Salve
gente!!! :D
Ritorno
con questa Oneshot ;)
continuazione di una precedente… Ovvero “ Non ti amo come rosa di sale ”
volendo essere buoni potreste leggerla anche senza sapere di che parla la
precedente, certo credo non sarà la stessa cosa. Io il link
ve lo lascio lo stesso :D se volete spulciate la storia!! http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2972100&i=1 Un bacio ;*
Ringrazio calorosamente tutti quelli che leggono! Specialmente a quella Mela di
Rosso_Pendragon e anche elyxyz ;D spero che il finale vi accontenti, perdonatemi ma io
smielata proprio non riesco u.u un grosso bacio ;*
Erano
passati ormai una decina d’anni.
Merlino
viveva una vita serena e tranquilla nella provincia di Camelot, abitava con un ragazzo con cui aveva cercato
di crearsi un futuro. Certo non era e non somigliava per niente ad Artù, ma
nessuno avrebbe potuto eguagliarlo, anche se faceva parte del passato conservava ancora la lettera e una speranza seppur
piccola di rivederlo.
Di
tanto in tanto apriva il cassetto della biancheria e leggeva quel pezzetto di
carta, lo annusava, lo stringeva e poi lo richiudeva. Un po’ come spolverare,
si pulisce ma tanto si sa che la polvere tornerà, e lui era lo stesso, sarebbe
sempre tornato a spolverare il passato.
Gwein,
il suo attuale ragazzo, era veramente dolce, affabile, e si era innamorato di
lui per il suoi modi di fare. Si rendeva conto però
che nonostante i suoi sentimenti e ormai i quattro anni di convivenza, non era lo stesso amore che provava per Artù, che ancora dopo anni
gli dava dei tremori dolci. Certo si rendeva conto che non tutti gli amori
erano uguali, ma quel biondino gli faceva venire la voglia di avventurarsi per
strade inesplorate della sua anima, si sarebbe fatto trasportare negli angoli
più oscuri e perversi della sua mente, avrebbe scalato le vette dei sensi del
piacere.
Gwein
era romantico, ma non gli faceva contorcere lo stomaco al solo tatto o con un
solo sguardo far venire i brividi dalla schiena fino ad arrivare al proprio
sesso, con la voglia di prenderselo e toccarselo fino a venire, mentre l’altro
consapevole guarda estasiato il suo operato.
Fare
l’amore con Gwein era dolce e delicato, non come con
Artù, lui sapeva essere impetuoso e dolce, farti
fremere di desiderio e farti godere come un dannato, sapeva portarti ai limiti
del piacere, sapeva i punti da toccare, le parti da leccare e quelle da
baciare. Conosceva ogni singolo desiderio di Merlino, e lui di questo non si
sarebbe mai stancato.
A
volte seduto nel letto o sdraiato prima di dormire leggeva qualche poesia
scritta da lui su un giornale locale, e gli occhi gli guizzavano di desiderio,
leggendo quelle parole cariche di lussuria, ma si acquietava l’animo con una
doccia fastidiosamente fredda.
Un
giorno il giornale locale riportava un’intestazione interessante “ Il falò della poesia ”, con un sorriso
incerto strinse il giornale – Gwein, sabato c’è un
falò, ci andiamo? – disse con tono frizzante, l’altro
inarcò le sopracciglia e sorrise dolcemente – Un falò? Sembra divertente!! –
pronunciò un croissant in bocca, non definendo bene il tono in cui lo disse.
Chino
sulla scrivania e attorniato da carta strappata e accartocciata, stava cercando
di scrivere una poesia.
Mancavano
due giorni al falò e aveva scritto solo una frase, avrebbe potuto leggere una
delle poesie scritte negli anni, ma voleva qualcosa di nuovo,
di vero.
Viveva
in una casa sul lago, attorniata da alberi, dal silenzio, con solo gli
uccellini a cinguettare di giorno e di sera simpatiche ranocchie gli
conciliavano il sonno, mentre già disteso nel letto due occhi blu lo guardavano
amorevolmente. Ebbe un sussulto nel ricordarsi di quel corpo esile, con la
pelle vellutata, i capelli corvini sudati incollati sulla fronte, il respiro
spezzato dai gemiti, le labbra rosse e gonfie. Dio avrebbe voluto riaverlo
indietro, afflitto dal suo stesso errore prese carta e penna, un foglio bianco
si riempì d’inchiostro, parole dettate da una penna dolorante. Poi il sonno
arrivò sui suoi occhi stanchi e il mondo si spense.
