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Autore: MaraudersRain    23/01/2015    1 recensioni
Valeria ha una relazione a distanza, Irene non è mai stata innamorata, Cecilia ha a che fare con un ragazzo indeciso da anni.
Mattia non ama le relazioni serie, Francesco invece è un innamorato sfortunato.
Parigi sarà il luogo in cui queste cinque vite si incroceranno e si intrecceranno e, tra macarons, cappelli alla parigina e panorami mozzafiato, si aiuteranno a vicenda.
p.s. è una storia che amo molto e di cui vado molto fiera, e che rimanda ad esperienze vissute in prima persona: quindi, ogni riferimento a fatti o persone che conosco potrebbe non essere molto casuale!
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Premessa dell'autrice: come detto, amo molto questa storia. Ho amato scriverla e la amo tuttora. So che è molto lunga per essere una OS, ma penso che sia necessario leggerla tutta insieme, altrimenti si perde un po'... l'atmosfera diciamo :) Perciò tanti bacini a chi arriverà fino in fondo a leggerla! Spero che ne valga la pena :) La storia è dedicata ovviamente a Ninphadorashair, perché insomma, ha fatto la colonna sonora di questa storia e ci ha pure pianto sopra.
Buona lettura! :)



SATELLITI

Viaggiare non è solamente partire,
partire e tornare.
È imparare le lingue degli altri,
imparare ad amare.
(Fiorella Mannoia, Cuore di cane)


Prologo. 22 ottobre.
Le tre ragazze escono dalla Gare de Lyon di Parigi trascinandosi dietro le loro valigie.
Quella con i capelli di un rosso quasi arancione per aver usato una pessima marca di tinte ne ha una con un motivo floreale sopra, una trama di margheritine e nontiscordardimé fittissima. L’altra, quella che sta al centro con una cartina di Parigi in mano e una smorfia di concentrazione sul viso trascina quello che sembra più un borsone per la piscina taglia extra large, blu scuro. L’ultima, quella che cammina con i sandali il 22 ottobre del 2013 a Parigi, dalla parte del marciapiede che dà sulla strada, ha una valigia enorme rosa riempita per metà, perché non aveva borse da viaggio più piccole.
Valeria, così si chiama la ragazza con la cartina, borbotta fermandosi improvvisamente: “Ragazze, alt. Devo capire se dobbiamo andare a destra o a sinistra”.
Quella con i capelli rossi, Cecilia, tira una boccata di fumo dalla sigaretta che ha tra le labbra, si avvicina a Valeria, cercando di dare il proprio aiuto, e inizia blaterare senza un fine logico di quanto le cartine siano scritte piccole e di quanto la bussola con i punti cardinali in alto a destra non serva proprio a nulla.
L’ultima ragazza si siede pazientemente sulla propria valigia enorme ed aspetta il verdetto delle altre due sulla direzione da prendere. Leggere le cartine per lei è una battaglia persa e, dal momento che si fida delle sue compagne di viaggio e sa per certo che non proverebbero mai a portarla in qualche quartiere malfamato per poi abbandonarla là, lascia fare il lavoro sporco a loro. Il suo nome è Irene.
“Ok, a destra, Vale” esclama Cecilia, con un tono che non ammette repliche. Valeria annuisce ed esegue. Irene con un sospiro si alza e segue le altre due che si sono già avviate.
Camminare per venti minuti con il vento gelato che entra nel giaccone e senza un minimo di sole è fastidioso come la peste, tanto che Cecilia si accende una seconda sigaretta per il nervosismo.
“Tra un po’ te ne chiedo una, Cé” dice Irene, mentre medita sulla possibilità di usare la valigiona come monopattino facendo leva sulle rotelline, per andare più veloce.
“Ma non volevi smettere?” chiede Valeria con un’occhiata eloquente. Valeria non fuma e prova una sorta di sentimento di sufficienza nei confronti di coloro che lo fanno. Diciamo che si comporta con aria sufficiente verso chiunque non la pensi come lei, su qualsiasi argomento.
“Sì, ma questa è un’emergenza, le gambe non mi reggono”.
“Ma stiamo camminando da  dieci minuti”.
“Vale, non mi chiudere”.
Valeria ridacchia piano, mentre Cecilia porge una Marlboro alla sua amica, insieme all’accendino anch’esso caratterizzato da una fantasia floreale.
Irene fa in tempo ad aspirare due volte quando Valeria dice, fissando la cartina con aria soddisfatta: “Eccoci, quella è Rue Trousseau”, e la indica.
La ragazza dietro al bancone dell’ostello in cui le tre ragazze hanno prenotato è una signorina con gli occhi azzurri e i capelli biondi, e un tono di voce molto gentile. Mastica un po’ di inglese e, porgendo a ciascuna delle tre una chiave ed un foglietto bianco ed arancione, dice: “Siete nella camera 2. Entrate in questo corridoio alla mia destra, ed è subito a sinistra. Non potete portare le chiavi fuori dall’albergo. Il foglietto serve per riconoscervi. Quando tornate all’albergo dovete esibirlo per identificarvi, quindi portatevelo sempre dietro. È tutto. Ah, no, giusto” riprende, alzando una mano per fermare le ragazze che si stanno già avviando “domani arrivano due ragazzi e dormiranno con voi. So che può sembrare scomodo, ma la camera ha due piani, quindi volendo potreste non vedervi mai. Ora è davvero tutto. Buona giornata”.
La camera, come preannunciato dalla ragazza al bancone, ha due piani: sotto ci sono tre letti uno accanto all’altro, un lavandino con uno specchio sopra piccolo e tondo, e un bagno. Sopra ci sono due letti, un lavandino, uno specchio enorme, un appendiabiti e le casseforti. Contro ogni aspettativa, i termosifoni funzionano.
“Secondo me saranno due australiani” esordisce Cecilia, sedendosi su quello che ha deciso essere il suo letto, vicino alla finestra che dà sulla via.
“Ma perché due australiani dovrebbero venire a Parigi quando da loro è estate?” replica Valeria, accoccolandosi sul proprio piumone blu a scacchi e tirando fuori dal borsone un volume di Dylan Dog.
“Magari a loro piace il freddo” borbotta l’altra, non molto sicura.
Irene non commenta, ma esclama improvvisamente: “Secondo voi c’è una rete Wi-Fi? Devo mandare le risposte della posta del cuore al Giornale!"

You tell me your blue sky fade to grey,
You tell me the passion's gone away,
And I don't need no carrying on.
(Daniel Powter, Bad day)

Parigi è un universo di colori. Questo pensa Valeria quando arrivano in Place de la Bastille, dopo essersi sistemate in camera ed essersi preparate per uscire a cena. Ammirano la Senna, quello che Cecilia chiama “specie di obelisco con un angelo in cima” ma che obelisco certamente non è, i venditori ambulanti di dolciumi che se ne stanno abbarbicati sui loro camioncini dietro tonnellate di glucosio pitturato di rosa, bianco ed arancione, i colori caldi ed invitanti delle brasserie e il loro profumo di crepes e bourgignon.
Il telefono di Valeria, un iPhone vecchio di un paio d’anni, squilla diffondendo nell’aria satura di vocaboli francesi e giapponesi (perché, sì, ci sono giapponesi da ogni parte) una canzone dei Clash. Lei interrompe la frase che sta dicendo a metà e con un sospiro risponde: “Pronto?”.
Sa chi è, lo sanno tutte e tre chi chiama sempre alle nove in punto di sera.
C’è stato un periodo in cui Valeria ha davvero amato Antonio, il suo ragazzo di Firenze. Valeria sa di averlo amato, almeno un po’. Tra il terzo ed il diciassettesimo mese di relazione è più che certa di aver provato un sentimento come l’amore. Dopo, solo quieto affetto ed a tratti noia. Soprattutto noia a conti fatti. Ci sta insieme da quattro anni, però. Valeria lo sa benissimo, manca di coraggio: perché avere qualcuno al proprio fianco fa meno paura di non avere nessuno. Perché in fondo ha paura di scuotere una vita così ben impostata sulle rotaie: nel monotono e nell’ordinario, Valeria ci sguazza.
Quando attacca la chiamata, dopo aver sussurrato uno scialbo “pure io” ad un “ti amo” di Antonio, Cecilia la osserva con la coda dell’occhio e dice: “Mamma che faccia, sembra che tu abbia parlato con un assassino, altro che con il tuo ragazzo!”.
Valeria alza le sopracciglia, poi esclama illuminandosi: “Guardate! Lo zucchero filato!”.


 Benvenuto sull'isola dei giocattoli difettosi.
(Stephen Chbosky, Noi siamo infinito)

Valeria ha una relazione a distanza con un ragazzo che non ama da tempo. Irene, dal canto suo, si è sempre innamorata di personaggi immaginari di libri e nonostante questo gestisce la posta del cuore per un giornalino: due euro per ogni risposta inviata. Dovrebbe impiegare quel tempo a finire il libro che ha cominciato tre anni fa, ma pare non avere il coraggio di scrivere le ultime quaranta pagine. Cecilia ha una non-relazione con uno semi psicopatico che dice di amarla ma che scappa non appena lei cede alle sue parole; adora la chimica, i dolcetti, ha una passione per le fantasie floreali. È convinta che la Tavola Periodica spieghi qualsiasi rapporto interpersonale: spesso paragona gli atomi alle persone e viceversa.
Si sono conosciute per la prima volta in un’aula bianca e verde, con i banchi sbeccati sui bordi, di un liceo classico della periferia di Torino e da quel momento non si sono più lasciate. Che cosa le tenga unite nonostante le evidenti differenze non saprebbero spiegarlo nemmeno loro. Ciò che sanno è che gli anni a ripetere i paradigmi greci ed a tradurre Cicerone hanno creato qualcosa che si può definire come “percorso comune”. Anche dopo la maturità, non c’è stato modo di dividersi: se le uscite in settimana sono dedicate agli amici dell’università, allo lo sport o, nel caso di Valeria, all’animazione in parrocchia, il sabato è sempre dedicato a loro ed alla compagnia del liceo. Non c’è stato bisogno di fare un patto di sangue come si vede spesso nei film per fare ciò: i patti più durevoli sono  quelli che una persona fa in muto accordo con gli altri. Ciò significa essere compagne d’anima, ma anche questo non se lo sono mai detto. Però lo sanno.
“Questa ragazza sostiene di essere innamorata del suo migliore amico da otto anni. Vuole sapere che cosa le consiglio per sbloccare la situazione” Irene sta fissando il suo laptop rosa appoggiato in grembo con aria concentrata e perplessa.
“Ire, ma non puoi rispondere domani mattina? Sono le due di notte!” borbotta Cecilia rigirandosi nel letto ed affondando la testa sotto il cuscino.
“No, no, che poi domani arrivano i due ragazzi al piano di sopra e non voglio farmi figure di merda!”.
“Scrivile che si trova in un posto chiamato friend zone e che l’unico modo per uscirne è scappare il più lontano possibile. Aggiungi che parli per esperienza personale, così ci mettiamo pure la componente solidarietà” dice Valeria, che sta giocando a Candy Crush da una buona mezz’ora.
“Sei un genio, Vale!” esclama Irene, iniziando a scrivere con frenesia.
“Poi voglio i due euro della risposta” replica Valeria con un sorriso furbo.

Well, you stuck with me
When all the others
Turned away,
Turned up their nose.
(Bruce Springsteen, Bobby Jean)
 
 
Giorno 1. 23 ottobre
Mattia si sta girando una sigaretta seduto sulla propria valigia rossa mentre aspetta Francesco che, con uno slancio masochistico, ha pensato bene di cercare un bagno in stazione.
Ha appoggiato un piede sulla valigia nera rigida che l’amico gli ha lasciato e, con precisione quasi chirurgica, chiude la cartina attorno al tabacco marroncino.
Fuma per noia. Non è nemmeno sicuro che gli piaccia, ma riempie bene le attese. Ha infatti il tempo di girarsene altre due, di fumarle e di guardare la cartina di Parigi prima che Francesco arrivi.
“Minchia, finalmente!” borbotta, guardandolo con aria infastidita ed esageratamente melodrammatica.
“Lascia stare, c’era coda e quel bagno faceva schifo. La prossima volta piuttosto me la faccio addosso” risponde l’amico trafelato, afferrando il suo trolley.
“Comunque ho guardato la strada, a piedi saremo là in un attimo” replica Mattia, alzandosi, tirandosi su i jeans con un gesto poco elegante e seguendo Francesco verso l’uscita della Gare de Lyon.
“In che via siamo?”.
“Rue Trousseau”.
“Ok. Da che parte hai detto che si va?”.
“A destra. Se guardi la cartina non avresti dubbi. A meno che tu non sia una donna”.

In tutte le cose, la Fortuna è padrona.
(Sallustio)

Questa volta, la signorina al bancone non è bionda, ma una moretta con gli occhiali e la pelle olivastra che parla un francese ibridato da qualche accento straniero.
“Siete in camera con altre tre ragazze, sono arrivare ieri, ma oggi non sono ancora tornate all’albergo” dice, dopo aver spiegato il regolamento per le chiavi e la colazione, poi aggiunge con un sorriso “ a quanto ho capito, sono italiane pure loro”.
“Ragazze italiane! Non mi devo nemmeno sforzare a parlare in inglese per rimorchiare!” esclama Mattia avviandosi verso la porta della camera numero due.
“Ricordati perché siamo qua prima di dire buffonate” lo riprende Francesco, tra il serio e lo scherzoso, mentre gira la chiave nella toppa e spalanca la porta.
L’altro non ha tempo di replicare, perché l’ambiente che si ritrovano davanti li fa zittire. Due letti sfatti, il terzo, quello in mezzo, perfettamente in ordine, le valigie che spuntano da sotto i letti, maniche di magliette che spuntano dalle valigie. Il lavandino subito alla loro destra è disseminato di cremine e cosmetici  e c’è anche un barattolino che Francesco identifica come un contenitore di lenti a contatto. Scarpe messe a caso negli angoli; asciugamani e pigiami sopra i piumoni a quadri. Persino un pacco di assorbenti viola scuro ancora sigillato su un cuscino.
“Come hanno fatto a fare tutto questo casino in una notte sola?” chiede Francesco, più a se stesso che a Mattia.
“Magari praticano l’amore libero e hanno ospitato  un’orgia stanotte” replica l’altro, per nulla turbato e anzi un po’ divertito, avviandosi al piano di sopra sulla scala a chiocciola rossa “d’altronde quella che dorme in quel letto lì ha il pigiama e la valigia a fiori: può essere!”.
“Mattia, due cose: smetti di fare l’arrapato e soffoca una volta per tutte la speranza che qualcuno ti inviti a fare un’ammucchiata” esclama Francesco, seguendolo.


