Lo
sciaguattio dei piedi nell'acqua melmosa li seguiva ad ogni passo,
incessantemente.
Non
importava quanto camminassero, le acque di scolo delle fogne erano
ovunque, arrivavano da tutte le parti.
Avrebbe
mai trovato un riparo perfetto, asciutto e nascosto quel tanto che
bastava per permettergli riposo e sicurezza?
Splinter ci sperava, mentre camminava in testa alla comitiva, poggiato ad un bastone trovato in un condotto. Doveva essere stato trascinato fin lì da una corrente improvvisa, un temporale particolarmente violento.
Parlava
nel tragitto, cercando di spiegare ai suoi figli, i suoi benedetti,
ritornati a nuova vita figli, che lo seguivano con curiosità
e
pazienza, ripetendo alcune parole che lui diceva.
Anche
se non sapeva fin quanto lo capissero sul serio.
Se
il liquido del laboratorio era stato in grado di far crescere ed
evolvere i loro corpi in una sola notte in uno stadio maturo e simile
agli umani, non era certo che avesse fatto lo stesso con le loro
menti.
I
loro enormi occhi continuavano a guardarsi intorno sorpresi e rapiti
per ogni cosa, anche la più infima e lurida, come quelli di
un
bambino che scopre il mondo, lo stesso identico sorriso infantile e
meravigliato sulle loro facce.
E
per un istante, un frammento di malinconia lo trafisse, riportandogli
alla memoria immagini nostalgiche di una vita lontana e precedente,
di quei suoi bambini che imparavano a parlare, a camminare, a
scoprire ciò che li circondava.
Quando
erano ancora umani, prima che le loro vite venissero strappate con la
violenza.
Eppure,
eccoli lì i suoi bambini, di nuovo vivi, di nuovo curiosi,
di nuovo
attenti e avidi di conoscenza, a guardarlo con quell'amore
incondizionato che i figli sanno dare ai loro genitori,
perché
percepiscono che sono lì per loro, che darebbero qualunque
cosa per
loro.
A
lui spettava proteggerli e insegnar loro di nuovo come scoprire e
capire
il mondo, anche se in maniera leggermente diversa, questa volta.
Perché era certo che non avrebbe potuto essere completamente come quando erano umani, ma non importava. Avrebbero fatto attenzione, avrebbe spiegato loro la verità e alcune regole, quando sarebbe stato il momento giusto.
Il
suo naso da roditore fiutò un lieve fiotto di aria pulita e
lo seguì
fiducioso, tendendo il collo nella giusta direzione; la combriccola
di enormi bambinoni gli andò dietro, saltellando di tubatura
in
tubatura, nel caso di Michelangelo.
Arrivarono
ad una vecchia stazione sotterranea creata come deposito per le
riparazioni della linea della metropolitana che prima correva da
quelle parti; Splinter studiò l'ambiente per essere certo
che
nessuno si avventurasse lì giù da un lasso di
tempo considerevole:
lo spesso strato di polvere intonsa sul pavimento e le enormi macchie
di muffa che spuntavano come un tappetto verde, -nonché due
tubi
rotti e arrugginiti dai quali non fuoriusciva più nulla,- lo
rassicurarono.
Certo,
ci sarebbe stato molto da fare, per rimettere quel posto in ordine e
cercare anche tutto ciò che necessitavano, come cibo e
attrezzi per
la casa e mobilio, e nel frattempo avrebbe dovuto anche educare e far
crescere mentalmente i suoi figli, e allenarli di nuovo nell'arte del
ninjitsu.
Certo,
non era così semplice. Una parte di lui continuava a
ripetersi che
era giusto e onorevole camminare pian piano e guidare così i
ragazzi
lentamente, con la giusta calma che necessitavano, -d'altronde erano
appena mutati in qualcosa di diverso ed era tutto così
confuso e
nuovo per loro; ma l'altra parte gridava letteralmente di dolore, al
pensiero del suo quarto figlio perduto.
Raphael. Lo aveva perduto. Lo aveva abbandonato. Il suo senso di colpa e preoccupazione crebbe ancora, esponenzialmente, come se già non lo stesse dilaniando da quando aveva dovuto fare una scelta tra il seguire le tracce del figlio disperso o trascinare in salvo gli altri tre, prima che venissero catturati dai ninja in nero.
Alla
fine aveva preferito nascondere i tre rimasti nel sacco dalle mani
degli umani, anche se non c'era stata una scelta, in fondo: non era
una vera scelta se entrambe le opzioni portavano al dolore e al
rimorso.
