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Autore: Eresseie93    15/01/2015    3 recensioni
scrivo qui il significato del titolo " Il falò della poesia " Bè salve a tutti bella gente :D Allora qualcuno mi ha chiesto un seguito alla storia " Non ti amo come rosa di sale " ed eccolo qui... un finale a lieto fine!!! :D
Tratto dal testo:
Di tanto in tanto apriva il cassetto della biancheria e leggeva quel pezzetto di carta, lo annusava, lo stringeva e poi lo richiudeva. Un po’ come spolverare, si pulisce ma tanto si sa che la polvere tornerà, e lui era lo stesso, sarebbe sempre tornato a spolverare il passato.
Genere: Poesia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Salve gente!!! :D

Ritorno con questa Oneshot ;) continuazione di una precedente… Ovvero “ Non ti amo come rosa di sale ” volendo essere buoni potreste leggerla anche senza sapere di che parla la precedente, certo credo non sarà la stessa cosa. Io il link ve lo lascio lo stesso :D se volete spulciate la storia!! http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2972100&i=1  Un bacio ;*
Ringrazio calorosamente tutti quelli che leggono! Specialmente a quella Mela di Rosso_Pendragon e anche elyxyz ;D spero che il finale vi accontenti, perdonatemi ma io smielata proprio non riesco u.u un grosso bacio ;*

 

 

 

Erano passati ormai una decina d’anni.

Merlino viveva una vita serena e tranquilla nella provincia di Camelot, abitava con un ragazzo con cui aveva cercato di crearsi un futuro. Certo non era e non somigliava per niente ad Artù, ma nessuno avrebbe potuto eguagliarlo, anche se faceva parte del passato conservava ancora la lettera e una speranza seppur piccola di rivederlo.

 

Di tanto in tanto apriva il cassetto della biancheria e leggeva quel pezzetto di carta, lo annusava, lo stringeva e poi lo richiudeva. Un po’ come spolverare, si pulisce ma tanto si sa che la polvere tornerà, e lui era lo stesso, sarebbe sempre tornato a spolverare il passato.

 

Gwein, il suo attuale ragazzo, era veramente dolce, affabile, e si era innamorato di lui per il suoi modi di fare. Si rendeva conto però che nonostante i suoi sentimenti e ormai i quattro anni di convivenza, non era lo stesso amore che provava per Artù, che ancora dopo anni gli dava dei tremori dolci. Certo si rendeva conto che non tutti gli amori erano uguali, ma quel biondino gli faceva venire la voglia di avventurarsi per strade inesplorate della sua anima, si sarebbe fatto trasportare negli angoli più oscuri e perversi della sua mente, avrebbe scalato le vette dei sensi del piacere.

 

Gwein era romantico, ma non gli faceva contorcere lo stomaco al solo tatto o con un solo sguardo far venire i brividi dalla schiena fino ad arrivare al proprio sesso, con la voglia di prenderselo e toccarselo fino a venire, mentre l’altro consapevole guarda estasiato il suo operato.

Fare l’amore con Gwein era dolce e delicato, non come con Artù, lui sapeva essere impetuoso e dolce, farti fremere di desiderio e farti godere come un dannato, sapeva portarti ai limiti del piacere, sapeva i punti da toccare, le parti da leccare e quelle da baciare. Conosceva ogni singolo desiderio di Merlino, e lui di questo non si sarebbe mai stancato.

 

A volte seduto nel letto o sdraiato prima di dormire leggeva qualche poesia scritta da lui su un giornale locale, e gli occhi gli guizzavano di desiderio, leggendo quelle parole cariche di lussuria, ma si acquietava l’animo con una doccia fastidiosamente fredda.

Un giorno il giornale locale riportava un’intestazione interessante “ Il falò della poesia ”, con un sorriso incerto strinse il giornale – Gwein, sabato c’è un falò, ci andiamo? – disse con tono frizzante, l’altro inarcò le sopracciglia e sorrise dolcemente – Un falò?  Sembra divertente!! – pronunciò un croissant in bocca, non definendo bene il tono in cui lo disse.

 

 

Chino sulla scrivania e attorniato da carta strappata e accartocciata, stava cercando di scrivere una poesia.

Mancavano due giorni al falò e aveva scritto solo una frase, avrebbe potuto leggere una delle poesie scritte negli anni, ma voleva qualcosa di nuovo, di vero.

