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Autore: Liaris_Giu_1D    25/01/2015    1 recensioni
A ventisei anni, Clair Roberts è uno dei migliori agenti della squadra omicidi dell'FBI di New York. Un caso apparentemente impossibile da risolvere, un fastidiosissimo e affascinante capo con cui collaborare, un misterioso nuovo vicino di casa, un serial killer in libertà... Sono solo alcune delle cose che sconvolgeranno la vita di Clair, che si ritroverà a combattere per difendere ciò in cui crede: la giustizia.
Dal primo capitolo:
"Roberts, questa notte è stato ritrovato il cadavere di una donna di trent'anni, bianca, proprio qui, a New York. Indossava un abito nero, e delle scarpe lucide. Si tratta della terza donna che troviamo in queste condizioni. La seconda è stata rinvenuta quasi un anno fa vicino a Los Angeles, ma hanno riconosciuto che era lo stesso killer solo di recente" disse piano.
Sollevai la testa di scatto e lo fissai. Tre donne. Stesso modus operandi di colui che due anni fa aveva ucciso Adelaide Reinolds. Quel caso mi aveva perseguitato per mesi, ma non ero riuscita a trovare l'assassino.
"Non è più un mio caso" mormorai riabbassando lo sguardo sul computer davanti a me. Iniziai a stilare il rapporto ma fui nuovamente distratta dal mio capo.
"Ora è ufficialmente un nostro caso"
Genere: Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Prologo



 
2 anni prima


Scesi velocemente dall'auto e richiusi la portiera alle mie spalle. I rumori delle sirene della polizia e le voci gracchianti delle radio mi invasero le orecchie facendomi fare una smorfia infastidita. Mi guardai in giro, in cerca della linea gialla di delimitazione della scena del crimine. Con passi lenti mi avvicinai, superando alcuni curiosi che osservavano la scena. Mostrai il distintivo all'agente che sorvegliava la scena e quello mi  fece passare, salutandomi con un sorriso. Ricambiai, anche se non ricodavo di averlo mai visto. Appena fui passata sotto la linea, fui quasi investita da Adam, il mio collega. Adam aveva quasi cinquant'anni, però era ancora un ottimo agente. Mi accolse con un sorriso cordiale, prima di leggere a voce alta gli appunti che aveva già preso sul suo taccuino.
"Donna, trent'anni, bianca. Niente segni di violenza sessuale, probabile morte per soffocamento, il medico legale deve ancora arrivare, la scientifica sta già ispezionando la scena del crimine."
Annuii seguendolo verso una zona boschiva del parco.
"Luogo del decesso?" mi informai scansando abilmente un uomo con una tuta bianca davvero enorme: faceva sicuramente parte della scientifica.
"Non lo sappiamo, probabilmente qui, non ci sono segni di lotta o di trascinamento, perciò, a rigor di logica, la vittima conosceva il suo assassino e si era imboscata con lui volontariamente. Nessun testimone."
"Telecamere di sorveglianza?"
Adam scosse la testa: "Non in questa zona".
Sbuffai per poi fermarmi accanto ad un uomo accovacciato. Guardai poco più in là e vidi una donna stesa a terra, sembrava dormisse. Le braccia conserte sul petto, la testa poggiata su un cuscino di muschio e le gambe vicine; vestita con un miniabito nero e delle scarpe lucide.
"Non sembra un crimine passionale, somiglia più a un qualcosa di premeditato. Guarda la cura con cui ha sistemato il cadavere: dev'essere sicuramente qualcuno che non intendeva ucciderla, o che perlomeno ci teneva a lei tanto da sistemarla così" mormorai. Presi dei guanti in lattice che mi venivano porti e li indossai. Mi chinai accanto al cadavere e passai il dito sugli ematomi sul collo. Adam mi si avvicinò.
"Sembrano segni di strangolamento, vero?"
"Già, ma non è stato fatto con le mani, l'assassino deve aver usato qualcosa come una corda o un fazzoletto" disse una voce nuova, femminile, da dietro Adam. Sorrisi.
"Ciao, Clair. Adam." ci salutò il medico legale.
"Buongiorno,  Aurora" risposi facendomi da parte mentre lei si inginocchiava al mio posto e dava un'occhiata al cadavere.
Passarono pochi minuti, poi disse: "Dovrebbe ssere morta ieri sera, tra le sette e le nove di sera."
