoi sapere a
cosa mi servono queste cose, vero?», cercò di sorriderle Yuka, calmandosi. «Devo preparare del cioccolato.»
«Nyu?»,
fece ancora l’altra, sgranando gli occhi.
Yuka
capì che le stava chiedendo il motivo – o almeno, questa fu
l’impressione che ne ebbe, anche se non era
ancora certa che Nyu capisse bene il giapponese; si
sentì arrossire e distolse lo sguardo.
«Beh, ecco… Domani
è San Valentino.» Sempre senza guardarla, chiuse le ante e si
diresse al tavolo, dove posizionò i barattoli e
i pacchetti che le servivano. «È una specie di tradizione…
secondo la quale si prepara del cioccolato per le persone cui vogliamo bene.»
Fu di nuovo travolta da un senso
di calore al viso, mentre davanti agli occhi le sorgeva il sorriso dolcissimo
di suo cugino Kouta, il bimbo cresciuto con lei, il
giovane uomo che ormai sapeva di amare.
Nyu le fu
subito accanto, negli occhi uno sguardo di comprensione, dimostrandole senza
dubbio che capiva perfettamente le sue parole.
«Nyuuu…»,
mormorò, con l’aria di sapere benissimo a chi Yuka
si riferisse.
Però sembrava
triste. Come se le avessero appena parlato di qualcosa
– o qualcuno – che non avrebbe mai fatto parte del suo mondo…
Qualcuno…? No, impossibile… Ma in effetti, rifletté
Yuka, lei era sempre stata un po’ gelosa
del rapporto complice nato tra la piccola Nyu e Kouta…
Imbarazzata da se stessa,
cercando di togliersi quei pensieri così infantili dalla mente, la
giovane le rivolse un sorriso impacciato.
«Ti piacerebbe aiutarmi, Nyu-chan?»
L’espressione di Nyu si illuminò di colpo.
«Nyu!»,
esclamò felice, annuendo. «Nyu, nyu, nyu!»
«Bene»,
continuò Yuka, facendole spazio al tavolo
della cucina. «Allora vieni, ti insegno come si
fa… Così magari anche tu, un giorno, preparerai del cioccolato per
la persona cui vuoi bene.»
Nyu
sollevò di nuovo lo sguardo, con aria inspiegabilmente colpita e
assorta.
Al pensiero improvviso di vederla
offrire dei cioccolatini al suo Kouta, Yuka si sentì un’emerita idiota.
«Ecco, Nyu-chan, questa mettila qui…»
Con gesti spossati, Yuka guidava la mano di Nyu,
colma di farina, fin dentro la ciotola in cui avevano già versato il
cacao – come poteva testimoniare il suo grembiule interamente ricoperto
di chicchi marroni.
Cucinare con Nyu
era un’impresa degna di questo nome; per qualche misterioso motivo, quel
pomeriggio la ragazza sembrava divertirsi un mondo nel gettare all’aria
tutto ciò che le capitava sottomano. Perciò
ora Yuka teneva ben stretto il suo palmo raccolto a
conca, dirigendolo alla terrina.
«Nyu!»
Lei scoppiò a ridere all’improvviso, dando un leggero strattone
alla mano di Yuka per liberarsene, e accompagnando un ‘nyu’ ad ogni
movimento. «Nyu, nyu…
Nyu!»
«No, Nyu-chan,
non…!»
Troppo tardi. Yuka
non era riuscita a fermarla in tempo, e ora la cucina era velata da una piccola
nube bianca. Nyu scoppiò di nuovo a ridere,
entusiasta.
Tossendo, Yuka
la vide, tra la farina volante, allungare di nuovo le mani sul tavolo verso il
pacchetto bianco ancora pieno…
«Nyu-chan,
non farlo!»
Lo fece.
Affondando
le mani nella farina, le lasciò riemergere sorreggendo una montagnola
bianca, che lanciò allegramente verso l’alto. La
farina si depositò ovunque, sul tavolo, sul pavimento, su Yuka e su una Nyu al settimo
cielo.
Cercando di pulirsi gli occhi, Yuka represse uno scatto d’ira. Non poteva
prendersela con Nyu; era evidente che quella ragazza
viveva ormai in un forte stato confusionale, dopo aver subito chissà
quale genere di trauma… No, non poteva farle una colpa se le stava
portando il caos nella cucina… Non poteva permettersi di darle il sonoro
ceffone che le prudeva sulle dita… Calma, doveva stare calma…
Sospirò profondamente e
guardò di nuovo Nyu, che le sorrideva beata.