You and I know
That the sorrows come and they go,
as the scars they're leaving.
(ABBA, Chiquitita)

Irene non ha mai avuto un ragazzo. Non le è mai piaciuto nessuno e tutti quelli che hanno provato interesse per lei se ne sono andati delusi dopo poco tempo. Valeria e Cecilia non hanno mai capito perché; lei semplicemente replicava (e replica tuttora) che nessuno le ha mai fatto venire la voglia di starci insieme.
Ha la sua personale visione dell’amore, Irene, e ha deciso di non accontentarsi di nulla di meno: una decisione azzardata, certo, ma lei non si strugge più di tanto. La sua storia d’amore deve essere come leggere il suo libro preferito. Mentre aspetta che ciò avvenga, scrive consigli per sconosciuti torinesi.
“Le vite degli altri sono meno impegnative” dice sempre, quando le chiedono perché lo faccia. Però la sua vita, sulla terrazza incellofanata nella plastica trasparente del Pompidou, è più impegnativa ma decisamente più interessante in quel momento, perché il tramonto arancio che si abbatte sul quel tappeto di comignoli, con Notre Dame e Le sacre Coeur che paiono piccoli come le statuette che gli ambulanti vendono per le strade, è uno spettacolo raro. È quasi come essere in un libro.
Valeria fa le foto maledicendo la plastica che separa lei dall’aria aperta ed intanto risponde distratta ai cuori violetti che Antonio le manda su Whatsapp; Cecilia non riesce a stare zitta ed inonda le altre due di domande sul panorama sotto di loro, ripetendo come una cantilena borbottante: “Ma perché cazzo non si vede la Tour Eiffel?”.
“La Tour è dall’altra parte  del Pompidou, bella, per questo non la riusciamo a vedere” le risponde finalmente Irene alla sesta volta “e poi sono io quella senza senso dell’orientamento”.
“La prospettiva aerea mi confonde” replica Cecilia, tirando fuori una Marlboro e posizionandosela dietro l’orecchio sinistro.
“Ti ha scritto il malato mentale?” chiede Valeria, riponendo il telefono e la macchina fotografica ed appoggiandosi al corrimano sospirando.
Cecilia non risponde subito, guarda per un attimo l’ultimo spicchio di sole che scompare all’orizzonte.
“Sì” dice poi, con un tono amaro “stanotte. Mi ha scritto che gli manco. Se ne può anche andare a farsi fottere sinceramente”.
“Gli hai risposto vero?” sussurra Valeria, mangiucchiandosi l’interno della guancia. L’altra  rotea gli occhi ed esala: “Sì. Non posso non rispondergli, lo sapete”. Irene si avvicina e le dà un bacio tra i capelli: “Dai, ciccia, scendiamo e fumiamoci una sigaretta”.
“Sì, scendiamo!” esclama Valeria “devo comprarmi un cappello nuovo in qualche bancarella”.


We were strangers,
Starting out on a journey,
Never dreaming
What we'd have to go through.
(Anastasia soundtrack,  At the beginning)

Le tre ragazze tornano all’albergo quando ormai il buio è calato sulla città che, per reazione, sfodera le proprie luci zuccherose e sfavillanti. Valeria ha un berretto alla parigina nuovo di zecca sulla testa piena di ricci ribelli, e Cecilia ha due sigarette in meno nel pacchetto dentro la sua borsa a tracolla.
Appena arrivate, esibiscono i loro foglietti arancioni e bianchi alla signorina moretta che non avevano ancora visto alla reception e, una volta recuperate le chiavi, si apprestano ad entrare in camera. Esitano un attimo, perché sentono una canzone  rock americana attutita dai muri provenire dall’interno.
“Oh, sono arrivati” esclama Valeria con un sorrisetto e, girando la chiave nella toppa, spalanca la porta.
Due cose sono cambiate nella loro stanza da quando sono uscite: due giacconi sconosciuti, uno blu e rosso, l’altro nero, abbandonati sui gradini della scala che porta al secondo piano e la luce accesa in bagno, accompagnata dallo scrosciare dell’acqua della doccia e da una voce maschile che segue fischiettando le note della canzone che si spande nell’ambiente.
La musica si ferma e qualcuno al piano di sopra chiede: “Chi è?”. Poi, senza aspettare risposta, le ragazze sentono dei passi e una figura scendere con la scala a chiocciola per andar loro incontro.
Compare un ragazzo magro e sottile, non troppo alto, con gli occhi ed i capelli marroni e una barbetta corta e curata sulle guance. Porta al collo una sciarpetta leggera, di quelle che Cecilia definirebbe “da fighetto” ed al polso destro ha un braccialetto di pelle intrecciato. Nessuno saprebbe individuare perché, ma è bellissimo.
“Sono Mattia” si presenta prontamente con un sorriso educato ed ammiccante, stringendo la mano alle sue tre coinquiline.
Chiede loro perché sono a Parigi, per quanto staranno (“ah, partite con il TGV il 27, come noi!”), di dove sono (“Torino? Io e il mio amico siamo di Venaria, pensa che caso!”), ed infine, se hanno dei programmi per la cena.
Il gruppetto si è già messo a proprio agio, Mattia è seduto a gambe larghe sulle scale e con i gomiti sulle ginocchia, si sta girando una sigaretta, Valeria si è tolta le scarpe ed ha messo il cellulare in carica, Irene si è sdraiata sul letto e parla con Mattia guardando le foto della giornata sul display della fotocamera. Cecilia invece ha aperto bocca solo per presentarsi e da quel momento siede a gambe strette sul proprio letto, con la faccia di una che ha appena ingoiato un limone intero.
“Sapete già dove andare per cena?” è la domanda del ragazzo. In quel preciso istante, Francesco esce dal bagno, con addosso un accappatoio in microfibra azzurro.
Si guarda attorno e si blocca alla vista delle tre ragazze e maledice tacitamente la sfortuna di doversi presentare non vestito di tutto punto come Mattia , ma con l’aspetto strizzato di un pulcino bagnato davanti a tre sconosciute piuttosto carine. Certo, quella con i capelli ricci ha l’aria snob e quella alta sembra sul punto di precipitare dalle nuvole, ma sono graziose tutte e tre. Allora sfodera un sorriso e stringe loro la mano, nota che la ragazza svanita (“Francesco”, “Piacere, Irene”) assume un’espressione che la fa sembrare come una che si sia risvegliata di botto con una martellata in testa. Ha le mani piccole e lo guarda con gli occhi spalancati, azzurri. Lui si sente persino un attimo a disagio.
“Ecco, lui è l’innamorato sfortunato” lo presenta Mattia, mettendosi la sigaretta dietro l’orecchio e facendo un gesto teatrale. Mattia adora fare la comare: per questo non si è fatto problemi a raccontare il motivo per cui loro due sono a Parigi, anche se non era per niente compito suo.
Francesco esce da una relazione di due anni con una delle ragazze più dolci e più buone della Terra. Lei lo amava follemente. Ma lui non amava lei. Non per davvero, almeno: lei non è riuscita a conquistare il suo cuore, perché non è mai stato disponibile, fin dall’inizio. Un’altra lo occupa, ormai da sette anni.
Per questo Francesco ha lasciato quella ragazza dolcissima ed ora è a Parigi: per trovare l’altra ragazza, quella che lui definisce l’amore della sua vita senza battere ciglio, la sua ex storica, Serena, in Erasmus nella capitale francese. Non sa nemmeno lui che cosa si aspetti di trovare: vuole solo parlarle, per sapere una volta per tutte se loro due potranno avere ancora una chance. Se lei dirà di sì, Francesco dovrà prendersi le responsabilità di avviare una storia a distanza, almeno fino alla fine dell’anno universitario, se lei dirà di no, sarà chiusa davvero, una volta per tutte, e sarà libero di andare avanti.
Non la vede da due mesi, perché la distanza tra Parigi e Venaria è troppa anche solo per scorgere la schiena di lei da lontano, con i capelli che le coprono le scapole, liscissimi. L’ha vista da lontano per due anni interi: almeno a due metri da lui, con abbastanza spazio in mezzo da contenere due persone.
Sono le quattro del pomeriggio del 16 giugno 2011 quando Serena lo lascia  con la spiegazione forse più semplice ed onesta del mondo: “Non ti amo più”. Lo dice con voce tesa ma decisa, con l’aria di una che vuole togliersi un dente il prima possibile; oppure levarsi un tappo dalla trachea, che dopo mesi la fa respirare di nuovo. Lo fa per se stessa, certamente, ma anche per lui. Gli vuole bene, abbastanza da rendersi conto di dover essere assolutamente onesta con lui, di non doverlo tenere intrappolato, di doverlo lasciare libero. E lo lascia.
Suo padre muore due mesi dopo, il 3 settembre del 2011. Serena lo trova sul divano, all’inizio crede che si sia addormentato, ma lui non si sveglia e quando lo tocca è freddo. Infarto, ma i dottori dicono che sia stato un po’ come addormentarsi. Sua madre è distrutta dal dolore, così come sua sorella minore, lei vorrebbe solo scomparire, ma non scomparire e basta, vuole essere abbracciata e stretta al petto da un uomo che le dica che la ama, e poi scomparire, dissolversi per un po’. Serena è sempre stata di indole egoistica, ma con Francesco ha cercato di trattenersi in tutti i modi, per amore, per tutto il tempo in cui sono stati insieme. Ha appena perso, però, uno degli unici due uomini che abbia mai amato nella sua vita, quindi le viene quasi naturale, spontaneo andare dall’altro. Francesco qualche giorno prima si è fidanzato con una ragazza dolcissima più piccola di lui, Serena lo sa, ma non ci pensa. Non ci pensa e suona al suo citofono con il volto sfigurato dalle lacrime, senza averlo avvertito prima, sale le scale fino al terzo piano del suo palazzo a due a due e, non appena lo vede sulla porta, con il suo tipico sguardo da cucciolo, inerme, davanti a lei, come a volerle dire perché mi fai questo adesso?, si fionda contro di lui, affondando il viso nella maglietta di Francesco e bagnandola di lacrime. Francesco crede di non averla mai amata prima e che non la amerà mai più tanto come in quel momento. Lo pensa anche a distanza di due anni.
Ma il momento arriva e passa, i giorni si accumulano dopo la morte di suo padre e lei non torna da Francesco. Non ci riesce. Prova ad amarlo, prova a cedere alla frase che lui le ripete sempre – Non posso amare nessun’altra come amo te -  ma non riesce ad amare a comando. Così si allontana, di nuovo, ed entrambi tornano alle loro vite. Francesco non lascia la ragazza con cui si è messo, non la lascia per quasi due anni. La lascia quando capisce perché non riesce ad andare avanti. Lui e Serena non hanno avuto la loro conclusione. Lo capisce anche Mattia che, il 29 settembre 2013, gli dice: “Tu hai lasciato Martina, ed era ora. Hai fatto la tua parte. Quindi ora ti porto a Parigi, a fare quello che devi con la spostata”. Lui chiama sempre Serena la spostata, a Francesco fa ridere. Ed accetta la sua offerta.
Ed eccoli, il 23 ottobre. Mattia sta facendo lo splendido e Valeria gli dà corda: risponde al cellulare senza guardare lo schermo, sa dove sono le lettere sulla tastiera, ormai. Francesco dice qualcosa ogni tanto, fissando la ragazza con i capelli di un rosso sbiadito che fissa a sua volta Mattia con vago astio, rigirandosi tra le mani un accendino a fiori. E poi c’è Irene, che sembra sorridere ogni volta che lui parla, persino quando si congeda con un: “Ragazze, ho un freddo cane. A dopo!”.
Mattia gli lancia un’occhiataccia, poi esclama: “Vengo su anch’io, chiamo mia madre prima che mi creda morto o disperso”. Con un balzo, si mette in piedi e sale le scale, scomparendo alla vista, subito seguito dall’amico.
Valeria può anche essere una tipa poco coraggiosa e certamente non innamorata del suo fidanzato di Firenze, ma è una che sa osservare, ed anche molto bene. Per questo si gira verso Cecilia e le sussurra: “Si può sapere che ti è preso? È da quando Mattia si è presentato che sembri inquietante”.
Cecilia si volta verso l’amica e risponde: “Scusate. Ma avevo paura di sputare le ovaie”.
Irene ride, ma le sue due compagne apparentemente non si accorgono del nervosismo del suo tono.

