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Autore: Meli_    25/01/2015    3 recensioni
[…] Si dice che ci sia qualcuno imprigionato nella stalla posizionata nel giardino sul retro, ma nessuno ha il coraggio di controllare.», concluse, con un tono da oltretomba che mi fece venire i brividi lungo la spina dorsale.
[…] «Dov’è il suo studio? -ero convinta che dietro la prigionia di Luhan ci fosse qualcosa di losco- Voglio andare a fondo in questa storia».
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Lu Han, Lu Han, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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The wolf boy


     Prologo †
 
«Ho paura», dice Luhan con voce strascicata per la decima volta consecutiva, stringendo con forza la mia mano come se cercasse un’ancora a cui aggrapparsi.
«Lo so, lo so. Ma devi stare calmo, ci sono io con te», lo rassicuro con un sorriso materno, scostandogli dolcemente i capelli biondi attaccati alla fronte. Siamo nella foresta, al centro di una radura verdeggiante riparata dal vento gelido della notte grazie agli alberi. Nel cielo brilla la luna piena e pallida, il ragazzo potrebbe trasformarsi da un momento all’altro.
«Mamma… E se ti facessi del male? Io- io non voglio…», balbetta tra un ansimo e l’altro, e mi guarda con quei grandi occhi chiari da cerbiatto colmi di terrore e lacrime. Sono identici a quelli di suo padre, lui è identico a suo padre: lo stesso sorriso, le stesse labbra piene, lo stesso profumo della pelle... e anche lo stesso sangue di lupo.
Stringo il suo corpo scosso dai tremiti al petto «Non m’importa, yeobo. Io resto qui con te, nel caso avessi bisogno di qualcosa. Non ti lascerei mai da solo, soprattutto durante le notti di luna piena» dico, risoluta.
Lo sento gemere tra le mie braccia e vengo colta da un attacco di panico: cosa posso fare per rendergli la trasformazione meno dolorosa? I suoi amici mi hanno detto che la mutazione in lupo avviene dopo attimi di lenta agonia. Non voglio che il mio bambino soffra in quel modo, è l’ultima cosa che vorrei vedere in questo mondo.
«Perché a me, mamma? Perché?», chiede soffocando un singhiozzo disperato «Cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Osservo le cose anche a miglia di distanza, riesco a percepire ogni odore, a volte vedo in bianco e nero e sono uno dei ragazzi più agili del villaggio… Non sono normale»
Sbarro gli occhi e mi mordo le labbra carnose, comprendendo subito cosa devo fare «Yeobo… Vuoi che ti racconti una storia?» propongo, affondando le dita nei suoi folti e morbidi capelli biondi come il grano.
Lui si affretta ad annuire «Sì, per favore!»
Sospiro rumorosamente «Ti- spiegherò tutto. Ma partiamo dall’inizio, cioè quando conobbi tuo padre, che porta il tuo nome… Luhan…»

 

 
The wolf boy


 
 
