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Autore: musa07    16/01/2015    2 recensioni
" Dino ci aveva proprio preso gusto ad insegnare. Ecco perché aveva accettato l’incarico fino a fine anno scolastico. E questo voleva dire che sarebbe partito in gita con la classe della quale era responsabile. Alias quella di Tsuna e company. Non stava più nella pelle!
- Che bello. In gita! – stava proferendo felice per l’ennesima volta da quando si era svegliato quella mattina ed era stato malamente scaricato da Kyoya a casa Sawada, dato che il Disciplinare non era più in grado di reggere i suoi farneticamenti ..." (dal cap.1)
Ciaossu^^ Dopo l'angst, dopo la 3Some PWP, approdo nuovamente al mio habitat naturale: lo slice of life soooooo romantic, oh yes!
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Dino Cavallone, Enma Kozato, Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E niente. Sti due son stati il mio primo amore di KHR … e sono uno dei miei amori tuttora …
ci sarà un perché …
 
Nota tecnica: sul finire del capitolo, ci sarà una cosa che, se non morirete seduta stante dalla pucciosità, farà dire alla vostra parte razionale: “Ma non è possibile!” (E non mi sto riferendo ad Hibari che parla ^//^)
Ebbene, essendo questa un’opera di fantasia, ceeeerto che è possibile.
E godetevela come me la sono goduta io a scriverla.
Ah, quasi dimenticavo! Mi cospargo il capo di cenere anche stavolta e grazie a Tutti per aver pazientemente aspettato <3
 
 
 
“Le persone che aspettano che tutte le condizioni siano perfette prima di agire, non agiscono mai”
 
 


CAPITOLO 5
 

Gli sembrava che l’aria che gli arrivava ai polmoni glieli avrebbe squarciati. Perché era difficile respirare in quel momento. Perché i polmoni non erano l’unica parte del corpo che gli sembrava si stesse lacerando.
Non pensava che potesse essere quella la sensazione prevalente all’inizio. Ok, lo sospettava, se lo immaginava, ma provarla sulla sua pelle era tutta un’altra cosa. E dire che Hayato ci stava mettendo tutta la delicatezza possibile. Anche se all’inizio si era opposto con tutte le forze, anche se quando alla fine Takeshi l’aveva convinto, Gokudera l’aveva pregato in ogni modo e maniera di aiutarlo, era un irruento di natura e nella pura angoscia di potergli far male, si irrigidiva sempre di più e la cosa non era proprio per niente di aiuto. Né a lui. Né tantomeno a Takeshi che, per la prima volta sotto, tentava di rassicurare il suo adorato amore in ogni modo e maniera. Che stava andando tutto bene. Che non gli stava facendo male. Oddio: che non gli stava facendo così tanto male.
 