One way or another,
I am gonna getcha.
(Blondie, One way or another)
Mattia adora rimorchiare, oltre a fare la comare.
La sua strategia è sempre la stessa: conosce un nuovo gruppetto di persone, che gli viene presentato da qualche suo amico, decide con una veloce occhiata qual è la ragazza più carina del gruppo, sempre se ce n’è una di suo gradimento, e poi la punta e la rimorchia. E gli viene sempre bene, non ricorda l’ultima volta che ha fallito nell’abbordare qualcuno. Il punto è che Mattia non è che lo faccia perché gli piacciono le ragazze in maniera spasmodica: le ragazze gli piacciono ed anche parecchio, ma quello che gli piace di più è l’atto in sé di riuscire a far cadere qualcuna ai propri piedi.
Lui ama rimorchiare, poi quello che succede dopo è meno importante. Per questo motivo le sue relazioni durano la media di una settimana, e non si porta a letto la ragazza in questione nemmeno tutte le volte. Semplicemente, dopo un po’ si annoia ad avere a che fare sempre con la stessa persona e se a volte si annoia più del solito, la scarica persino prima che lei si offra di fargli un pompino.
Mattia può sembrare il classico stronzo sciupa femmine, ma in realtà, quando non gli parte il trip di dare acqua al mulino del proprio narcisismo puntando qualche malcapitata, è una persona con un carattere amabile e socievole, sempre disponibile ad aiutare le persone a cui tiene quando sono in difficoltà. Per questo motivo ha portato Francesco a Parigi e lo ha convinto a parlare con Serena faccia a faccia per mettersi l’anima in pace.
Vedendo le tre ragazze di Torino quella sera, però, e conoscendole meglio dopo, durante la cena, in una creperie vicino alla piazza della Bastiglia, nella testa del ragazzo è scattato automaticamente il meccanismo del predatore. Ma non ha funzionato nel suo modo solito.
“Cecilia è interessante” dice Mattia sottovoce tra le coperte del suo letto, all’una e mezza di notte, quando la camera è sprofondata nel buio. Francesco si gira verso di lui e mugugna qualcosa.
“Valeria è decisamente più bella, sia chiaro” continua lui imperterrito, dando voce ai pensieri che gli sono frullati per la testa nelle ultime due ore “ma Cecilia … non so, è interessante. Più di Valeria”.
“Matti, tappati la bocca. Me lo dici domani” replica Francesco, stavolta ben udibile.
Mattia sbuffa e si gira sull’altro fianco, dando la schiena all’amico. Poi sorride tra sé e sé, pensando al modo assolutamente adorabile in cui Cecilia gli ha chiesto, quando si sono trovati su uno dei ponti che collegano Parigi all’Ile de la Cité, di fare una foto a lei ed alle sue amiche, arrossendo come un peperone. Ma anche al modo in cui lei gli ha tenuto testa mentre si scambiavano opinioni discordanti sull’utilità del Liceo Classico e sul ruolo dei Rolling Stones nella musica moderna. Sul modo in cui le pupille di lei sono state perennemente dilatate mentre lo fissava. Mattia è un predatore. Uno di quelli dal carattere buono, non stronzo, ma pur sempre un predatore è. Ma ha quasi vent’anni, i muscoli guizzanti sotto la pelle ed è bello da far paura, quindi è abbastanza normale che sia così. Pensa a Cecilia e quasi spontaneamente gli sorge il pensiero: “E’ fin troppo facile”. Poi, si addormenta.



Strangers passing by on the street;
By chance, two separate glances meet.
And I am you, and what I see is me.
(Pink Floyd,  Echoes)
Giorno 2 – 24 ottobre
Sebbene negli ostelli di solito avere lenzuola pulite è una grande conquista, in Rue Trousseau c’è chi tratta bene  i propri ospiti. Infatti la colazione, che negli altri ostelli è inesistente, là non è certamente raffinata ma dignitosa: una pagnotta di pane piuttosto secco, un succo di frutta, un plumcake, burro e marmellata, caffè o tè a volontà dal distributore automatico. I tavoli sono disposti in fila praticamente nell’ingresso dell’albergo, ma ci si può accontentare. Francesco si alza per primo e va a mangiare per conto proprio: quando scende le scale della camera trova le tre ragazze nel mondo dei sogni, con le sveglie ancora impostate e silenti; quanto a Mattia, tentare di svegliarlo prima delle otto quando non deve andare all’università è una causa persa.
Si è svegliato di cattivo umore: l’idea di dover vedere Serena lo fa sentire euforico ed angosciato allo stesso tempo.
Ci vediamo il 26 mattina, che non ho lezione. X. Così gli ha scritto per messaggio lei quando ha saputo che lui sarebbe venuto a trovarla. In quel momento, davanti al suo tè di marca infima che colora l’acqua calda, Francesco si sta pentendo di aver preso il treno e di essere venuto a Parigi.
Avrebbe dedicato la propria vita a Serena e gliela dedicherebbe tuttora. È stata la sua prima ragazza vera, la sua prima volta (sudata, dopo mesi infiniti), il suo primo tutto sostanzialmente. Per assurdo, non ha mai smesso di volere che lei fosse la sua prima ed ultima: molti suoi amici, Mattia in primis, dicono che ci voglia un po’ di esperienza prima di trovare la ragazza giusta, che sia quasi una sfortuna trovare il meglio subito, perché si precludono un sacco di possibilità ed esperienze. Francesco se ne frega, perché Serena è così giusta che non sente nemmeno il bisogno di altro.
Una mano gli si posa sulla spalla e una voce femminile gli dice: “Buongiorno”. Valeria.
Non è truccata e ha addosso qualcosa che probabilmente è stato una tuta e che ora è un pigiama. Gli sembra diversa dalla sera prima, più rilassata forse. Più leggera, come se fosse priva di qualcosa, ma Francesco non riesce a capire che cosa.
Lei si è presa un intruglio marroncino che cerca di assomigliare a caffè ma non ci riesce. Gli si siede davanti, prende due bustine di zucchero e le mette tutte dentro la tazzina, con una smorfia sul viso ed il piccolo neo sotto l’occhio quasi nascosto da una ruga d’espressione. Francesco smette di fissarla e torna a concentrarsi sul proprio tè, ormai diventato quasi nero.
“Dormito bene stanotte? Io non riesco ad abituarmi a quei cuscini” esclama lei con quel sorriso strano, sghembo, che lui ha già registrato come sua caratteristica.
“Sì sì, io dormo bene anche in piedi ad essere sincero” risponde il ragazzo,scartando il plumcake ed immergendolo con lentezza nel tè. Nel momento in cui finisce la frase gli viene in mente la volta in cui all’acquapark si stava per addormentare mentre era in coda per uno degli scivoli. Era con Serena. Aveva un bikini bianco con le ciliegie sopra, sedici anni e Francesco, se avesse potuto, avrebbe fatto l’amore con lei anche davanti a tutti.
Improvvisamente, si accorge di essersi imbambolato e che Valeria lo sta fissando con sguardo leggermente divertito.
“Pensi alla tua ragazza vero? Fate tutti la stessa faccia”.
Francesco sorride e sbuffa, poi morde il plumcake. Sta per rispondere un sì colpevole quando si accorge di ciò che non lo convince nella frase di Valeria: “Fate? Farai anche tu ‘sta faccia, visto che hai un ragazzo”. Grande abilità di pararsi il culo, amico, complimenti.
Lei ridacchia, fa uno strano movimento con le sopracciglia, quasi scettico, sta per rispondere ma “Buongiorno!” esclama Irene, alle sue spalle, rivolgendo un grande sorriso a Francesco. Lei si è già truccata.
Valeria si gira verso di lei e mentre commenta “Come cavolo è possibile che tu sia già sveglia?”, Francesco capisce di che cosa Valeria è priva, che cosa la fa sembrare più leggera: non ha il cellulare con sé.

La felicità è come una farfalla: se tenti di afferrarla,  non ci riuscirai mai.
Ma se rimani fermo, potrebbe anche posarsi su di te.
(Nathaniel Hawthorne)

Valeria, la ragazza con il cappello alla parigina calcato in testa e l’iPhone perennemente tra la dita, è una persona che ama socializzare. Per questo propone ai suoi quattro compagni di stanza, due ragazze che conosce da una vita e due ragazzi appena conosciuti, di fare turismo insieme.
È certamente una di quelle ragazze che Francesco definirebbe la solita classicista snob, ma lei è una snob simpatica: se le piaci alla prima impressione, sei dentro il suo gruppo, se invece non le piaci, non ci sarà nulla da fare per farle cambiare idea. D’altra parte, con le persone che le piacciono, lei sa essere un pozzo d’affetto.
Per questo propone loro di fare un giro insieme: sente che quei due ragazzi non sono maniaci sessuali e che ci si può fidare di loro, e Valeria non sbaglia mai, perché ha un sesto senso nell’inquadrare le persone.
Per questo, mezz’ora più tardi, escono tutti e cinque infreddoliti e trafelati dalla metropolitana parigina per fare il loro ingresso in Place Pigalle.
“E’ pieno di pornoshop questo quartiere” dice Cecilia a nessuno in particolare, appoggiandosi una sigaretta sul labbro inferiore e cercando nella borsa l’accendino a fiori, che ha deciso di andarsi a ficcare in qualche angolo sperduto. Sta già per imprecare a bassa voce quando  sente Mattia rispondere: “Interessante. Magari ci trovo qualcosa. Tieni” aggiunge, porgendole il suo accendino rosso con la fiamma azzurrina già pronta a bruciare carta e tabacco. Lei si sporge per avvicinare la sigaretta ed aspira, accendendola. Sputando fuori il fumo “grazie” gli dice, sperando che le sue ovaie non siano davvero dove se le sente, cioè all’altezza delle tonsille, ma nel loro luogo canonico. Lui scrolla le spalle, le fa un sorriso distratto e raggiunge Francesco che, insieme a Valeria, sta provando a decifrare la cartina.
“Madonna se siete negati! Dobbiamo salire se vogliamo andare al Sacro Cuore! A sinistra, su!” esclama un attimo dopo, provocando i versi di disappunto dei due cosiddetti “negati”.
Irene passa un braccio attorno alle spalle di Cecilia, quest’ultima le sorride e camminano insieme abbracciate in questo modo per tutta la salita di Montmartre, fino alla maestosa chiesa bianca.
È tutto piuttosto magico lì intorno, come se fosse stato ritagliato da una cartolina ed appiccicato davanti ai loro occhi: il prato così verde, il cielo costellato di innocenti nuvolette così azzurro, le bancarelle dei dolci nel piazzale così profumate. Valeria sta ammirando un letto di gelatine alla frutta di tutti i colori ed intanto cerca di rispondere con un francese stentato, da terza media, alle domande del venditore che ci sta palesemente provando con lei. Mattia ha fatto una faccia di puro godimento (che Cecilia per caso ha intercettato e che le ha provocato un fulmineo scompenso ormonale) quando una signora grassa e gentile gli ha offerto un macaron al cocco. Cecilia, Irene e Francesco si sono invece intrufolati in un gruppo di giapponesi e stanno cercando di sentire che cosa dice la guida in inglese. Irene, dal canto suo, ascolta con disinvoltura, annuisce persino, con aria attenta; Francesco e Cecilia invece si arrendono dopo un paio di minuti.
“Tranquilli, vi spiego tutto io dopo” dice Irene, sorridendo al ragazzo. Cecilia alza un sopracciglio con aria perplessa, ma intanto lui replica: “Davvero lo riesci a capire? Io ci ho rinunciato!” ha gli occhi sottili e marroni spalancati per la sorpresa.
“Ire è una specie di genio nelle materie umanistiche” borbotta Cecilia con aria complice “se solo smettesse di scrivere stronzate e finisse il suo manoscritto, te lo potrei anche provare”.
Irene le lancia un’occhiataccia proprio mentre l’amica “ma i macarons! Scusatemi!” dice, e si affretta a raggiungere Mattia, che sta facendo lo splendido con la signora per farsi fare uno sconto per il sacchetto che ha comprato.
“Davvero scrivi?” chiede Francesco sottovoce per evitare le occhiatacce da parte di una vecchietta dagli occhi a mandorla vicina a lui. Irene annuisce sistemandosi meglio gli occhiali sul naso e fissandolo con un sorriso: “Sì, ma non è niente di che. Ho una bozza di una storia, ma non è finita e nemmeno ricorretta … in questo periodo scrivo altro”.
“Tipo?” insiste lui, avvicinandosi ad Irene ed aggiustandosi il colletto del giubbotto nero. Irene si irrigidisce quando lo sente più vicino: è una ragazza che ha sempre avuto una sorta di ipersensibilità su tutti i cinque sensi. Il senso a cui lei dà più importanza è l’udito: cerca sempre di fare attenzione ai suoni piccoli, quasi impercettibili, i suoni che sono dentro le cose, quelli che le caratterizzano. Poi il tatto, i tessuti, le trame dei vestiti, il caldo ed il freddo sui polpastrelli delle mani, la vista, le sfumature del verde (centinaia di migliaia di verdi anche in un solo fazzoletto di prato), il gusto, la pasta di mandorle sulla lingua, l’amaro della rucola, la dolcezza del fruttosio nel tè.
Poi l’olfatto.
Irene in quel momento non riesce davvero a ricordare quali odori ha sentito nella sua vita e a quali potrebbe sentire in futuro, perché viene investita in pieno dall’odore di Francesco, che le annebbia quasi completamente il cervello. Non saprebbe nemmeno spiegare che cosa la colpisca, sa solo che vorrebbe allungarsi per annusargli il collo più da vicino. Per questo si blocca: non ha mai avuto, nemmeno lontanamente, questo tipo di pensieri per un ragazzo. Mai.
“Gestisco una posta del cuore su un giornale. È una cosa piuttosto stupida, però mi diverto … è bello occuparsi delle paranoie altrui” gli risponde, tentando di tenere la voce ferma e sperando che lui non noti il fatto che sia completamente sotto shock.
“Sul serio? Non pensavo ci fosse davvero qualcuno di dedicato che rispondesse a quelle robe! Beh, ma puoi scrivere quello ed il tuo libro, no?”.
Irene si passa una mano davanti agli occhi e tenta di reprimere un sorriso imbarazzato: “Potrei, certo, ma non ne ho il coraggio. Devo, devo, ammazzare un personaggio, ma non ci riesco, sono troppo affezionata a lui”. Spera con tutto il cuore di non aver adottato il suo solito tono da fanatica quando parla di lui, e le sembra di no, ma non ci giurerebbe.
Francesco però non pare inquieto o spaventato, ma solo pensieroso: “Beh, perché devi proprio ucciderlo? Magari potresti salvarlo. Sei tu che decidi nel libro” replica, osservando il cielo. La voce piatta della guida fa parte del sottofondo ormai: Irene è così assorbita nell’ascoltare tutte le inflessioni del tono di lui che non riuscirebbe a capire nemmeno più una parola in inglese.
“Non scriverò una morte-non morte stile Harry Potter, se è questo che mi stai suggerendo. Non voglio fare una vigliaccata, ho deciso anni fa che sarebbe dovuto morire e morirà, devo solo trovare il coraggio di farlo davvero” ridacchia infine Irene, un po’ nervosa.
Anche Francesco ride piano, poi dice: “Capisco che cosa provi. Lasciar andare qualcosa di legato a te non è facile. Io sono venuto fin qui proprio per questo” la sua voce sfuma, il mento si abbassa ed i capelli castani gli coprono gli occhi.
Irene sente una fitta allo stomaco quando si ricorda il motivo per cui lui e Mattia sono a Parigi. Sta per rispondere, ma sente due braccia circondarle i fianchi ed i capelli ricci di Valeria che le si poggiano sulla spalla: “Ti ho comprato le gelatine alla ciliegia, ce le mangiamo stasera prima di andare a dormire!”.
Irene tira un sospiro di sollievo, Francesco sorride.
“Intendi quando io parlo e tu fai finta di ascoltarmi mentre leggi Dylan Dog?” Valeria gonfia le guance, facendo il broncio, e risponde: “Che bugiarda. Succede solo quando tu ti metti a parlare di Death Note, lo faccio per protesta”.
“Beh, però è Death Note” Irene non sente solo la sua voce articolare le medesime parole. Lei e Valeria si girano verso Francesco e la seconda dice: “Oh, Dio, me ne bastava solo una di persona fissata con i manga”.