Scesi dalla macchina sbattendo con forza lo sportello, seguita da mia sorella minore Seul Gi, e respirai rumorosamente l’aria fresca della campagna, desiderando con tutta me stessa di tornare nella nostra bella casetta in città. Mia madre aveva deciso di trasferirsi in quel posto dimenticato da Dio subito dopo aver ricevuto una strana telefonata da un qualcuno altrettanto strano. Sinceramente parlando, non volevo sapere di chi si trattasse. Erano problemi suoi.  
Era autunno quando andammo lì, lo ricordo benissimo: cielo azzurro, nuvole bianche color panna montata, i colori gialli che tendevano all’arancione, il vento che soffiava piano e faceva cadere le foglie degli alberi che ci circondavano e nell’aria aleggiava quell’odore di bruciato quasi dolciastro.
«Allora?» domandò la mamma, prendendo le chiavi dal cappotto di lana, mentre un leggero sorriso le increspava le labbra «Che ve ne pare?»
Io e mia sorella ci guardammo per un lungo istante, prima di gettare lo sguardo sulla casa in cui avremmo dovuto vivere: era come se una decina di stamberghe fossero state sovrapposte una sull’altra; c’erano fumaioli ovunque e sul tetto erano appollaiati pure un paio di gargolle di pietra che ci scrutavano severi. Gettai un’occhiata sulla grande porta d’ingresso, che un tempo doveva essere grigia, mentre in quel momento il colore era sbiadito e incrostato di sporcizia.
«É… Non ho parole per descrivere quello che ho davanti», mormorai con un sorriso tirato, infilando le mani congelate nelle tasche dei pantaloni «Davvero, mamma. Non so cosa dire».
Seul Gi ridacchiò debolmente e strinse al petto il suo fedele peluche a forma di coniglietto «La prossima volta andiamo in un Hotel, d’accordo?»
Le scompigliai teneramente i corti capelli biondo-cenere e sospirai «Ovvio. Sinceramente ho un po’ di paura… Questa- mimai le virgolette con le dita-“casetta” non sembra molto… Stabile», pronunciai l’ultima parola puntando le mie iridi color smeraldo in quelle azzurre di mia madre, che alzò gli occhi al cielo e fece roteare le chiavi dell’abitazione tra le sue lunghe dita affusolate «Ragazze, chiudete il becco ed entrate. Sceglietevi una camera, mentre io scarico gli altri bagagli», ordinò con un tono che non ammetteva repliche.
Annuii portandomi la mano sulla fronte come in un saluto militare «Come desidera, signora!», presi la mia valigia da terra e acciuffai le chiavi che mi porgeva la mamma.
Mi avvicinai lentamente alla porta sentendo lo scricchiolio dei sassi e delle foglie sotto le suole delle scarpe; infilai la chiave più grande nella toppa e aprii il portone con una spallata, dato che la forza delle mani non bastava: subito l’ingresso immerso nell’oscurità si presentò davanti ai miei occhi e mi si gelò il sangue nelle vene.
La puzza di chiuso mi investì in pieno, e dovetti tapparmi il naso per non mettermi a vomitare «Che accoglienza», borbottai, con una fastidiosa voce nasale che fece ridere la mia sorellina «Mi aspettavo un maggiordomo con i pasticcini, invece di quest’odoraccio».
Sentii la mamma sbuffare come un toro, visibilmente infastidita, e un debole sorriso affiorò sulle mie labbra.
«Entriamo, Seul Gi. Cerchiamo una camera che non sia stata divorata dalle termiti», mormorai facendole l’occhiolino.
«Michi! E smettila!», urlò mia madre, spazientita.
Risi gettando la testa all’indietro e misi piede nel grande atrio, dopo aver esalato un lunghissimo sospiro. Guardai lo spazio circostante con circospezione: i muri della grande sala erano dipinti di un bel rosso carminio, ed erano anche tappezzati da quadri raffiguranti paesaggi e animali di ogni specie; dal soffitto dondolava un lampadario di cristallo impolverato che sembrava voler cadere da un momento all’altro. Sulla sinistra, c’erano moltissime porte chiuse a chiave, mentre sulla destra ve ne era una sola che probabilmente portava sul giardino sul retro. Di fronte a noi si ergeva una scala imponente, coperta da un tappeto di velluto rosso: probabilmente portava alle camere da letto.
Ovviamente, una volta arrivate in cima, le scale continuavano fino al tetto.
Per poco non mi si staccò la mascella «Non ho parole», biascicai. Non avevo nessuna intenzione di vivere in quella catapecchia, avevo l’impressione che stesse per crollare sulle nostre teste come un castello di carte.
Seul Gi scrollò le spalle «Unnie, sono convinta che un po’ di deodorante per ambienti risolverà il dieci percento dei nostri problemi», disse con un antipatico tono da saputella.
La guardai divertita «E il restante novanta percento?», domandai.
Lei scosse la testa «Ci servirebbe un miracolo. Uno di quelli grossi», prese la sua valigia rosa confetto da terra e si avviò saltellando verso la scala.
Seul Gi aveva solo dieci anni, ma era una bambina intelligentissima e piena di sorprese: si dimostrava una vera benedizione per la mia famiglia, e io la adoravo con tutto il mio cuore.
Cominciai anche io a salire le scale, trasalendo ad ogni rumore scricchiolante che producevano gli antichi scalini sotto i miei piedi tremanti: stavo cominciando ad odiare quel posto. Una volta in cima, passai in rassegna tutto il corridoio e scelsi una porta a caso, quella che mi sembrava più inamovibile.
Poggiai la valigia a terra e strinsi la maniglia dorata per poi abbassarla. All’improvviso sentii un rumore sinistro dietro di me, come se qualcuno stesse respirando affannosamente, seguito da un paio di colpi sul muro circostante.
Mi girai di scatto, con il cuore che batteva all’impazzata e il terrore che si stava già impossessando di me, ma non c’era nessuno: il corridoio era completamente vuoto ad eccezione di un piccolo topolino di campagna che correva lontano da me.
Deglutii a vuoto e spostai nuovamente lo sguardo alla camera in cui avrei dovuto dormire, mordendomi nervosamente il labbro inferiore: era una stanza abbastanza piccola, ma accogliente e calda; c’era un letto singolo, un armadio e una scrivania, in aggiunta a una sedia, un comodino e una cassettiera. Sul pavimento  vi era un tappetino multicolore, e sulla parete si trovava uno specchio ad altezza naturale. Tutti i mobili erano in legno.
Entrai lì dentro e poggiai la valigia sul letto, per poi sedermi accanto ad essa e posare il mento sui palmi delle mani, che erano gelide a causa della bassissima temperatura che caratterizzava quella casa.
Non volevo vivere lì, quella strana abitazione mi incuteva timore: sembrava che ci fosse qualcosa o qualcuno nascosto tra quei muri che stentavano a reggersi in piedi. Non sapevamo nemmeno a chi appartenesse quella casa prima del nostro arrivo, diamine! Poteva essere di uno scienziato pazzo che rinchiudeva cavie negli armadi, chi lo sa… Oppure sotto al letto.
Sbarrai gli occhi e corsi a cercare la mamma, con il solo intento di pregarla anche in ginocchio di tornare nella nostra vera casa in città, e la trovai che stava ancora scaricando i bagagli dall’auto.
«Michi, tesoro, mi aiuti con queste buste?», chiese, alludendo al mucchio di sacchetti di plastica accanto alle ruote della macchina.
Sospirai rumorosamente e cominciai a giocherellare con una ciocca dei miei lunghi capelli biondi «Mamma, mi spieghi perché siamo venuti ad abitare… qui? -abbracciai tutto lo spazio circostante con un movimento secco del braccio- in mezzo al nulla?»
Beh, eravamo in aperta campagna, tra alberi secchi ed erbacce alte quasi quanto me; il villaggio era lontano dall’ alloggio scassato in cui avremmo dovuto vivere e la gente non mi sembrava incline a nuove amicizie.
Lei rispose, evitando di guardarmi «Ho ricevuto una telefonata», e prese uno scatolone senza aggiungere altro.
Odiavo quando lasciava le frasi a metà, la curiosità mi stava letteralmente divorando «E chi era? Mamma, ti prego, dimmelo!»
«… Il figlio di un ricco uomo d’affari, amico di tuo padre, ha chiesto la tua mano. E noi ci siamo trasferiti qui in modo che tu possa conoscerlo per poi sposarlo», disse tutto d’un fiato.
Scoppiai a ridere «Okay, divertente, ora dimmi la verità», presi una busta contenente quelli che dovevano essere i piatti di ceramica e puntai lo sguardo sul viso maledettamente serio di mia mamma. Mi rabbuiai.
«Michi, è questa la verità -mormorò lei con un sorriso triste- lui… è un bel ragazzo, ed è educato e gentile… Si chiama Jung Daehyun e-»
Non volevo sentire oltre.
Dopo un minuto di silenzio scaturito dalle sue parole, sentii un forte dolore al petto, come se qualcuno mi avesse piantato un coltello proprio al centro del torace: da mia madre non mi sarei mai aspettata un comportamento del genere.
Come si permetteva a decidere in questo modo della mia vita?! Io non volevo sposarmi a soli sedici anni, non ero pronta a metter su famiglia e non avevo nessuna intenzione di maritarmi con un ragazzo che nemmeno conoscevo, ricco o povero che fosse.
Ero dell’idea che l’amore non dovesse essere forzato con sotterfugi del genere: io volevo innamorarmi proprio come era successo  alle mie amiche, trovare il partner perfetto per me e che piaceva solo e solamente a me.
«No! -urlai, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche, con la rabbia che mi ribolliva nelle vene, bollente come il fuoco- Non voglio! Come puoi dirmi una cosa del genere?! Non voglio!» ripetei, con le lacrime che già minacciavano di rotolarmi lungo il profilo delle guance.
Mamma sospirò «Michi, tesoro, prima lo devi conoscere e poi… magari puoi decidere di sposarlo. Daehyun è un ragazzo molto ricco, attraente, gentile e coraggioso: è praticamente perfetto per te», mi fissò intensamente negli occhi e vi lessi tutto la tristezza che stava provando.
«A me non interessa se è brutto, bello, povero, ricco, simpatico o antipatico… Voglio scegliere io -mi battei la mano sul petto e soffocai un singhiozzo disperato- la persona con cui trascorrerò il resto della mia vita!»
Lei abbassò lo sguardo sui suoi stivali e diede un calcio ad un ciottolo «Okay, d’accordo… Però questa sera lui e suo padre verranno qui a farci visita, per darci il benvenuto. Sii gentile, Michi, te ne prego», afferrò uno scatolone dal bagagliaglio e lo posò a terra con lentezza.
Non ci potevo credere «Ma mamma! Lo fai per i soldi?! Vuoi vendermi a questo tizio per dei soldi?!»
«NO! -sbraitò, con il viso di uno strano colore rossastro- Ascoltami, io non ti voglio forzare, d’accordo?! Se non vuoi sposarti con Daehyun, sei libera di non farlo! Ma prima, almeno prova a conoscerlo. -abbassò il tono di voce, ma la sentii lo stesso- Il signor Jung ci ha comprato la casa, dando per scontato che tu prenderai suo figlio come marito».
Mi passai una mano tremante sul viso e scossi la testa ripetutamente.
Come faceva a non capire come mi stessi sentendo in quel preciso momento?
L’amore è quando ti perdi nel paesaggio degli occhi di chi ami, li scruti, ti fondi a lui fino a quando non sei più capace di percepire il mondo esterno. Immagini, impressioni, un dolce tepore all’interno del cuore che si trasforma in fuoco ardente di passione, l’ odore specifico della pelle dell’amato che diventa profumo ed inebria ogni senso… Volevo assolutamente provare queste sensazioni; ma come sarebbe stato possibile se mi fossi sposata con un ragazzo di cui nemmeno ero innamorata?
Scossi la testa  e sussurrai con un fil di voce «Non accetterò mai la sua proposta… Ma sarò gentile questa sera, quando glielo dirò, non devi preoccuparti», detto questo, la lasciai da sola e corsi nella mia nuova. stanza. Affondai il viso tra i palmi gelidi delle mani, nel vano tentativo di raffreddare il mio viso accaldato, e non mi accorsi che qualcuno era entrato e si era seduto accanto a me sul letto.
Mi girai e incontrai i grandi occhi chiari di Seul Gi «C’è qualcosa che non va, Unnie? Mi sembri turbata», mormorò, accarezzandomi piano la spalla destra.
Mi morsi nervosamente il labbro inferiore «Mamma vuole che sposi un ragazzo, un certo Jung Daehyun…», piagnucolai, scostandomi una ciocca di capelli dal viso. Cercai in tutti i modi di tenere a freno le lacrime, per non sembrare debole davanti alla mia piccola sorellina, che mi vedeva come un modello da seguire.
«Jung Daehyun, dici? -chiese, guardandosi attorno con circospezione- penso che questa casa sia sua».
Sollevai un sopracciglio, confusa «Sua?», domandai.
Lei annuì e indicò la porta con  il pollice «Sulla porta di legno della camera che ho scelto, c’è un’incisione -mimò le virgolette con le dita mentre pronunciava questa frase- “Daehyun was here.”», mi rivolse un sorrisetto e lasciò cadere le mani in grembo.
Feci una smorfia divertita e incrociai le braccia al petto con fare teatrale  «Simpatico, il ragazzo».
Seul Gi ridacchiò coprendosi la bocca con la mano «Unnie, scommetto che è un tipo “okay”. Dovresti almeno provare a conoscerlo… E se non ti piace, non lo sposi. Questa sera lo conosceremo!», cominciò a saltellare sul materasso producendo un fastidioso suono di molle arrugginite che si allungavano e stringevano. La fermai prendendola per il polso e baciandole teneramente la guancia «Va bene, Sapientino. Ora andiamo ad aiutare la mamma e a rendere più presentabile questa casa».
Passammo il resto della giornata a spolverare mobili antichi, pulire le stanze del piano di sotto -l’enorme cucina, la sala da pranzo, il bagno e l’atrio - dagli innumerevoli residui di polvere, lucidare specchi e dare la caccia agli insetti che avevano creato il loro Impero lì in mezzo.
Erano le sette di sera, quando la mamma mi chiese di aiutarla a preparare la cena: spaghetti immersi nella zuppa, carne alla griglia e gelato alla fragola per dessert. Non ci mise troppo a capire che non ero una cima ai fornelli; così mi mandò in camera a vestirmi come si deve. Optai per un paio di jeans aderenti un po’ più eleganti di quelli che indossavo già e per un maglione a scollo a v a color notte. Mi sistemai i capelli davanti allo specchio incrostato di sporcizia e arricciai il naso quando le mie dita incontrarono un paio di nodi. 
«Unnie!», cinguettò Seul Gi entrando nella stanza come una trottola «Sono qui! Sono arrivati! Andiamo di sotto, vieni», afferrò la mia mano e mi condusse fino alla rampa di scale, felice come non lo era mai stata. Il suo vestitino rosa confetto le arrivava fino alle ginocchia magre e svolazzava qua e là mentre correva al piano di sotto. Ridacchiai «Calmati, piccolina», dissi tra una risata e l’altra.
Arrivammo nel grande atrio e osservammo la mamma che si inchinava rispettosamente in direzione di un uomo abbastanza alto e attraente che era appena entrato dal portone, mentre un ragazzo poco più basso di lui si toglieva un cappello dal capo e una sciarpa di lana.
Deglutii rumorosamente e mi avvicinai ai due ospiti.
Mi appiccicai sul viso un sorriso cordiale e mi inchinai rispettosamente verso i due, ma quando alzai lo sguardo e incontrai quello di Daehyun, rimasi pietrificata dalla sua bellezza. Era un ragazzo di circa diciassette anni, alto, magro e con i muscoli ben allenati delle braccia, ben visibili da sotto la sua camicia bianca. Aveva gli occhi a mandorla, talmente scuri che avevano il potere di risucchiare chiunque li guardasse in un vortice senza via di scampo; e le labbra rosse come le ciliegie e carnose, screpolate a causa del freddo pungente che impregnava l’aria. I suoi capelli erano color cioccolato fondente con qualche sfumatura biondo-scuro, che gli ricadevano elegantemente sulla fronte.
Il ragazzo sorrise calorosamente e si inchinò «Ciao, io sono Daehyun. Spero di diventare presto un tuo amico».
Tossicchiai nervosamente, a disagio, e Seul Gi mi diede una debole pacca sul braccio «Ehm… Il mio nome è Yoon Michiko, ma puoi chiamarmi Michi… Piacere mio», balbettai, grattandomi la nuca.
Mi presentai anche al signor Jung e andammo in sala da pranzo a mangiare, allietati dal buon profumino della carne.
Mia mamma aveva preparato un tavolo a parte per me e Daehyun, cosa che per poco non mi fece urlare dal disappunto: non poteva avermi fatto questo. Sbuffai sonoramente e mi accomodai proprio di fronte a lui, che continuava a sorridere come se avesse uno strano tic facciale.