«E
va bene, Nyu-chan. Ora lo faccio io. Per adesso, tu
guarda e basta, capito?»
Con un nuovo sospiro, Yuka recuperò la poca farina scampata agli assalti
di Nyu e la versò nella ciotola. Poi si
voltò a guardare lo zucchero, esitante. Se la
farina aveva avuto quell’effetto su Nyu, figuriamoci lo zucchero, così candido, soffice
e quasi impalpabile…
«Nyu?»
La ragazza la fissava, in attesa, il capo reclinato su una spalla e gli occhi
attenti, come a dire: ‘E adesso?’.
Yuka
sospirò per l’ennesima volta. Molto lentamente, si
protese per prendere il barattolo con lo zucchero.
«Nyu!
Nyu, nyu!»
Nyu mostrava
di aver capito le sue intenzioni, e mostrava anche di volerla aiutare. A sua
volta tese le braccia verso il barattolo, urtandolo quasi all’istante.
Il tavolo fu inondato da un
bianco ancor più accecante di quello della farina.
Nyu
ridacchiò. Stavolta, Yuka non riuscì a
trattenersi.
«Nyu-chan,
non si fa così!», esclamò, seccata, guardandola con
severità.
Lei tornò subito seria e
abbassò il capo, contrita, portandosi le mani dietro la schiena.
Guardando quella creaturina triste e smarrita,
completamente imbiancata di farina e di zucchero e con il viso e i capelli
ancora sporchi di cacao, Yuka sbollì
lentamente.
«Va bene,
Nyu-chan, non importa», mormorò,
ormai esausta, accarezzandole la testa.
Nyu
sollevò il viso. I suoi occhi erano pieni di lacrime.
«N… Nyu?», sussurrò, esitante.
«Tranquilla.» Yuka le sorrise, o almeno sperò di esserci riuscita.
«Facciamo così… Ora vado a comprare altri ingredienti…
Così potremo ricominciare daccapo insieme, che ne dici? Io farò
il mio cioccolato, e tu farai il tuo.» Così forse starai buona, si disse mentalmente.
Nyu
tirò su col naso e abbassò di nuovo gli occhi, con un lieve cenno
del capo che poteva anche essere inteso come un assenso.
Sospirando di sollievo, Yuka uscì dalla cucina per cambiarsi e uscire, raccomandando a Nyu di
aspettarla lì.
Quando sentì la porta
della pensione chiudersi, Nyu si voltò di
nuovo verso il tavolo disastrato della cucina.
Aveva capito di non essersi
comportata bene, e voleva rimediare al più presto. Quelle persone erano
molto gentili con lei; lei non poteva farle arrabbiare, lei doveva essere buona
per poterle ringraziare.
Prese uno straccio e
iniziò subito a pulire, senza curarsi del fatto che anche lei avrebbe
dovuto fare un bagno. Era molto più importante che Yuka
e Kouta non si arrabbiassero con lei…
Quando
finalmente tutto fu in ordine e il tavolo di nuovo splendente, Nyu posò i recipienti – quasi vuoti – di
cacao, farina e zucchero sul bancone, accanto alla ciotola con l’impasto
abbandonato a se stesso, e si chinò a guardarli portando il mento sulle
mani a coppa.
Sentiva ancora le parole di Yuka.
«Domani è San Valentino. È una specie di
tradizione… secondo la quale si prepara del cioccolato per le persone cui
vogliamo bene.»
Anche a lei
sarebbe piaciuto preparare del cioccolato per…
«Basta! Ti prego, basta! Basta! Basta!»
Oh, no, non di nuovo!
La piccola Nyu
serrò gli occhi con forza e si portò le mani tra i capelli;
sentì premere, sotto la pelle e la stoffa del fazzoletto, le due
protuberanze che la rendevano diversa da tutte le persone che la circondavano.
Perché ogni volta
che pensava a Kouta lo sentiva piangere e urlare?
Perché era sicura di avergli fatto male, molto male, forse in una vita passata?
Non ricordava,
non ricordava… Aveva paura di ricordare.
Aprì gli occhi,
scoprendoli offuscati di lacrime, e fissò di nuovo la terrina, il cacao,
la farina e lo zucchero.
Lei voleva bene a Kouta. Forse lui la odiava, per quel male che lei non
ricordava pienamente di avergli fatto; o forse anche lui, nonostante tutto, le
voleva bene, dal momento che l’aveva ospitata in
casa sua e le sorrideva sempre ed era così gentile con lei…
Con un gesto deciso, Nyu afferrò nuovamente la ciotola e gli ingredienti
e li depositò di nuovo sul tavolo.
