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Autore: Dynamis_    21/01/2015    1 recensioni
Dal primo capitolo:
"E la sua lama affondò nel terreno mentre gli occhi bruni del guerriero rimiravano sotto una nuova luce quelli di ghiaccio dell’arciera, il solito e familiare vento a far loro da compagno e a risuonar soave nel buio della notte, sancendo il loro accordo e portandolo con sé tra le sue pungenti spire."
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashe, Leona, Tryndamere
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Tales of Ice and Fire

Prefazione

La serie nasce come una raccolta di one-shot divise in due grandi filoni narrativi –le storie del ghiaccio e quelle del fuoco– ambientate nel Freljord e sul monte Targon.
Protagonisti indiscussi di questo ciclo sono Ashe, Leona, Tryndamere e Pantheon: proveremo a portare avanti la narrazione fin dal principio, sin da prima che le loro vie si incrociassero e che i loro nomi diventassero così insigni all’interno della League of Legends, e andremo oltre la Lore, continuando la loro storia laddove le è stato dato un epilogo.
Senza pretese iniziamo il nostro viaggio: i primi due capitoli avvengono quasi contemporaneamente e si propongono di giustificare ogni racconto successivo.
Per quanto concerne la traduzione, lascerò i nomi delle spells in lingua originale, qualora questi debbano necessariamente essere introdotti all’interno della narrazione, per semplice gusto personale: molte delle traduzioni sono inefficaci, o perdono la loro forza se rese in lingua italiana.
Il punto di vista varierà di racconto in racconto affinché ogni personaggio all’interno della serie possa avere il suo spessore e possa essere descritto in toto, sia nelle azioni che nei pensieri, oltre che nell’aspetto.
Diamo inizio al nostro percorso, ma non prima di avervi augurato buona lettura!
Dynamis
 




Capitolo 1 – Una nuova speranza
Il vento scorreva tra i sottili fili perlacei che le coronavano il viso, le sfiorava la pelle arrossata a causa della temperatura pungente mentre una pallida luna si ergeva oltre le pendici delle aspre e innevate montagne del Freljord, rigettando sprazzi di luce laddove il cielo era sgombro di nubi e verdi chiome, che riempivano l’aria del loro tenue sfrigolio.
Ed ella non riusciva a smettere di camminare.
A piè veloce si muoveva tra gli arbusti, aguzzando la vista, cercando di scorgere qualcosa al di là di dove il comune occhio umano potesse vedere, ed avanzava inesorabile come quella fredda brezza invernale, che nel suo paese non accennava mai a diminuire.
E con la stessa potenza e costanza del vento ella si faceva strada, con la stessa imprevedibilità deviava il suo cammino senza dover nemmeno rimuginare su quale via intraprendere, poiché quelle strade le conosceva a menadito.
Senza meta, senza obiettivo – se non puro desiderio di evasione, arco alle mani – batteva sentieri che solo la sua mente avvezza poteva ricordare, con più e più doveri che arrancavano nella sua scia e che ella si era abilmente lasciata alle spalle.
“Un solo popolo, una sola nazione”
Parole esaltanti, ma nulla di quello che aveva sperato aveva ancora trovato compimento.
Un rumore la costrinse a voltarsi mentre, repentina, incoccò una freccia e tese l’arco, la punta di ghiaccio rivolta verso il volto dello straniero nerboruto che aveva prontamente estratto la spada e ne aveva avvicinato il filo tagliente al suo fianco.
Stettero così per qualche istante, immobili, i muscoli tesi, e sembrò persino che l’aria si fosse congelata attorno a loro, poiché nulla si muoveva, solo i loro respiri pesanti scandivano il tempo.

«Chi sei, straniero, e perché vaghi per le mie terre?»

La sua voce cristallina risuonò piena d’ardore e di solennità in mezzo alla radura, ma i suoi occhi non lasciavano scampo: freddi come l’inverno, scrutarono il nemico in attesa di una risposta, gelidi quanto la morte stessa.
Non aveva timore, non ne aveva mai avuto. Non se era Avarosa a guidare le sue frecce e le sue parole.

«Ti dirò il mio nome se mi dirai il tuo.», rispose quello a denti stretti, lo sguardo di chi non aveva intenzione di lasciarsi sfuggire movimento alcuno, nemmeno il più piccolo e insignificante, la sete di sangue negli occhi che baluginavano scarlatti dinnanzi alla prospettiva di una ulteriore rappresaglia.

«Bada bene che non proverei remore una volta scoccata la mia freccia, né troverei biasimo se il tuo sangue bagnasse queste terre.»