Versai un po’ d’acqua nel bicchiere e abbassai lo sguardo. Non riuscivo a guardarlo negli occhi, ero troppo imbarazzata «Sai -esordì dopo un minuto di silenzio, immergendo le bacchette nella zuppa e sollevando una bella porzione di spaghetti- nemmeno a me va a genio questa storia del matrimonio».
Mi decisi ad alzare gli occhi e puntarli nei suoi, confusa «Cosa? Non avevi chiesto tu la mia mano?»
Daehyun ridacchiò «No, no, è stato mio padre -vedendo la mia espressione shockata, si decise a spiegare- Mio padre ha chiesto la tua mano per me, a tua madre», bevve un sorso d’acqua e si passò la lingua sulle labbra prima di continuare «Quei due pensano che questo matrimonio possa essere un grande vantaggio per le nostre famiglie. Questioni di lavoro, nulla di più. Sono contrariato a questo tipo di matrimoni, vorrei poter scegliere io la persona con cui passerò il resto della mia vita».
Sentii gli angoli della bocca che si sollevavano «Sono d’accordo con te, Daehyun.» All’improvviso, mi venne in mente una cosa di vitale importanza «Questa casa è tua?»
Il ragazzo si accarezzò il mento «Non proprio… Era del mio prozio, ma mi diverto ad entrare per far vedere ai miei amici che sono coraggioso», avvampò di colpo e tornò a concentrarsi sul cibo.
Alzai un sopracciglio «Coraggioso?», domandai, curiosa.
Annuì «Zio Jung si divertiva a rinchiudere delle bestiacce nella stalla e a studiarle da vicino. Era un po’ fuori di testa, ma nel villaggio sono tutti così», posò il viso sul palmo delle mani e mi sorrise.
Mi mordicchiai il labbro inferiore, mentre il cuore mi batteva velocemente nel petto e l’ansia mi stringeva la gola «In… che senso, scusa? Non sto capendo…», biascicai.
«C’è una leggenda legata a questo posto… La vuoi sentire?», c’era un che di maligno nel suo tono di voce.
Feci cenno di sì con la testa «Racconta»
Daehyun sorrise e cominciò a parlare con la sua dolcissima voce melodiosa «Si racconta che, circa un centinaio di anni fa, gli abitanti di questo villaggio, denominato “Mol-i”, facessero dei sacrifici in onore della Dea della Luna e lei, riconoscente, diede loro in dono loro la capacità di trasformarsi in enormi lupi. Con il passare degli anni, sul dorso della mano sinistra di dodici prescelti dalla Dea -indicò il proprio con l’indice- apparvero degli strani simboli, uno diverso dall’altro: donavano a questi favoriti dei poteri straordinari. Il loro compito? Proteggere il piccolo borgo (dove vivevano anche alcuni umani) dai nemici.
«Ma JunSeok, il capovillaggio, non tollerava che la Dea avesse dodici prescelti», fece una pausa e sospirò rumorosamente «Così fece di tutto per ucciderli e scoprire come mai la Luna avesse prediletto proprio loro. Ci fu una guerra sanguinosa, a cui parteciparono tutti i seguaci di JunSeok, che volevano diventare importanti quanto i Dodici. Ovviamente, vinsero i prescelti e i loro fedeli. Si racconta che questi Lupi vivano ancora nella foresta e proteggano Mol-i da JunSeok e il suo popolo.
«Mio zio ha cercato in tutti i modi di risolvere questo mistero, rinchiudendo persone e animali… Era un fanatico, ed era pazzo. Si dice che ci sia qualcuno imprigionato nella stalla posizionata nel giardino sul retro, ma nessuno ha il coraggio di controllare.», concluse, con un tono da oltretomba che mi fece venire i brividi lungo la spina dorsale.
Sentii la paura strisciare sul mio corpo come se fosse un serpente, ma al tempo stesso ero curiosa di scoprire di più su quella inquietante faccenda «E-eh? E tu ci credi? Dove hai imparato tutte queste cose?»
Daehyun scrollò le spalle e versò dell’acqua prima nel mio bicchiere e poi nel suo «Al professore di storia piace insegnare la storia di Mol-i -fece una pausa e posò la bottiglia di vetro sul tavolo- Dalle origini, fino ad adesso. Ovviamente, queste sono solo delle leggende, ma la gente ci crede», poggiò le labbra sul bicchiere e bevve un lungo sorso d’acqua prima di spiegare «Ogni notte di luna piena, il sindaco fa accendere un grande fuoco al centro del villaggio e la gente ci balla attorno fino a mezzanotte. Una volta scoccate le dodici esatte, ogni persona butta nel fuoco un pezzo di carta su cui ha disegnato uno dei simboli dei Prescelti.
«E’ un omaggio alla Luna: dato che il fuoco tende verso il cielo, pensano che così i Poteri tornino alla Dea. I Prescelti sono dodici, come i mesi dell’anno, e la luna piena avviene solo una volta al mese: a Gennaio bruciano il Teletrasporto, a Febbraio il Fuoco, a Marzo l’Acqua, ad Aprile il Volo, a Maggio la Guarigione, a Giugno la Terra, a Luglio la Luce, a -esitò un attimo e alzò gli occhi al soffitto, pensoso, contando sulle dita- ad Agosto bruciano il Tempo se non mi sbaglio, a Settembre… Cioè adesso, la Telecinesi e la Telepatia, ad Ottobre il Gelo, a Novembre il Fulmine e a Dicembre il Vento» sorrise ed esultò debolmente dopo aver finito di parlare.
Ero senza parole, quel villaggio era un vero mistero oltre ad essere parecchio strano «Wow…», fu tutto quello che riuscii a dire.
«Lo so, è una cosa stupida, ma non ci possiamo fare nulla: sono le usanze di Mol-i», rise sotto i baffi e mi rivolse un sorriso disarmante «Se c’è qualcosa che vuoi sapere, dimmi tutto».
In realtà avevo moltissime domande che mi premevano sulle labbra, ma non riuscivo ad articolarle nel senso giusto. Poi, mi venne in mente un minuscolo, banale dettaglio: appena ero arrivata lì, avevo sentito dei rumori strani provenire dall’interno del muro. Sentii il colore defluire dalle guance e scommetto che ero diventata pallida come un cadavere. Il respiro cominciò a farsi irregolare, come se non fossi più in grado di respirare e il terrore mi attanagliò la gola in una morsa talmente fredda da farmi tremare da capo a piedi: la paura mi lambiva del tutto, la sentivo sulla pelle, gelida, untuosa, dal tocco delicato e allo stesso tempo talmente ferreo da impedirmi di fare il minimo movimento.
Dunque, poteva esserci qualsiasi cosa nella casa in cui avrei dovuto vivere per il resto della mia vita. Qualcosa di pericoloso, un lupo, una bestia feroce, che avrebbe potuto aggredire mia madre, Seul Gi, me…
«Michi, tutto bene?», domandò Daehyun, porgendomi un bicchiere contenente del liquido trasparente. Sentii un forte dolore alla testa e mi toccai il punto dolorante, alzandomi lentamente.
Ero a terra? Che era successo? Come ci ero finita sul pavimento?
Riuscii a scorgere la mamma che mi guardava preoccupatissima con gli occhi velati di lacrime, Seul Gi che era scoppiata a piangere e Daehyun che si mordeva nervosamente il labbro inferiore. Il Signor Jung mi spruzzò un po’ d’acqua sul viso e tossicchiai mentre dicevo «Sto bene, sto bene… Che è successo?»
«Non so, all’improvviso sei impallidita e hai smesso di respirare… Poi sei crollata a terra», rispose Daehyun con una smorfia di disappunto, aiutandomi a mettermi in piedi «Ora va tutto bene?», domandò, scostandomi una ciocca dei capelli madidi di sudore dalla fronte.
Annuii debolmente, ma l’aria rifiutava ancora di entrare nei polmoni «Esco a prendere una boccata d’aria», dissi, dirigendomi verso il portone e aprendolo velocemente.
Appena fui fuori, nel buio più assoluto, mi colse di nuovo il panico.
Non mi accorsi che Daehyun era uscito con me e stava saltellando sul posto nell’inutile tentativo di scaldarsi «Michi, respira, tranquilla», mi mostrò come dovevo fare, inspirando con forza dalla bocca ed espirando dal naso. Feci come mi diceva e mi sentii molto meglio: si era alzato un fresco venticello che mi rinvigorì i sensi.
«Daehyun…», mormorai.
«Mh?»
«C’è qualcuno nella casa», buttai tutto d’un fiato, abbassando lo sguardo sugli stivali di pelle che avevo indossato.
Mi rivolse un’occhiata stranita «Come?»
«Appena sono entrata nella mia stanza, -inalai una grossa boccata d’aria, con il corpo scosso dai tremiti- ho sentito qualcuno che bussava contro il muro, seguito da respiri affannosi… E se ci fosse davvero un qualche Lupo imprigionato qui?», cominciai a torturarmi le mie povere mani già screpolate e mi mordicchiai le labbra.
«Dov’è la tua camera?», domandò il mio nuovo amico, maledettamente serio, e incrociò le braccia al petto.
Abbracciai con lo sguardo tutto lo spazio circostante e puntai gli occhi sulle finestre ermeticamente chiuse del piano di sopra: la mia era l’ultima a destra, quindi quella più nascosta vista da quella prospettiva. La indicai alzando il braccio «Quella lì», mormorai.
Daehyun si grattò la nuca e si sporse in avanti, cercando di guardare al di là del buio circostante «La tua camera è strettamente connessa alla stalla… -si passò la lingua sul labbro inferiore, prese una torcia dalla tasca anteriore dei jeans e premette il bottone di accensione: subito un fascio di luce bianca illuminò lo spazio circostante- Che ne dici di andare a dare un’occhiata?», chiese con un luccichio di curiosità nei grandi occhi scuri.
Il cuore mi schizzò in gola «N-no…» biascicai, in preda al panico «Non credo sia una buona idea…». Feci di tutto per nascondere il fatto che stavo tremando di paura, ma non credo di esserci riuscita.
Il ragazzo mosse un piede in avanti e si girò a guardarmi «Michi, non temere: al massimo lì dentro ci sarà un gatto randagio o un topo. Quella che ti ho raccontato è solo una leggenda, sta tranquilla», tacque un secondo e illuminò il terreno davanti a sé, popolato da foglie secche e erbacce di ogni tipo «E poi ci sono io che ti proteggo. Ho una torcia -alzò l’oggetto e lo fece roteare in aria- e non ho paura di usarla».
Ridacchiai e lo affiancai afferrandogli saldamente il braccio. Ero terrorizzata e curiosa allo stesso tempo «D’accordo, andiamo. Ma se dovessi morire di infarto, mi avrai sulla coscienza», scherzai, tentando di sdrammatizzare una tragedia in corso.
Daehyun non rispose e avanzò, trascinandomi dietro e illuminando il suolo per evitare di inciampare da qualche parte «Come sei drammatica, Michi. Rilassati, stiamo solo andando a controllare una stalla dovepotrebbe esserci una bestia feroce e che potrebbe mangiarci in un sol boccone», disse e mi fece la linguaccia.
Gli rivolsi un’occhiataccia «Grazie, Daehyun, ora sì che mi sento molto meglio»
Avanzammo tra le erbacce e arrivammo nel giardino sul retro, che sembrava aver visto giorni migliori: la vegetazione aveva poco a poco guadagnato terreno nel corso degli anni e dava a quel luogo sinistro l’aspetto di una serra abbandonata. Il ragazzo puntò la torcia davanti a sé e rischiarò il paesaggio circostante mentre io tremavo come una foglia accanto a lui: al centro della radura, proprio attaccata al fianco della casa dove ci dovrebbe essere la mia stanza, c’era una costruzione di legno e mattoni «Eccola», disse Daehyun con uno strano sorriso appiccicato sulle labbra.
La curiosità superava di gran lunga la paura; così ci avviammo verso questa costruzione accorgendoci che, man mano che avanzavamo tra le piante rinsecchite, la porta era ermeticamente chiusa con un grosso lucchetto arrugginito.
Mi accorsi che era di cemento e piena di crepe, ricoperta di edere e piante rampicanti che sembravano proteggere i mattoni, senza finestre. Come una specie di prigione.
«Non è una stalla normale» affermai.
«Sembra proprio di no», sussurrò il ragazzo, mordendosi nervosamente le labbra «Vado a cercare un’entrata. Tu resta qui, tranquilla, torno subito», mi accarezzò il braccio e si allontanò cercando di essere più silenzioso possibile. L’idea di restare lì da sola, in mezzo al buio, non mi entusiasmava per niente. Per poco non scoppiai in lacrime.
Lo vidi sparire dietro il muro di quello strano edificio e piombai nell’oscurità totale «D-Daehyun…?», balbettai con il cuore che sembrava scoppiarmi nel petto. Inutile negarlo: avevo paura.
«Michi, tutto okay?» chiese.
Mi mordicchiai il labbro inferiore e vidi, malgrado l’oscurità, che c’era una pietra grande quanto la mia mano proprio accanto alla porta «S-sì! Daehyun, vieni qui, possiamo usare questa pietra per rompere il lucchetto ed entrare», raccolsi il sasso incrostato di sporcizia e lo feci roteare tra le mie lunghe dita affusolate.
Il ragazzo tornò da me scuro in volto «C’è qualcosa che non va… C’è qualcuno chiuso lì dentro, ho sentito dei gemiti mentre controllavo». Non mentiva: capivo dal suo tono di voce che era davvero terrorizzato e preoccupato.
Non commentai e gli porsi la pietra; lui l’afferrò e mi diede la torcia «Fa luce sul lucchetto, così non mi schiaccio le dita», disse, rivolgendomi un sorriso nervoso. Annuii e obbedii.
Colpì con forza, più volte, la serratura metallica fino a quando non cedette agli inviti della pietra e cadde a terra con un fastidioso tintinnio sonante. Sospirò rumorosamente e spinse forte la porta, che cedette pigramente strisciando contro il terreno.
L’interno della stalla era buio e dannatamente umido. Strinsi con forza il braccio del mio amico e repressi un urlo
Daehyun stava per puntare la torcia lì dentro, quando un paio di occhi color cobalto cominciarono a brillare dal fondo della costruzione, in contrasto con quell’oscurità opprimente. Feci un passo indietro, trattenendo il respiro, e Dae raccolse tutto il suo coraggio per urlare «Ehi! Chi sei?», come erano comparse, le iridi sparirono.
Sentimmo dei fruscii sinistri, come se qualcuno stesse strisciando su un pezzo di stoffa, seguiti da respiri affannosi e gemiti disperati.
«Andiamo via…», piagnucolai, con le lacrime che minacciavano di scendermi lungo le guance.
Il ragazzo non mi ascoltò e continuò a conversare con la cosa che si nascondeva nella stalla «Tranquillo, non aver paura. Siamo qui per aiutarti… Mostrati a noi, non ti faremo del male. -si bloccò, deglutendo rumorosamente- Mi chiamo Daehyun, e lei è la mia amica Michi»
Serrai gli occhi e trattenni un urlo strozzato. Quella situazione non mi piaceva per niente; dovevamo correre via prima che quella creatura potesse farci del male.
Un ringhio.
Daehyun indietreggiò e io feci per andare subito via, quando una figura balzò fuori dalla costruzione e ci venne addosso, buttandoci a terra. Lanciai un urlo lancinante e colmo di orrore, mentre cercavo disperatamente di alzarmi e scappare via di lì a gambe levate. Sentii dei passi allontanarsi velocemente, segno che qualcosa o qualcuno stava correndo lontano da noi il più velocemente possibile.
La torcia era caduta ad un paio di metri più in là e illuminava il terriccio circostante, lasciando me e Daehyun nell’ombra più oscura «Michi, stai bene?!», urlò il ragazzo, con la voce carica di preoccupazione.
Scattai in piedi, guardandomi attorno «Cos’era quella cosa? Daehyun, dove sei?!», gridai, con quanto fiato avevo in gola, talmente spaventata che credetti di stare sul punto di svenire. Lui corse nella mia direzione e mi strinse in un abbraccio confortante «Stai bene? -ripeté, ansimando- sei ferita? Ti ha ferita?», posò il mento sul mio capo e mi accarezzò la schiena scossa dai tremiti.
Scossi la testa contro la sua spalla e nulla poté impedirmi dallo scoppiare in un pianto a dirotto «Che cos’era? Cos’era?!» strillai con voce incredibilmente acuta.
«Calmati ed entra, potrebbe essere ancora qui. Chiamiamo la polizia», mormorò.
Per poco non mi venne un attacco di panico «JUNG DAEHYUN, COS’ERA?!», insistetti con la voce carica di rabbia e sgomento.
Lui sospirò e rispose «Un ragazzo. Abbastanza giovane, direi… Gli occhi azzurri… Sanguinante… Con i denti bianchissimi» lo sentii scuotere la testa «Che diavolo ci faceva rinchiuso lì dentro?! Aish… Va ad avvertire gli adulti, io vado a vedere se c’è qualcun altro dentro la stalla».
Quando sciolse l’abbraccio e fece per andare verso quella costruzione inquietante, gli afferrai il gomito e bisbigliai, con voce implorante «Sei pazzo?! Non puoi tornare lì!»
Lui mi rivolse un sorriso disarmante «Tranquilla, torno subito. Tu intanto va ad avvertire gli altri».
Sapevo di non poter fare nulla per convincerlo a restare con me al sicuro; così entrai in casa e raccontai alla mamma e al signor Jung tutto quello che era appena successo.
 