Anche Aurora era più grande di me, aveva quasi quarat'anni, ma sapeva fare il suo lavoro in maniera eccezionale.
"Non mi convince..." borbottò esaminando attentamente il collo della vittima, poi le mani, le braccia e il viso.
"Cosa?" chiese perplesso Adam facendosi avanti.
"Se la causa della morte fosse stato lo strangolamento, avrebbe quantomeno cercato di difendersi, non credete? Eppure quardate le braccia, non ci sono segni che si sia opposta allo strangolatore."
"Può essere che l'abbia drogata prima di ucciderla?" Adam si avvicinò a degli uomini che portavano una barella, probabilmente per chiedere loro di aspettare.
"Saprò darti risposte più certe dopo l'autopsia" momorò per poi dare ordine di portare via il corpo. Scossi il capo, pensierosa: perchè strangolare qualcuno che non può difendersi? E perchè sistemare poi il cadavere con così tanta cura?
Adam mi distrasse dai miei pensieri colpendomi leggermente il braccio.
"Me lo dai un passaggio? Sono rimasto a secco" borbottò. Risi incamminandomi verso la mia macchina.
Arrivammo in centrale poco dopo, grazie alla mia guida che Adam definiva spesso e volentieri 'spericolata'. Parcheggiai ed entrammo.
"Detective Roberts, il capitano Roberts la vuole nel suo ufficio" mi comunicò un'agente al telefono mentre mi dirigevo all'ascensore. Guardai Adam e quello ridacchiò.
"Sei nei guai, signorina?" lo guardai male ma comunque salii in ascensore. Ventesimo piano. Insomma, eravamo a Los Angeles, qui i palazzoni non mancavano. Adam si sedette alla sua scrivania, che era esattamente di fronte -o meglio, attaccata- alla mia nel grande salone dedicato ai detective della squadra omicidi. Non mi fermai, se non per lasciare la giacca sulla sedia. Raggiunsi la porta a vetri in fondo allo stanzone e fissai per qualche secondo la targhetta che vi era affissa: Capitano A. Roberts.
Bussai, e, quando giunse un 'avanti' dall'interno, aprii la porta. Mi trovai davanti un uomo di mezza età, con i capelli brizzolati sulle tempie e qualche ruga, che erano l'unico indizio della sua vera età: il fisico allenato da una vita di servizio in polizia e i riflessi pronti lo rendevano molto più giovane.
"Ciao papà" lo salutai andandomi a sedere sulla poltrona davanti alla sua scrivania. Adoravo mio padre, era la mia roccia, il mio esempio da seguire. Ero entrata in polizia sei anni fa, appena compiuti i diciotto anni: il mio più grande sogno era quello di diventare detective e ci ero riuscita.
Amavo il mio lavoro. Fin da quando ero piccola, avevo lottato in ogni modo per la giustizia, per la verità ed ero felice, ora che era diventato il mio lavoro.
"Clair, quante volte ti devo ripetere di non chiamarmi così sul lavoro?"
"Scusi, capitano Roberts" mormorai allora, con tono di sfida. Mio padre sorrise e scosse la testa, divertito, poi tornò a posare lo sguardo sulle carte che teneva tra le mani.
"Questa mattina è arrivata una lettera dal dipartimento di polizia di New York. E più precisamente dalla squadra omicidi dell'FBI."
"E cos'ha questo a che vedere con me?" chiesi confusa.
"A quanto pare, si è liberato di recente un posto nella sede di New York, proprio nella sezione omicidi dell'FBI, così mi hanno contattato, dato che ho amici tra loro, e mi hanno chiesto di te. Hanno detto che hanno esaminato attentamente i rapporti delle indagini che hai fatto, controllato i casi che hai chiuso e hanno concluso che saresti perfetta per quel posto. Clair, è un'opportunità da non sottovalutare: raggiungere un posto nell'FBI a soli ventiquattro anni è praticamente impossibile e tu puoi farcela. Sta a te decidere se accettare o meno."
Dire che ero sconvolta era dire poco. Mi sporsi in avanti per poggiarmi alla scrivania di mio padre, bisognosa di un ulteriore appoggio oltre alla sedia su cui sedevo. Quando realizzai quello che mio padre aveva detto un sorriso enorme si espanse sul mio viso. Mi portai le mani a coprire la bocca per fermare un urlo di stupore e gioia.