Voleva
correre in superficie e cercare Raphael, ma come avrebbe potuto
lasciare gli altri suoi figli da soli, senza qualcuno che li tenesse
d'occhio e stesse loro vicino? Ancora non erano pronti a stare da
soli, probabilmente avrebbero cercato di seguirlo fin su, con
catastrofiche conseguenze, minando tutti i suoi sforzi in ogni caso.
L'unica
soluzione rimasta era lavorare sodo e il più in fretta
possibile per
riportare i suoi figli in forma e coscienza, così che
potessero
lavorare tutti assieme per ritrovare il loro fratello perduto.
Raphael era indubbiamente forte, il più tenace e resistente dei suoi ragazzi, eppure il suo cuore si strinse in una morsa al pensiero di saperlo solo, là fuori, smarrito e disorientato, alla mercé di chiunque; una preghiera silenziosa piegò le sue labbra, nient'altro che un augurio che stesse bene e rimasse illeso e vivo, finché non avesse potuto abbracciarlo ancora.
L'aria
fredda di Dicembre scendeva fin nelle tubature, si infiltrava con
forza nei condotti e soffiava fino ad arrivare lì sotto,
congelando
ogni cosa.
Uno
spiffero freddo arrivò perfino nel vecchio deposito del
settore nord
e qualcuno starnutì.
“Donnie!
Non possiamo costruire una porta?” si lagnò
Michelangelo con la
voce nasale, tirando su il moccolo che minacciava di scendergli.
Donatello
si fermò un secondo, distraendosi per guardarlo in cagnesco,
e la
pagò cara: Leonardo approfittò di quel breve
momento e lo afferrò
per un braccio, catapultandolo lontano.
Don
volò in parabola discendente, ma non riuscì a
girarsi come avrebbe
voluto e batté con il guscio contro il muro, scivolando a
testa in
giù sul pavimento.
“Grazie
mille, Mikey!” soffiò irato, metà del
corpo ancora poggiata alla
parete.
“La
colpa non è sua, Donatello. Dovresti sapere che non bisogna
farsi
distrarre quando si combatte. E se proprio succede, bisogna cercare
di riportare la situazione a proprio vantaggio, in ogni modo
possibile e rapidamente” lo riprese Splinter, seduto in un
angolo
ad osservarli.
Don
annuì pacatamente e si rimise in piedi, mentre Leo passava
un
fazzoletto a Mikey, infastidito da rumore che faceva col naso.
Ad
un suo comando i figli ripresero l'allenamento a mani nude, con zelo,
mentre lui studiava con scrupolo i loro movimenti, in meditazione.
Erano
già passati quattro mesi da quel giorno in cui erano mutati.
Ed
erano sembrati troppo lunghi e troppo corti allo stesso tempo.
I
suoi figli erano cresciuti: parlavano, pensavano e agivano come dei
maturi adolescenti, perfino Michelangelo, che era quello più
indisciplinato e incline a distrarsi; gli allenamenti avevano
riportato a galla le loro abilità acquisite nella loro vita
precedente, ogni mossa appresa, ogni precetto e segreto di lotta
della loro famiglia, sotto i suoi occhi commossi e meravigliati.
Non avevano invece riacquistato alcuna memoria di ciò che erano stati, al contrario suo; eppure i loro caratteri erano perfettamente identici ad allora, senza possibilità di sbagliarsi: Leonardo aveva mantenuto la sua mentalità da fratello maggiore e si sforzava il doppio degli altri per aiutarlo e seguire la sua guida con rispetto e devozione; Donatello possedeva ancora quella innata curiosità per tutto ciò che lo circondava, unita alla sua spiccata intelligenza, forse addirittura più accentuata in questa sua nuova vita; Michelangelo era il suo figlioletto più piccolo e aveva ancora dentro di sé quella meraviglia e quella dolcezza che aveva illuminato le sue giornate più buie del passato.
Sorrise
fugacemente, senza riuscire a staccare lo sguardo orgoglioso da loro,
col cuore gonfio di dolorosa felicità.
Ne
mancava solo uno. Eppure era come non avere un'intera metà
di cuore.
Raphael.
Non
era passato giorno di quei mesi che non avesse pensato a lui,
costantemente, chiedendosi come stesse e dove potesse essere,
pregando di ritrovarlo.
Quel
giorno, finalmente, sarebbe stato quello in cui avrebbe verificato di
persona se le sue preghiere avrebbero infine trovato compimento.
Richiamò i suoi figli, che interruppero l'allenamento con uno sguardo sorpreso per il suo tono urgente, forse, e si sbrigarono a radunarsi davanti a lui, inginocchiandosi con rispetto. Lui, invece, afferrò il bastone e si alzò lentamente dal suolo, sovrastandoli in silenzio, prendendo un grosso respiro prima di parlare.
