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Autore: jade31    25/01/2015    1 recensioni
One-shot Bellarke ispirata a quello che è accaduto nell'episodio "Spacewalker", ambientata appunto dopo la 2x08 e che non tiene conto di quello che è successo nella 2x09.
Ho cercato di immaginare il ritorno di Clarke al campo, la reazione dei suoi compagni e della gente dell'Arca, ma soprattutto quella di Bellamy, ed il modo in cui lui cerca di esserci per lei in questo momento.
Questa è la mia seconda storia su The 100, spero che vi piaccia!
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con Te Posso Essere Me




Sentiva la loro presenza.
Sentiva i loro occhi addosso mentre si faceva strada nel campo.
Qualcuno aveva paura. Qualcuno la compativa. Qualcuno non riusciva a guardarla per più di qualche secondo.
Quando incrociò lo sguardo di Murphy e lui lo distolse dopo qualche attimo, Clarke capì il senso di ciò che Finn le aveva detto.
"Non mi guardi più nello stesso modo in cui facevi prima".
Avevano ragione.
Lei aveva ceduto, non era riuscita a salvare una di quelle persone che aveva giurato, silenziosamente agli altri e solennemente a se stessa, di proteggere.
Fosse stata nei loro panni, nemmeno lei forse avrebbe avuto il coraggio di guardarsi.
Ma in quel momento, in mezzo ai suoi compagni, la morte di Finn, il ragazzo che aveva amato, come il morso di un animale che le divorava la coscienza, condannata persino dallo sguardo inconsapevole di sua madre, qualcuno la guardava.
Qualcuno la capiva. Qualcuno sapeva.
Qualcuno, in quel silenzio pregno di giudizio e in quell'immobilità ricca di significati, non aveva paura.
Non la compativa.
Veniva verso di lei.
Quando percepì la sua presenza sempre più vicina a sé, alzò le mani, quasi a volersi proteggere.
Quasi a voler scomparire.
Ma il sangue che le macchiava rimaneva lì.
Vivo. Rosso. Pesante.
Quello che non era riuscita a fermare, lo stesso sangue che aveva acconsentito a far scorrere.
Ma Bellamy sapeva.
Essere un leader significa proteggere la propria gente, ognuno di loro.
Ma significa fare scelte difficili, incomprese e incomprensibili agli altri.
Mettere il bene di tutti davanti alla vita di uno.
Per questo quel sangue non lo spaventava.
Per questo quelle mani, quelle braccia erette a debole barriera non potevano fermarlo.
Mentre l'intero campo tratteneva il fiato come un'unica persona, Bellamy usò le sue, di mani, le sue, di braccia,  per raggiungere la creatura ferita che era in quel momento la sua co-leader.
Lei provò a spingerlo via, cercò di evitare il suo sguardo, di nascondersi da lui. Soprattutto da lui.
Appoggiò le mani sul suo petto, per tentare di tenerlo a distanza, sporcandogli la maglietta di rosso.
Ma Bellamy restò lì. Aspettò, fu paziente, e cercò i suoi occhi.
Tre, quattro volte lui provò a raggiungerla, e per tre, quattro volte, Clarke lo respinse.
Al quinto tentativo, spostò per l'ennesima volta le sue mani, e lei le lasciò cadere lungo i fianchi, troppo stanca per continuare quell'inutile lotta.
Allora lui se la strinse al corpo, e la circondò, così da proteggerla da tutto quello che aveva intorno.
Dai suoi amici, perché Bellamy sapeva che in quel momento, avrebbero potuto distruggerla.
Sentì le sue lacrime silenziose bagnargli il petto, laddove il sangue di Finn aveva appena iniziato a seccarsi.
- Mi dispiace - la sentì sussurrare.
Lui scosse la testa e le accarezzò piano i capelli.
Clarke continuò a piangere, e lui, stanco di saperla in mezzo a quelle persone che avrebbero dovuto sostenerla e invece non facevano altro che restare a guardare e rimanevano in un accusatorio silenzio, le passò piano un braccio attorno alle spalle e l'altro sotto le ginocchia, sollevandola e stringendola a sé.
Lei si abbandonò tra le sue braccia quasi come una bambola rotta e quella vista gli spezzò il cuore, oltre a farlo infuriare più di quanto fosse disposto a sopportare.