You fit me better
Than my favorite sweater.
(Lana Del Rey, Blue jeans)

Sono le nove di sera, sono andati fino alla Sorbona, poi il Pantheon, Cecilia ha finalmente visto da lontano la Tour Eiffel che tanto bramava (“Sono a Parigi da due giorni e non l’ho ancora nemmeno vista di sfuggita, è ridicolo!”), Valeria si è fatta chiamare al telefono da Antonio almeno quattro volte per fargli la cronaca del loro itinerario e per sentirsi dire un paio di frasi carine, Mattia ha finito tutto il sacchetto di macarons da solo (ha accettato di dividerne uno al pistacchio solo con Cecilia) e si è sentito follemente tentato di comprare una frusta di pelle esposta nella vetrina di un pornoshop (“Per favore, Matti, non fare l’idiota” è stato il commento di Francesco).
Sono le nove di sera e Francesco ed Irene sono immersi fino al collo da ore in una discussione sui manga. Hanno iniziato con Death Note, sono passati per Kuroko no Basket, sono arrivati ad Hunter x Hunter, hanno aperto una breve parentesi su Dragon Ball per poi impantanarsi in una discussione su Naruto che, Francesco lo sa benissimo, non c’è modo di concludere. D’altronde è un’ora e mezza che stanno parlando solo del personaggio di Sasuke.
Sono le nove di sera ed i nostri eroi si guadagnano finalmente il caldo accogliente della loro stanza in Rue Trousseau. Valeria ha gli occhi fuori dalle orbite ed un tic al labbro inferiore: non li sopporta più, vuole solo rintanarsi sotto le coperte, mettersi un paraorecchi, e leggere Dylan Dog tutta la notte, per opposizione. Cecilia e Mattia sono al suo fianco, che la sorreggono solidali.
“Sono due cazzo di otaku” mormora Valeria piano con voce isterica “io non li sopporto i manga, giuro. Salvatemi, ragazzi, vi prego”. Si siede sul proprio letto (l’unico in ordine dei tre al piano di sotto) e Cecilia ridacchiando le cinge le spalle con un braccio, dopo essersi seduta vicino a lei. Mattia invece si gira con l’intenzione di dire qualcosa al suo amico che, per tutta risposta, gli volta le spalle e sale, preso dalla discussione (“Ti ho detto che Kishimoto non ha creato personaggi gay! Ma ti pare? Sasuke gay?”, “Ti aprirò gli occhi, ragazzo, lo giuro”), al piano di sopra con Irene.
Mattia si volta verso le due ragazze, che hanno assistito incredule alla scena, con un indice a mezz’aria e lo sguardo perplesso: “Ok” dice “credete che si accoppieranno tra un po’ o potrò salire a prendere il caricatore per il cellulare  senza assistere a qualche scena raccapricciante?”.

And, if you have to leave,
I wish that you could just leave,
'Cause your presence still lingers here,
And it won't leave me alone.
(Evanescence, My immortal)
Giorno 3 – 25 ottobre
Cecilia si sveglia sentendo il cellulare vibrare sotto il cuscino. Pensa sia la sveglia, ma in realtà è un messaggio. E c’è solo una persona che può scriverle alle sei e un quarto di mattina senza farsi qualche scrupolo.
Buongiorno, signorinella. Sbrigati a tornare che voglio parlarti. Devo davvero parlarti. Buona giornata e fatti viva, mi manchi.x. Cecilia legge il messaggio e chiude gli occhi, sospirando.
Vincenzo era nel loro stesso liceo, ma in un’altra sezione. Tra loro due, fin dal primo giorno in cui si sono visti, ci fu quella che Irene è solita definire erotic urgence: si volevano , parecchio, e basta.
All’inizio, quando avevano diciotto anni.
Poi Cecilia si innamorò di lui. Follemente, totalmente, incondizionatamente. Parlava di lui, lo vedeva ovunque, riconduceva ogni discorso a lui, sentiva il suo odore dappertutto ed avrebbe venduto l’anima al diavolo per sentirselo addosso, impregnato nella pelle ventiquattro ore su ventiquattro, avrebbe voluto sentire la sua barba grattare sul suo collo e le sue labbra subito sotto l’orecchio, avrebbe voluto passare pomeriggi interi con lui, a parlare, giocare ai videogiochi, a fare sesso, a discutere su Star Wars. Insomma, sarebbe stata con lui per tutta la giornata, in ogni momento.
Peccato che lui non fosse dello stesso avviso. Vincenzo ha un unico grande problema: è un eterno indeciso. Per questo motivo da due anni non fanno altro che prendersi e lasciarsi, mettersi insieme e stare insieme per una settimana, perché lui è confuso ed un giorno la vuole e l’altro no. Cecilia è stata male come un cane, ma non riesce a non stargli dietro, anche solo per la speranza che sia la volta buona, che otterrà finalmente ciò che ha sempre sognato.
Cecilia riapre gli occhi e con un gesto veloce spegne lo schermo: non deve rispondergli subito, ci penserà dopo. Non è a sua disposizione, o perlomeno vuole fargli credere di non esserlo. Ributta la testa sul cuscino e torna a dormire.

You give me something
That makes me... scared,  allright?
This could be nothing,
But I am willing to give it a try.
(James Morrison, You give me something)

Mattia è già alla seconda sigaretta quando, insieme a Francesco e a quelle curiose e strambe torinesi mal assortite tra loro, arriva al Campo di Marte e, quindi, alla Tour Eiffel. È tutta la mattina che gli rimbomba in testa We’re never never ever getting back together di Taylor Swift quindi, come è giusto che sia, è piuttosto irritato. Cioè, per carità, è una gnocca esagerata, ma odia il suo genere.
Il suo flusso di pensieri viene interrotto da Valeria che, accanto a lui, fa un verso di esasperazione, scuotendo il proprio cellulare con aria frustrata: “Mi lasciano solo cinquanta minuti di internet con questa promozione all’estero e la metà del tempo lo spendo a far caricare Whatsapp, che odio”.
Mattia si gira verso di lei sputando fuori il fumo e la osserva per un attimo mentre getta il proprio iPhone nella borsa: “Vuoi un tiro, cara?” replica, porgendole la sigaretta a metà con il suo migliore sorriso da rubacuori.
Valeria scuote la testa: “No, grazie, tienitela pure”. Mattia guarda il cilindretto di carta e tabacco che regge tra il pollice e l’indice: “Ok, la vado ad offrire a Cecilia, io mi sono stufato”. Allunga la mano e tocca la spalla alla ragazza che sta davanti a lui, immersa in una discussione su Harry Potter con Francesco ed Irene.
Cecilia si gira e lo fissa interrogativa.
“Finisciti la sigaretta, da brava” esclama lui, porgendogliela.
“Da brava?” replica lei corrugando le sopracciglia, ma sfilandogli la sigaretta tra le dita.
“Lo dico sempre, non farci caso, nulla di personale” risponde il ragazzo, sorridendo. Cecilia gli sorride di rimando.
Cecilia è carina. Mattia pensa sempre questo quando la osserva e quando le parla: trova che sia carina, anche con quel rosso sbiadito appiccicato ai capelli, anche con l’aroma del tabacco quasi perenne tra i vestiti, mescolato all’odore di fiori. Ecco, i fiori: sono carine anche tutte le fantasie di margheritine e girasoli che si porta addosso, sulle camicette, sulle scarpe di tela, sull’accendino, sulla valigia, sulla borsa, che le fanno risaltare gli occhi azzurri con le ciglia corte ed il naso a patata. È  graziosa, ecco, graziosa. Ma non il grazioso snob di Valeria, un grazioso disinteressato, quasi inconsapevole. Adorabile, perché è bella ugualmente. Mattia si stupisce di questi pensieri: le ragazze sono sempre state fighe, scopabili, gnocche, raramente belle, ma mai graziose nel loro insieme. È la prima volta in cui considera eccitante il carattere di una ragazza e non solo banale o noioso.
“Grazie per avermi salvato dai due fanatici” sussurra lei,camminandogli accanto, “io adoro Harry Potter, ma tra un po’ iniziano a parlare dei peli del culo di Mirtilla Malcontenta e sinceramente ne faccio a meno” soffia via il fumo dell’ultimo tiro, getta la sigaretta a terra e guarda la Tour.
Sono finalmente arrivati sotto questa enorme montagna di ferro nel piazzale gremito di gente che si affolla per salire, in ascensore o a piedi. Ragazzi di colore con in mano centinaia di statuette dorate minuscole vanno in giro alla ricerca di qualche cliente. Ci sono poliziotti in divisa, bambini con i palloncini, ragazzini che hanno tagliato la scuola con lo zaino ancora sulle spalle e un hot dog in mano. Il brusio ed il cicaleccio diffuso offrono un senso di pace.
“Finalmente siamo arrivati! Mi stavo stancando” afferma Irene, alzando le braccia sopra la testa per stiracchiarsi.
“Ire, siamo venuti in metro” puntualizza Valeria, alzando un sopracciglio, divertita.
“Quante volte ti ho detto di non chiudermi, Vale?” Irene odia camminare, con tutto il suo cuore.
“Saliamo, vero?” chiede Francesco, sorridente. Cecilia si irrigidisce e guarda in alto. Ha sempre sofferto di vertigini, anche quando suo padre le faceva fare l’aeroplano tra le sue braccia. E la Tour Eiffel è decisamente più alta rispetto a suo padre e non è tutta avvolta nella plastica e  innocua come il Pompidou.
“Credo che non salirò ragazzi, soffro di vertigini” dice, seria, guadagnandosi un’occhiata stupita da parte dei due amici.
“Ma come? Mi dispiace lasciarti sola!” esclama Francesco.
Lei sventola le mani e replica: “Ma figuratevi, voi salite, io mi faccio una passeggiata!”. Valeria rovista nella borsa e le porge la cartina: “Mi raccomando, Cé, non perderti. Ci troviamo a mezzogiorno a quel pilone, ok?”.
Cecilia annuisce sorridendo, sta per dire qualcosa, sta pensando che probabilmente passerà metà del tempo a fissare il cellulare cercando una risposta decente da dare a Vincenzo, ma “rimango io con lei, dai, voi tre salite” dice Mattia scrollando le spalle.
“Sei sicuro?” chiedono Cecilia ed Irene contemporaneamente, stupite. Valeria fa un sorrisetto, ma si astiene da ogni commento: ha mangiato la foglia già da un pezzo.
“Ma sì, ci sono già salito tre anni fa, tanto, e poi oggi è nuvoloso” replica Mattia con tono disinteressato “dai, a dopo, divertitevi”.
Mentre i due gruppi si dividono e Cecilia si ritrova finalmente da sola con Mattia, la ragazza pensa due cose: la prima è che le ovaie si stanno già preparando per la migrazione verso le tonsille e che per qualche ora a Vincenzo toccherà aspettare sue notizie.