Viveva in una casa sul lago, attorniata da alberi, dal silenzio, con solo gli uccellini a cinguettare di giorno e di sera simpatiche ranocchie gli conciliavano il sonno, mentre già disteso nel letto due occhi blu lo guardavano amorevolmente. Ebbe un sussulto nel ricordarsi di quel corpo esile, con la pelle vellutata, i capelli corvini sudati incollati sulla fronte, il respiro spezzato dai gemiti, le labbra rosse e gonfie. Dio avrebbe voluto riaverlo indietro, afflitto dal suo stesso errore prese carta e penna, un foglio bianco si riempì d’inchiostro, parole dettate da una penna dolorante. Poi il sonno arrivò sui suoi occhi stanchi e il mondo si spense.

 

Il venerdì volò, Merlino non dovette recarsi a scuola per insegnare letteratura, aveva il giorno libero e passò tutta la giornata a scegliere cosa mettere per il falò, a chiedersi come sarebbe stato, a mettere due tovaglie nel borsone, a domandarsi se ci fosse stato anche lui. Sarebbe stato bello mettersi attorno ad un fuoco, sotto le stelle, a leggere poesie. La scena perfetta per chi ha un animo sensibile e ode dei versi.  Lui decise di non portare nessuna poesia, solo di andare lì e ascoltare.

Artù invece passò tutta la giornata ad assicurarsi che tutto fosse perfetto e non ci fossero problemi dell’ultimo minuto alla degustazione di poesie attorno al fuoco, e che per ogni falò ci fosse un professore o un poeta pronto ad ascoltare e a leggere dei versi, a scambiarsi flebili e delicati mormorii sulla dolcezza o sull’aspra natura che emerge dalle poesie.

 

Nel primo pomeriggio di quel sabato Merlino, insieme a Gwein, si misero a sedere in bar vicino la spiaggia di Eldor, che si trovava poco fuori Camelot, aspettando ansiosamente la sera. Passeggiarono e videro che cominciavano a preparare tavoli per il buffet sulla piattaforma di cemento vicino la sabbia.

Il falò stava per cominciare, misero un po’ di musica soft per rallegrare l’atmosfera, e c’erano minimo un centinaio di persone a quell’evento, dai ragazzi agli adulti, tutti quanti parlavano tra loro, sgranocchiando qualcosa dal tavolo, sorseggiando vino e bibite varie, scherzavano e ridevano. C’era molto chiacchiericcio e un po’ tutti voleva sedersi attorno al fuoco, e li vedevi lì, agitarsi, fare capolino per vedere a che punto era la sistemazione dei posti intorno alla legna da ardere.

 

Tirava una leggera brezza, sapeva di mare, salsedine.

Si passò la lingua sulle labbra, respirando a pieni polmoni quel sapore dolce salato del mare, nella sua mente si fece strada insolentemente un ricordo.

 

- Avanti Merlino, ti verrà la febbre – soffiò ridendo al moro che era immerso nell’acqua. Uscendo felice dal mare lo raggiunse sulla tovaglia – oh come borbotti sempre! – gli alitò sulle labbra baciandolo un attimo dopo. Salato misto al dolce odore dei capelli di Merlino, profumava di mare e vaniglia quel bacio. La primavera era già iniziata ed erano quasi a metà Maggio, ma per Artù fu in quel momento che la Primavera arrivò, facendo sbocciare i fiori sui rinsecchiti rami degli alberi. Era Merlino la sua primavera, era fresco e aveva la capacità di sbocciare nelle sue mani a ogni contatto delle loro labbra o delle loro mani che s’intrecciavano.

 

I fuochi vennero accessi, e le persone occuparono i posti. Ogni fuoco era lontano da un altro qualche metro, giusto per non disturbare le varie letture ed evitare che le voci si sovrapponessero.

Merlino aveva appena baciato Gwein quando si accorse che qualcuno si era seduto e li aveva guardati.

Folgorato. Era rimasto esattamente così quando vide due occhi azzurri perforarlo, sperava di vederlo lì ma non si aspettava che sarebbe stato lui a dirigere per così dire il loro falò.