"Sei sicuro che volessero proprio me? Oh cielo, io nell'FBI!" esclamai saltando in piedi. Mi rimisi immediatamente seduta e mi sporsi per togliere le carte dalle mani di mio padre. Le scorsi febbrilmente e mi convinsi che si, volevano proprio me. Sollevai gli occhi lucidi su mio padre che sorrideva almeno quanto me. Corsi ad abbracciarlo, fregandomene che fossimo a lavoro e lui ricambiò felice e orgoglioso. Non ci credevo ancora.
"Cosa devo rispondere?" mi chiese mio padre quando tornai a sedermi al mio posto.
Realizzai solo in quel monìmento che per accettare il lavoro mi sarei dovuta trasferire a New York. Il mio sorriso si spense all'idea di dover salutare i miei genitori, ma si riaccese all'idea di rivedere mio fratello maggiore e la sua fidanzata, nonchè mia migliore amica che vivevano stabilmente a New York da un anno.
"Io... Io ho bisogno di pensarci. Insomma, non è una decisione facile da prendere così, su due piedi..." mormorai piano, tornando a essere razionale e non più presa dalle emozioni.
Mio padre annuì.
"Facciamo così, hai tutto il tempo che impiegherai a risolvere il caso che hai visto oggi per darmi una risposta, avvertirò il capitano dell'FBI per informarlo di questo e poi daremo una risposta. Va bene, per te?"
Annuii combattendo la voglia di abbracciarlo ancora.
"Và pure, ora" mi incitò. Ancora stranita da quell'incontro, uscii e raccontai tutto ad Adam, che si congraulò con me. In attesa dei risultati dell'autopsia sul cadavere della donna, che avevamo scoperto si chiamava Adelaide Reinolds, passammo i tre giorni seguenti a interrogare tutti coloro che la conoscevano, ricostruendo passo passo la sua vita fino alla sera in cui era stata uccisa. Niente faceva intuire che Adelaide avesse nemici e nessuno aveva idea di chi avesse potuto ucciderla. Inutile dire che io e Adam brancolavamo nel buio e attendevamo con ansia i risultati dell'autopsia. Quando questi furono pronti, ci precipitammo letteralmente da Aurora. Purtroppo, ciò che ci disse non era niente di nuovo.
A quanto pare, Adelaide aveva consumato il suo ultimo pasto in un ristorante davvero prestigioso e dedussi che fosse con un uomo alquanto ricco, dato che lei non era così ricca. Questa ipotesi era confermata dall'abbigliamento della vittima, che era piuttosto elegante. Io e Adam, in compagnia di altri agenti che si erano offerti di aiutarci, controllammo in tutti i ristoranti più lussuosi della zona, ma nessuno si ricordava di aver visto la vitima. Probabilmente, l'assassino l'aveva portata a mangiare fuori città, così controllammo anche i ristoranti nelle immediate vicinanze della città, ma niente. Passò un mese e ancora non avevo idea di chi potesse aver ucciso quella ragazza. Il posto nell'FBI mi aspettava, ma io ero troppo presa da questo caso. Conoscevo a memoria ogni singolo spostamento di Adelaide negli ultimi due mesi prima della sua morte, ma niente lasciava intuire che avesse un amante o un fidanzato o che si vedesse con qualcuno. Passò un altro mese e io ancora non avevo niente di nuovo. La notte dormivo poco e niente e pensavo costantemente a quel caso. Avevo visto un centinaio di volte tutti i filmati degli interrogatori di amici e familiari, tanto da sapere ormai a memoria la disposizione di ogni singolo amico di Adelaide. Passò un altro mese, il terzo dal giorno in cui avevamo trovato il cadavere. Mi ero ormai rassegnata all'idea che quel caso sarebbe rimasto irrisolto. Andai da mio padre e gli comunicai la mia decisione di partire: cambiare aria e posto di lavoro mi avrebbe sicuramente fatto bene.
Due gorni dopo ero pronta a partire e a lasciarmi alle spalle quella che era stata la mia casa per ventiquattro anni.







*Spazio autrice*
Ciao a tutti.
 Ho deciso di postare il prologo di questa storia per fare una prova, diciamo. Non so se pubblicherò i capitoli seguenti, penso che prima finirò di scrivere del tutto la storia. Voglio solo vedere se può interessare a qualcuno, questa storia e, se sarà così, allora la pubblicherò per intero una volta finita, così da garantire aggiornamenti regolari.
 Spero recensiate, anche solo per dirmi che fa schifo.
 Baci, Giugiu.
  
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