Il
venerdì volò, Merlino non dovette recarsi a scuola per insegnare letteratura, aveva
il giorno libero e passò tutta la giornata a scegliere cosa mettere per il
falò, a chiedersi come sarebbe stato, a mettere due tovaglie nel borsone, a
domandarsi se ci fosse stato anche lui. Sarebbe stato bello mettersi attorno ad
un fuoco, sotto le stelle, a leggere poesie. La scena perfetta per chi ha un
animo sensibile e ode dei versi. Lui decise
di non portare nessuna poesia, solo di andare lì e ascoltare.
Artù
invece passò tutta la giornata ad assicurarsi che tutto fosse perfetto e non ci
fossero problemi dell’ultimo minuto alla degustazione di poesie attorno al
fuoco, e che per ogni falò ci fosse un professore o un poeta pronto ad
ascoltare e a leggere dei versi, a scambiarsi flebili e delicati mormorii sulla
dolcezza o sull’aspra natura che emerge dalle poesie.
Nel
primo pomeriggio di quel sabato Merlino, insieme a Gwein,
si misero a sedere in bar vicino la spiaggia di Eldor,
che si trovava poco fuori Camelot,
aspettando ansiosamente la sera. Passeggiarono e videro che cominciavano a preparare
tavoli per il buffet sulla piattaforma di cemento vicino la sabbia.
Il
falò stava per cominciare, misero un po’ di musica soft per rallegrare l’atmosfera,
e c’erano minimo un centinaio di persone a quell’evento,
dai ragazzi agli adulti, tutti quanti parlavano tra loro, sgranocchiando
qualcosa dal tavolo, sorseggiando vino e bibite varie, scherzavano e ridevano. C’era
molto chiacchiericcio e un po’ tutti voleva sedersi attorno al fuoco, e li
vedevi lì, agitarsi, fare capolino per vedere a che
punto era la sistemazione dei posti intorno alla legna da ardere.
Tirava
una leggera brezza, sapeva di mare, salsedine.
Si
passò la lingua sulle labbra, respirando a pieni polmoni quel sapore dolce
salato del mare, nella sua mente si fece strada insolentemente
un ricordo.
- Avanti Merlino, ti verrà la febbre
– soffiò ridendo al moro che era immerso nell’acqua. Uscendo felice dal mare lo
raggiunse sulla tovaglia – oh come borbotti sempre! – gli alitò sulle labbra
baciandolo un attimo dopo. Salato misto al dolce odore dei capelli di Merlino, profumava di mare e vaniglia quel bacio. La primavera
era già iniziata ed erano quasi a metà Maggio, ma per Artù fu in quel momento
che la Primavera arrivò, facendo sbocciare i fiori sui rinsecchiti rami degli
alberi. Era Merlino la sua primavera, era fresco e aveva la capacità di
sbocciare nelle sue mani a ogni contatto delle loro labbra o delle loro mani
che s’intrecciavano.
I
fuochi vennero accessi, e le persone occuparono i posti. Ogni fuoco era lontano
da un altro qualche metro, giusto per non disturbare le varie letture ed
evitare che le voci si sovrapponessero.
Merlino
aveva appena baciato Gwein quando si accorse che
qualcuno si era seduto e li aveva guardati.
Folgorato.
Era rimasto esattamente così quando vide due occhi azzurri perforarlo, sperava
di vederlo lì ma non si aspettava che sarebbe stato lui a dirigere per così
dire il loro falò.
Artù
iniziò declamando che la poesia è l’anima che vuol venire fuori, quando smossa
da inquietudini o amore cerca una strada per farsi ascoltare - …è una
creazione, non è solo un accostamento di parole, tutti possono fare poesia. – sorrise rivolgendo lo sguardo a Merlino, che pensava invece di
non essere adatto a scriverle e poi continuò – si può fare poesia con ogni
singolo elemento, e non importa se non ci sono rime, la poesia è un linguaggio
nostro, sconosciuto agli altri ma l’importante è trasmettere delle emozioni o
delle immagini – e ancora – ricordatevi che la poesia non sono le parole che
scrivete su un foglio, la poesia sei tu, e quando si fa poesia,
inevitabilmente, si ha una propria musa. – guardò Merlino.