“Oggi
è un grande giorno per noi, miei cari figli. Abbiamo
lavorato sodo,
tutti quanti” iniziò con solennità il
maestro, mostrando con un
gesto il rifugio ripulito e arredato con mobili di fortuna, salvati
da varie incursioni nel mondo di superficie, mescolati nelle ombre.
“Finalmente
questo giorno è arrivato” sussurrò
accorato, allontanandosi a
piccoli passi felpati da loro, il bastone che ticchettava nel
pavimento come unico suono.
Leo,
Don e Mikey si scambiarono un'occhiata confusa, con mille domande
inespresse, ma ritornarono di nuovo immobili e col viso rivolto di
fronte a sé, quando il maestro ritornò sui suoi
passi, le mani che
stringevano qualcosa.
Trattennero
tutti e tre il fiato.
Splinter
si inginocchiò di fronte a loro e poggiò con cura
le scintillanti
armi a terra, così attento che non produssero nemmeno un
suono.
Nelle
mani trattenne invece quelli che sembravano stracci rossi, lunghi e
sottili.
“Oggi
è il giorno della ricerca. Il giorno della
speranza” annunciò,
tendendo loro le mani, allungando ad ognuno di loro quella che
scoprirono essere una bandana, tutte dello stesso colore rosso
sangue.
Le
indossarono, quieti, il rumore della stoffa che veniva stretta in
nodi dietro la nuca, poi si voltarono uno verso l'altro per
osservarsi e si sorrisero, soddisfatti da quello che videro.
“Sembriamo
dei supereroi” chiocciò Michelangelo contento, lui
che aveva
sviluppato un amore spropositato per comics e fumetti dei suddetti.
Il
sensei attese che si calmassero, prima di prendere le armi dal suolo,
e consegnarle ognuna nelle mani del giusto proprietario.
Loro
non lo sapevano, ma già nel passato si erano allentati con
quelle
armi, ognuno indirizzato verso una disciplina specifica.
Prese le Katana tra le mani aperte, e le passò a Leonardo, come se stesse facendo un'offerta ad una divinità: il figlio si alzò e fece un inchino, prima di afferrarle con presa sicura. La mano si chiuse su un'elsa intrecciata e sfilò morbidamente la spada dal suo fodero, osservando la lucentezza del filo tagliente, e vide il suo stesso riflesso nell'acciaio della lama. Il rosso della maschera faceva risaltare il verde foresta della sua pelle e rendeva il suo sguardo più minaccioso; o forse era l'emozione di avere una vera arma tra le mani, pericolosa e letale, a seconda del suo uso.
Se
suo padre si fidava a lasciargli usare infine le Katana, lui non lo
avrebbe in nessuno modo disatteso, né lo avrebbe fatto
pentire della
sua scelta: avrebbe lavorato con tutte le sue forze per non deludere
le sue aspettative.
La
fece sibilare nell'aria, fendendo un nemico invisibile, saggiando il
suo peso e la sua bilanciatura, calmo e fuso con la sua arma.
Con
un sorriso e uno schiocco della spada che ritornava nel fodero, Leo
si inchinò ancora una volta, poi tornò al suo
posto, con le spade
poggiate al suolo di fronte a sé.
Fu il turno di Donatello: Splinter gli porse con garbo un Bō, un lungo bastone al cui centro erano intrecciati dei fili per facilitargli la presa; il secondo dei suoi figli si alzò e si inchinò come suo fratello prima di lui, poi afferrò la sua arma.
Percepì immediatamente la ruvidità del legno sotto il palmo verde oliva e la stretta ferma delle dita. Adesso, con quella, era una tartaruga mutante nerd con un bastone. Abbastanza per far ridere chiunque, eppure lui sentiva quell'arma come un'estensione della sua persona, del suo braccio: indietreggiò di un passo e, senza nemmeno pensarci, iniziò a fare roteare il bastone, sempre più veloce, tra le mani, attorno al corpo, facendolo fischiare come un violento vortice di vento che si propagava attorno a lui. E quel sibilo gli parlava, quasi, tranquillizzandolo, come se gli dicesse che nessuno avrebbe potuto toccarlo finché fossero stati assieme.
Fermò
il Bō
nella mano e riprese fiato, posando infine lo sguardo, che era
rimasto vacuo, su suo padre, i cui occhi invece scintillavano.
Con
un altro inchino grato, Don indietreggiò e
ritornò al fianco di
Leo, poggiando il bastone al suo lato, vicino alla sua gamba.