Luhan alza piano lo sguardo e punta le sue grandi iridi color cielo nelle mie «Era papà? Quello nella stalla?», domanda, stringendomi forte la mano.
Con un sospiro carico di dolore, annuisco «Sì, era lui». I ricordi riaffiorano, prepotenti, e devo fare un enorme sforzo per non scoppiare in lacrime davanti al mio bambino, che sta soffrendo anche troppo.
«Che è successo dopo? Hanno chiamato la polizia?»
Mi mordicchio le labbra prima di rispondere «Sì, mia madre e il signor Jung non persero tempo. Daehyun non trovò altra gente chiusa nella stalla, ma c’erano delle catene spezzate e una quantità inimitabile di coperte insanguinate»

 
 
Il mattino dopo, uscii di casa per stendere i vestiti e le lenzuola appena lavati, seguita a ruota da Seul Gi, un gattino selvatico che aveva soccorso il giorno prima e mia madre.
Presi la fodera di un cuscino e la strizzai per bene su un cespuglio, attenta a non bagnarmi i jeans. Mentre stavo per appenderla, Seul Gi lanciò uno strillo acuto.
Mi girai verso di lei, preoccupatissima, e quello che vidi mi fece restare senza fiato: una mano insanguinata e sporca di terra sporgeva da sotto alcune travi di legno poste in modo da formare una specie di rifugio in caso di pioggia per gli animali.
Mia madre, anche se era palese il fatto che era terrorizzata, si avvicinò al riparo prendendo lentamente un pezzo di pane dalla tasca del grembiule «Mamma, dove vai?», pigolai, mentre Seul Gi correva verso di me e mi gettava le braccia in vita.
Lei non mi ascoltò e lanciò il cibo verso la mano, che lo afferrò senza pensarci due volte e lo fece sparire sotto le travi. Cominciai a sudare freddo, ma allo stesso tempo ero incuriosita: forse si trattava di quella cosa che era scappata dalla stalla.
Senza perdere altro tempo, andai in cucina, presi un paio di biscotti dalla credenza e tornai lì fuori. La mamma e Seul Gi erano ancora lì, a distanza di sicurezza dal rifugio dello sconosciuto.
Mi inginocchiai davanti alle travi e posai un biscotto né molto lontano da me e né molto vicino: volevo solo vedere il viso di quel ragazzo che aveva passato chissà quanti anni rinchiuso lì dentro, senza cibo né acqua. Prima uscì allo scoperto la stessa mano incrostata di sangue, poi il braccio ricoperto di lividi e sporcizia, infine la testa e poi tutto il fisico.
Rimasi di sasso.
Era giovanissimo, doveva avere sì e no la mia stessa età: aveva i capelli color biondo scuro, lunghi fino alle spalle, unti e attaccati alla fronte spaziosa impregnata di sporcizia. Le labbra erano spaccate, imbrattate di sangue e roba nera, e gli occhi azzurri come il cielo erano circondati da lividi bluastri. Indossava solo una tunica strappata e intrisa di sudiciume, che copriva a malapena il corpo tumefatto e segnato da numerose ferite. Ringhiava debolmente, come se fosse infastidito dalla mia presenza. Veloce come un fulmine, afferrò il biscotto e si rintanò nel suo rifugio.
Non riuscivo a spiccicare parola per quanto ero scioccata da quanto avevo appena visto «Michi, va a casa e prendi un po’ di carne. Seul Gi, tu riempi una bacinella d’acqua potabile e portala qui», ordinò la mamma con un tono che non ammetteva repliche, la voce piatta e priva di emozioni.
Mia sorella obbedì subito, mentre io mi alzai lentamente, come in trance: come mai quel ragazzo era rinchiuso nella stalla? Come mai era ferito in modo così brutale? Chi poteva essere così malvagio da fare una cosa del genere? Tutte domande senza risposta.
Emisi sospiro abbastanza rumoroso ed andai in cucina con il cuore in gola; aprii il frigo ed estrassi il piatto di ceramica dove la mamma aveva conservato un pezzo di carne avanzata dalla sera prima. Tornai fuori e affiancai Seul Gi, che reggeva un recipiente di plastica con dentro dell’acqua fresca «Mamma, che facciamo?», domandò mia sorella con voce spezzata. Posò a terra la bacinella, non ricevendo risposta, e io la imitai, lasciando cadere il piatto con la carne proprio di fronte al nascondiglio del ragazzino.
Attendemmo con il fiato sospeso.
Quello si fiondò sull’acqua e cominciò a berla con foga, come se non si dissetasse da anni, affondando anche il viso nel liquido; alzò la testa e ci guardò con curiosità, mentre l’acqua gli colava dalle labbra e scivolava lungo il mento. Poi i suoi occhi azzurri si posarono su di me per qualche secondo, afferrò il pezzo di carne con i denti, ringhiò, e sparì nella sua tana.
«Che facciamo? Non possiamo lasciarlo lì…», mormorò Seul Gi con un fil di voce.
La mamma avvicinò piano la sua mano alle travi e fece schioccare la lingua contro il palato «Vieni qui, tesoro -disse, con la voce dolce come lo zucchero- non ti facciamo del male, vogliamo aiutarti. Sembri ferito… Ti cureremo, d’accordo? Esci fuori», si inginocchiò, accarezzandosi piano le gambe. Non ricevendo nessuna risposta, chiuse gli occhi e si rialzò con stanchezza.
Intervenni io, sedendomi nel punto in cui si trovava lei «Ciao, mi chiamo Michi… Quella che ti ha liberato ieri sera, con il mio amico Daehyun. Vieni qui, nessuno ha intenzione di danneggiarti. Vogliamo darti una mano. -mormorai con il cuore che mi batteva velocemente nel petto- Poi cercheremo i tuoi genitori e tornerai dalla tua famiglia. Ma prima, devi collaborare e venire dentro casa con noi. Ti laviamo, curiamo quelle brutte ferite e ti cucineremo qualcosa», sperai di essere riuscita a convincerlo.
Dopo un paio di minuti, lui uscì dal suo nascondiglio con lentezza, come se tutto il corpo gli facesse male. Scattai in piedi e lui mi imitò, guardandomi con curiosità e inclinando la testa di lato.
Non era molto alto, ed era magro come un fuscello. Gli presi delicatamente il polso e il ragazzo emise un gemito strozzato, arricciando il naso e serrando gli occhi con dolore: aveva una brutta abrasione proprio nel punto in cui l’avevo toccato, probabilmente provocata dalle catene che lo tenevano prigioniero. Lasciai scivolare le dita nella sua mano inspiegabilmente calda e gli sorrisi «Vieni con me», dissi, con il tono di voce più dolce del mio repertorio.
Entrammo in casa, anche se il ragazzo incespicava ogni due per tre, e lo condussi nel bagno. Seul Gi e la mamma si occuparono del riempimento della vasca mentre io cercavo di rassicurare il poveretto con parole di conforto «Non avere paura, tra poco ti sentirai molto meglio».
Quando tutto fu pronto, spogliai il giovane e lo costrinsi ad immergersi nell’acqua tiepida, che subito si colorò di marrone e rosso.
«Michi, occupati del braccio sinistro, mentre io lavo quello destro -ordinò mia madre afferrando il flacone di bagnoschiuma- Seul Gi, fagli lo shampoo». Nessuna delle due ebbe il coraggio di obiettare.
L’odore di vaniglia si disperse nell’aria quando strinsi la bottiglietta e il bagnoschiuma si riversò sul palmo della mia mano. Rivolsi allo sconosciuto, che mi stava fissando con gli occhi colmi di paura e dolore, un sorriso di incoraggiamento e cominciai a pulirlo dal fango e dalla terra. Il suo braccio era segnato da numerosi tagli. Gli presi la mano e strofinai per bene le dita insaponate sul suo dorso, quando mi accorsi che vi era uno strano simbolo inciso sulla pelle: una specie di grande occhio circondato sopra e sotto da tre cerchi legati insieme da tre lineette. Strinsi le labbra e scossi la testa: doveva essere un tatuaggio.
Lasciai cadere delicatamente il suo arto nell’acqua e passai a lavargli la schiena ed il petto. Anche se era molto magro, i suoi muscoli erano ben disegnati «Aish, mamma, è davvero messo male…», commentai, quando vidi che sulla spalla sinistra vi era un grosso taglio sanguinolento.
Lei non rispose subito, tanto era occupata a risciacquargli il collo «Lo so. Quando finiremo qui, lo curerò io mentre voi gli preparerete qualcosa da mangiare. Chiaro?»
«Come l’aria», borbottò Seul Gi, rovesciando sul capo del ragazzo una brocca d’acqua calda per togliere eventuale schiuma dai capelli. Erano biondi come il grano, con qualche sfumatura più scura.
Finimmo di mondarlo dopo qualche minuto. Lo avvolgemmo in un asciugamano e si sedette sul water, mentre Seul Gi gli passava un canovaccio pulito sui capelli. Senza tutta quella sporcizia che gli copriva il viso come una grottesca maschera, potei constatare che era veramente attraente: aveva gli occhi grandi, di una forma bellissima, quasi da cerbiatto; le labbra carnose e a forma di cuore e la pelle talmente nivea e perfetta da sembrare di porcellana. Il volto aveva un che di infantile, cosa che lo rendeva davvero adorabile «…», il ragazzo cercò di parlare, ma dalla bocca gli uscì soltanto un mugolio strozzato.
«Ragazze, ci penso io. Andate a cucinare qualcosa», ordinò la mamma.
Io e Seul Gi annuimmo e corremmo in cucina. Presi la carne dal freezer mentre lei accendeva il fuoco e riempiva la padella di alluminio dove far bollire gli spaghetti «Unnie… -biascicò- è quello che avete visto ieri notte tu e Daehyun Oppa?»
Misi le bistecche in una pentola annuii «Ha gli stessi occhi». Accesi il fornello e misi la carne sul fuoco, aggiungendo sale e olio di tanto in tanto. Non ero mai stata brava in cucina, quindi non sapevo come si dovessero cucinare quello strano tipo di braciole.
«E’ davvero carino. Sembra un cerbiatto», pigolò Seul Gi con uno strano sorriso stampato sulle labbra.
Aveva dannatamente ragione, quel ragazzino era tenero come un cucciolo di cane «se lo guardi, ti viene voglia di proteggerlo», continuò arrossendo fino alla punta delle orecchie.
Scoppiai a ridere e le scompigliai teneramente i capelli «Ora cuciniamo, altrimenti la mamma ci mette in punizione per un mese», mormorai, dandole un leggero bacio sulla punta del naso. Seul Gi ridacchiò e prese un cucchiaio di legno per girare la pasta, avvertendomi subito dopo che le bistecche stavano tristemente bruciando.
Dopo aver evitato per miracolo divino un incendio, ci recammo parlando del più e del meno in soggiorno, dove c’erano il ragazzo ferito e nostra madre. Lo aveva fatto stendere sul divano dopo avergli medicato quei brutti tagli, e lo stava avvolgendo a mo’ di mummia in una coperta di lana «Non è normale», disse, prendendo il termometro e spalancando gli occhi dalla sorpresa. Posò la mano sulla fronte del giovane e trasalì.
Posai il piatto sul tavolino e domandai «Cosa?»
«Cinquantadue gradi, Michi» rispose.
Sbarrai gli occhi «Che?! Impossibile», mi sedetti sul bracciolo accanto a lei e le strappai il termometro di mano. Cinquantadue gradi. Lanciai uno sguardo al ragazzo e lui ricambiò l’occhiata sbattendo le palpebre con velocità; poi si mordicchiò le labbra e chiuse gli occhi.
Era impossibile… Avrebbe dovuto essere morto e invece era lì, vivo! Non godeva certo di ottima salute, dopo tutte le percosse subite, ma respirava.
Mamma sospirò «Lasciamolo dormir-», si bloccò quando vide che il giovane aveva preso il piatto e stava letteralmente divorando le fette di carne mezze bruciacchiate, sporcandosi le guance e le lunghe dita affusolate di sughetto. Sì, stava decisamente meglio.
Ridacchiai debolmente, presi uno dei tovaglioli che aveva portato Seul Gi dalla cucina e gli pulii il viso una volta che ebbe finito di mangiare. Mi guardò con quei grandi occhi chiari colmi di riconoscenza e mi venne voglia di abbracciarlo «Come ti chiami?» chiesi.
Lui non rispose e scosse la testa.
«Puoi parlare?», s’intromise mia sorella.
Il ragazzino si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore e abbassò gli occhi, per poi fare cenno di diniego con il capo.
«Hai un nome?», volle sapere la mamma.
Ancora una volta, negò.  
Mi si strinse il cuore a quella vista.
«Chiamiamolo Cerbiatto! Cerbiatto Oppa!» cinguettò Seul Gi saltellando sul posto e battendo le mani come se avesse vinto la lotteria. La mamma rise a fior di labbra e disse, calma e pacata «Che ne dite di Luhan? Vuol dire “cerbiatto del mattino” in cinese. -si rivolse al ragazzo, che ci fissava incuriosito- Ti piace questo nome, tesoro?»
Lui annuì debolmente e sorrise per la prima volta, mostrandoci i denti bianchi e perfetti come le perle. Aveva proprio un bellissimo sorriso.
 
