Non significa niente, com’è giusto che sia.
E in un qualcosa che non ha senso non c’è nulla da
esplicare.
Tranne la mia follia degenere e, forse, una preghiera: che ad ogni
donna sia concesso quel piccolo lembo di un grande canovaccio di felicità che
tutti osano chiamare poeta.
Alla persona che amo oggi e che non amandomi mi rende il giusto
prezzo: la mia coscienza infelice.
Di
notte sussurrasti "ti ho sognato"
Di notte sussurrasti ti ho
sognato.
Un sospiro nel buio, un sussurro, un segreto, un pensiero furtivo
sfuggito all’oscurità dei pensieri.
Acqua che la diga della mente quasi sempre argina, acqua che scorre
e ritorna fatta musica, che melodica aleggia e svanisce. Un ricordo, immagine
sfocata di una foto ingiallita, un’abitudine tarda a morire e…tu. Nella tua
sfrontata perfezione.
E poi…
Poi c’è lui…
Il
poeta…
Il poeta che, piano, con grazia, si spegne.
Il fuoco riarde e si accende, scatena il suo vuoto e lascia che
inghiotta anche te. Il sorriso del poeta non è dolcezza o bontà. Il suo è un
ghigno di beffa, alla vita che gli passa su come il vento che soffia tra i rami
spogli di una foresta umida e buia. Il poeta non conosce pensieri puri, né
pensieri impuri: conosce il pensare, ma non ha pensieri propri.
Il poeta è un uomo quanto l’acqua è vento, quanto la speranza è
reale e la realtà vanagloria: non ha percezione di sé, ma sente che dentro di
lui qualcosa che non è vita scorre e si dilegua, scorre e cola via…e non è
sangue ma veleno, le vene blu di assenzio, la condanna di una vita invana che
perde valore e che gli scivola tra le dita come fango, come torba ed ha la stessa consistenza.
Umida,
sporca
e viscida.
Il poeta, lui che non sa di nulla, tu dici sappia del mondo ciò che
basta o forse più, il poeta che si autoinfligge pene capitali e dolori atroci.
Un poeta, un uomo che non è tale, un bravo
bugiardo che non sa piangere.
Il suo sguardo pungente t’indaga, nuda davanti a lui, miserabile
figura di linea spezzata, fragile specchio di emozioni palesi ,
donna…
donna…
donna.
Mi senti bussare alla tua porta, occhi di cristallo nel ghiaccio
pungente, donna martoriata, donna
incomprensibilmente felice, donna vestita del colore dell’ossessione.
E il poeta la vede nella pioggia come nel fuoco della candela sullo
scrittoio, in ogni parola che fuoriesce dalla penna bianca e in quelle gocce
d’inchiostro scuro. Lui la vede e lei si nasconde e cambia forma, lui la scorge
in lontananza e lei rifugge come timida rugiada al sole.
E il poeta, pensa, la paura potrebbe domarla coi suoi occhi fissi
nell’anima di quell’essere fragile che ostenta il nome di Philia, di lei che
come un giunco si piega al volere del vento e sottomette la propria volontà al
timore di uno sguardo irrequieto.
E nulla più sospira,
niente più attesa.
Tempo da tempo trascorso, avendo terminato la ricerca di una vita.
Non ha più bisogno di piangere lacrime nude e amare il poeta,
soltanto di soddisfare un sogno che giace da troppo tempo inerte e senza paura
di rivelarsi.
Il riverbero di due occhi che riportano alla vita, specchio di un’anima
assurda, nati per fissarlo in un modo che neanche l’assoluto riesce minimamente
ad imitare: ed è solo lei, donna, a poter
contemplare la totalità delle mille sfaccettature di un’anima
vuota…
Fine