Quando, seguendo il suggerimento di Tsuna, Takeshi l’aveva preso dolcemente per una mano, dicendogli che dovevano parlare, era stata come la cosa più naturale del mondo finire nella loro stanza, seduti sul letto, a gambe incrociate, uno di fronte all’altro.
Takeshi, come sempre, gli aveva parlato con il cuore in mano. Non nascondendo nulla, anche se si vergognava come un ladro a dovergli raccontare del suo essere geloso di Tsuna. Hayato aveva sgranato gli occhi turchesi sbigottito. “E ‘sta fissa da dove cazzo gli salta fuori?” aveva pensato il Guardiano della Tempesta, cercando nella memoria suoi atteggiamenti o comportamenti che avessero potuto indurre l’altro a formulare dentro di sé una paranoia del genere, ma non trovandovi – ovviamente – nulla.
- Perché non me ne hai mai parlato prima, idiota fissato del baseball? – lo aveva ammonito seccamente, alche lo spadaccino aveva sospirato mestamente.
- Perché a livello razionale sapevo che non aveva ragion d’essere, ma dentro di me … dentro di me … - aveva biascicato, scivolando lentamente verso di lui, costringendolo a sciogliere le gambe per farlo scivolare sopra di lui e abbracciarlo. Takeshi aveva sentito le guance andare a fuoco e l’unica cosa che aveva potuto fare era stato stringerlo ancora di più a sé. Con il semplice terrore di perderlo. Anche al solo pensiero si sentiva morire.
Hayato era rimasto basito, ma poi quando l’aveva sentito infossare il volto sull’incavo del collo, strofinando la punta del naso su quella porzione di pelle nuda, scoperta dalla camicia, aveva sospirato. Cominciando a capire molte cose. E allora lo aveva stretto a sé. Le sue dita si erano appoggiate sulla schiena dell’altro, scivolando lentamente, percorrendo ogni singolo centimetro, a fargli capire che lui c’era. E che ci sarebbe stato. Semplicemente per sempre.
- E quando ieri sera mi ha visto discutere con Kozato … - aveva tentato di aiutarlo, strofinandogli a sua volta la punta del naso contro, per convincerlo a sollevare il volto verso il suo, prendendogli il viso tra le mani e scrutandogli dentro con quel turchese pazzesco che Takeshi semplicemente adorava.
- Scusami Hayato, scusami. Son un completo idiota. – non aveva potuto far altro che ripetere lo spadaccino, terribilmente mortificato, mentre si mordicchiava il labbro inferiore, continuando a vergognarsi per quella gelosia che lui considerava meschina. Hayato l’aveva fissato dolcemente, non permettendogli tuttavia di sottrarsi al suo sguardo.
- E quando mi hai visto discutere con Kozato … - aveva insistito, riuscendo finalmente a farlo sorridere. Glielo diceva sempre, Takeshi, che era un puntiglioso. Ma Hayato voleva che Takeshi desse finalmente voce a quella sua assurda paura.
- E quando ti ho visto parlare con Enma, pensavo steste discutendo di Tsuna. Eravate così seri … - si era sfogato alla fine, gonfiando le guance in un adorabile sbuffo che aveva fatto sorridere l’altro teneramente, tanto che gli aveva appoggiato delicatamente le labbra sulle sue. In una carezza.
- Eri convinto fossi geloso di Kozato? Perché mi aveva portato via il Juudaime? – aveva concluso per lui, ma senza nessun tono di rimprovero o di biasimo, ma anzi: con l’espressione più dolce che Takeshi gli avesse mai visto in volto.
- Hm-hm … - aveva assentito con il capo, sospirando e sorridendo di se stesso e del suo illogico timore. – E … e … -
- … e: sei un inguaribile idiota. - Hayato aveva ridacchiato, non permettendogli di dire altro, stringendolo di nuovo a sé, facendogli appoggiare la testa sul suo collo, per poi sospirare un: il mio idiota, che gli aveva fatto guadagnare il rafforzarsi della stretta di Takeshi. Entrambi avevano respirato il confortante profumo l’uno dell’altro.
- Ti pare che mi sarei messo con te se fossi innamorato di un altro? – lo aveva poi di nuovo rimproverato dolcemente. Non era lui quello bravo a rassicurare con le parole e la dolcezza, ma molto probabilmente in quei mesi che stavano insieme qualcosa di buono da Takeshi l’aveva preso. Una delle sue tante innumerevoli qualità – Ma soprattutto: non senti che ti amo, e che sei l’unico per me? – gli aveva chiesto, sospirando lievemente, costringendolo a riportare nuovamente l’attenzione ai suoi occhi.
- Gomen … - si era scusato nuovamente Takeshi. Si sentiva un verme e, di nuovo, Hayato gli aveva sorriso dolcemente, accarezzandogli serenamente una guancia – Sono stato uno stupido. È che il terrore cieco di perderti ha permesso a questo tarlo di crescere dentro di me. –
- Baaaka! –
Ed erano scoppiati a ridere, soffocando la risata l’uno sul collo dell’altro, riabbracciandosi nuovamente. Mai come in quel momento, avevano sentito così forte la necessità di tenersi stretti. Di sentire il calore dentro l’anima che il contatto con il corpo dell’altro gli dava.
- Takeshi, però la prossima volta, parlamene prima … per favore … -
Un mormorio che si era perso nel silenzio, mentre lo spadaccino assentiva con il mento appoggiato sulla sua spalla e la punta di quelle dita che sapevano essere fatali con la sua katana ma sempre delicate e premurose su di lui, avevano iniziato a percorrere ogni singola cesellatura della sua schiena.
E allora l’urgenza di essere l’uno parte dell’altro si era fatta presente. Una necessità. Quella di appartenersi. Era la cosa più naturale del mondo. Anche la loro prima volta era avvenuta nella maniera più naturale e spontanea, senza nessuna premeditazione. Un attimo prima erano vestiti, cercando, o meglio: facendo finta di studiare, mentre quelle mani timorose si muovevano e cercavano il corpo dell’altro. Casualmente. Per sbaglio. Un attimo prima vestiti, seduti per terra, l’attimo dopo sul letto di Takeshi, mentre timidamente ma senza vergogna alcuna, quelle mani si erano spinte un ulteriore passo oltre a quelle che erano state le pellegrinazioni delle ultime settimane.
Ed ora … ed ora, era come se fosse una nuova prima volta per loro due.
Nel momento in cui erano sgattaiolati sotto le coperte e Hayato l’aveva fatto scivolare sopra di sé mentre lo aiutava freneticamente a sfilarsi la maglia, continuando a mordicchiargli le labbra, Takeshi si era bloccato di colpo. L’aveva fissato interrogativo, Hayato. Ad interpellarlo con lo sguardo. A domandargli del perché si fosse fermato all’improvviso. E Takeshi aveva spiegato.
- N-non ci sono andato leggero ieri sera … - aveva bisbigliato, contrito e lui avevo scosso la testa, a dirgli che era tutto a posto, cercando di attirarlo nuovamente a sé, strusciandogli il ginocchio sulla sua erezione, già tesa allo spasmo.
- No, Hayato, aspetta. – l’aveva fermato di nuovo, bloccandolo delicatamente per i polsi – Non vorrei ti facesse male … -
Il decimo Guardiano della Tempesta aveva sorriso teneramente, scuotendo di nuovo la testa e cercando nuovamente le sue labbra. Ne aveva un’urgenza pressante. Ma Takeshi, di nuovo, era stato irremovibile. Si era messo seduto e nonostante Hayato gli avesse miagolato un ma io ti voglio. Ho bisogno di fare l’amore con te adesso, era stato irremovibile. Il ragazzo dagli occhi turchesi aveva sospirato leggermente, scostandosi la solita ciocca ribelle e si era messo seduto a sua volta. Attendendo. Ma mai si sarebbe aspettato quanto l’altro gli stava per dire.
- Hayato? – l’aveva richiamato solenne.
- Hum? – si era limitato a replicare lui, un po’ seccato in verità. E Takeshi aveva sganciato la bomba.
- E se per questa volta provassimo a scambiarci? – gli aveva proposto mentre le guance gli andavano adorabilmente a fuoco. Lì per lì, Hayato non aveva afferrato subito.
- Scambiarci? – aveva ripetuto, accigliato, per poi capire. Aveva boccheggiato – No. No. No. – si era affrettato a replicare, portando le mani davanti.
- Perché no? – lo aveva incalzato dolcemente lo spadaccino, prendendolo di nuovo per un polso, attirandolo a sé. E Hayato era andato nel panico più totale.
- Perché non ne sarei capace. Avrei paura di farti male e … e  … - “ E mille e più motivi” aveva protestato la sua mente.
- Amore, guardami. – gli aveva ordinato e lui, docilmente, aveva obbedito – Questa non è una prova, nessuno è qui per giudicarti. E poi … e poi è da un po’ che volevo proportelo. – aveva confessato timidamente, ridacchiando in imbarazzo.
- Perché? – gli aveva chiesto, sempre più confuso. Andava sempre nel panico quando temeva di deludere chi aveva di più caro al mondo – Non ti piace più? –
- No, no Hayato. Ma cosa vai a pensare? – l’aveva rassicurato, donandogli uno dei suoi piccoli baci preziosi – No amore, no. Certo che mi piace. E non potrebbe essere altrimenti. Fare l’amore con te, mi permette di toccare il cielo con un dito. Letteralmente. – aveva continuato a rassicurarlo, cullandolo tra le braccia, dove Hayato aveva cercato rifugio, non ancora del tutto rasserenato tuttavia.
- E allora perché Takeshi? – aveva insistito.
Lo spadaccino aveva sospirato dolcemente.
- Perché voglio provare quello che provi tu. Perché voglio darti con tutto me stesso. Può bastare come risposta? – aveva sussurrato, disseminando una piccola scia di baci sul suo volto, con quel suo sorriso che era sempre e comunque un attentato per il cuore di Hayato. E allora questi aveva sollevato il volto verso di lui, guardandolo dal basso, come faceva sempre quando si sentiva adorabilmente in imbarazzo.
- Ma se non vuoi, amore, non importa. – lo aveva rassicurato lo spadaccino.
- Sì, che voglio … anch’io voglio  darti tutto me stesso … - aveva replicato lui, biascicando.
E quanto adorava Takeshi! Quanto adorava quel lato così spudoratamente tsundere di Hayato.
- Solo … solo devi aiutarmi … - lo aveva pregato, fissandolo con i suoi occhi turchesi.
E Takeshi aveva sorriso dolcemente, stringendolo a sé per l’ennesima volta. A rassicurarlo per l’ennesima volta. E Hayato si era affidato a Takeshi. E Takeshi ad Hayato.
 