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Il giorno dopo, decisi di insegnare Luhan come ci si dovrebbe lavare i denti.
Lo aspettai davanti al lavandino, con il mio spazzolino in mano e uno nuovo che avevo trovato nella borsa della mamma. Lo scartai e glielo porsi «Prima di tutto, devi metterci sopra il dentifricio», spiegai, prendendo il tubetto dal bicchiere e agitandoglielo davanti al naso.
Luhan continuava a guardare le mie mosse, sempre con quell’aria da cucciolo curioso stampata sul viso.
«Poi devi sciacquare un po’ -misi lo spazzolino sotto l’acqua gelida- e devi metterlo in bocca», strofinai per bene i denti e poi sputai il tutto nel lavandino; lo sciacquai e mi asciugai le labbra con un canovaccio posto lì accanto.
Gli sorrisi, radiosa «Ora provaci tu».
Lui spostò lo sguardo sullo spazzolino e odorò il dentifricio bluastro, confuso, non accorgendosi che, così facendo, si era sporcato la punta del naso. Ridacchiai e mi coprii la bocca con la mano.
Luhan, titubante, imitò quello che avevo appena fatto. Inutile dire che si sporcò il mento e le guance di dentifricio, rendendolo ancora più adorabile di quanto lo fosse già.
Sempre ridendo, misi la mano sotto il getto d’acqua e gliela passai sul viso, per poi asciugarlo con un nuovo panno «Ci lavoreremo un po’ su. Ora andiamo nella mia stanza: ti insegno a scrivere. Oppure… Sai già scrivere, Luhan?», domandai, avvampando di colpo.
Lui scosse la testa.
«Perfetto! Allora ti insegno io! Andiamo», lo presi dolcemente per mano e andammo nella mia camera.
Si sedette accanto a me sul letto e mi guardò mentre scrivevo i segni dell’alfabeto che avrebbe dovuto copiare su un blocco per gli appunti. Quando finii, glielo porsi con un grande sorriso «Prenditi tutto il tempo che vuoi. Devi ricopiare queste lettere qui accanto -gli indicai lo spazio vuoto- e poi potremmo passare alla matematica». Luhan mi rivolse un’occhiatina interessata e chinò la testa di lato.
Risi e gli accarezzai teneramente i capelli. Quel ragazzo era dolce come lo zucchero filato, e mi piaceva da matti il fatto che dovessi insegnargli tutto quello che avevo imparato nei miei dodici anni di scuola.
Luhan meritava di vivere una vita normale, non era per niente giusto quello che gli era successo. La persona senza cuore che lo aveva rinchiuso nella stalla era stata in grado di privargli buona parte della sua vita, e ora toccava a me rimediare, dato che l’avevo liberato io con l’aiuto di Daehyun. Già, anche lui avrebbe dovuto dargli una mano.
Per le restanti due ore lo osservai mentre provava a scrivere. I primi tentativi furono un vero disastro, ma poi prese padronanza con la penna e migliorò moltissimo: si vedeva che era uno che imparava in fretta. 
Mi sentivo veramente fiera di lui.
 
Sento Luhan gemere come se lo stessero torturando e le mie dita cominciano ad accarezzare quello che dovrebbe essere il manto di un animale. Abbasso lo sguardo velato dalle lacrime e vedo che il mio bambino si è tramutato in un elegante lupo dal pelo color caramello e gli occhi azzurri talmente chiari da sembrare di ghiaccio. È bellissimo.
Il piccolo emette un debolissimo uggiolio e mi posa il muso in grembo, aspettando che lo accarezzi come stavo facendo fino a qualche secondo fa. Passo, con più delicatezza possibile, la mano sul suo dorso e continuo a raccontare «Luhan imparò a scrivere in una settimana; e gli insegnai anche a giocare a calcio. Seul Gi e i bambini del villaggio lo amavano e lui adorava loro: giocava sempre in compagnia dei piccoli, in aperta campagna, lasciando che loro gli facessero i dispetti senza arrabbiarsi.
«Io e quello strano ragazzino diventammo molto amici. Lui non mi lasciava sola un attimo, e io non potevo stare un secondo senza che Luhan mi girasse attorno. Ormai vederlo lì accanto, che mi guardava, era un’abitudine. Sentivo che stava per nascere qualcosa tra di noi».