Così dicendo, tese ancora di più l’arco e il suo sguardo non abbandonò nemmeno per un momento quello altrui, poiché, se egli non avesse acconsentito a rispondere ulteriormente alle sue domande, di pietà non ne avrebbe avuta – non quella volta.
Ma non era un uomo accondiscendente Tryndamere, non conosceva la diplomazia, e le parole che ella stava pronunciando a gran voce gli sembravano vuote e aride, se non erano accompagnate dalla furia che precedeva uno scontro, se non erano seguite dalle grida dei nemici che, spezzati, cadevano esanimi al suolo.
E con l’ira funesta che si portava appresso dal giorno nefasto in cui l’Ombra era calata sulla sua vita, con una velocità innaturale che non si addiceva affatto a un uomo della sua stazza, spiccò un balzo in avanti non appena notò un accenno di insicurezza nella guardia nemica, cogliendo Ashe di sorpresa e serrandola in una morsa inestricabile, il taglio della spada ora alla gola, l’arco ormai abbandonato sul terreno freddo di quella scura sera.
Non avrebbe esitato a porre fine alla sua vita, se solo la donna che stringeva tra le sue poderose braccia gliene avesse dato l’occasione. Sarebbe stato un ulteriore monito per temere la furia del re barbaro, per far sì che nessuno si frapponesse tra lui e la sua vendetta.

«Rinnovo la mia proposta: il mio nome per il tuo, e solo allora deciderò se palesare le mie intenzioni. Credo tu non sia nelle condizioni di poter opporre resistenza.»

E non lo era affatto.
Con una punta di disprezzo nella voce, l’arciera si arrese e, sollevando le ciglia arcuate in direzione dello straniero, si apprestò a rispondere, sebbene in cuor suo desiderasse non aver subito quella disfatta – perché tale era stata per lei.

«Sono Ashe, conosciuta anche come l’arciere dei ghiacci. Le mie frecce sono più veloci del vento del nord, più mortali dell’oblio stesso.
Ma adesso dimmi dunque chi sei tu, che osi puntare quell’esiziale arma alla mia gola, e con quale intento sei giunto fino a me.»

«Il mio nome è Tryndamere, il re barbaro, vago adesso per queste terre in cerca di vendetta per il mio clan, cercando i guerrieri più valorosi e sconfiggendoli per accrescere il mio potere, fino a che la mia sete non verrà placata.
Perseguiamo un obiettivo comune, arciere dei ghiacci, e conosco il tuo nome quanto la tua storia.
È fin troppo simile alla mia.»

Ma ciò non lo indusse a calar l’arma, poiché una nube di sospetto vagava ancora per la sua mente avvezza a intrighi e guerra, a menzogne e raggiri, sicché la notte si fece fonda e della luce che illuminava il suo volto irsuto non rimase altri che qualche tenue riverbero.
Era disceso il buio, simile alla tenebra fitta e densa che circondava il cuore del combattente, ma una luce più splendida e forte irradiava dall’animo della giovane, che carpì la sua attenzione con queste parole.

«Anche io sono a conoscenza del tuo Fato, alla medesima maniera in cui tu stesso hai memoria del mio. E non ne trarrai vantaggio alcuno se irrorerai la tua lama col mio sangue, ma un enorme beneficio se deciderai di calare questa dispensatrice di sventure.»

Non per paura pronunciò le suddette frasi, non per timore di una turpe dipartita: era abile nell’arte del discorso quanto in quella del combattimento, e le sue parole erano tanto precise quanto le sue frecce.

«Quale beneficio ne potrei trarre, dunque, se non un dardo dritto in mezzo agli occhi quando non presterò attenzione? Credi forse che mi lascerò attrarre dalle tue accorte parole, donna?
Se è una promessa quella che mi stai offrendo, ne farò volentieri a meno.» disse, ma la sua voce suonò meno grave del previsto e la sua presa si allentò appena.

«Non una promessa, ma un’alleanza.
Molto si narra sulle tue gesta, sulla potenza della tua spada e la forza del tuo braccio e del tuo animo. Più ancora sono i crimini che ti si attribuiscono ed estesa è la scia di sangue che ti segue.
Ma se con questo patto il Freljord potrà tornare agli antichi fasti, mi premurerò di trovare io stessa il modo di porre fine alla tua sete.
Insieme ricostruiremo una nuova nazione.»

E la sua lama affondò nel terreno mentre gli occhi bruni del guerriero rimiravano sotto una nuova luce quelli di ghiaccio dell’arciera, il solito e familiare vento a far loro da compagno e a risuonar soave nel buio della notte, sancendo il loro accordo e portandolo con sé tra le sue pungenti spire.
   
 
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