- Hayato, ehi? – lo richiamò, vedendo quanto teso fosse. Lo sentiva anche chiaramente. Fisicamente. Era strano averlo dentro di sé e non il contrario com’era sempre stato.
L’altro aveva portato la sua attenzione su di lui.
- Va tutto bene Amore. Lasciati guidare dall’istinto … -
- Sei … sei stretto … -
- Dimmi quello che provi … - lo pregò dolcemente e l’altro sgranò gli occhi, continuando a far leva sulle braccia, sopra di lui, temendo che con quale movimento brusco, potesse entrargli dentro troppo in fretta e di colpo. Oltretutto, e non ultime, erano strane – oltre che nuove – le sensazioni fisiche che stava provando.
- È strano … - biascicò, mentre Takeshi gli andò incontro, ondeggiando appena il bacino verso il suo, facendolo sussultare.
Cioè, è fantastico … avrebbe dovuto dirgli. Era una sensazione che gli stava dando a dir poco le vertigini. Non avrebbe mai potuto immaginare potesse essere così intenso. Lo era anche accoglierlo dentro di sé, perché lo amava alla follia e quindi, grazie a questi sentimenti, le sensazioni si amplificavano, ma essergli dentro un po’ alla volta, era qualcosa che gli stava mozzando il fiato.
- Anche per me è strano, ma bello … - gli sussurrò, portandogli una ciocca di capelli dietro l’orecchio e asciugandogli la piccola goccia di sudore che gli stava imperlando la guancia. Come al solito, Takeshi era almeno dieci passi avanti a lui in merito all’esprimere ciò che provava.
- È bello anche per me … - gli confessò, sorridendo dolcemente, con quel piccolo sorriso timido che riusciva a modellare solo per lui.
Ti amo …
 
 
 
- Che abbiano fatto pace? – chiese Enma dubbioso, sentendosi – a torto – in qualche maniera in colpa mentre si trovavano giù nella hall dell'albergo a chiacchierare. E il suo Cielo l’avrebbe rassicurato.
- Sì, credo proprio di sì. – gli rispose Tsuna, sorridendogli. E Dino rinforzò quanto detto dal suo fratellino, battendogli un’incoraggiante pacca sulla spalla.
- Quei due non riuscirebbero a stare distanti l’uno dall’altro neanche se volessero. Gravitano l’uno intorno all’altro. – proferì il biondo, incredibilmente serio.
 
 
 
Cozzato era andato in avanscoperta.
A controllare che la strada fosse libera.
Si erano liberati di quel gruppetto che li aveva scoperti senza che questi avessero neanche il tempo di capire che cosa stesse succedendo.
Stava velocemente e silenziosamente ritornando indietro per dare il via libera quando, trovandosi su un’altura rispetto agli altri, vide che gli altri tre avevano subito un nuovo attacco.
Si bloccò di colpo. Approfittando sia dell’oscurità – ora che la luna era velata – sia delle fronde degli alberi, avrebbe sfruttato l’elemento sorpresa per aiutare i suoi amici.
Stava per accucciarsi, quando il sangue gli si gelò nelle vene …
 
 
Ovviamente Giotto, anche se G. si trovava alle sue spalle, se ne accorse subito.
Si voltò con un istinto animale e rimase pietrificato.
L’unico rumore che sentì in quel momento era il suo respiro che si mozzava in gola. E il fischiare insistente e maligno del vento. Da allora, e per sempre, avrebbe associato il mugghiare feroce del vento a quel momento per lui agghiacciante.
“Dio no, ti prego! Non portarmelo via, ti prego!” questa preghiera gli rimbombò con potenza dentro la testa quando vide che il suo compagno si trovava con una pistola puntata alla schiena.
Portò gli occhi dorati sui suoi, in apnea, dopo che aveva intimato ad Alaude di fermarsi, per evitare qualsiasi rappresaglia nei confronti dell’arciere.
I due si fissarono negli occhi, immobili, con G. – più che preoccupato per la sua incolumità - furente per essersi fatto cogliere alla sprovvista come mai era successo, nel momento in cui aveva evitato a Giotto un attacco alle spalle da parte nemica.
 
 
Cozzato attirò l’attenzione dell’amico verso di sé e quando i loro sguardi si incrociarono, il primo Boss Simon gli fece cenno che al suo “tre” avrebbe agito.
G. assentì in maniera impercettibile gli occhi.
In maniera così impercettibile che solo Giotto fu in grado di cogliere e capì che Cozzato era alle loro spalle.
E Cozzato iniziò a contare …
 
Giotto accorse immediatamente verso il suo compagno. Seguito a ruota da Cozzato e Alaude. Anche se di striscio, grazie all’intervento del Primo Boss Simon, G. era stato in ogni caso ferito.
Stoicamente, com’era nel suo carattere, il Guardiano strinse i denti.
“Fa un male boia!” imprecò dentro di sé.
- G.!–
Il Primo, angosciato, gli prese una mano tra le sue, mentre – aiutato da Cozzato – lo spostavano delicatamente per verificare l’entità del danno.
A vedere tutto quel sangue fuoriuscire dalla ferita sulla spalla, il biondo si sentì morire.
- Ehi! – lo richiamò l’arciere, che aveva iniziato a sudare freddo a causa del colpo – Io sono come l’erba cattiva. – si schernì, ricambiando la stretta della mano e riuscendo a strappare un debole sorriso al suo innamorato, per poi trovarsi costretto a boccheggiare nel momento in cui una nuova fitta lo squarciò da capo a piedi.
- Stai bene? – gli chiese Alaude.
- Come cazzo vuoi che stia con una pallottola ficcata nella spalla? – sbraitò. Per una volta tanto non avrebbe voluto essere scortese con il Guardiano della Nuvola, ma il dolore lo stava lacerando.
Era insopportabile. Non pensava che un corpo potesse sopportare tutto quel dolore fisico in una volta sola.
- Hn. Vedi Primo, sta benissimo direi. – sibilò il biondo, con un ghigno quasi divertito.
- Vaffanculo Alaude! –
E fu l’ultima cosa che riuscì a dire prima che davanti agli occhi calasse la nebbia.
 