Ormai
Merlino lo conosceva, sapeva che se quegli sguardi avessero avuto il dono della
parola, gli avrebbero detto se non ordinato di
spogliarsi lì, distendersi sulla nuda sabbia e farsi amare, ripetutamente per
tutta la notte.
Dopodiché
alcuni decantarono propri versi o poesie di qualcun altro, lo stesso Artù ne
decantò una e Merlino era certo che fosse sua, perché riguardava un loro
momento insieme – oh tu soave amore, tu
dalla lattea e nivea pelle mi declami tuo. Disteso sulla spuma del mare, la tua
casa, mi guardi sognante. Chino su di te, io cielo, non posso far altro che
affogare nelle tue labbra. Oh salato e dolce fu quel bacio, per me è lì che
nacque la Primavera. – s’inumidì le labbra. I ragazzi si complimentarono e
le ragazze sbavavano su di lui, qualcuno stava per leggere un’altra poesia
quando gli occhi si drizzarono su di lui, gli sembrò di rivivere quel giorno in
aula quando rispondendo alla domanda di Artù, tutti gli occhi guizzarono su di
lui e volle scomparire. Ma in quel momento non ebbe la
sensazione di volersi sotterrare bensì di cogliere una piccola speranza seppur
un piccolo e forse insignificante barlume di possibilità.
Forse
prese coraggio perché Gwein si era allontanato, un po’
annoiato, ma comunque si fece avanti – Pioggia
sei che scende dal cielo azzurro, ora annuvolato, ti poggiasti
su di me, io che sono solo un umile pellegrino, che viaggio per strade desolate
attendendo te. Mi bagnasti i capelli, ti trasformasti in vento per carezzarmi
il viso, diventasti fuoco per bruciarmi le carni e farmi ardere d’impetuoso
desiderio, fosti terra per darmi un morbido giaciglio. Dannato
sei e dannato mi hai reso, schiavo sono del tuo cuore malandrino. E dio
solo sa se non ho amato quella pioggia che mi dissetò, quel fuoco che calore mi
procurò, vento che respiro mi donò e su quella terra costruì la mia casa. –
sfiorò ogni singola parola, avrebbe voluto avere ancora una volta quelle labbra
e quel calore tutto per sé, sentiva il suo profumo e avrebbe voluto accostare
un po’ di più il naso nell’incavo del suo collo.
Stava
per finire quell’incontro, e Artù non aveva ancora risposto a quelle parole,
stava pensando se fosse o meno il caso di leggere ciò
che aveva scritto la sera in cui il ricordo del moro gli aveva fatto compagnia.
Lo
guardava, si guardavano. La distanza sembrava essersi ridotta,
doveva rischiare il tutto per tutto non era uno che si tirava indietro nelle
sfide e se c’era anche una minima probabilità di poterlo avere indietro,
certamente avrebbe fatto di tutto per tenerlo ancora tra le sue braccia.
Ma
mentre stava schiudendo le labbra, cominciò a piovere, tuoni riempivano l’aria
e il vociare delle persone si levò alto, mentre tutti si precipitavano a
ripararsi sotto delle tettoie non lontane.
Merlino
sotto la pioggia cercava Gwein
ma non lo trovò, corse sotto la pensilina ed estrasse il cellulare, un messaggio:
“
Mer, dovevo andare via, io..
so che è squallido così, ma non ho il coraggio per dirtelo di presenza, ma
credo di non voler stare più con te, non sei tu sono io. Perdonami, prendo le
mie cose da casa e vado via. ”
Sapeva
che sarebbe successo presto o tardi, ma non si aspettava di certo così, le cose
tra di loro andavano fin troppo bene, non che questo non fosse giusto ma non
era vero. Non avevano mai litigato, nessun pizzico di
gelosia, nessuna passione. Comunque c’era affetto e per quell’immaturità l’unica
cosa che rispose fu “ Stronzo ”. Poi posò il cellulare e restò seduto su una
panchina aspettando che scampasse un po’ la pioggia.
Dopo
una decina di minuti il telefono vibrò, un nuovo messaggio e lo aprì “ Solo?