L'ultimo
era Michelangelo, rimasto in trepidante attesa, con gli occhioni che
si illuminavano al vedere le armi dei suoi fratelli e il modo in cui
le maneggiavano. Stava fremendo aspettando il suo momento, lo avevano
capito tutti.
Perfino
Splinter sembrava sul punto di sorridere e spezzare quell'aria
solenne, alla vista della sua espressione da bambino avvolto dalla
meraviglia.
Quando
il padre lo chiamò, porgendogli i due Nunchaku con
serietà, il
mutante saltò su e si inchinò così
tanto nella foga che quasi
sbatté la fronte contro le ginocchia.
Nel
momento in cui le sue mani si chiusero sulle armi, il suo sorriso era
il più grande e aperto che avesse mai fatto prima: li fece
roteare
con urgenza ed entusiasmo, talmente tanto che finì per
sbattersi in
testa uno dei pezzi in legno, con un tintinnio di catene e un suono
sordo nel silenzio.
Questa
volta Leo e Don non ce la fecero proprio a trattenere una risata,
soffocata per non offenderlo più del concesso. Ma Mikey si
strofinava la parte lesa, continuando a sorridere, all'idea di tutto
quello che avrebbe potuto fare da quel momento in poi: si sarebbe
allenato ancora e ancora, fino a diventare bravissimo.
Si ricordò di inchinarsi in segno di ringraziamento quando era già sui suoi passi per tornare al posto. Don scosse la testa, gettandogli una breve occhiata, al vedere che si stringeva al petto i Nunchaku, come se fossero un dolce e tenero bambino.
“Da
questo momento in poi, userete le armi, per difendervi e combattere,
mentre cerchiamo. Anche se spero che non ce ne sarà
bisogno”
annunciò Splinter alla fine, catturando la loro completa
attenzione.
“Ma
cosa dobbiamo cercare?” domandò confuso Mikey,
certo che ancora
non gliel'avesse detto.
“Non
cosa, ma chi: vostro fratello perduto” confessò il
loro padre, col
volto divorato dalla tristezza e il rimorso.
“Ve
ne ho già parlato, quando siete mutati, ma allora
probabilmente non
avete capito, non sapevate nemmeno cosa significasse la parola
fratello;
ma adesso, adesso che capite l'importanza della famiglia;"
iniziò a raccontare, indicandoli come a voler mostrare loro
che bel
gruppo fossero diventati; “Adesso, lasciate che io vi spieghi
ogni
cosa dall'inizio.”
“Vuoi
dire che c'è un altro come noi? Lì fuori da
solo?” si intromise
allibito Michelangelo, prima ancora di farlo parlare.
Splinter
abbassò il capo con aria grave, lasciando andare le spalle
in un
momento di dolore.
“Sì.
Raphael ci è stato strappato via con forza, e tocca a noi
ritrovarlo
e riportarlo qui con noi, la sua famiglia. Una volta che saprete la
verità, mi aiuterete a cercarlo?”
Leo annuì all'istante, senza nemmeno pensarci; Don lo seguì, anche se il suo razionale cervello gli sussurrava maligno le probabilità che un mutante potesse essere rimasto in vita per tutto quel tempo da solo, senza una guida, nel mondo di superficie, -con una scrollata della testa cercò di scacciare via quei pensieri ed essere più positivo; Mikey acconsentì entusiasta, con un grosso sorriso all'idea che ci fosse lì fuori un altro fratello: non vedeva l'ora di trovarlo e conoscerlo e parlarci e coinvolgerlo in chiacchierate e giochi.
Splinter
sospirò, rincuorato dai suoi figli e il loro assopito amore
per il
fratello, anche se ancora non lo sapevano.
Ma
lavorando tutti assieme, sarebbe stato facile trovare il loro pezzo
mancante ed essere di nuovo una famiglia completa, un nucleo
perfetto.
Si
sedette di fronte a loro e li guardò negli occhi.
“Allora,
tutto inizia in un laboratorio e con un furto...”
cominciò a
raccontare, con la loro totale attenzione su di sé, col
cuore pieno
di speranza per il futuro, con la promessa di un avvenire roseo.
Se
erano riusciti a rinascere a nuova vita e rincontrarsi, quanto
difficile poteva essere ritrovare il loro caro disperso, in fondo?
Niente,
gli diceva il cuore. Niente, sperava la mente.
Note:
Scusate
l'imperdonabile ritardo!
Sono
tornata, comunque, non vi libererete presto di me!
Non
ho molto da dire su questa OS, è un piccolo missing moment
senza
pretese! Spero vi piaccia!
Abbraccione,
buon anno nuovo anche se in ritardo! Di propositi ne ho tantissimi, e
voi?