 
- Scusami Giotto. Tutto questo è successo a causa mia. – proferì per l’ennesima volta Cozzato, affranto e in pena per l’amico, mentre si trovavano seduti sul piccolo divano fuori da una delle stanze dell’ambulatorio del loro amico medico Paolo.
Il biondo, seduto al suo fianco, sollevò il volto pallido a sorridergli mentre gli poggiava una mano sulla sua ad indicargli che lui non aveva nessuna colpa, né tantomeno che gli portava nessun tipo di rancore, giusto nel momento in cui la porta si aprì e l’anziano medico uscì.
I due, alzandosi, diressero l’attenzione dei loro sguardi sul volto dell’uomo, che stava indubbiamente sorridendo. Solo allora si permisero di tornare a respirare, prima di voltarsi l’uno verso l’altro e abbracciarsi forte, a sciogliere la paura che li aveva attanagliati per innumerevoli minuti.
- Adesso sta dormendo, ma potete entrare. – li invitò sorridente, scostandosi di lato per farli passare.
 
 
Che sofferenza indicibile gli procurò vedere quel volto così amato esangue.
Il rosso dei capelli spiccava ancora di più.
Lentamente, Giotto fece scivolare la punta delle dita in una leggera carezza e un brivido lo percosse.
Il viso di G. era bollente.
Si volse verso Paolo, interrogativo.
- Ha un po’ di febbre. Giotto, è normale non temere. Ha perso un po’ di sangue, ma non così tanto. L’emorragia si è fermata relativamente presto. La pallottola non era andata in profondità, si è schivato per tempo.
Lo sai che il tuo amico è come l’erba cattiva.
Non muore mai. –
Incredibilmente, il medico aveva usato la stessa metafora.
Giotto sorrise, con l’ennesimo sospiro di sollievo, ringraziando con gli occhi il medico.
- Paolo, G. è più che il mio miglior amico. – ci tenne a precisare con un piccolo sorriso timido.
- Lo so. – rispose l’anziano medico, strizzandogli l’occhio – Vi conosco fin da quando eravate piccoli.-
Cozzato si permise a sua volta un piccolo sorriso. La gente voleva così bene a quei due che era sempre andata oltre ogni pregiudizio e preconcetto dell’epoca.
Dopo che la moglie di Paolo, che fungeva anche da infermiera, ebbe recuperato delle coperte di fortuna, Giotto e Cozzato si accomodarono sulle poltrone, mentre il medico li rassicurò sul fatto che sarebbe andato ogni paio d’ore a controllare le condizioni del ferito.
 
 
Era praticamente impossibile per loro due prendere sonno. Adesso che sapevo G. fuori pericolo, i due amici, a bassa voce per non disturbalo, iniziarono a parlare.
Giotto era a dir poco interdetto dal fatto che qualcuno stesse pianificando un attentato contro il Sindaco Giordano. La cosa che lo lasciava ulteriormente scosso era che ciò si stesse ordendo perché l’uomo appoggiava il loro operato.
Sospirò, Giotto, affranto.
– Lo sapevamo che non tutti sarebbero stati d’accordo con ciò che avremmo fatto … - iniziò a parlare, intrecciando le mani sotto il mento, dopo aver lanciato l’ennesima occhiata a G. a volersi assicurare stesse ancora respirando – Il fatto che avremmo aiutato e difeso chi si trovava vittima di rappresaglie, non sarebbe stato accolto con favore da tutti… -
E Cozzato studiò attentamente i suoi lineamenti.
- Giotto? – lo richiamò. Doveva parlare. Doveva dirglielo. Giotto alle volte, con la sua cieca fiducia nella bontà e nella sincerità di chi gli stava a fianco, non vedeva il male oltre il suo naso.
- Hum? –
- Se ultimamente c’è aria di tempesta, non è per qualcosa che facciamo, ma per ciò che non facciamo … - gli disse in un mormorio.
Il biondo lo fissò per poi abbassare gli occhi dorati.
- Lo so. – mormorò a sua volta, stringendo ora le mani fino a rendere le nocche bianche, indurendo lo sguardo – Noi seguiamo sempre la via del dialogo e della pace, non siamo guerrafondai … ma c’è chi vorrebbe che aumentassimo la nostra potenza militare … - le parole si spensero in un mormorio sofferto, prima che il Primo riportasse lo sguardo dorato verso l’amico, e Cozzato sorrise a vedere la risolutezza nel suo volto.
- Ma io non permetterò che i Vongola spargano sangue o creino una dittatura. Noi siamo nati per difendere i più deboli, non per terrorizzarli. Non perché la gente ci tema … -
Ci fu un momento di silenzio prima che il rosso riprendesse a parlare.
- Guardati alle spalle Giotto. – lo pregò Cozzato, forse avendo già intuito come sarebbe andata a finire. E nello sguardo del suo miglior amico, si riflessero i suoi stessi presentimenti.
Cozzato in quel momento non poteva sapere quanto le cose sarebbero precipitate velocemente, quello che sapeva era che avrebbe fatto di tutto per proteggerli.
- Lo farò … lo farò … - mormorò Giotto, perdendo lo sguardo davanti a sé.
Il tradimento di Daemon era alle porte ... Ma per il momento, per loro ci sarebbero stati ancora attimi di gioia e serenità da passare insieme.
A cominciare da quel preciso istante.
G. si era finalmente risvegliato.
 