 
Circa due settimane dopo…
 
 
Seduto sul tavolo della cucina, Luhan finì di ricopiare l’ultima lettera e fece scivolare lentamente il foglio nella mia direzione, mentre un sorriso timido gli increspava quelle labbra perfette e rosee che si trovava. Restai imbambolata un attimo a fissare i suoi lineamenti dolci e stupendi, la bocca a forma di cuore, le ciglia lunghe e chiare… Ma la cosa che più mi colpiva, che mi bloccava il respiro, che mi faceva perdere la cognizione del tempo e dello spazio erano i suoi occhi.
I suoi fantastici occhi luminosi.
Azzurri, azzurri come il mare più puro, azzurri come il cristallo più lucido, azzurri come il cielo infinito in un pomeriggio d’estate. Quelle iridi piene di riflessi solari erano quasi impossibili da guardare, perchè era come sentirsi oppressi da esse e affogare nell’oceano limpido che vi traboccava dentro.
Ma non era solo il fantastico colore dei suoi occhi a farmi perdere la testa. Quelle iridi stupende rispecchiavano a pieno il pensiero di Luhan: quando era felice, si illuminavano e brillavano come stelle luminose; quando era triste, su di esse scendeva un velo di lacrime; e così via per tutte le emozioni.
Con uno sguardo, io e lui potevamo comunicare, anche senza l’uso della parola.
Forse fu proprio quello a legarci così tanto.
Gli sorrisi a mia volta ed esclamai «Hai fatto un ottimo lavoro, Luhan! Per adesso, basta con la scrittura. Facciamo un po’ di pausa. Mangiamo qualcosa, d’accordo?», piegai il foglio con cura e lo riposi nella tasca dei jeans.
Lui annuì, radioso, e avvicinò il capo alla mia mano così che potessi accarezzarglielo dolcemente come ero solita fare. Affondai le dita tra i suoi morbidi capelli biondi, godendone la delicatezza e il profumo, e mi alzai per andare a prendere il pacco di biscotti al cioccolato dalla credenza.
Meno male che Seul Gi e la mamma erano andate al villaggio, altrimenti la mia sorellina mi avrebbe ucciso, se mi avesse vista mangiare i suoi dolcetti.
Stavo per aprire il pacco, quando bussarono alla porta di ingresso.
Non aspettavo visite. Luhan dovette capire il mio disagio, perché scattò in piedi e mi seguii mentre andavo ad aprire con riluttanza.
Era Daehyun «Ciao! -disse, mostrandomi uno dei suoi sorrisi disarmanti- Scusa se non mi sono fatto vivo in queste due settimane, ma… Posso entrare? Ho delle cose da dirti e da farti vedere. Non ci crederai mai. O forse sì? Dipende dai punti di vista», ridacchiò e si passò nervosamente la mano sulla nuca.
Sospirai e mi appoggiai allo stipite del portone, mentre Luhan, dietro di me, ringhiava infastidito «Dove sei stato? Anche io ho tante cose da raccontarti -mormorai, sinceramente felice che fosse venuto a farmi visita- E ho anche una persona che devo assolutamente presentarti», mi spostai e lo lasciai entrare.
Andammo in soggiorno e ci sedemmo sul grande divano: io in mezzo e i due ragazzi ai lati «Daehyun, lui è Luhan, Luhan, lui è Daehyun», feci le presentazioni, indicando prima uno e poi l’altro. Luhan stava letteralmente analizzando il mio amico e dal suo sguardo assassino potei capire che aveva iniziato ad odiarlo con tutto sé stesso.
«Ciao, Luhan! Da dove spunti?», chiese Dae, senza peli sulla lingua.
«Veramente… -iniziai, mordendomi nervosamente le labbra- lui è il ragazzo che era rinchiuso nella stalla. Quello che abbiamo liberato», cominciai a torcermi le mani in attesa di una sua risposta.
Il rossore defluì in un attimo dalle guance piene di Daehyun «Oh», fu tutto quello che riuscì a dire. Ebbi paura che potesse svenire da un momento all’altro «Ehi, tutto bene? Sei pallido…», gli accarezzai dolcemente il braccio, preoccupata. Sentii Luhan che digrignava denti e allontanai la mano di scatto, avvampando fino alla radice dei capelli.
«Sono andato a far visita a zio Jung», mormorò il ragazzo dopo un minuto di pausa. Prese una grossa boccata d’aria e continuò «Non è morto, è solo rinchiuso in una specie di manicomio a Seoul. Ecco perché sono sparito per due settimane, ero lì che assistevo lo zio… E volevo anche far luce su questa strana faccenda. Sono entrato nella sua stanza e lui era lì, steso sul lettino che fissava un punto a me sconosciuto nel muro. Mi sono accomodato accanto a lui e gli ho detto che abbiamo aperto la stalla, e che qualcuno dagli occhi incredibilmente chiari e luminosi era scappato. Non l’avessi mai fatto: si è girato verso di me e ha cercato di strangolarmi con quelle mani scheletriche e raccapriccianti», il ragazzo si accarezzò la gola con le dita tremanti e io trattenni il respiro, pensando a quanto doveva essere terrorizzato in quel preciso momento.
«Per fortuna sono arrivati i medici che lo hanno portato via dalla camera per sedarlo. Una volta usciti, mi sono messo a controllare in giro alla ricerca di qualche indizio. Lo sai che ho trovato sotto il cuscino?», cercò qualcosa nella tasca della felpa e me la mostrò: una piccola chiave arrugginita «E’ del suo studio. Possiamo andare lì dentro e leggere uno dei suoi quaderni, scommetto che ci sono tutte le risposte alle nostre domande».
Strinsi le dita sudaticce attorno a quel pezzo di metallo freddo come il ghiaccio e puntai i miei occhi chiari in quelli scuri di Daehyun «Dov’è il suo studio? -ero convinta che dietro la prigionia di Luhan ci fosse qualcosa di losco- Voglio andare a fondo in questa storia».
«Certo, anche io. Ci sono troppi segreti legati a questo villaggio e alla mia famiglia», si alzò dal divano e si spazzolò i pantaloni, anche se non vi erano residui di polvere «Andiamo?», mi porse la mano e sul suo viso smorto apparve un sorriso agitato.
La afferrai e scattai in piedi, risoluta «Sì, andiamo».
All’improvviso, Luhan latrò come una bestia feroce e allontanò Daehyun da me con un violento spintone, prendendolo per il collo e sbattendolo contro il muro con tutta la forza che aveva. Vidi il volto di Dae divenire ancora più pallido mentre faceva di tutto per respirare con regolarità «Lu-Luhan… Cos- Perché?», boccheggiò.
Mi portai le mani al viso e urlai «LUHAN! Lascialo!». Il ragazzo non mi ascoltò, anzi, premette ancora di più le dita sulla gola di Daehyun, che, a corto di fiato, stava per svenire.
«Luhan! Daehyun è mio amico!», strillai con tutta la rabbia che avevo in corpo, preoccupata per la sorte del giovane. Luhan si girò nella mia direzione e mi lanciò un’occhiata colma di disappunto: era come se pensasse che Daehyun ci stava nascondendo qualcosa. Deglutii rumorosamente e dissi «Daehyun è mio amico. Se dovesse accadergli qualcosa di brutto, io ci starei malissimo. Luhan, ti prego, lascialo», lo supplicai con gli occhi velati di lacrime.
Lui, riluttante, obbedì e mollò la presa. Daehyun crollò a terra con il corpo scosso da furiosi attacchi di tosse e respirò con affanno «Ma si può sapere che gli ho fatto? -domandò, mentre lo aiutavo ad alzarsi- Luhan… Perché mi tratti così? Che ho fatto di male?»
L’altro emise una specie di uggiolio e abbassò il capo con lentezza, segno che si sentiva dispiaciuto per quello che aveva appena attuato «Ti chiede scusa», mormorai, mordendomi il labbro inferiore.
«Scuse accettate, Luhan. Mi impegnerò ad essere più carino nei tuoi confronti d’ora in avanti. Ora, andiamo? Sto morendo dalla curiosità», Dae si sistemò la felpa con uno strano sorriso e ci fece segno di seguirlo.
Salimmo le scale e percorremmo il lungo corridoio male illuminato, fino ad arrivare davanti ad una porta lignea con il profilo di un lupo inciso sopra. Infilai la chiave nella serratura e la aprii con una spallata.
Subito l’odore di chiuso misto alla polvere che svolazzava nell’aria ci investì e dovetti coprirmi il naso per non mettermi a tossire: era uno stanzone veramente grande, con tre pareti ricoperte da fogli appesi con del nastro adesivo. Sulla quarta parete, invece, vi era un grosso scaffale con sopra libri vecchi e polverosi.
Nel mezzo dello studio, c’era una scrivania gremita di un’enorme quantità di carte poste alla rinfusa e quaderni mangiati dalle tarme. Senza perdere altro tempo, mi avvicinai ad essa ed infilai la chiave nella tasca anteriore dei jeans mentre controllavo l’infinità di documenti con attenzione.  Daehyun, invece, si dedicò al ripiano.
Luhan, che non sapeva ancora leggere per bene, si sedette in un angolino e non ci perse di vista un attimo.
Circa un’ora dopo, passata ad analizzare roba inutile, stavo per perdere la speranza. Alzai stancamente gli occhi al cielo dopo aver esalato un lungo e profondo sospiro di frustrazione, e mi sedetti su una delle sedie, esausta e con un gran mal di testa.
Osservando meglio il tavolo ligneo, mi accorsi che c’era un cassetto nascosto proprio nell’angolo tra il piede e l’asse. Lo aprii e vi trovai all’interno un piccolo quadernetto rilegato in pelle che attirò la mia attenzione: sulla copertina vi era inciso lo stesso simbolo che aveva Luhan sul dorso della mano. Lo aprii e cominciai a leggere «Daehyun, vieni a vedere», mormorai, con il cuore in gola.


 
Nome: Telepathy
Età: -
Livello di pericolosità: Massimo
Sono anni che Telepathy non si trasforma in lupo.
Sangue scuro come la pece.
Occhi azzurri.


 
 
I Dodici sono nascosti nel profondo della foresta; osservano il Branco di JunSeok da centinaia di anni onde evitare che quest’ultimo attacchi Mol-i e uccida gli abitanti di questo piccolo Villaggio.
Non osano rivelare la loro presenza: loro sono pochi e i loro nemici possiedono un forte esercito.
I Dodici si reincarnano in nuovi Làng, scelti da loro, ogni duecento anni.
Il mio compito, dato che sono il servo più fedele del Capo, è quello di rapire uno di loro e indurlo a far brillare i simboli dei suoi compagni, in modo da risvegliare i poteri dormienti in ognuno di essi.
 
24 Luglio 1980
Telepathy si rifiuta di collaborare.
Non si tramuta in lupo e sul dorso della sua mano non brilla il simbolo del potere donatogli dalla Dea.
 
1 Agosto 1980
Telepathy cerca di domandare aiuto ai suoi compagni con la mente.
Non ci riesce la prima volta, ci riprova.
Sono troppo lontani, ha bisogno di richiamare il suo potere per riuscirci.
 
 
23 Settembre 1980
Telepathy non richiama il potere.
Mi sono sbagliato? Forse lui non è uno dei Dodici? Sarà solo un Làng normale?
 
2 Gennaio 1981
JunSeok è molto arrabbiato a causa dei risultati scarsissimi della mia ricerca.
Lui vuole scovare la tana dei Dodici e ucciderli con le sue stesse mani, ma per trovare il loro nascondiglio ha bisogno che tutti i Prescelti rivelino il loro potere facendo brillare il simbolo. La forza di quest’ultimo potrà essere percepita anche dai Làng più inesperti, conducendoli dai Dodici.
L’unico modo, è ricevere una richiesta d’aiuto da parte di Telepathy.
 
5 Gennaio 1981
La tortura non funziona.
Il ragazzo è forte.
 
7 Febbraio 1981
Non accade nulla di produttivo.
Telepathy non fa altro che dormire e gemere.
Ha la febbre alta.
 
31 Aprile 1981
Telepathy è un osso duro.
 
4 Gennaio 1983
Penso di averlo ucciso, quando sono entrato non si muoveva.
L’ho detto a JunSeok, e lui si è arrabbiato moltissimo.
Mi ha detto che si sarebbe vendicato su di me.
Ma non so come.
 