Why do you have to be so Cute?
It's impossible to ignore you!
Why must you make me laugh so much?
It's bad enough we get along so well!
(Imogen Heap, Goodnight and go)

Non sanno bene nemmeno loro due come ci siano arrivati, ma si ritrovano in una piazza di una delle zone visibilmente più benestanti di Parigi, dedicata a Victor Hugo.
Non sanno bene come ci siano arrivati, sanno solo di aver camminato in linea retta per un bel po’, di aver dribblato con destrezza dei venditori di statuette, di aver evitato per un pelo una cacca di piccione sulla testa mentre attraversavano la strada, di essersi fermati per fare una foto a quattro turiste inglesi, di aver osservato con una certa ammirazione (“Verrò a vivere qui un giorno, lo giuro”, “Certo, cara, quando trovi i soldi dimmelo che ti seguo a ruota”, “Sei proprio antipatico”) i condomini con i balconi di vetro smerigliato e le piante verdissime che sporgevano da essi, e poi di essersi ritrovati in questa piazza.
Si sono resi conto di aver camminato per un bel pezzo nel momento in cui si sono fermati quasi automaticamente con l’acquolina in bocca ed una certa spossatezza alle gambe davanti ad un locale che pareva una via di mezzo tra una panetteria, una pasticceria ed un piccolo bar fast food. Mattia fissa con insistenza e con gli occhi quasi fuori dalle orbite (Cecilia ha seriamente paura che nel caso provi ad aprire le palpebre ancora di più gli cadranno i bulbi oculari sul marciapiede) le file di macarons esposte in vetrina per gradazioni di colore. Lei, invece, fa un movimento veloce con le dita per sistemarsi meglio gli occhiali sul naso, dal momento che si sta sforzando di analizzare le tortine dietro al bancone, all’interno.
Hanno parlato per tutto il tragitto, forse è per questo che non si sono resi conto della direzione che stavano prendendo, ma da quando si sono fermati davanti alla pasticceria sono assorti nell’osservazione e tra loro è calato il silenzio.
“Cecilia, io devo provare quelli rosa chiaro. Devo” esordisce Mattia improvvisamente, voltandosi verso di lei.
“Io voglio quella tortina” ribatte lei e, senza farselo ripetere, apre la porta con aria decisa.

You already won me over,
In spite of me.
Don't be surprised if I fall
Head over feet.
(Alanis Morissette, Head over feet)

La panetteria, per essere le undici di mattina, è piuttosto affollata: c’è coda per ordinare e i tavolini a disposizione dei clienti sono per metà pieni.
“Vai pure a prendere posto, ordino io” dice lui, sorridendole.
E Cecilia finalmente ci arriva. Capisce finalmente che cosa renda Mattia così bello. E le pare così ovvio che non riesce a credere di non averlo notato prima.
La bocca. La bocca di Mattia è da annoverare tra le meraviglie del mondo. Non è né carnosa né sottile, non è troppo larga e si accorda bene con la mascella. Senza quelle labbra, quella linea perfetta che le congiunge, Mattia non sarebbe niente di speciale. Carino certo, con il suo carisma avrebbe fatto comunque strage di cuori probabilmente, ma non irresistibile, come invece è. Ora che si è resa conto di questa profonda verità, Cecilia non riesce più a distogliere l’attenzione da ciò.
La ragazza annuisce, si volta e si dirige verso uno dei tavolini sparpagliati nel locale. Una volta sedutasi su uno sgabello alto, invece di spogliarsi affonda il mento nella sciarpa a fiorellini viola e respira a lungo. Davanti a lei c’è un ragazzo che indossa un completo giacca e pantaloni gessato che sta ingurgitando in fretta e furia una insalata mista pescandola dalla ciotola di plastica sottile con una forchettina. È inoltre occupato nello stesso momento a rispondere a delle mail dal suo Samsung e Cecilia è sconvolta dalla velocità in cui scrive: probabilmente si tratta di un manager o comunque una persona con la necessità di tenere molti contatti, eppure sembra avere solo qualche anno in più di lei. Quasi d’istinto, la ragazza mette una mano nella borsa ed inizia a frugare alla ricerca del cellulare, che però pare non avere intenzione di farsi trovare. Tipico, quando pensa di fare qualcosa che non dovrebbe. Finalmente lo trova: è una ragazza all’antica, al contrario di Valeria. Lei si accontenta del suo vecchio modello di smartphone con la tastiera reale completa, un tipo di cellulare che era parecchio in voga qualche anno prima. Va nella casella messaggi e apre la conversazione con Vincenzo. Rilegge il messaggio della mattina, poi inizia a fissare come ipnotizzata la barretta verticale che lampeggia in attesa che lei scriva qualcosa. È indecisa se adottare una linea dura, se scrivergli di non farsi sentire mai più, che le ha rovinato la vita negli ultimi due anni, che tanto sa già come andrà a finire, che lui cambierà idea già domani, oppure se fidarsi un’ultima volta di lui, dopo due mesi dalla loro ultima rottura. La speranza è l’ultima a morire, così dicono tutti.
Vins, non è il caso che tu mi scriva alle sei di mattina, mi hai svegliato. Penso che potremo vederci non appena … decide di adottare una via di mezzo tra le due che ha preso in considerazione, ma in quel momento “Eccomi qua!” dice Mattia, con un vassoio in mano ed almeno quattro tipi di roba da mangiare diversa sopra. Cecilia alza la testa per guardarlo con la faccia di una che si è appena risvegliata da un sogno e quasi automaticamente replica: “Oh, fantastico, appoggia qua” e toglie la propria borsa dal tavolo. Un attimo dopo, lancia un’occhiata veloce al cellulare e cancella con un tasto il testo del messaggio che stava scrivendo.
Mattia si siede, le rivolge uno sguardo indecifrabile che fa sentire Cecilia piuttosto a disagio (come cazzo è possibile che sia così bello?), poi sorride e dice: “Scrivevi al tuo ragazzo?”.
Lei arrossisce di botto e gli lancia un’occhiataccia, poi replica: “No. Che cosa hai preso?”.
Lui sposta gli occhi sulle leccornie appoggiate tavolino circolare e sospirando con aria annoiata e canzonatoria (certamente più canzonatoria che annoiata, perché si vede benissimo che la riposta della ragazza lo ha divertito): “Macarons, pane al burro, tortina alla fragola che mi avevi detto … e due panini” conclude indicandoli soddisfatto.
Cecilia lo fissa alzando un sopracciglio: “Ma dovevamo fare colazione, mica pranzo” considera.
Mattia scrolla le spalle: “Bisogna mangiare più che si può, che dobbiamo avere un sacco di energie per camminare oggi pomeriggio! Questa è una colazione appena degna. E poi non ti preoccupare, offro io, tanto la commessa mi ha fatto lo sconto. Sai … il fascino” aggiunge, ammiccante.
Ormai è definitivo, Cecilia sa che dovrà sacrificare qualche organo interno che collasserà per la troppa pressione che opererà per trattenere le ovaie al loro posto. Ha sempre pensato di aver conosciuto un numero considerevole di ragazzi belli, con carisma e fascino in buona quantità, nonostante abbia fatto un liceo in cui la densità di popolazione maschile è piuttosto bassa. È innegabile che persino Vincenzo, che secondo Irene e Valeria di aspetto è uno dei ragazzi più rozzi in circolazione (barba nera, capelli neri corti, occhi neri che brillano come onici) ha comunque un certo sex appeal. Ma mai ai livelli di Mattia: l’unico vocabolo che lei riesce ad affibbiargli nella sua mente è bomba sexy, anche se è usato solitamente per le donne. Cecilia non si considera una ragazza fissata con il sesso: lo è più di Irene certamente, ma lei non conta, visto che deve ancora fare lo step precedente, ed anche più di Valeria, perché dopo quattro anni di relazione il sesso diventa quasi un qualcosa un po’ di rito più che un modo per sfogare la libido. Il sesso, per quel poco che lei ha fatto, le piace, magari ne parla con le sue amiche, si spinge anche a fare a volte commenti di natura sessuale su alcuni ragazzi (d’altronde chi non ha mai fatto pensieri sporchi su Johnny Depp?), più per scherzo che per altro, ma certamente è raro che pensi a qualcuno che ha appena conosciuto sul piano sessuale. Il problema è, purtroppo, che Mattia è il sesso. È il sesso personificato, è fatto apposta per questo. Inoltre, ha un bel carattere ed è assolutamente affascinante: Cecilia capisce finalmente come descriverlo, qual è la parola adatta. Sireno.
“Fai sempre lo splendido con le commesse per farti fare lo sconto, per curiosità?” chiede lei, osservandolo incredula mentre lui attacca uno dei due panini, ripieno con uova, frittatina e prosciutto cotto.
“Ma non faccio lo splendido, sono loro che sono molto disponibili a farmi dei piaceri” replica Mattia, masticando e sorridendole “allora, hai mandato il messaggio al tuo ragazzo prima?”.
Cecilia gli lancia nuovamente un’occhiataccia e dice: “Ma farti i cazzi tuoi no?” prende il panino rimasto sul vassoio, ripieno di pomodoro e mozzarella.
“Oh, come sei scontrosa, mi preoccupavo per te”
“Non ho un ragazzo e non ho mandato nessun messaggio” concede lei, asciutta, mordendo il panino ed evitando di guardarlo negli occhi.
Mattia annuisce e i due rimangono in silenzio per un po’. Cecilia guarda oltre la spalla del ragazzo e vede il manager alzarsi dal proprio tavolino, mettersi il cellulare nella tasca interna della giacca, prendere la valigetta in mano ed andarsene, lasciando il contenitore unto di olio dell’insalata sul ripiano di metallo. Cecilia appoggia il panino mangiato a metà sul vassoio e si libera del cappotto che aveva tenuto fino a quel momento. Poi, con un movimento fluido, si srotola anche la sciarpa dal collo.
“Ma perché hai fiori ovunque?” chiede improvvisamente Mattia, ingollando l’ultimo pezzo del suo panino ed attaccando un macaron bianco, al cocco “non ti ho mai visto senza almeno una cosa addosso con i fiori in tre giorni”.
Cecilia sorride e, mettendo la sciarpa nella borsa a fiori, replica: “E’ un po’ imbarazzante. Diciamo che un ragazzo che mi piaceva un paio di anni fa mi ha detto che sarei stata bene con le fantasie a fiori. Probabilmente lo diceva solo per blandirmi, però gli ho dato retta e l’abitudine non mi passa” ride piano e finisce il panino schiarendosi la gola.
Mattia piega la testa da un lato, sorride ed esclama: “Beh, sì, ha ragione, ti stanno bene. Solo non capivo perché li mettessi sempre. Ma quindi questo ragazzo dei fiori è quello a cui mandavi messaggi prima?” ritenta, quasi sghignazzando.
Cecilia rotea gli occhi, prende il tortino panna e fragola e sbotta: “L’invito a farti i cazzi tuoi è sempre valido. Comunque sì, anche se non è il mio ragazzo e non gli ho mandato un messaggio” sottolinea bene le ultime sei parole, fissandolo truce.
Lui alza le mani e ridendo dice: “Va bene, va bene, non insisto più”. Attacca uno dei macarons rosa chiaro e “Uva! Spettacolare!” esclama con aria stupefatta.
“Tu invece? Nessuna ragazza?” chiede lei, giusto per spostare l’attenzione.
Mattia scuote la testa: “No, non sono un tipo da fidanzata stabile. Il mio record è tre settimane con una che si chiama Giulia”.
Cecilia ridacchia e coprendosi la bocca dice: “E’ anche il mio record con il ragazzo dei fiori”.
Lui spalanca gli occhi “ma scusa, credevo che quello dei fiori fosse un tipo importante!” considera, sorpreso.
“… la quarta volta che ci siamo messi insieme abbiamo raggiunto le tre settimane, ossia un anno fa. L’ultima volta che siamo stati insieme è stato due mesi fa e siamo a quota sette”.
Mattia si piega verso di lei con aria serissima ed espressione impassibile: “Mi stai dicendo che ti sei rimessa sette volte insieme allo stesso ragazzo? Ma non ti annoi? Mio dio, è un incubo!”.
Cecilia alza un sopracciglio: “C’è un sacco di gente che sta insieme a qualcuno per anni interi!”.
“Ma che c’entra! La tua non è una minestra riscaldata! È ormai …”
“… qualcosa tipo una soluzione 1x10^-7 molare, sì”.
“Non cominciare con le diavolerie chimiche, ti prego”.
“Scusa, a volte è più forte di me. Però semplicemente volevo stare con lui e ci ho creduto tutte le volte. Pare ridicolo, lo so, ma non è facile lasciarlo perdere, credimi”.
Mattia scrolla le spalle: “Smetti di rispondergli, prima o poi si arrende, semplice”.
“La fai sempre così facile tu?”.
“Sì. Diciamo che aspetto qualcuno che smonti la mia teoria con dei fatti, ma ancora la fortunata con è arrivata”. A Cecilia sembra quasi che Mattia stia ammiccando nella sua direzione. Probabilmente parte del suo stomaco è già implosa per evitare la risalita oltre la trachea di tutto il suo apparato femminile per intero, altro che solo le ovaie.
“Quindi tu non ti metti con le ragazze a lungo perché non credi nell’amore?” chiede, circospetta.
“Amore, che paroloni!” commenta lui con un gesto stizzito, prendendo in mano un macaron all’arancia “comunque ci credo, ma sinceramente nessuna mi è mai interessata anche da quel punto di vista. Poi, giuro, non ho mai trattato male nessuna, però” aggiunge, alzando le mani.
“Invidio la tua capacità di lasciar perdere” dice Cecilia, addentando il panino al burro.
“E fai bene. Sette volte con lo stesso ragazzo è da suicidio”.
“Ci speravo ogni volta, davvero” considera lei sorridendo.
“Tipo Francesco adesso con Serena. Ecco, loro in certi periodi un po’ li ho invidiati”.
“Ma tu e Francesco come vi siete conosciuti, a proposito?”
Rimangono a parlare seduti a quel tavolino per un’ora intera: Mattia racconta che lui e Francesco si sono conosciuti perché animano nello stesso oratorio, che ogni tanto per ammazzare il tempo suonano e cantano per strada, facendo pubblicità a qualche locale, che a Francesco manca qualche esame prima della laurea in Ingegneria perché ha ventun’anni ed è all’ultimo anno della triennale mentre lui è al primo anno di Fisioterapia, perché di anni ne ha solo diciannove (Cecilia, vent’anni, capelli rossi quasi arancioni, inorridisce). Lei gli racconta che è più grande di lui di un anno, che suona il mandolino (potrebbe giurare di aver visto gli occhi di Mattia illuminarsi a giorno per un attimo), gli illustra poi la sua teoria sul legame ionico contrapposto al covalente, sostenendo che una coppia stabile dovrebbe essere proprio come un legame covalente, deve avere qualcosa da condividere di comune e non come un legame ionico, dove la stabilità si trova solo se uno dei due atomi ruba di fatto un elettrone all’altro. Mattia la ha fissata per un minuto buono senza dire nulla, poi ha concluso: “Sì, la tua teoria ha senso, anche se tu sei proprio strana eh”.
Parlano, parlano e si accorgono che a mezzogiorno spaccato sono ancora seduti al tavolo invece di essere alla Tour Eiffel. Escono velocemente dalla panetteria e tornano indietro camminando vicini e dribblando di nuovo i venditori di statuine. Però si fanno fare una foto loro due con la Tour Eiffel. Mattia la fissa tutto il tempo di sottecchi, facendo attenzione che lei non se ne accorga, non riuscendo a capacitarsi del fatto di trovare così eccitante anche il solo parlare con una ragazza. Non si è annoiato nemmeno un momento, per tutta la mattina.
Cecilia sa che lui la sta osservando di sottecchi, ma fa finta di non accorgersene, perché è bello così. Dentro di lei non ci sono solo le sue benedette ovaie un po’ in subbuglio, perché crede di sentirsi anche il cuore in gola e lo stomaco annodato vicino alla trachea: Mattia è un sireno, ne è consapevole, ma ha trascorso una mattinata così piacevole che non se ne cura. Sono due anni che Vincenzo non le pare così lontano come in quel momento.
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno.
Sono altrove, più in alto del giorno,
Più lontano della notte.
(Jacques Prévert,  I ragazzi che si amano)