 
 
 
QUALCHE SETTIMANA PIU’ TARDI 
 
- Dove sei stato questo pomeriggio? – gli chiese Hayato, mentre si metteva di fronte a lui, sedendosi per terra e infilando le gambe sotto il confortevole calore del kotatsu*. Non era una domanda accusatoria, ma semplice curiosità, nel momento in cui Takeshi era arrivato a casa sua trafelato.
Lo spadaccino si era seduto a sua volta, prendendogli dalle mani la tazza di liquido fumante che l’altro gli stava porgendo e se n’è uscì nella maniera più innocente possibile con un: - Ah, niente: ho accompagnato Enma in farmacia a prendere i preservativi e il lubrificante; poi decideranno loro con che cosa si trovano meglio. –
Per poco Hayato non morì soffocato! Il tè gli andò letteralmente di traverso, tanto che per evitare di morire sul serio soffocato, si vide costretto a sputare il liquido fuori. In viso a Takeshi.
- CHE????!!! – sbraitò, tra un colpo di tosse e l’altro, con gli occhi fuori dalle orbite, mentre l’altro tentava di asciugarsi in qualche maniera, mantenendo come al solito la sua solita seraficità, non capendo perché il suo adorato stesse sbraitando più del solito.
- Beh … - tentò di intromettersi nella conversazione – E’ normale che presta o tardi succeda … -
- No, io non le voglio neanche sentir ‘ste cose! – strepitò, portandosi le mani sulle orecchie per tapparsele, sotto lo sguardo di Takeshi – Il Juudaime è asessuato per me. Lui non fa sesso … non fa sesso … il Juudaime non fa sesso … - continuò a salmodiare, sempre tappandosi le orecchie e beccandosi un’occhiataccia di biasimo da parte dello spadaccino, che continuò a bere tranquillamente il tè scuotendo la testa con un sospiro.
- Infatti Hayato, Tsuna non fa sesso, ma fa l’amore con il suo ragaz … - ma venne nuovamente interrotto brutalmente dall’altro, che non gli permise di continuare a dir altro.
- Ahh. Io non voglio sentire … - squittì – Quindi vuol dire che in questo momento lo stanno facendo? –  sospirò sconsolato e di nuovo si guadagnò un’occhiata laconica da parte di Takeshi.
- Poi Hayato, chiedimi perché mi vengono le paranoie … - lo rimproverò sardonico e a quelle parole l’altro si grattò imbarazzato la punta del naso, per poi scoppiare in una piccola risatina gutturale.
- Ma è stato Kozato a chiederti di accompagnarlo? – chiese seriamente incuriosito. Enma gli pareva il riserbo fatto a persona. Così impacciatamente timido, proprio come il suo Juudaime.
- Ma scherzi! Povero, era così in imbarazzo che l’ho dovuto cogliere di sorpresa e trascinarlo a forza dentro la farmacia quando abbiamo girato l’angolo. – ricordò e ad Hayato venne un brivido di solidarietà nei confronti del povero Boss Simon. Si vergognava sempre come un ladro anche lui quando gli capitava quell’ingrato compito.
- È stato Dino ad accorgersi che Enma stava disperatamente tentando di lanciare segnali di fumo in questi giorni perché qualcuno corresse in suo soccorso. – proseguì Takeshi, ricordando il momento in cui, il giorno prima, il giovane Boss italiano gli si fosse avvicinato quando si trovavano in corridoio di scuola da soli e lo avesse pregato di andar a parlare con Enma.
 
- Credo abbia un disperato bisogno di confrontarsi con qualcuno, ma con me sarebbe troppo imbarazzante. – gli aveva detto il biondo, sorridendo dolcemente e lui aveva inarcato un sopraciglio perplesso.
- Troppo imbarazzante per parlarne con te  … - aveva ripetuto confuso, per poi illuminarsi – Ahhhh! Ok, ok. –
E Takeshi l’impavido era corso in aiuto di Enma. Andando diretto al punto ed Enma aveva preso letteralmente fuoco, diventando un tutt’uno con i suoi capelli. Boccheggiando, aveva iniziato ad armeggiare nervosamente con il nodo della cravatta della divisa scolastica, allentandoselo per cercar di nuovo aria.
 
- Oh Signore, idiota del baseball: gliel’hai chiesto senza alcun giro di parole? – lo rimproverò Hayato, portandosi due dite a stringere la radice del naso e sentendosi in modalità solidarietà massima con Kozato per la lapidaria schiettezza del suo compagno.
- Ma scusa: era inutile girarci tanto intorno. – scoppiò a ridere Takeshi, leggermente imbarazzato in verità, rendendosi conto solo in quell’istante che forse avrebbe dovuto essere un po’ più delicato invece che chiedere ad Enma se lui e Tsuna l’avevano già fatto o meno e che, se voleva, poteva chiedergli qualsiasi cosa. Non con tutti, andar diretti al punto era una buona strategia. Per fortuna lui, con la sua innata seraficità, era riuscito a mettere a suo agio Enma in un attimo.
- Hum … in effetti Dino con me quella volta era stato più delicato … - biascicò pensieroso, e aveva bisbigliato quasi tra sé e sé, ma l’altro l’aveva udito perfettamente.
- Che cosa hai detto?! – sbraitò di nuovo Hayato, sentendo per la seconda volta in poco tempo, la pressione salirgli alle stelle  - Hai parlato della nostra vita sessuale con quell’idiota del Cavallo Pazzo?! –
E Takeshi si trovò costretto a difendersi dalla morsa assassina con il quale l’altro lo stava strattonando per il collo della camicia.
- Hayato, scusa ma … prima di farlo, non sapevo neanche da parte girarmi. Avevo un disperato bisogno di incoraggiamento … -
Ma a nulla valsero le sue argomentazioni, perché Hayato stringeva sempre di più la sua morsa.
- E tra tutti, proprio dal Bronco?! – gli sbraitò ulteriormente contro.
- Ma scusa, da chi andavo: da Hibari? –
L’ipotesi agghiacciante parve sbollire l’ira funesta del Guardiano della Tempesta che masticò tra i denti le imprecazioni, per poi risedersi a terra, incrociando le braccia al petto e sbuffando rumorosamente.
- Tch! Perché Kozato non è venuto da me? – bofonchiò offeso e l’occhiata divertita che gli lanciò Takeshi, valse più di mille parole. Primo, lui sarebbe entrato in modalità professorino, secondo, Enma, ovviamente a disagio con lui, non sarebbe stato in grado neanche di spiaccicar parola. Già Takeshi aveva dovuto cavargli dubbi, perplessità, domande con la pinza praticamente.
- Tch! – ripeté, sbuffando nuovamente e lo spadaccino sorrise dolcemente, prima di gattonare verso di lui e, al solito, farlo scivolare sopra di sé a cavalcioni.
- Comunque in farmacia ho preso qualcosa di interessante anche per noi due … - gli sussurrò maliardo, soffiandogli sul collo mentre iniziava a mordicchiarne con delicatezza la pelle calda.
- Dobbiamo andare a cena dal Juudaime … - gli ricordò Hayato, non tentando tuttavia in nessuna maniera di sottrarsi alle sue attenzioni.
- Hm-hm … sono solo le cinque e mezza … - fu la replica, mentre i denti avevano lasciato posto alla punta della lingua e Hayato ridacchiò, sollevandosi da lui e porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. E una volta che anche Takeshi fu in piedi, lo condusse verso la camera da letto …
 