Sentirla scusarsi per averli salvati, anche se a costo della vita di uno di loro, il solo pensiero che lei credesse di doversi scusare, dopo quello che era stata appena costretta a fare, gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
Quando persino Octavia, pur comprendendo la situazione, era rimasta dov'era e anzi, aveva distolto gli occhi come quasi tutti gli altri, Bellamy aveva provato un moto di rabbia e vergogna per il comportamento di sua sorella.  Non era mai successo prima. Non era colpa sua, era chiaro e lui lo sapeva, sapeva di accusarla un pò ingiustamente, ma in quel momento non riusciva a ragionare, e non voleva farlo.
Poi fu lui a lanciare uno sguardo a tutti i presenti, e non ci fu davvero bisogno di parole, perché i suoi occhi dicevano tutto.
Quando Octavia fece per avvicinarsi a lui, le lanciò un'occhiata che la fece arrestare sul posto e distogliere il volto.
Si mosse verso la propria tenda, ma non appena iniziò a lasciarsi le persone alle spalle, sentì che già qualcuno cominciava a bisbigliare.
Così, senza nemmeno prendersi il disturbo di guardarli di nuovo, disse:
- Se qualcuno di voi ha qualcosa da dire su Clarke, su quello che ha fatto, o su come vi ha appena salvato la vita, può rivolgersi direttamente a me, e se scopro che anche solo uno di voi ne ha parlato alle sue spalle, ne risponderà a me. -
A quel punto calò il silenzio, tutti i bisbigli cessarono, e non ripresero.
Ricominciò a camminare, dirigendosi verso la tenda.
Sentì le mani di Clarke stringersi attorno al tessuto della sua maglietta.
Arrivato all'interno, la adagiò piano sul proprio letto fatto di coperte. Prese un panno e dopo averlo bagnato le ripulì le mani dal sangue.
Ogni tanto aveva dei tremiti e il suo corpo sussultava, così, una volta finito, si sdraiò accanto a lei e dopo averle scostato qualche ciocca dal viso segnato di lacrime, la tirò di nuovo a sé.
Con un braccio attorno alla sua schiena e uno tra i suoi capelli, a Bellamy non interessò di quello che succedeva fuori, perché lì dentro poteva ancora proteggerla.
Lei si rilassò contro il suo corpo, come se la sua presenza le calmasse cuore e anima.
Affondò inconsapevolmente il volto nel suo petto, cercando la protezione e il calore di cui a parole non esprimeva mai il bisogno, proprio come lui.
Pianse, urlò e si dimenò tra le sue braccia, tormentata da mali che Bellamy non poteva vedere e combattere per lei. Poi, stremata, crollò.
E lui c'era. Era lì con lei, che nel frattempo continuava a tremare, e non l'avrebbe lasciata sola.
- Sono qui, Clarke. Ci sono io. -
Sistemò il mento sopra la sua testa e chiuse gli occhi, stringendola più forte.
- Tranquilla. Ti prometto che nessuno ti farà più del male. -
E nel buio di quella notte che scendeva sul campo, mentre la luce di un amico si spegneva, per riaccendersi in un luogo più lontano, e forse migliore, la loro si unì per un attimo e brillò più intensa che mai.









NOTE:  Allora, eccomi di nuovo qui a scrivere su The 100 e sulla grandiosa coppia che per me è la Bellarke! Siccome la scorsa volta ho raccontato di un momento felice della loro storia, adesso mi sembrava quasi d'obbligo alternare e scrivere qualcosa di triste, e la visione di "Spacewalker" mi ha aiutata moltissimo, perchè Dio solo sa quante volte ho pianto rivedendomela! 

Ho voluto enfatizzare il loro rapporto e la volontà di Bellamy di esserci per Clarke perchè io questo legame tra loro due lo sento fortissimo, e mi piace l'idea di potergli dare una mia interpretazione, senza nulla togliere agli autori che, per quanto mi facciano venire voglia di strangolarli la maggior parte delle volte, devo ammetterlo, sono stati bravissimi e lo sono tutt'ora, non solo per questa ship, ma per tutto lo show, che non è mai stato banale o noioso per un solo episodio.
Niente, ringrazio semplicemtente tutti coloro che leggeranno questa storia e quelli che recensiranno (sarà un punto in più per la mia autostima di autrice in ogni caso!) e vi aspetto alla mia prossima fanfic su questa bellissima serie tv!
   
 
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