Kouta si fermò in cortile.
Era tornato a casa prima del previsto, e ora la ritrovava stranamente
silenziosa.
«Sono a casa!»,
esclamò ad alta voce, manifestando la propria presenza. «Yuka? Nyu? C’è
nessuno?»
Strano. Yuka
gli aveva detto che sarebbe rimasta per tutto il pomeriggio
a fare le pulizie – anche se, in effetti, aveva
uno strano sogghigno furbetto quando lui era uscito… Ma perché
avrebbe dovuto nascondergli che sarebbe uscita insieme a Nyu?
Aveva qualcosa in mente?
Perplesso, il ragazzo mosse
alcuni passi verso la porta d’ingresso, e all’improvviso una serie
di colpi gli fece capire che qualcuno c’era, e che in quel momento stava
correndo ad aprirgli.
Non ebbe neppure il tempo di
pensarlo: la porta si spalancò e un uragano dai capelli rossi gli
volò al collo.
«Nyuuu!»
«Ciao, Nyu-chan»,
balbettò Kouta, lievemente tramortito.
«Ehi, ma…» La scostò da sé e la fissò a
bocca aperta. «Cos’hai combinato?»
Nyu se ne
stava tranquillamente lì a guardarlo, con le mani dietro la schiena ed
un ampio sorriso sul volto. Aveva i vestiti quasi completamente bianchi, e
qualche traccia di marrone scuro sul viso e sulla testa. Sembrava reduce da
un’esplosione di polvere e calcinacci.
All’improvviso, la ragazza
portò le braccia davanti a sé, mostrandogli un piccolo
contenitore pieno di una densa crema scura dal forte odore di…
«Cioccolato?»
Attonito, Kouta andò con lo sguardo dalle sue
mani al suo sorriso. «L’hai fatto
tu?»
Nyu sorrise
ancor più apertamente.
«Nyu!
Nyu… Kou…»
Prese fiato e lanciò fuori una parola nuova. «Kouta!»
Confuso, anche un po’
scosso, Kouta rimase immobile a fissarla.
«Per… Per me?»,
mormorò alla fine. «L’hai fatto per me?»
«Kouta!»,
ripeté Nyu, con un altro sorriso.
«Ma…
Perché?»
La ragazza gli si
avvicinò, provocandogli il familiare senso di imbarazzo
che la sua presenza gli dava fin dal primo momento in cui lui l’aveva
vista, sulla spiaggia, sola e bisognosa di attenzioni e di vestiti.
«Nyu…»,
mormorò. «Nyu… vuole bene… a
Kouta…»
Mentre
l’imbarazzo si faceva insostenibile, traducendosi in un rossore bollente
sulle sue guance, Kouta ricordò
all’improvviso ciò che Yuka gli aveva
detto distrattamente quella mattina.
«Domani è San Valentino, lo sapevi?»
E adesso,
il cioccolato di Nyu…
Nonostante la
sorpresa, Kouta non poté fare a meno di
sorridere.
«Grazie, Nyu-chan», mormorò, accettando il semplice
contenitore che lei gli offriva, e che evidentemente non aveva saputo poi
“trasformare” in un cioccolatino o in un qualsiasi dolce.
«Kou…
ta…», disse lei, visibilmente emozionata
e felice.
D’impulso, Kouta l’abbracciò e la tenne stretta a
sé, incurante della farina, del cacao e di tutto il resto.
«Anch’io
ti voglio bene… Nyu…»
La ragazza ricambiò il suo
abbraccio, affondando il viso nella sua camicia. Kouta chiuse gli occhi, chinandosi sui suoi capelli. Profumava
come una torta al cioccolato.
«Basta!
Ti prego, basta! Basta! Basta!»
Una cosa era certa: anche se lei
lo vedeva e lo sentiva piangere, Kouta non la odiava.
E non c’era altro che la
piccola Nyu potesse
desiderare.
«Così
magari anche tu, un giorno, preparerai del cioccolato per la persona cui vuoi
bene.»
Quel giorno era arrivato.
E lei,
come sempre, era arrivata tardi.
Asciugandosi gli occhi, Yuka raccolse la busta della spesa che le era scivolata
dalle dita e, senza farsi vedere da Kouta e Nyu, tornò in strada, alla luce del tramonto,
allontanandosi da quella scena.