Artù iniziò declamando che la poesia è l’anima che vuol venire fuori, quando smossa da inquietudini o amore cerca una strada per farsi ascoltare - …è una creazione, non è solo un accostamento di parole, tutti possono fare poesia. – sorrise rivolgendo lo sguardo a Merlino, che pensava invece di non essere adatto a scriverle e poi continuò – si può fare poesia con ogni singolo elemento, e non importa se non ci sono rime, la poesia è un linguaggio nostro, sconosciuto agli altri ma l’importante è trasmettere delle emozioni o delle immagini – e ancora – ricordatevi che la poesia non sono le parole che scrivete su un foglio, la poesia sei tu, e quando si fa poesia, inevitabilmente, si ha una propria musa. – guardò Merlino.

 

Ormai Merlino lo conosceva, sapeva che se quegli sguardi avessero avuto il dono della parola, gli avrebbero detto se non ordinato di spogliarsi lì, distendersi sulla nuda sabbia e farsi amare, ripetutamente per tutta la notte.

Dopodiché alcuni decantarono propri versi o poesie di qualcun altro, lo stesso Artù ne decantò una e Merlino era certo che fosse sua, perché riguardava un loro momento insieme – oh tu soave amore, tu dalla lattea e nivea pelle mi declami tuo. Disteso sulla spuma del mare, la tua casa, mi guardi sognante. Chino su di te, io cielo, non posso far altro che affogare nelle tue labbra. Oh salato e dolce fu quel bacio, per me è lì che nacque la Primavera. – s’inumidì le labbra. I ragazzi si complimentarono e le ragazze sbavavano su di lui, qualcuno stava per leggere un’altra poesia quando gli occhi si drizzarono su di lui, gli sembrò di rivivere quel giorno in aula quando rispondendo alla domanda di Artù, tutti gli occhi guizzarono su di lui e volle scomparire. Ma in quel momento non ebbe la sensazione di volersi sotterrare bensì di cogliere una piccola speranza seppur un piccolo e forse insignificante barlume di possibilità.

Forse prese coraggio perché Gwein si era allontanato, un po’ annoiato, ma comunque si fece avanti – Pioggia sei che scende dal cielo azzurro, ora annuvolato, ti poggiasti su di me, io che sono solo un umile pellegrino, che viaggio per strade desolate attendendo te. Mi bagnasti i capelli, ti trasformasti in vento per carezzarmi il viso, diventasti fuoco per bruciarmi le carni e farmi ardere d’impetuoso desiderio, fosti terra per darmi un morbido giaciglio. Dannato sei e dannato mi hai reso, schiavo sono del tuo cuore malandrino. E dio solo sa se non ho amato quella pioggia che mi dissetò, quel fuoco che calore mi procurò, vento che respiro mi donò e su quella terra costruì la mia casa. – sfiorò ogni singola parola, avrebbe voluto avere ancora una volta quelle labbra e quel calore tutto per sé, sentiva il suo profumo e avrebbe voluto accostare un po’ di più il naso nell’incavo del suo collo.

 

Stava per finire quell’incontro, e Artù non aveva ancora risposto a quelle parole, stava pensando se fosse o meno il caso di leggere ciò che aveva scritto la sera in cui il ricordo del moro gli aveva fatto compagnia.

Lo guardava, si guardavano. La distanza sembrava essersi ridotta, doveva rischiare il tutto per tutto non era uno che si tirava indietro nelle sfide e se c’era anche una minima probabilità di poterlo avere indietro, certamente avrebbe fatto di tutto per tenerlo ancora tra le sue braccia.

Ma mentre stava schiudendo le labbra, cominciò a piovere, tuoni riempivano l’aria e il vociare delle persone si levò alto, mentre tutti si precipitavano a ripararsi sotto delle tettoie non lontane.

Merlino sotto la pioggia cercava Gwein ma non lo trovò, corse sotto la pensilina ed estrasse il cellulare, un messaggio:

Mer, dovevo andare via, io.. so che è squallido così, ma non ho il coraggio per dirtelo di presenza, ma credo di non voler stare più con te, non sei tu sono io. Perdonami, prendo le mie cose da casa e vado via.

Sapeva che sarebbe successo presto o tardi, ma non si aspettava di certo così, le cose tra di loro andavano fin troppo bene, non che questo non fosse giusto ma non era vero. Non avevano mai litigato, nessun pizzico di gelosia, nessuna passione. Comunque c’era affetto e per quell’immaturità l’unica cosa che rispose fu “ Stronzo ”. Poi posò il cellulare e restò seduto su una panchina aspettando che scampasse un po’ la pioggia.