” il destinatario era soltanto un numero. Aveva perso
tutti i numeri quando aveva cambiato telefono, alcuni era
riuscito a riprenderli come quello di Gwen o Lance,
ma quello di Artù non poté più riaverlo indietro. Si guardò un attimo in giro
ma non vide nessuno.
Prima
di poter rispondere arrivò un altro messaggio “ Indizio: come la prima volta
che ci siamo visti ” sorrise e voltò lievemente il viso dietro le sue spalle e
lo vide appoggiato al muro dietro di lui, poco più lontano. Allora
rispose “ Non hai niente di meglio da fare? ” si aspettava una risposta ma invece si
senti rabbrividire, e non perché il cellulare vibrò, ma perché sentì delle
labbra sfiorargli l’orecchio e una voce calda parlargli – Bè potrei avere qualcosa
di meglio da fare – ruotò il suo viso e lo baciò.
Merlino
si aggrappò a quei capelli, brividi lungo la schiena. Poi un tuono ruppe
violentemente il cielo facendolo sobbalzare e rise imbarazzato. Artù lo guardò
dolcemente – Vieni con me, casa mia non è distante. – Merlino lo seguì
prendendo inconsciamente la mano dell’altro, quasi come fosse qualcosa di
naturale, quasi come se le loro mani, come due calamite, si fossero
riconosciute e attirate.
Arrivarono
in dieci minuti, Artù aprì la porta, si levò le scarpe
e la felpa bagnata e disse di fare la
stessa cosa a Merlino.
-
Vuoi qualcosa? – domandò il biondo con la testa immersa nel frigorifero, l’altro
di tutta risposta lo tirò a sé chiudendo l’anta, e gli soffiò sulle labbra –
Sì, voglio te. – e lo baciò. L’altro rispose al bacio, sorpreso per quella
presa di posizione e consapevole che Merlino oltre a fargli perdere del tutto
la bussola, era capace di sorprenderlo. L’aveva lasciato fanciullo
e ora si ritrovava ad amare un uomo. Per lui era una continua scoperta quel
ragazzo, non sapevi mai cosa doverti aspettare, alle volte poteva essere un
docile gatto ma sapeva diventare anche un feroce predatore. Un pesciolino che
nuota tranquillo o uno squalo se qualcuno invadeva il suo territorio.
Si
svegliò nel cuore della notte con il corpo di Artù premuto contro il suo, lo
guardò mentre dormiva beato.
Guardò
il telefono le tre del mattino, poi nuovo messaggio:
Avrei voluto dedicartela al falò, ma
non importa.
Vivido percorre la mia mente
il ricordo tuo.
Eri la musica della primavera in fiore,
la
tua bocca pesca matura e succosa,
le
tue iridi rugiada del mattino,
le
tue curve come quelle di una montagna imponente, longilinee e sagomate lievemente.
Oh cielo, che le stelle mi brucino per il
pensier mio
che
mi sovvenne pensando alla tua pelle.
Morbida e candida pelle, mela fresca e
vellutata.
Eri un fremere d’emozioni, tu, mio giovane
Amico, amante.
T’accendevi
come il fuoco, quando la mia mano
Ti si posava leggiadra sul viso, e le mie
labbra ladre
depredavano
le tue.
Il tuo cuore era un cavallo in corsa per la
libertà,
nella
notte più buia,
scalpitava
quando mi spingevo nel tuo corpo,
ed
ecco che all’apice del tuo piacere, divenivi
falò
d’inverno ed estate.
Mentre mi saziavo della tua carne, come
fossi padrone del tuo cuore.
E tu, mio solo mio, t’inebriavi del
nostro amore, della mia carne calda
Dei miei occhi colmi di lussuria.
Ora tu lontano da me,
io
distante da te, eppur si muove l’animo mio
al
sol pensier tuo.
E nessuno, amante caro, giuro
Riuscì mai a pervadermi e scuotermi le
viscere.
Oh
amore, amore mio, mio sei e mio resterai.
Sorrise. Posò il telefono e si riaddormentò tra
quelle braccia, che lo strinsero a sé.
Pensò che lì in quello spazio, che va dal collo
alle braccia di Artù, ecco quello era il suo posto. Era casa, era amore.