Mattia e Cecilia sono in quello che Valeria definisce un delizioso ritardo quando arrivano, a mezzogiorno e venti.
“Sappi che avrei pagato per essere una mosca e sentire quello che vi siete detti” sussurra a Cecilia non appena Mattia si allontana da lei per andare da Francesco.
Valeria potrà anche non essere innamorata del suo fidanzato di Firenze, può essere una che non ama cambiare né scuotere le fondamenta della propria vita, ma è una grande osservatrice. E sa leggere nel pensiero di Cecilia con uno sguardo.
Quest’ultima ridacchia, con aria più rassegnata che divertita: “Non puoi capire, Vale, non puoi capire”.
Valeria scoppia a ridere, della sua risata vera, non la sua solita smorfia sarcastica, attirando l’attenzione anche degli altri tre.
“Non badate a lei” dice Cecilia, guardando di sottecchi Mattia. E lui, lui le fa l’occhiolino e allora lei non sa davvero più se c’è almeno un organo, nel suo corpo, che sia rimasto nel proprio posto abituale.

Sostanzialmente,  la vita è tragica.
Ma, a volte, riesce ad essere meravigliosa.
(Wood Allen)

La terrazza che si trova sul tetto dell’Arco di Trionfo è una delle cose più suggestive che Irene abbia mai visto in vita sua. È quasi più bello di ciò che immagina scritto nei libri, perché c’è una stella di luce sotto di lei, tanti rumori di auto, tante giapponesine che girano in gruppo e ridacchiano come esaltate mentre di fanno le foto a vicenda, tanto vento, gli Champs Elisees  che si stendono davanti a loro, così piccoli da poter essere tenuti in mano. Francesco è di fianco a lei e ha l’aria di uno con la mente mille miglia lontano. Valeria, di fianco a lui, gli poggia una mano sul braccio, solidale. Il giorno dopo incontrerà Serena e se la sta oggettivamente facendo sotto. Irene sorride tra sé e sé, fino a che “Vi faccio una foto, dai!” esclama Valeria, facendo un sorriso tutto denti e tirando fuori il proprio iPhone. Francesco ed Irene si guardano per un attimo stupiti, poi si avvicinano e si mettono in posa. Valeria scatta, poi dice: “Siete venuti bene”. Sta per girarsi verso Mattia e Cecilia per proporre loro la stessa cosa, ma vede che loro due stanno già provvedendo, con il cellulare di lui, a farsi una selfie con la Tour Eiffel sullo sfondo.
Valeria sorride, pensando che perlomeno non è circondata solo da imbranati patentati.
Irene guarda il panorama sotto di sé ed improvvisamente pensa che in quel momento la sua vita sia bella come quella di un libro. Si stringe nel cappotto e si gira verso Valeria che, sorridente, la abbraccia passandole le braccia attorno ai fianchi.
Francesco è di nuovo lontano anni luce, gli occhi dietro le lenti degli occhiali quasi socchiusi per osservare la strada, come se si aspetti di scorgere Serena là sotto, in mezzo alla folla, con le scapole coperte dai capelli castani liscissimi.
Mattia non prova a baciare Cecilia sull’Arco di Trionfo, ma rimane per tutta la sera con un braccio attorno alle sue spalle. Glielo mette attorno per la prima volta quando provano a farsi una foto insieme e non ha intenzione di toglierlo ancora per un po’.
Cecilia non prova a baciare Mattia sull’Arco di Trionfo. Per qualche strano motivo, sa che non è ancora il momento. Il suo cellulare alle 22.31 vibra di nuovo, nella tasca dei pantaloni.
Lei lo tira fuori e legge: Cé, non ti è arrivato il messaggio? Ti aspetto. Buonanotte. x” Vins. E per una volta, Cecilia non prova il bisogno di rispondergli. Sorride e cancella il messaggio, rispondendo alla domanda (“Pensi che la pasticceria di stamattina sia ancora aperta? Perché vorrei altri macarons, sono una droga”) con un: “Se vuoi mantenere questo bel fisichetto asciutto dovrai rinunciare alla droga allora”.

Dal mio silenzio al tuo rumore,
dal nostro potere di non farci del male.
(Fiorella Mannoia, Dal mio sentire al tuo pensare)
Giorno 4. 26 ottobre.
“Che nottata infernale, dannazione” proclama Mattia, alzando gli occhi al cielo ed abbandonandosi su una delle sedie di plastica dove si fa colazione. Il vassoio che ha appoggiato davanti a sé reca una cioccolata che sembra polvere marrone immersa nell’acqua calda; lui non beve mai caffè, quindi quando è a corto di forze si prende una cioccolata e poi si fa una sigaretta, o due.
Valeria, l’unica già vestita e profumata delle tre ragazze, lo fissa da dietro la montatura rosso scuro dei propri occhiali con uno sguardo perplesso: “Buongiorno! Non mi aspettavo di vederti per secondo, di solito mangi sempre mezz’ora dopo di noi”.
“Ma lascia stare, cazzo, Fra non ha fatto altro che girarsi nel letto, ha fatto un casino della madonna, appena esce da quella merda di doccia lo picchio per bene. Cazzo, sembro uno zombie, guarda!”dice Mattia, indicandosi le occhiaie con un tono teatrale e drammatico.
“Ma sì dai, stanotte sarà tutto finito e dormirai come si deve”.
“Ma speriamo, cazzo”.
Valeria non replica nulla, ma guarda il ragazzo davanti a sé di sottecchi. Poi esordisce: “Non vuoi prendere in giro Cecilia, vero? Se stai facendo quello che fai solo per spirito di conquista smettila, non voglio che passi dalla padella alla brace. Ha già questo tipo di problemi, non voglio che si accumulino”.
Mattia pare strozzarsi con il plumcake che ha appena scartato, poi fa un sorrisetto e replica: “Che carina che sei, che ti preoccupi per lei”. Addenta il plumcake con aria soddisfatta.
“Se provi a prenderla in giro, prendo una forbice e ti taglio l’amichetto che ti tieni tra le gambe, chiaro?” dice Valeria sottovoce con la sua migliore faccia da serial killer.
Mattia spalanca gli occhi improvvisamente turbato e “oh, madonna, stai calma, non le farò niente di male, giuro” commenta.
Lei lo guarda seria ancora per un attimo poi scoppia a ridere coprendosi la bocca con un pezzo di pane: “Dovresti vederti, hai fatto una faccia impagabile! Questa minaccia funziona sempre!” gorgoglia, continuando a sganasciarsi. Mattia la guarda allibito ed ingoia il resto del plumcake con una sguardo turbato. Quando lei si ricompone, schiarendosi la voce, “comunque, vedi di comportarti bene. Non ci metto nulla a farti molto male. La difendo come mamma orsa difende il proprio cucciolo, che ti sia chiaro” gli dice, alzando l’indice della mano sinistra.
Lo sguardo di Mattia è passato dall’allibito all’affascinato. Appoggia i gomiti sul tavolo, intreccia le dita delle sue mani davanti alla bocca. Poi replica: “E chi difende te?”.
Lo sguardo di Valeria vacilla per un attimo, poi torna fermo e ironico come al solito: “Tranquillo, mi basto da sola, io”.
“Strano sentirlo da una ragazza con una relazione stabile come la tua. Mi aspettavo qualcosa come Ho una persona che mi protegge. E proteggerò loro come il mio ragazzo protegge me e invece nulla di tutto questo”.
Valeria alza entrambe le sopracciglia “meno male che non tutti danno sempre le stesse risposte. Il mondo è bello perché è vario” considera, spalmando la marmellata sul pane.
“Può darsi” replica solo Mattia, prendendo la tazza e iniziando a bere con aria schifata quell’intruglio marrone. Gliela dà vinta, per questa volta, ma sa di averla messa all’angolo. Valeria, ai suoi occhi, è quella che si è autoproclamata mamma delle sue due amiche. In fondo Irene non potrebbe mai farlo, troppo sulle nuvole, e Cecilia nemmeno, perché fatica ad immedesimarsi nelle situazioni altrui. Valeria è quella che regge tutto, che riesce a vedere le cose degli altri in modo oggettivo, riesce a capire i sentimenti delle persone che le stanno vicino e si spende per aiutarle, senza alcuna remora. È in un certo senso molto altruista, anche se non lo dà a vedere. Non che renda evidente l’aiuto che porta: è più un qualcosa di fondo, che sta in piccoli momenti cruciali, ma un centimetro prima di poter dire è successo grazie a me. Cerca di tirare fuori il meglio delle persone, ma facendo loro credere che sia tutto merito loro.
Mattia è molto simile a lei, anche se lui adora fare gesti eclatanti, come prendere due biglietti del treno per Parigi, piombare a casa di Francesco ed intimargli di fare la valigia. Non ha l’accortezza di stare nell’ombra: Mattia è nato per essere sotto i riflettori, al centro dell’attenzione, e ne è pienamente consapevole. Quando Valeria si alza dalla sua seggiola, rivolgendogli il suo solito sorriso sarcastico, lui ricambia e dice: “Più tardi ti spiego perché ci voglio provare con Cecilia”.
“Non mi importa, davvero, so perché Cecilia è adorabile. Basta che tu non lo faccia solo per aggiungere una tacca alla cintura. A dopo” conclude e si avvia verso la loro camera.

It's funny how the heart can be deceiving,
more than just a couple of times.
Why do we fall in love so easy,
even when it's not right?
(P!nk, Try)