 
Enma aveva sempre invidiato a Takeshi la sua intrepida impavidità, nonché avventatezza, ma quando l’aveva colto di sorpresa mentre giravano l’angolo della strada e l’aveva preso sottobraccio scaraventandolo oltre la porta a vetri della farmacia, aveva pregato che una voragine gli si aprisse sotto i piedi. Si era infossato dentro la sciarpa, come se la sua zazzera infuocata potesse passar inosservata poi! Aveva volto gli occhi al Cielo, quasi a voler chiedere aiuto al suo amato predecessore, pregando che Yamamoto si sbrigasse a recuperare quella miseria di scatola e andar di filata alla cassa. Ma l’altro si era messo a studiare attentamente ogni minimo dettaglio di ogni maledetta confezione.
Gli era veramente grato per averlo accompagnato, di cuore! Ma in quei momenti, che gli erano parsi a dir poco infiniti, si era sentito sulla graticola come mai prima di allora. E dire che di momenti aberranti ne aveva passati nella sua giovane vita! Era rimasto in apnea fino a quando Takeshi non si era voltato verso di lui, sorridendogli in quella sua maniera che sapeva di affetto, di amicizia.
- Grazie … - gli aveva sussurrato Enma, cercando di infondere in quell’unica parola tutta la sua sincera gratitudine.
Ed ora eccolo a casa, con il sacchetto con l’insegna della farmacia in mano, dopo che l’aveva tirato fuori dallo zaino di scuola. Non aveva neanche il coraggio di tirarne fuori il contenuto. Si sentiva così in imbarazzo! Ed era così immerso nel suo imbarazzo, mentre tentava di farsi coraggio, che quando suonò il campanello, dallo spavento fece volare pacchetto e suo contenuto.
°° Enma? °° la voce di Tsuna, al di là della porta. Era passato a prenderlo prima di andare a cena a casa sua dopo aver recuperato gli ultimi ingredienti che occorrevano a Nana.
- Oddio! – esclamò in panico, quasi fosse stato colto in flagranza di reato, mentre si precipitava a raccattare le confezioni. Con Tsuna non aveva proferito parola in merito al fatto che il loro amico l’aveva accompagnato in quella spedizione punitiva. Semplicemente voleva esser, o almeno cercar di esser pronto quando sarebbe successo. Non aveva fretta.
“ Sì, cioè: mi piacerebbe … ma…” perfino il solo pensarci lo faceva avvampare.
- A-arrivo … - biascicò, rifficando tutto nel sacchetto e imbucandolo da prima dentro la credenza, ma poi si ricordò che molte volte Adel veniva a casa sua a cucinare e dovette portarsi una mano sul cuore ad immaginarsi l’amica trovarsi quelle due confezioni dal contenuto inequivocabile.
Rabbrividì al pensiero dello sguardo accigliato della ragazza con preservativi in una mano e lubrificante nell’altra.
- Arrivo Tsuna! – urlò in direzione della porta, mentre si guardava in giro, cercando un luogo sicuro. Abbastanza sicuro anche dalle possibili incursioni di Julie a casa sua.
- Oddio! – mormorò impanicato. Non avrebbe retto alle prese in giro da lì all’eternità dell’amico.
°° Enma? °° aveva bisbigliato Tsuna impensierito, mentre stava per bussare alla porta con circospezione. Al quel punto, il decimo boss Simon aveva aperto, con un profondo sospiro.
- Tutto ok? – gli chiese preoccupato il Juudaime, notando i capelli rossi scompigliati.
-S-sì … sì … - Enma, come da copione, incespicò sulle sue stesse parole, facendosi miseramente sgamare. Non era bravo a nasconder le cose a Tsuna. E Tsuna sapeva che quando l’altro era imbarazzato, a disagio, appena muoveva un primo passo, incespicava sui piedi. Cosa che accadde puntualmente, finendogli addosso e facendoli ruzzolare entrambi a terra. E si trovò sotto Enma, che andò in fiamme. Come lui del resto!
Era inutile negare, nascondere, cercar di frenare le reazioni fisiche che si scatenavano d’istinto nel corpo di entrambi ad essere così vicini, a fissarsi negli occhi in silenzio. Era inutile, soprattutto tra quelle rassicuranti mura che, nelle ultime settimane, erano state testimoni di ogni singolo sospiro a stento trattenuto, di ogni minimo imbarazzo scardinato, di ogni paura via-via spazzata. Dove ogni minima scoperta l’uno sul corpo dell’altro si era compiuta in maniera sempre meno imbarazzata, mentre spiavano di sottecchi l’uno le reazioni dell’altro, sorridendosi impacciati, per poi abbracciarsi stretti-stretti, come a volersi dire: “Io ci sono. Sono qui per davvero, stai tranquillo”
Non se l’erano mai detto, mai posti l’interrogativo. Semplicemente sapevano che anche il passo successivo, fare l’amore insieme, sarebbe venuto naturalmente come tutto il resto. Solo che, inutile negarlo, questo comportava qualche dettaglio tecnico non propriamente trascurabile. Quindi meglio esser pronti con tutto l’occorrente.
Così come c’era un’altra spinosa questione da affrontare. Dirlo a Nana e Iemitsu. Dirli che loro due stavano insieme.
Erano sempre stati d’accordo tutti e due sul fatto di raccontarlo ai genitori di Tsuna. Nana poi, manco a dirlo, aveva preso particolarmente a cuore Enma, ignorando tutti i retroscena ovviamente. La donna l’aveva accolto come un figlio, come tutti gli altri amici di Tsuna, ma per Enma aveva sempre un occhio di riguardo. Molto probabilmente perché gli ricordava tanto il figlio. O forse perché, da mamma, aveva già capito tutto. Aveva notato l’incrociare degli sguardi, quell’accarezzarsi, coccolarsi anche solo con gli occhi.
Ma oltre ad una mamma doc, Tsuna poteva anche contare su degli amici doc.
Quella sera, infatti, a casa sua, mentre si trovava a cena con i genitori, Enma, Takeshi e Hayato, sarebbe stato proprio quest’ultimo a fungere da Deus Ex Machina.
Hayato aveva percepito chiaramente, dalle occhiate che i due si lanciavano, che c’era qualcosa che volevano dire. E aveva anche capito cosa.
Quando, per l’ennesima volta, notò Enma fare a Tsuna cenno con gli occhi come ad invitarlo a parlare, fu lui ad aprir bocca. Da bravo amico, neanche si pose tanti dubbi, dei “se” e dei “ma”. Sapeva solo di volerlo aiutare. E quindi, parlò.
- Io e il fissato del baseball stiamo insieme. - proferì come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo, per poi, con altrettanta naturalezza, proseguire con un: - Kozato, mi passi l’insalata per favore? –
Toccò allo spadaccino questa volta rischiar di morire soffocato, neanche si voltò a guardare il suo innamorato che gli sedeva alla sinistra. Ci mise un attimo però, a capire cosa aveva indotto Hayato, che era un riservato di natura, ad esporsi così e gli andò incontro.
- Hm-hm … da un bel po’ anche. – rincarò la dose, sorridendo tranquillamente.
Tsuna ed Enma, seduti di fronte, erano rimasti con le bacchette a mezz’aria, a bocca spalancata, a fissarli. Increduli. Solo Nana, ovviamente, non batté ciglio e sorrise piegando la testa.
- State bene insieme. – proferì la donna, compiaciuta, porgendo al marito il condimento. E quattro paia d’occhi si voltarono lentamente proprio verso di lui.
- Oh sì sì … - si affrettò a dire Iemitsu – State bene insieme, sì. –
Come se i quattro volessero un suo parere poi! Ciò che interessava loro, era vedere come avrebbe reagito.
- A-anche io ed Enma! – se ne uscì allora Tsuna, pronunciando quelle parole tutte d’un fiato, puntando gli occhi su quelli dei genitori. – Anche io ed Enma stiamo insieme. – pensò bene di precisare. E attese, ma con la coda dell’occhio non poté non vedere, il dolcissimo sorriso che impreziosì le labbra di Enma.
- Hm-hm, da un bel po’ anche voi due, no? – ribatté Nana, tranquilla.
- E-eh? – balbettò Tsuna, che aveva già perso ogni baldanza, mentre dall’altra parte del tavolo, Takeshi e Hayato avevano tratto un profondo sospiro di sollievo, scambiandosi una rapida occhiata.
Anche questa era fatta, pensarono nel momento in cui il resto dell’allegra brigata suonò alla porta, per la famosa meringata di Nana.
Sotto le minacce di morte, ovviamente neanche minimamente velate, di Hibari nei confronti di Ryohei reo, al solito, di sfondargli i timpani, i due fecero il loro ingresso. Dino neanche ci provava più a farli ragionare, pensando che Lambo - che teneva in quel momento in braccio dormiente dopo averlo portato al luna park -  potesse esser più ragionevole di quei due. A volte!
Che quadretto apparvero alle persone sedute in tavola! E che meraviglia per Tsuna sentire le loro voci, le loro risate, il loro rivolgersi l’uno all’altro nella loro maniera inconfondibile. Pensò che fosse qualcosa di a dir poco stupefacente come il loro relazionarsi, il loro essere uniti, fosse davvero come una sorta di filo rosso del destino. Che sempre li avrebbe tenuti legati.
Avrebbero potuto non essere sempre insieme, non sempre vicini fisicamente ma sapendo che un affetto imprescindibile, gratuito, li legava. E che qualcuno avrebbe sempre vegliato su di loro dall’alto.
E quante ne avrebbero passate ancora insieme, ma sempre con la forza e il sostegno che solo una Famiglia può dare. Ricordando loro che una delle cose più importanti della vita fossero gli amici.
Gli amici veri.
 