 
Gli appunti finivano lì.
Alzai lo sguardo e puntai gli occhi in quelli di Daehyun, che era pallido come un cadavere e non riusciva a credere alle proprie orecchie.
«Daehyun… Tuo zio è un Lupo… Ed è anche uno dei servi di JunSeok…», mormorai con un fil di voce «Quindi… Quindi anche tu lo sei! Anche tu sei un Lupo, o un Làng, come lo chiama lui! Non ci credo!», sbattei il libricino sul tavolo e mi presi la testa fra le mani.
Lui sbiancò di botto e alzò le mani in segno di resa «Non è vero, non lo sono! Mio zio è pazzo, pazzo! JunSeok è solo una fottuta leggenda, non esiste, come non esistono i Dodici!», vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime «Sono solo storie che affascinano i turisti!». Sembrava volesse convincere più se stesso che me.
Luhan scattò in piedi, paonazzo, pronto a suonargliele.
«E’ quello che c’è scritto qui. E poi… Luhan ha il simbolo del suo potere sulla mano», dissi, con la voce più calma e controllata. Guardai il diretto interessato, che se ne stava buono buono nel suo angolino a respirare con forza dalle narici, le mani abbandonate lungo i fianchi e strette a pugno. Dunque, lui era un Lupo, uno dei più potenti e pericolosi in realtà. Ma non ero spaventata: Luhan mi aveva trattata sempre con gentilezza, ed era dolce e protettivo nei miei confronti; non dovevo temerlo.
«Michi, io non sono un Lupo! -strillò Daehyun, sull’orlo di una crisi isterica- Non lo sono! Non voglio esserlo!»
Sospirai rumorosamente, perfettamente conscia del suo sgomento, e gli accarezzai il braccio per confortarlo «Dae, tuo zio lo è. Magari sarà solo un pizzico, il sangue di Lupo che ti scorre nelle vene. Ma questo non ti rende cattivo, okay? Sei un ottimo amico per me. Non scordarlo mai».
Lui si asciugò gli occhi con il pollice e tirò su col naso «S-sì, ma… -si rivolse a Luhan, come se avesse avuto un’illuminazione- è per questo che mi hai attaccato, prima? Hai… riconosciuto l’odore di mio zio?». Non sembrava scioccato come prima, forse le mie parole erano riuscite a calmarlo.
Luhan annuì con vigore e fece ondeggiare la mano a destra e a sinistra. Lo capii al volo «Il tuo sangue non è completamente di Lupo, dato che tuo nonno ha sposato un’umana e tuo padre anche. Giusto?», chiesi conferma al giovane licantropo e lui mi sorrise calorosamente.
All’improvviso, mi ricordai che Daehyun aveva detto allo zio che Luhan era scappato. E se avesse avvisato JunSeok? E se gli facessero del male? E se trovassero i Dodici e attaccassero il Villaggio? Troppe domande e poche risposte «Oh, no…», mi portai una mano alle guance e soffocai un gemito disperato.
«Cosa?», Luhan e Daehyun si avvicinarono a me, preoccupati.
«Hai detto a tuo zio che Luhan era libero! E ora che facciamo?», gridai, in preda al panico più totale. Afferrai la mano di Han, la strinsi forte e mi avvicinai a lui, come per proteggerlo.
Dae si portò le dita tremanti al viso e le lasciò scivolare lentamente lungo il mento «Non perdiamo la calma, Michi. È rinchiuso in un manicomio e nessuno lo fa uscire».
Mi avvicinai barcollando alla grande finestra e posai la fronte sul vetro freddo «E’ tutto così dannatamente strano…», bisbigliai, e il mio fiato formò un alone opaco sulla superficie cristallina. Per qualche minuto, Daehyun restò in assoluto silenzio e Luhan rimase accanto a me continuando a stringermi la mano come se fosse un’ancora di salvezza. Era chiaramente nervoso.
«Vado a prendere un bicchiere d’acqua. Voi lo volete?», domandò Dae di punto in bianco.
Scossi la testa e Luhan mi imitò. Sentii un sospiro sommesso e poi dei passi che scendevano velocemente le scale, segno che Daehyun aveva lasciato la stanza.
Notai che Han continuava a lanciare sguardi furtivi alla finestra e a mordersi le labbra a sangue «Ehi… Va tutto bene?», domandai al ragazzo, fissandolo dritto negli occhi. Lui scosse energicamente la testa, serrando gli occhi, e strinse la presa sulla mia mano.
«Cosa succede?», domandai, preoccupata. Luhan sollevò piano le palpebre e lanciò nuovamente un’occhiata alla finestra, per poi spalancarne le ante e annusare l’aria gelida del pomeriggio. Anche io guardai fuori: un grande spiazzo di terreno ricoperto da erbacce di ogni genere circondato dal bosco fitto e oscuro. La nostra intera casa, compreso il giardino, era circondata dal bosco fitto e oscuro. Una cosa inquietante.
Notai che Daehyun, che era uscito probabilmente dalla porta sul retro, si stava avvicinando furtivamente alla boscaglia, come se avesse sorpreso qualcuno a spiare la casa.
«Daehyun, cosa stai facendo?», urlai, con le mani poste a coppa davanti alla bocca.
Lui alzò la testa e indicò la foresta «C’è qualcuno lì! Ho visto degli occhi e-», non lo ascoltai, troppo presa a fissare con orrore un grosso lupo nero che si avvicinava lentamente al mio amico con la bava che gli colava dalle zanne. L’animale possedeva un corpo slanciato, con il muso allungato, le orecchie triangolari non molto lunghe, il collo relativamente corto, la coda corta e pelosa e gli arti lunghi e sottili. Daehyun parve non accorgersi di quell’inquietante presenza che avanzava verso di lui, occupato a spiegarmi il motivo per cui era uscito a controllare.
Luhan ringhiò e assottigliò gli occhi, mentre il simbolo del suo potere cominciava lentamente a brillare di luce fulgida.
La situazione non mi piaceva: quello non era di certo un lupo normale.
Il cuore prese a battermi con una velocità inaudita «Daehyun, và via di lì! Torna dentro, sbrigati!», gridai con quanto fiato avevo in gola, sbracciandomi come una forsennata.
«Cos-?», il ragazzo mi mostrò un’espressione confusa, si girò lentamente verso l’animale  e rimase paralizzato dalla paura.
Per un momento, nessuno si mosse: il solo rumore era quello del vento tra le foglie degli alberi.
Poi, l’incantesimo si spezzò. Il lupo emise un latrato lacerante e ridusse la distanza fra lui ed il mio amico, affondando gli artigli lunghi e affilati nel terreno arido; spiccò un balzo e atterrò proprio sul corpo di Daehyun, bloccandolo a terra e ruggendo sul suo viso.
Lanciai un grido disumano, con gli occhi pieni di orrore e le unghie affondate nelle guance; mi aggrappai al parapetto con talmente tanta forza da far sbiancare le nocche e strillai «No! Daehyun!»
Luhan latrò a sua volta e si gettò fuori dalla finestra.
«No!», cercai di afferrargli il polso, ma fui troppo lenta. Le mie dita afferrarono solo l’aria e, quando vidi il Licantropo che si avvicinava pericolosamente al terreno, fui colta all’improvviso da un attacco di panico “Che sta succedendo?!”, pensai, sgomenta. Le lacrime mi offuscarono la vista e ne sentii una che mi rigava la gota destra.
Non potevo perderli, non avrei sopportato il dolore.
A mezz’aria, vidi il suo corpo tramutare in quello di un elegante lupo dal manto argenteo e dagli occhi talmente chiari da sembrare bianchi; atterrò sul suolo con grazia, nonostante avesse fatto un salto di tre metri e corse verso la bestia che teneva Dae bloccato.
Luhan saltò su di essa, afferrandole il busto con le zampe, e la allontanò dal corpo esanime di Daehyun, che rotolò su un fianco e tossì con la mano posata sull’addome.
Senza perdere altro tempo, corsi al piano di sotto e spalancai la porta che portava nel giardino dove c’erano i miei due amici. Lo spettacolo che mi si parò davanti agli occhi era tra i più spaventosi che avessi mai visto: il grosso lupo nero e quello argenteo combattevano con foga, rotolavano a terra, avvinghiati, cercando di mordersi a vicenda; uno squarcio si aprì sulla zampa del nemico, e quest’ultimo inferse a Luhan una ferita abbastanza profonda sull’addome. 
L’erba si stava colorando lentamente di rosso.
L’avversario di Han ululò, infastidito dalle innumerevoli ferite che il mio amico gli stava inferendo, e azzannò il collo del ragazzo con tutta la forza che aveva in corpo.
Urlai come se non ci fosse un domani.
Urlai finché non sentii le corde vocali spezzarsi e il sapore metallico del sangue in bocca.
Mi graffai il viso per il dolore e gridai con quanto fiato ho in gola «LUHAN!», le lacrime non ne volevano smettere di fermarsi, anche respirare si stava rivelando una tortura.
Daehyun raccolse da terra un ramo abbastanza robusto e corse in soccorso del giovane Licantropo, calò l’arma sul muso del lupo nero e quello, con un fastidioso uggiolio, ruzzolò malamente lontano dai due.
Ero paralizzata dal terrore, non riuscivo a muovere un muscolo.
Dae porse la mano a Luhan, che nel frattempo aveva assunto forma umana, e lo aiutò ad alzarsi «Oh Dio! -esclamò subito dopo stringendo il ramo come se fosse un’arma letale- ho appena picchiato un lupo!»
Luhan alzò gli occhi al cielo e si tastò la ferita al collo con le dita tremanti.
Era vivo.
 “Luhan è vivo”, pensai, con sollievo. Non mi ero mai resa conto, prima di allora, di quanto volessi bene a quello strano ragazzo: la paura di perderlo, di non vedere più il suo sorriso, di non stringere la sua mano calda, mi aveva quasi uccisa.
Repressi un singhiozzo disperato e corsi da lui per poi stringerlo in un caloroso abbraccio, incurante del sangue che mi inzuppava la maglietta e i jeans. D’altra parte, Luhan non esitò a ricambiare la stretta, e affondò il viso nell’incavo del mio collo respirando con affanno «Luhan, stai bene…», sussurrai, accarezzandogli i capelli con più delicatezza possibile.
Daehyun ridacchiò «Non vorrei rovinare il bel momento, ma anche io sono stato aggredito -mi staccai da Luhan e lanciai uno sguardo divertito a Dae, che spalancò le braccia e sorrise- un abbraccio di solidarietà?»
Guardò oltre la mia spalla e scoppiò a ridere lasciando cadere mollemente gli arti lungo i fianchi «Scherzavo, niente abbracci di solidarietà»
Stavo per rispondergli, quando sentimmo sulla nostra destra un preoccupante suono di rametti spezzati: il lupo nero si stava avvicinando e non sembrava volesse arrendersi.
Luhan si posizionò davanti a me e Daehyun per proteggerci e ringhiò con ferocia.
All’improvviso, le orecchie del lupo fremettero e si abbassarono; quello scosse il muso con energia e corse nella boscaglia non prima di aver ruggito mostrando i denti incrostati di sangue.
 
Nessuno si sarebbe immaginato cosa accadde in seguito.
 