Valeria, Irene e Francesco camminano l’uno accanto all’altro. Valeria sta tentando di mantenere la conversazione attiva e il metodo con Irene funziona, ma il ragazzo non ne vuole proprio sapere di proferire parola. Più si avvicinano al luogo dell’appuntamento, più assume un colorito verdastro.
Serena gli ha detto qualche ora prima che si farà trovare alle undici di mattina davanti alla chiesa di Notre Dame, che non dista nemmeno troppo dall’ostello. Mattia e Cecilia si sono staccati dal gruppo per andare a visitare il Musee D’Orsay. All’inizio Mattia voleva mandare le ragazze al museo e risolvere la faccenda assieme a Francesco, ma Valeria si è opposta e facendogli l’occhiolino gli ha sussurrato: “Di Francesco ci occupiamo io ed Irene. Tanto lei non verrebbe comunque con noi, vorrebbe accompagnarlo. Andateci tu e Cecilia, e comportati bene”. Dopodiché Mattia ha pensato che l’offerta fosse vantaggiosa, anche perché l’idea di vedere Serena gli faceva venire l’orticaria; quindi il gruppo si è diviso.
Irene si gira verso Francesco con gli occhi spalancati, sintomo di nervosismo, e gli dà una pacca veloce sulla spalla: “Sicuro di stare bene?”
“No, per niente” replica lui, con un sorriso amaro “ma ormai sono qua. Vediamo che cosa avrà da dirmi”.
“Ci tieni così tanto a questa ragazza?” chiede Valeria con tono circospetto. Il cellulare in mano le vibra, e le arrivano i messaggi su Whatsapp di Antonio delle ultime tre ore in cui ha spento la connessione internet. Lei non ci fa caso.
Lui rimane in silenzio per un attimo, pensieroso. Guarda la Senna e risponde: “Sì, altrimenti non sarei qui. Penso però più che altro che io sia venuto qui per cercare una conclusione. Ho passato due anni con un’altra ragazza ma con la speranza che lei ritornasse. Non posso fare questo in eterno, non è giusto né per me né per una eventuale nuova ragazza. Per questo sono qua … voglio almeno dare una conclusione. Non credo che mi riprenderà, anche se farò di tutto per convincerla. Ma voglio almeno avere la certezza che non torneremo mai più insieme, anche se non è facile da accettare”.
Irene cammina guardandosi i piedi, sempre con gli occhi spalancati, immersa in chissà quali elucubrazioni. Valeria gli sorride in modo rassicurante: “Andrà bene. Siamo arrivati”.
La piazza di Notre Dame è sempre uno splendore con il sole del mattino, oltre ad essere piena di turisti. Davanti alla facciata della chiesa c’è una gradinata di ferro e legno su cui è seduta parecchia gente, coppiette, russi, giapponesi, cani al guinzaglio di annoiati padroni intenti a fare uno spuntino di metà mattina.
Irene sta per dire qualcosa, quando “eccola, è laggiù” dice Francesco, dimentico del mondo attorno a lui, dirigendosi verso il punto che ha indicato.
Irene la vede e trattiene il fiato, Valeria si stringe nel cappotto, a disagio, e si schiarisce la gola. Francesco si sta avvicinando ad una ragazza seduta nella quarta fila della gradinata ad una decina di metri di distanza da loro. Ha i capelli ramati, con sfumature che al sole vanno dal rosso al biondo, gli occhi azzurrissimi, quasi impossibili, grandi e con delle ciglia chilometriche, quel tipo di ciglia che quando si sbattono le palpebre toccano gli zigomi. Ha dei jeans scuri ed un giubbotto verde bottiglia addosso, dei guanti di lana tagliati sulle dita, i gomiti sulle ginocchia, i palmi delle mani a reggere la testa. Quando lo vede, si alza, gli si avvicina e gli dà un bacio sulla guancia.
“Dai, Ire, facciamoci un giro” fa Valeria, prendendo per un braccio la sua amica e sparendo dalla vista della coppia.
Non appena si trovano abbastanza lontane, Irene si lascia cadere su una panchina vuota, con un profondo sospiro. L’altra le si siede accanto, si poggia la borsa in grembo ed incrocia le gambe sul sedile. La panchina è fredda contro la pelle della sua caviglia sinistra, e ha voglia di una crepes ripiena di Nutella e banana. Ma soprattutto è preoccupata per Irene.
“Stai bene?” le chiede, mettendole una mano dietro la nuca.
“Sì, perché?” replica subito lei, spalancando nuovamente gli occhi.
“Dai, ti conosco. Se vuoi ti dico che ti prende”.
Irene sorride fissando la ghiaia  sotto i suoi anfibi impolverati: “Spara”.
“Penso che finalmente ti piaccia qualcuno, e che ti piaccia Francesco. E sei in una specie di dissidio interiore, perché sei una persona altruista e speri che lui incontri Serena e sia felice, ma dall’altra parte tu non vuoi che sia così e ti senti in colpa perché, per una volta, sei egoista. Benvenuta nel club, cara, a vent’anni ti stai finalmente innamorando” snocciola Valeria, cercando il pacchetto di Daygum nella borsa. Il cellulare vibra ancora, i messaggi di Antonio sono a quota 22, ma Valeria non risponde. Sa che lui continua a scriverle proprio perché lei è sempre veloce a mandare messaggi ed ha paura che sia successo qualcosa. In ogni caso, si gira per osservare la reazione dell’amica.
“Allora ha ragione Cecilia quando dice che leggi nel pensiero. Tu ti sei accorta subito di lei e Mattia, io non lo sospettavo minimamente” risponde Irene, accettando di buon grado la gomma da masticare offertale dalla compagna e mettendosela in bocca.
“Tesoro, basta un po’ di osservazione” ride Valeria, con un’espressione soddisfatta in volto “ad essere sincera, all’inizio credevo che Mattia ci volesse provare con me, ma poi mi sono ricreduta. E meno male, perché sarebbe stato molto difficile rifiutare le sue avances”.
L’altra sorride, facendo pensierosa con i piedi il simbolo dell’infinito per terra, spostando la ghiaia bianca e sporcandosi ancora di più gli anfibi.
“E’ tutto stranissimo, davvero. Sono gelosa di lui, non sono mai stata gelosa di nessuno. Ho voglia di annusarlo. Capisci, annusarlo! Ho letto un sacco di volte storie d’amore in cui  c’è la cosiddetta chimica. È questo che aspettavo, per questo ho rifiutato di uscire con dei ragazzi gli anni scorsi. Nessuno mi attraeva, non c’era la calamita, capisci? Non voglio stare con qualcuno solo perché ho l’età adatta, o perché ho vent’anni ed è ora di provare a fare sesso. Io voglio voler fare sesso, capisci? Voglio voler stare con qualcuno e volergli stare appiccicata tutto il tempo e non ho mai provato le sensazioni che provo per Francesco per qualcuno che, insomma, esiste per davvero. Che non sia un insieme di parole sulla carta, ecco” ogni vocabolo le costa un’estrema fatica.
“Ripeto, benvenuta nel club” dice Valeria “era ora. So che odi che qualcuno te lo dica, ma aspettavamo tutti te”.
“Sì, ma avrei preferito evitare, cazzo. Non mi sono mai innamorata di nessuno nella vita ed il primo deve essere questo ragazzo follemente innamorato di una stragnocca, a tal punto che per parlarle si fa sei ore di treno per venirla a trovare? Speravo che dopo tutto questo tempo il destino perlomeno mi assegnasse qualcuno di ideale, senza problemi e, che ne so, disponibile? Invece Francesco è pieno di problemi, dannazione, ed io non posso credere che mi stia succedendo davvero” stavolta le parole escono fluide, come se non le importi più di trattenerle, perché le ha tenute dentro per troppo tempo e la sua migliore amica merita di conoscerle. Lo merita.
“Serena non si rimetterà con Francesco. Lo sappiamo entrambe, Ire” Valeria si mette le mani sulle caviglie per scaldarle, maledicendo mentalmente quei pantaloni rosso scuro troppo corti.
“E quindi? Che cazzo cambia? Lui continuerà ad essere innamorato di lei. Queste cose non cambiano. Hai mai letto L’amore ai tempi del colera? Si rincorrono e si amano per tutta la vita quei due. Questo è proprio quel tipo di amore! Non c’è nessuno che sostituirà mai Serena …”
“Oh, smettila” la interrompe Valeria con il tono severo “altrimenti darò ragione a mia madre quando sostiene che tu abbia la sindrome di Asperger.  Le storie di Marquez non fanno testo. Non nasconderti dietro ad un cazzo di dito. Serena e Francesco sono solo due ragazzi normalissimi. Magari lei è stato l’amore della sua vita, ma prima o poi passa. La vita non è sempre come nei libri. E che cazzo” conclude, imprecando ed alzando gli occhi al cielo.
Irene si volta a guardarla e scoppia a ridere: “Scusa, sono in ansia e divento ossessiva”.
Valeria sorride a sua volta. Il cellulare nella borsa vibra ancora, lo sente attraverso il tessuto. Sbadiglia e chiede: “Hai voglia di farti una crepes mentre aspettiamo che quei due si raccontino la propria vita?”.
“Stavo pensando che potremmo fare uno scherzo telefonico a Cecia”.
“Lasciala  stare, che Ceci sta facendo il colpaccio in ‘sto viaggio”.
Irene ridacchia: “Era per stemperare un po’ la tensione” si alza e dice: “Ok, andiamo”.

It's kinda funny
how life can change.
It can flip 180
In a matter of days.
(Blue, One love)

Francesco avverte per messaggio Irene che lui e Serena hanno finito di parlare più di due ore dopo.
“Pensavo che ci avrebbero messo di più!” esclama stupita Valeria, mentre osserva concentrata la vetrina di un negozio di vestiti.
Irene non replica nulla, ma risponde al messaggio: Ci siamo un po’ allontanate. Dieci minuti e siamo lì.
“Chissà com’è andata” sospira poi, sottovoce.  Nelle due ore di attesa non hanno fatto altro che venirle in mente libri con finale drammatico, o triste, o dolceamaro. Amori impossibili che nascono e finiscono tragicamente. Romeo e Giulietta a capo di tutto, ovviamente. Ha evitato però di condividere questi pensieri con Valeria, perché sa che l’amica la prenderebbe a sberle.
“Te l’ho già detto, lei non se lo riprenderà, non esistono questi tipi di cose. A meno che lei non sia una di quelle stile gli do il contentino perché ha fatto il gesto romantico e lì allora sarebbero una coppia di coglioni”.
“Non si dice che i coglioni viaggino sempre in coppia?” ribatte Irene con sguardo imperturbabile.
Valeria spalanca gli occhi con aria scioccata e esclama: “Il livello delle tue battute è inversamente proporzionale al tuo nervosismo, lasciatelo dire. Comunque c’è sempre Mattia che fa coppia con lui, quindi il detto è verificato”.
Irene ridacchia. Poi: “Vale, credo che qualcuno ti stia chiamando” dice, indicandole la borsa, da cui proviene una canzone degli Arctic Monkeys.
L’altra rotea gli occhi e sbuffa, prende il cellulare e vede che è Antonio. Non ha risposto per tutta la mattinata, ha 39 messaggi suoi non letti tra la chat di Whatsapp e la messaggistica classica, ed ora lui la sta chiamando. Rimane a fissare lo schermo per qualche secondo come incantata su un pensiero , poi scuote la testa e con un gesto fluido del pollice rifiuta la chiamata e rimette l’iPhone in borsa.
Irene la guarda con gli occhi fuori dalle orbite. Per un attimo crede di aver ricevuto una botta in testa, o che sia solo un sogno, che in realtà lei sia ancora nel letto a Torino e che Francesco non esista, e che ci sia ancora Valeria che risponde alle chiamate del suo ragazzo. Da che la conosce, non ha mai rifiutato una chiamata, mai. Anche durante le lezioni, se lui le faceva squillare il cellulare, lei prontamente cercava una scusa per uscire e rispondere.
“Perché gli hai rifiutato la chiamata? Si preoccupa” tenta Irene, con una vocina piccola piccola.
L’altra ragazza scrolla le spalle: “Non ho voglia di sentirlo, davvero. Non sono continuamente a sua disposizione. Sono qui, con te, a Parigi, sto facendo shopping e non ho voglia di stare al telefono”.
“Probabilmente stanotte ho attraversato un buco nero e sono in universo al contrario adesso” borbotta Irene con un sorriso.
“Che cosa ti avevo detto sulle battute, tesoro? Non sono cosa tua” ride Valeria, prendendola per il polso e trascinandola verso la chiesa di Notre Dame.
Trovano Francesco da solo, seduto dove prima c’era Serena, con la testa china e la bocca affondata nella sciarpa. Ha lo sguardo fisso per terra e sembra che non abbia molta intenzione di sbattere le palpebre nei prossimi cinque minuti.
Valeria e Irene si avvicinano e si siedono senza dire nulla. Valeria le ha detto di aspettare a parlare dal momento che sa com’è fatta quando è nervosa e curiosa: dice cose a sproposito, la maggior parte delle volte a caso.
“Ha chiuso definitivamente con me. Devo lasciarla andare, temo”.

So little time;
Try to understand that I'm
trying to make a move just to stay in the game,
I try to stay awake and remember my name,
But everybody's changing
and I just don't feel the same.
(Keane, Everybody's changing)

L’aria è gelida, sempre, ed entra tra le pieghe dei giubbotti che sfregano sul lembo di pelle nuda dei fianchi che esce da sotto le magliette e le felpe. Il deodorante di Valeria copre un sacco di odori, persino quello di Francesco e il rumore del suo cellulare copre il suono dei loro passi. La suoneria dei messaggi si fa insistente e sincopata. Irene ha freddo alle dita ed anche ai piedi, nonostante gli anfibi. Sta pensando che ha un sacco di lavoro da fare con la posta del cuore che ha lasciato indietro da due giorni interi. Che il suo romanzo ha da mesi in stallo le sta urlando una conclusione. Urla da un sacco di tempo, in realtà, ma Irene riesce a sentire solo ora.
Deve lasciarlo andare, lo sa, come Francesco ha fatto con Serena. Deve uccidere il suo protagonista maschile, il personaggio che ha creato ad arte per il suo libro e che ha amato dal primo momento in cui è riuscita ad immaginarselo nella mente. Deve ucciderlo e poi sarà tutto in discesa. Il suo romanzo e la sua vita. Perché le vite degli altri sono meno impegnative, come lei dice sempre quando parla della posta del cuore, ma la sua vita, anche se più impegnativa, è degna di essere vissuta appieno. Nascondersi dietro personaggi di fantasia l’ha sempre aiutata a proteggersi dalle persone reali, che non sono mai come lei si aspetta, che sono piene di contraddizioni e sentimenti irrazionali. Irene non ha mai avuto la capacità di decodificare quei comportamenti, per questo si è sempre rifugiata in un mondo in cui è lei a decidere, è lei a pianificare la vita dei personaggi. Ed intanto la sua si perde tra le nuvole.
Valeria, presa da un pensiero improvviso, si ferma e lascia Irene e Francesco impalati in mezzo al marciapiede.  Irene non ci crede quando la vede entrare da un tabaccaio ed uscirne reggendo un pacchetto di Winston Blu in mano.
“Sottolineo che non fumo mai e poi mai. Ma credo che serva a tutti e tre al momento” dice, porgendolo ad Irene. Lei lo guarda perplessa, poi dice: “Cé ha sigarette decisamente migliori delle tue”.
“Zitta e fuma, che cazzo”.
Days like this lead to-
Nights like this lead to
Love like ours: you light the spark in my bonfire heart.
People like us,  we don't
Need that much,
Just someone,
Someone that starts,
That starts the spark in our bonfire hearts.