 
 
DIECI ANNI DOPO
 
Enma riemerse dolcemente dalle braccia di Morfeo trovandosi, al solito, il volto di Tsuna ad un soffio dal suo, mentre questi continuava a dormire pacificamente. Sorrise. Da sempre prendevano sonno così e così si ritrovavano la mattina successiva. L’uno di fronte all’altro, teneramente abbracciati.
Solo che da quattro anni a quella parte, capitava a volte – come quella mattina – che fosse anche il viso di qualcun altro a finire nel suo campo visivo.
Sorrise teneramente di fronte a quel piccolo miracolo che dormiva beatamente tra loro due.
Dopo aver posato una leggera carezza sul volto del suo adorato amore, posandogli un leggero bacio a fior di labbra, Enma portò l’attenzione delle dita su quei capelli rossi ribelli che il figlioletto non poteva che aver ereditato da lui. Da lui e da Cozzato. Restava ancora da capire gli occhi verde scuro da chi li avesse presi. Una piccola risata gli sfuggì dalle labbra.
- Papi … - esclamò il bambino, risvegliandosi.
- Kou … – sussurrò lui, addolcendo a sua volta lo sguardo. (Kou = un nome, una garanzia di figherrimiccità.ndC)
E il piccolo Kou, dopo essersi voltato verso Tsuna, vedendo come questi dormisse ancora, si portò un dito sulle labbra.
- Sshhh, papi Tsu dorme ancora … - proferì tutto serio, ed Enma se lo strinse al petto.
- Sì, amore: papi Tsu dorme ancora … - bisbigliò, posando un’altra carezza sul volto del suo innamorato, che mugugnò qualcosa, segno che si stava risvegliando a sua volta.
E quale meraviglioso scenario apparve agli occhi assonati di Tsuna. Le sue due ragione di vita.
- Buongiorno amori miei … - biascicò, donando loro un dolce sorriso. Di quei sorrisi in grado di scaldare anche nelle giornate più gelide. Ecco da chi Kou aveva ereditato il suo dolce sorriso.
 