Dopo una decina di minuti il telefono vibrò, un nuovo messaggio e lo aprì “ Solo? ” il destinatario era soltanto un numero. Aveva perso tutti i numeri quando aveva cambiato telefono, alcuni era riuscito a riprenderli come quello di Gwen o Lance, ma quello di Artù non poté più riaverlo indietro. Si guardò un attimo in giro ma non vide nessuno.

Prima di poter rispondere arrivò un altro messaggio “ Indizio: come la prima volta che ci siamo visti ” sorrise e voltò lievemente il viso dietro le sue spalle e lo vide appoggiato al muro dietro di lui, poco più lontano. Allora rispose “ Non hai niente di meglio da fare? ”  si aspettava una risposta ma invece si senti rabbrividire, e non perché il cellulare vibrò, ma perché sentì delle labbra sfiorargli l’orecchio e una voce calda parlargli – Bè potrei avere qualcosa di meglio da fare – ruotò il suo viso e lo baciò.

 

Merlino si aggrappò a quei capelli, brividi lungo la schiena. Poi un tuono ruppe violentemente il cielo facendolo sobbalzare e rise imbarazzato. Artù lo guardò dolcemente – Vieni con me, casa mia non è distante. – Merlino lo seguì prendendo inconsciamente la mano dell’altro, quasi come fosse qualcosa di naturale, quasi come se le loro mani, come due calamite, si fossero riconosciute e attirate.

 

Arrivarono in dieci minuti, Artù aprì la porta, si levò le scarpe e la felpa bagnata  e disse di fare la stessa cosa a Merlino.

- Vuoi qualcosa? – domandò il biondo con la testa immersa nel frigorifero, l’altro di tutta risposta lo tirò a sé chiudendo l’anta, e gli soffiò sulle labbra – Sì, voglio te. – e lo baciò. L’altro rispose al bacio, sorpreso per quella presa di posizione e consapevole che Merlino oltre a fargli perdere del tutto la bussola, era capace di sorprenderlo. L’aveva lasciato fanciullo e ora si ritrovava ad amare un uomo. Per lui era una continua scoperta quel ragazzo, non sapevi mai cosa doverti aspettare, alle volte poteva essere un docile gatto ma sapeva diventare anche un feroce predatore. Un pesciolino che nuota tranquillo o uno squalo se qualcuno invadeva il suo territorio.

 

Si svegliò nel cuore della notte con il corpo di Artù premuto contro il suo, lo guardò mentre dormiva beato.

Guardò il telefono le tre del mattino, poi nuovo messaggio:

 

Avrei voluto dedicartela al falò, ma non importa.

 

Vivido percorre la mia mente il ricordo tuo.

Eri la musica della primavera in fiore,

la tua bocca pesca matura e succosa,

le tue iridi rugiada del mattino,

le tue curve come quelle di una montagna imponente,  longilinee e sagomate lievemente.

Oh cielo, che le stelle mi brucino per il pensier mio

che mi sovvenne pensando alla tua pelle.

Morbida e candida pelle, mela fresca e vellutata.

Eri un fremere d’emozioni, tu, mio giovane

Amico, amante.

T’accendevi come il fuoco, quando la mia mano

Ti si posava leggiadra sul viso, e le mie labbra ladre

depredavano le tue.

Il tuo cuore era un cavallo in corsa per la libertà,

nella notte più buia,

scalpitava quando mi spingevo nel tuo corpo,

ed ecco che all’apice del tuo piacere, divenivi

falò d’inverno ed estate.

Mentre mi saziavo della tua carne, come fossi padrone del tuo cuore.

E tu, mio solo mio, t’inebriavi del nostro amore, della mia carne calda

Dei miei occhi colmi di lussuria.

Ora tu lontano da me,

io distante da te, eppur si muove l’animo mio

al sol pensier tuo.

E nessuno, amante caro, giuro

Riuscì mai a pervadermi e scuotermi le viscere.

Oh amore, amore mio, mio sei e mio resterai.

 

Sorrise. Posò il telefono e si riaddormentò tra quelle braccia, che lo strinsero a sé.

Pensò che lì in quello spazio, che va dal collo alle braccia di Artù, ecco quello era il suo posto. Era casa, era amore.

  
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