Mattia decide di baciare Cecilia nel momento esatto in cui entrano in una panetteria per comprarsi un panino per il pranzo. Sono stati insieme tutta la mattina, hanno visitato tutto il Musee D’Orsay, Mattia ha sopportato stoicamente tutte le elucubrazioni di lei su quanto Manet fosse il pittore più cazzuto dell’epoca, nonostante lui preferisse di gran lunga Monet  e Renoir, si sono fatti mettere i giubbotti sullo stesso appendino dalla ragazza del guardaroba, e hanno passato metà della visita abbracciati o tenendosi per i polsi. Non per mano, ma per i polsi. Cecilia lo agguantava improvvisamente con una stretta ferrea e lo trascinava vicino ai quadri che adorava e lontano dai quadri che schifava (“mio Dio, il simbolismo”) e lui ha iniziato presto a fare lo stesso, in un gioco di potere un po’ bizzarro.  Sono arrivati molto vicini al picchiarsi in certe sale, per decidere che cosa guardare per primo. Poi sono usciti, si sono ripresi i cappotti e Cecilia non ha potuto fare a meno di notare che il proprio deodorante si era mescolato con il dopobarba di Mattia e che suo malgrado adorava questa cosa, che voleva stare per metà del tempo ad annusarsi il giubbotto se solo non fosse sembrato inquietante. Sono usciti ed avevano una fame da lupi, quindi  hanno cercato una panetteria o un supermarket aperto. Hanno fortunatamente trovato prima la panetteria, perché Mattia odia i tramezzini esposti sugli scaffali dei supermercati, che sembrano tutti unti e pacioccati.
Mattia ha sentito che non poteva più resistere nel momento esatto in cui Cecilia ha messo la mano sulla maniglia per entrare nel negozio.
Si sta avviando verso la commessa, cercando di sfoderare la sua migliore faccia gioviale e preparandosi a parlare uno dei francesi più stentati del mondo, quando Mattia la prende per un polso, guadagnandosi un’occhiata sospettosa da parte della signorina dietro il bancone ed un “Che c’è?” sussurrato piano da Cecilia. Mattia non risponde ma inizia a tirarla per convincerla ad uscire e, dopo qualche altra domanda a caso, lei lo segue, sempre più perplessa.
Poi, appena fuori di lì, lo fa. Con un gesto veloce, le passa una mano attorno alla vita e l’altra gliela mette sulla nuca, tra i capelli rossi quasi arancioni, e le dice, con voce dura, quasi severa: “C’è che ora ti bacio”. E la bacia. La bacia e Cecilia sente le farfalle nello stomaco per davvero, dopo un sacco di tempo, quando lui le morde le labbra e si fa spazio tra i suoi denti con la lingua. Sente le farfalle e trema come una corda di violino quando alza entrambe le braccia per passargliele attorno al collo, nel momento esatto in cui lui usa le sue per abbracciarla.  Sente le farfalle anche nelle orecchie quando il bacio si trasforma in qualcosa in cui denti, lingue e labbra hanno lo stesso peso. Si staccano nel momento in cui entrambi sono senza fiato, ma Cecilia appoggia la propria fronte a quella di lui e lo rassicura: “L’avrei fatto io, ma dopo pranzo”.
“Con il saporaccio del panino tonno e uova appena mangiato? Sei un genio, carissima” ironizza Mattia, ridendo e soffiandole un bacio al volo.
“Spero che tu non prenda un panino col tonno e le uova, davvero”.
“Scherzi? Ovvio che sì”
“Allora non ti bacerò più nelle prossime sei ore”.
“Vorrà dire che ti bacerò io. Sono piuttosto convincente”.
*
Valeria chiama Antonio per prima volta nella giornata alle cinque e mezza di pomeriggio. Lo chiama, ascolta tutte le sue proteste su quanto lei sia stata irresponsabile e imperdonabile a non rispondergli, che si è preoccupato tantissimo e che ha persino chiamato sua madre per sincerarsi delle sue condizioni fisiche, poi glielo dice. Lo lascia, dicendogli che non vuole più stare con lui, che vuole trovare qualcuno che le sia accanto tutto il tempo, non attraverso un telefono. Che ha avuto paura per lungo tempo di lasciarlo andare, ma che il momento è giunto e che non può più aspettare.
Antonio le chiede se lei lo abbia tradito, lei risponde che non c’è nessuno che le abbia fatto venire in mente ciò. Che sa in cuor suo che avrebbe dovuto farlo molto tempo prima. Si scusa, persino, di essere stata così egoista. E lui capisce. Capisce e la lascia, pure lui, anche se con il cuore a pezzi. La lascia, ma la ama ancora  e questo Valeria lo sa bene.
Una volta chiusa la chiamata, Valeria si appoggia ad un pilastro dei portici della via e coprendosi la faccia piange. Piange per dieci minuti buoni, da sola, piange così tanto con le mani davanti alla faccia che una signora le si avvicina e le chiede in francese se può fare qualcosa per lei. Valeria, nel rispondere che no, è tutto a posto, si asciuga le guance e torna dentro la cioccolateria più famosa di Parigi raggiungendo il tavolo dove ci sono i suoi amici. Cecilia ed Irene la fissano come fosse un’aliena quando esordisce: “Scusate se vi ho fatto aspettare tutto questo tempo prima di ordinare, ma ho appena lasciato Antonio”. Anche Francesco è stupito, le chiede il motivo. Valeria guarda Mattia e sorride quando lui, con la sua solita aria saputa e teatrale, esclama: “Non l’avete ancora capito? Valeria si basta da sola”.
“Il concetto è questo, sì” conferma Valeria, prendendo il menù e cercando di decifrare gli ingredienti della pagina delle cioccolate, cercando di non pensare al nodo strettissimo allo stomaco. Irene insiste, le chiede dettagli, cerca di farsi spiegare, e lei risponde mentre osserva cercando di non farsi notare la mano di Cecilia non più stretta attorno al polso di Mattia, ma intrecciata alle sue dita ed appoggiata sul tavolo, in bella mostra.
Ceci ha decisamente fatto il colpaccio, a ‘sto giro.
*
Mattia alle due di notte si intrufola, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare le altre due ragazze, nel letto di Cecilia. Irene e Valeria la mattina li trovano addormentati, lui con le braccia attorno alla vita di lei,con le labbra sulla sua nuca e le gambe intrecciate alle sue. Giurano in tutte le lingue del mondo di aver solo dormito, ma Mattia si fa scappare un “per stavolta” che Valeria sente e che gli fa meritare uno scappellotto.

Epilogo.
Il vagone del treno in cui sono sedute Valeria, Cecilia e Irene puzza da matti. C’è un signore che ha probabilmente fatto il voto di battere il record negativo di docce di Luigi XIV (ben sette, da applausi) ed è seduto due file dietro di loro. Cecilia ha considerato l’idea di scendere a Lione per comprare un paio di Tampax da infilare nel naso, ma è stata scoraggiata da un’occhiata eloquente di Valeria, che da un’ora ha il naso perfettamente coperto dalla sciarpa. All’amica non è rimasto altro da fare se non imitarla.
Irene, la quale è decisamente più sensibile delle altre due agli odori, è una buona mezz’ora che ha abbandonato il vagone e si è seduta su una poltroncina vuota nell’ambiente di collegamento tra uno scompartimento ed un altro, per non dare fastidio a nessuno, e sta scrivendo come in preda ad un delirio mistico le ultime quaranta pagine del suo manoscritto. Nel momento in cui fa morire il suo personaggio preferito ha una crisi di pianto prontamente intercettata da Mattia, che sta passando da uno scompartimento all’altro per andare da Cecilia. Si ferma, le chiede se va tutto bene e lei gli risponde di sì, certo, anche se ha appena ucciso una persona per lei molto importante. Allora lui si siede davanti a lei e con una gentilezza che lei non gli ha mai visto prima si fa raccontare la trama della storia. Alla fine, commenta: “Fossi stato in te, lo avrei ammazzato dopo venti pagine. Minchia, ‘sto tizio è insopportabile!”.
Irene ride, poi chiude il laptop rosa con una mossa veloce, ed esclama: “Sono felice che Cecilia stia insieme a te”. Non Sono felice che tu e Cecilia vi siate messi insieme, oppure Sei fortunato ad aver trovato una ragazza come Cecilia. Lei è felice perché è Cecilia che ha trovato lui.
“Perché?” chiede Mattia con un sorriso tra il perplesso e lo stupito.
“Perché non potrai di certo essere peggio del suo ex” è la risposta di lei, seria e scherzosa allo stesso tempo, ma soprattutto sincera.
Lui ride. Si alza, saluta Irene e le dice: “Vai da Fra, prova a fargli capire che Serena non merita il suo suicidio, anche se in effetti ha un culo da applausi”.
“Ok” replica lei ridendo ed alzandosi a sua volta. Sta per sparire nello scompartimento adiacente quando “ehi, a proposito del culo da applausi … non dire a Fra che l’ho detto” puntualizza Mattia con aria apprensiva.
Lei alza il pollice in segno d’intesa.
*
Valeria, vent’anni, capelli ricci e sguardo impertinente perennemente stampato in faccia, iscritta alla facoltà di Economia, a Torino, non è più fidanzata da quattro anni con un ragazzo di Firenze, ma è single. Ha deciso che non si accontenterà mai più di una stabilità sterile  come quella che ha vissuto: “Il prossimo ragazzo che avrò dovrà farmi ribollire il sangue” dice a sua madre, non appena torna a casa da Parigi e le annuncia la rottura con Antonio. La mamma si porta una mano sulla fronte e ride, ma sa che cosa intende Valeria.
Cecilia, vent’anni, capelli rossi, non più sbiaditi, ma tinti di un carminio coraggioso che fa contrasto con la sua pelle bianco latte, studentessa di Chimica e promotrice della campagna “Studia la Tavola Periodica e capirai il mondo e gli uomini”, fissata con le fantasie fiorate , ha chiuso con Vincenzo una volta per tutte, faccia a faccia, con grande serenità. Poi ha pianto un pochino, nel silenzio della propria camera, più per ciò che lui rappresentava nella sua vita che per lui in sé e poi ha chiamato Mattia e gli ha proposto un film ed una sessione cattiva di Just Dance su YouTube per quel pomeriggio. Lui si è presentato con un pacco di pop corn e con addosso una maglietta che metteva a confronto la sagoma di una donna tutta curve con l’icona femminile che c’è sopra le toilette dei luoghi pubblici con scritto sopra rispettivamente “my girlfriend” e “your girlfriend”.
“Ti ringrazio per il pensiero, ma ho sempre odiato questo tipo di magliette” ha detto lei, sulla porta, indecisa se buttarlo fuori di casa o farlo entrare. Mattia ha sorriso e “Nessun problema, non vedo l’ora che tu me la tolga” ha ribattuto. Con questa frase, si è guadagnato una strizzata al naso ed uno strattone al polso da parte di Cecilia, che gli ha richiuso la porta alle spalle.
Mattia, capelli castani ed occhi nocciola, troppo bello per essere vero, iscritto a Fisioterapia, diciannove anni, fissato in modo morboso con i macarons, cantante in erba, è stupito di quanto sia felice di stare con una ragazza da quasi un mese. Non gli è passato per la testa nemmeno una volta di lasciarla, e per lui è qualcosa di eccezionale, considerando che di solito era annoiato ancora prima di starci insieme, ad una ragazza. Francesco, scherzosamente, un paio di settimane dopo il viaggio, gli ha detto che, come lui ha imparato a lasciar andare le persone, Mattia ha imparato il contrario, a trattenerle. Per uno che non ha mai trattenuto nessuno, per uno che si basava sempre sull’idea che non era il caso di impegnarsi, perché le ragazze vanno e vengono, è un gran risultato.
Francesco, ventuno anni, laureando in Ingegneria al Politecnico, non sente la sua ex storica, una ragazza dai capelli liscissimi e dagli occhi impossibili, da un mese. All’inizio contava i giorni, tipo gli alcolisti anonimi, ora ha smesso, sa che è più o meno un mesetto che hanno chiuso definitivamente. La rassegnazione si sta facendo spazio nel suo cuore. Si sente con Irene quasi tutti i giorni, sfogando le reciproche fissazioni su manga e libri (“Verrai bandita dall’universo per non aver ancora letto One Piece, lo sai vero?” “Non posso iniziare a leggerlo, sono una marea di capitoli e non sono masochista”) e scambiandosi messaggi fino all’una di notte anche se il giorno dopo c’è lezione e ci si deve alzare presto. Sono passati quasi due mesi quando Mattia gli chiede: “Ma quando chiedi ad Irene di uscire?” e lui si trova a fare i conti per l’ennesima volta con le capacità di Legilimens (citazione dotta) del suo migliore amico idiota e senza peli sulla lingua.
Irene, vent’anni, iscritta alla facoltà di Lettere, a Palazzo Nuovo, fuma solo più un paio di sigarette alla settimana, scrive ancora risposte sempre più divertite e divertenti alla posta del cuore, che non fanno altro che aumentarle le richieste e farle guadagnare più soldi. Quando le chiedono perché lo fa, risponde ancora che le vite degli altri sono meno impegnative, ma con un’accezione diversa. Scrive non perché vuole fuggire dalla propria vita, ma per aiutare quelle altrui. Ha finito di scrivere il manoscritto una settimana dopo il viaggio e lo ha inviato a dodici case editrici. Tre hanno risposto, ma Irene non ha ancora avuto il coraggio di aprire le buste, impilate ordinatamente sulla propria scrivania. Sente Francesco tutti i giorni e gli racconta le proprie conquiste quotidiane. Sono passati quasi due mesi quando Valeria le chiede: “Ma quando proponi a Francesco un caffè?” e lei si ritrova a fare i conti con le abilità inquietanti della sua migliore amica, per niente idiota ma certamente senza peli sulla lingua. Cecilia, a quella domanda, pare cadere dalle nuvole e chiede: “Che cosa? Irene e Francesco si stanno sentendo?”, quesito che le fa meritare una occhiata compassionevole da parte di Valeria e la risposta: “Carissima, non te ne sei accorta solo tu”.
  
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