 
Kou poteva contare non solo su due papà, ma anche su una serie di zii da far invidia a chiunque.
Kyoya non avrebbe mai saputo spiegarsi del perché i bambini fossero tutti attratti da lui. Forse era a causa di Hibird e Roll. Forse era a causa del fatto che, nell’immaginario collettivo, lui veniva associato a quell’inetto biondo, fattosta che Kou, con il suo fedele peluche in mano che riprendeva le irritanti fattezze di un Lambo TYB, seduto sul tappeto continuava a fissarlo serio.
- Zio Kyo? –
Quand’è che gli aveva dato il permesso di chiamarlo zio? E Kyo? Ah già! Mai! Se l’era semplicemente preso, pensò Hibari.
Tsuna e Dino, che stavano finendo di preparar la tavola per il pranzo, si voltarono all’unisono verso il divano dove si trovavano seduti Hibari e Hayato. Attendendo. Anche Enma e Takeshi, che stavano completando di sistemar il sashimi, tennero la situazione sotto controllo.
- Zio Kyo, perché dormi nello stesso letto con lo zio Dino? – chiese il bambino, nella sua beata innocenza.
Dino scoppiò a ridere di gusto, mentre Tsuna si portò una mano sulla faccia.
- Perché queste domande non le fai ai tuoi papà? – replicò il Guardiano, senza batter ciglio.
- Ah, Hibari – si intromise Takeshi, reprimendo a forza le risate – Questo è il genere di domanda che non si fa mai ai propri genitori. – ridacchiò
- Su Kyoya: rispondi. – si divertì a punzecchiarlo il biondo, beccandosi un’occhiata truce. Ma se tutti pensarono che la questione fosse finita lì e che Hibari non avesse ancora incendiato il povero malcapitato con lo sguardo, giusto perché un minimo di senso civico ed etico in fondo ce l’aveva, beh, si erano sbagliati di grosso.
Mentre Kou continuava a fissarlo speranzoso, ma con un cipiglio comicamente serio per un bambino di quattro anni ed Enma lo ammoniva dolcemente dicendogli di non disturbare ulteriormente lo “zio Kyoya”, il Guardiano – incredibilmente – continuò a parlare.
Si abbassò un poco, in maniera tale da portare gli occhi al livello di quelli verdi di Kou, che non si spaventò minimamente, anzi: allungò una manina per poter accarezzare il volto dell’altro.
“ Hiii! Non ha di certo preso da me!” pensò Tsuna, con un brivido, pronto a scattare nel caso in cui Hibari desse qualsiasi segno di cedimento.
- È perché ci vogliamo bene e vogliamo passare ogni momento insieme. – gli bisbigliò.
- Kyoya … - sussurrò Dino, stupefatto.
Mai si sarebbe aspettato una risposta del genere. Una risposta così dolce. Forse, dopo tutto, in quei lunghi anni passati insieme, un po’ era riuscito a domarlo.
Anche Takeshi, Tsuna ed Enma si voltarono per un piccolo istante a fissarlo, sbalorditi dalla dolcezza della risposta ma, saggiamente e perché ci tenevano alle loro vite, finsero di non aver sentito alcunché. Solo Hayato non si scompose minimamente, ma quando vide che Kou si era spostato di fronte a lui e aveva iniziato a fissarlo, prudentemente – prima di domande imbarazzanti – si diede alla fuga, alzandosi dal divano. E facendo scoppiar a ridere il suo compagno e Dino. Kou sospirò, stringendo ulteriormente il suo peluche al petto, facendosi meditabondo.
E fu in quel preciso istante che accadde.
- Wow! – sibilò Dino, rimanendo interdetto, fissando a bocca aperta la Fiamma dell’ultimo desiderio che Kou aveva, inconsapevolmente, sviluppato. Anche gli altri tre rimasero a bocca aperta di fronte alla purezza di quella fiamma.
Enma, che si trovava di spalle, lo percepì chiaramente e si voltò verso Tsuna, fissandolo. I due sospirarono, scambiandosi un’occhiata significativa.
- Capita molto spesso ultimamente. – spiegò il Juudaime, cercando di sorridere, ma si vedeva chiaramente che sia lui che Enma erano turbati da questa cosa. Sapevano che era una cosa che non avrebbero potuto evitare, che era inevitabile, ma avrebbero – per contro – fatto di tutto per poter evitare che accadesse.
- Beh … - iniziò a parlare il biondo, che aveva capito cosa turbasse i suoi due amici – ... d’altra parte ha dentro di sé la Fiamma dell’ultimo desiderio di tutti e due. – sorrise incoraggiante, come solo lui sapeva esserlo, dando una pacca di incoraggiamento a Tsuna che, nuovamente si sforzò di sorridere, per poi recuperare anche Enma. Li abbracciò, facendo scivolare un braccio intorno alle loro spalle e stringendoli a sé. La Fiamma dell'ultimo desiderio di Vongola e Simon non era cosa da poco. Dino non poteva neanche immaginare cosa volesse dire averle inglobate all’interno di un’unica persona.
- Vostro figlio è destinato a far grandi cose. – mormorò, per poi alleggerir la tensione nell’animo dei due scompigliando ad entrambi i capelli.
- Nel bene o nel male … - bisbigliò Enma contrito.
- Nel bene ovviamente! Con due genitori come voi. – corse a dar supporto l’altro bontempone del gruppo, unendosi all’abbraccio  – E con degli zii come noi. –
E la solita risata cristallina di Takeshi fu in grado, al solito, di sciogliere ogni tensione.
Kou, forse capendo che si stava parlando di lui, si voltò, alzandosi in piedi e dirigendosi verso i sei, allungando le braccia verso i suoi due adorati papi, che – all’unisono – si abbassarono verso di lui sorridendogli, prima di venir sommersi di baci da parte del piccolo.
Dino sorrise dolcemente per poi spostare lo sguardo verso Hibari.
- Kyoya, pensavo che  … - non fece neanche tempo a proferire.
- Scordatelo! – fu la risposta lapidaria del Guardiano, che aveva già capito dove l’altro volesse andare a parare. D’altra parte non poteva non vedere lo sguardo tenerissimo con il quale il biondo guardava Kou ogni qualvolta il bambino si sbaciucchiava i suoi due amati papà.
Una nuova risata liberatoria calò sull’allegra brigata. E Tsuna ed Enma sospirarono di sollievo. Qualsiasi cosa si fosse presentata, qualsiasi cosa fosse accaduta, non sarebbero stati soli.
 

Continua …
 
 
Tsuna ed Enma come paparini son così carini, ohhh! Sono così dolci ‘sti due, ohhh! E Kou, beh: ve l’ho detto, un nome una garanzia di figherrimicità ahahah^//^ Nel prossimo chappy cerco anche di mettervi una sua immagine (modificando una bellissima di Giotto che ho in mio possesso)
Ah, non mi chiedete chi – tra EnmaLove e Tsuna – ha fatto cosa ahahah^///^
 
 
 

 
 
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