«C’era un motivo per cui quel lupo nero era scappato via con la coda tra le zampe. Dopo che se ne fu andato, dal bosco emersero due figure eleganti e austere: uno era un ragazzo alto, dai capelli neri e grandi occhi verdi; l’altro era un giovane notevolmente più basso dalla folta chioma bionda e occhi rossi come il sangue.
«Il primo disse di chiamarsi Flight, mentre il secondo Frost. Erano due dei Dodici, che avevano avvertito la presenza di Luhan ed erano accorsi in nostro aiuto. Ci spiegarono che non erano riusciti a trovarlo perché non si era mai trasformato dopo il rapimento: loro riuscivano a riconoscere un Lupo solo quando si tramutava in una di queste possenti creature.  Luhan aveva riconosciuto l’odore di Daehyun solo perché era rimasto troppo in contatto con lo zio, niente di più», la voce si incrina e scuoto la testa per schiarirmi le idee. Ora arriva la parte più difficile da raccontare, quella che aveva segnato la mia vita per sempre.
Luhan guaisce e mi guarda con dolore «Tranquillo, Lulù. Sto bene. Dov’ero? Ah, sì. Flight ci disse che il branco di JunSeok aveva localizzato il covo dei Dodici a causa di una delle spie del nemico, che avevano sentito Daehyun dire allo zio che Luhan era libero;  e Luhan -o come lo chiamava lui, Telepathy-, doveva tornare assolutamente dagli altri per completare l’addestramento.
«Ma Luhan non  voleva lasciarmi, così andai con lui. E Daehyun si unì a noi, siccome credeva di far parte di tutta quella storia quanto me; e aveva assolutamente ragione. Lasciai un biglietto a mia madre, dove vi era scritto che  ero andata con Daehyun in vacanza “per conoscerci meglio”, e ci incamminammo tra la vegetazione fittissima della foresta.
«Arrivammo nel covo dei Dodici dopo un paio d’ore, ma né io né Dae vedemmo la strada per arrivarci perché Frost ci aveva bendato gli occhi. Comunque era una radura abbastanza piccola, ma accogliente, popolata da dodici tende poste in cerchio attorno ad un grande falò.
«Luhan fu subito portato nella tenda di Healing, mentre io e Daehyun ci accomodammo in quella di un certo Wind», mi blocco, incapace di andare oltre. I ricordi sono cose molto strane: talvolta li vedi arrivare di corsa, straripano, sommergono l’individuo non lasciandogli via di scampo, anche se essi sono felici; di tanto in tanto invece si avvicinano piano, sottovoce, sussurrando istanti di tempo che non potranno mai essere riviviti. Nel mio caso, le memorie mi hanno sommersa come una cascata di acqua gelida. Non voglio ricordare, non più. Luhan mi manca tantissimo.
Sospiro rumorosamente e continuo a raccontare: devo pur distrarre il mio bambino dal dolore della trasformazione «L-Luhan… -mi asciugai una lacrima- andava ogni giorno ad allenarsi nella foresta, in vista dell’imminente battaglia. Tornava tardi, quando io e Daehyun dormivamo. Ma io… Sapevo che lui entrava nella tenda ogni singola notte per baciarmi sulla guancia, augurandomi in questo modo la buona notte.
«Una sera, quando Daehyun andò a dormire da Light, lo aspettai sveglia.

 
Luhan entrò nella tenda attento a non fare il minimo rumore; si avvicinò alla mia branda e sentii il letto che si inclinava da un lato, segno che si era seduto accanto a me. Le sue dita bollenti e delicate mi scostarono i capelli dalla fronte e seguirono il profilo del mio viso, fino ad arrivare alla base collo. Sentii un brivido di piacere correre lungo la spina dorsale e serrai le labbra in una linea retta. Poi, allontanò la mano e si chinò per darmi il consueto bacio serale.
Fece per alzarsi, ma lo fermai «Luhan…», mi misi seduta e mi abbracciai le ginocchia «Resta un po’ con me», dissi, mordendomi le labbra. Era a petto nudo, indossava solo un paio di jeans sbiaditi e sporchi di terra.
Lui sorrise si accomodò nuovamente accanto a me.
Sospirai e raccolsi una minuscola dose di coraggio per comunicargli i miei sentimenti «Luhan… In questi ultimi tempi… Io… Sono stata molto vicina a te. Ho potuto constatare che sei un ragazzo dolce, premuroso, coraggioso, sincero, bellissimo e… hai un cuore d’oro. Penso che… penso di essermi innamorata di te, Luhan. O meglio… Telepathy», gli mostrai un sorrisetto nervoso e abbassai il capo, in evidente imbarazzo.
Lui posò le dita sul mio mento e mi alzò la testa, facendo in modo che i nostri occhi si incrociassero; gli angoli della sua bocca si sollevarono e si mordicchiò il labbro inferiore in modo molto sensuale. Il suo viso si avvicinò al mio, lentamente, quasi temesse di spezzare l’incantesimo creatosi fra noi due. Sentii il suo respiro caldo sulla bocca e chiusi gli occhi, aspettando che mi baciasse come avevo sempre sognato.
Sollevai le palpebre quando mi accorsi che Luhan era lì, immobile, con lo sguardo fisso su di me, solo pochi centimetri a separare i nostri visi accaldati. Mi morsi l’interno della guancia e sospirai «Telepa-», lui mi poggiò delicatamente l’indice sulle labbra, impedendomi di continuare a parlare.
Sentii il cuore battere così velocemente nel petto da far male. Deglutii a vuoto e trattenni il respiro.
«Il mio nome è Luhan», disse lui, con voce roca, melodiosa e colma di amore. Prima che potessi urlare dalla sorpresa -aveva appena parlato!- , azzerò la debole distanza fra di noi e premette le sue labbra soffici sulle mie.
Sentii la sua lingua accarezzare dolcemente le mie labbra fino a farle dischiudere; gli accarezzai il torace muscoloso assaporando la morbidezza della sua pelle, e mi sfuggì un debole gemito quando i palmi roventi delle sue mani cominciarono a vezzeggiarmi il collo e le spalle.
I respiri si fusero in uno solo, l’aria era satura di passione.
Cedemmo sul letto, continuando a baciarci con disperazione e trasporto, senza curarci che qualcuno sarebbe potuto entrare da un momento all’altro. Per noi, in quel momento, contava solo stare insieme e condividere quell’amore che avevamo nascosto per troppo tempo.
Ci staccammo giusto per riprendere fiato, le nostre dita intrecciate «Luhan… Tu sai parlare?», domandai, ansante. Lui, invece di rispondere, attaccò il mio collo riempiendolo di leggeri baci umidi; poi sollevò il capo e mi mordicchiò il lobo dell’orecchio.
Il ragazzo mi guardò e sorrise «Michi…», sussurrò, accarezzandomi dolcemente il viso. Affondai le dita nei suoi capelli biondi e lo attirai a me, premendo le mie labbra sulle sue, cercandolo, assaporando la dolcezza della sua pelle. I palmi delle mani si muovevano sul torace, accarezzavo i muscoli tonici dell’addome e passavo a toccare il mento e le guance.
All’inizio lui restò spiazzato per qualche secondo, poi si abbandonò completamente al desiderio cominciando ad accarezzarmi la schiena con i pollici, fino ad arrivare alle spalle e spingermi contro di lui con fare possessivo.
Ci dividemmo senza fiato, vicinissimi: io lo guardai negli occhi e lui mi imitò, mostrandomi quel meraviglioso sorriso che mi faceva perdere la testa ogni santissima volta. Posò la mano rovente sul mio collo e ripeté il mio nome, un attimo prima di aggredire le mie labbra con foga.
Non sapevo proprio come descrivere questa sensazione, era come se tutti i problemi della vita si siano volatilizzati nello stesso istante in cui avevamo iniziato a baciarci; era come se fossimo intrappolati in una specie di campana di vetro isolati dal mondo esterno.
Inspirai profondamente quando sentii le sue mani sfiorare la stoffa della fascia che usavo come reggiseno; le dita brucianti si insinuarono sotto di essa e i polpastrelli sfiorarono il mio capezzolo lasciandomi sfuggire un gemito soffocato. Il cuore saltò un battito mentre sentivo l’eccitazione crescere così tanto che, lo giuro, mi avrebbe uccisa.
Ci staccammo solo per guardarci negli occhi e restare abbracciati sotto la coperta, estranei al resto del mondo «Quindi… Sai parlare…», ripetei, passando le dita sul suo collo caldo. Lui scosse debolmente la testa e ridacchiò «N-non b-bene», balbettò, con un’espressione adorabile.
Gli presi il viso tra le mani e lo baciai con trasporto e passione, facendogli capire quanto lo amavo e quanto lo desideravo. Luhan prese ad accarezzare tutto il mio corpo con delicatezza, poi  afferrò i lembi della maglietta che stavo indossando e la strappò con un movimento secco del braccio. Oh, madonna.
«Luhan…», sussurrai, conficcando le unghie nella sua schiena.
Il ragazzo mi guardò con evidente preoccupazione negli occhi e  non potei fare a meno di sorridere con dolcezza «… Sei davvero carino», e gli accarezzai dolcemente la testa. Lui scoppiò a ridere e mi baciò di nuovo, preparandosi a fare l’amore con me per la prima volta.
Il mattino dopo, mi svegliai con uno strano sorrisetto stampato sulle labbra. Mi girai nel letto a cercare Luhan, ma non c’era: doveva essere andato all’allenamento. Mi misi seduta e passai la mano sul mio viso ancora accaldato. Lui era stato incredibile ed era andato meglio di quanto pensassi: era stato dolce, premuroso, paziente e tenero con me, facendo attenzione a non arrecarmi dolore.
La tenda si aprì e scattai in piedi, pensando che fosse Luhan. Quando vidi che invece si trattava di Daehyun, ne rimasi delusa, e non mi preoccupai di nascondere il mio disappunto «Però, che accoglienza», borbottò, fingendosi offeso.
Ridacchiai e lo invitai a sedermi accanto a me «Scusa, pensavo che fossi… un’altra persona», sorrisi, al pensiero della notte passata con il ragazzo che amavo.
«Oh, smettila, Michi. Vi ho sentiti, d’accordo?», ridacchiò Dae con uno strano ghigno stampato sul volto. Avvampai fino alla punta delle orecchie «Cosa?! Ma non eri andato da Light? E… -lo guardai con curiosità- come mai mi hai lasciata sola?»
Daehyun si portò le mani dietro la nuca e chiuse gli occhi «Non sono mica scemo. Mi accorgevo che Luhan veniva sempre a baciarti, così ho deciso di lasciarvi un po’ di “intimità”. Ho chiesto agli altri se ci fosse qualcuno disposto a dividere la tenda con me, dato che tu dovevi rimanere sola con Luhan, e Light si è offerto volontario. -vidi le sue guance colorarsi velocemente di rosso- Ma Flame è andato a fargli visita durante la notte e… E. Non ti dico che è successo perché hai capito. Sono tornato qui e ho visto voi due che… Insomma… Michi, non guardarmi così! Ho dormito fuori, scioccato a vita», concluse, con gli occhi stralunati e il volto completamente rosso come i papaveri.
Non sapevo se ridere o prenderlo a sberle «Daehyun!», strillai, colpendolo ripetutamente sul braccio. Lui cercò di difendersi come meglio poteva «Yah! Qui sono io quello sconvolto, non tu!». Dopo aver pronunciato queste parole, scoppiai a ridere di cuore e il mio amico mi imitò, constatando che quella situazione era veramente strana e imbarazzante.
Continuammo a parlare per un po’, fino a quando Time non entrò nella tenda scuro in viso «Il branco di JunSeok sta arrivando. Voi restate qui e non uscite per nessun motivo al mondo. -lanciò un’occhiata di avvertimento nella mia direzione- soprattutto tu, Umana. Tu, -si rivolse a Daehyun, che si mise sull’attenti- Proteggila», detto questo, uscì l’aria aperta lasciandoci soli.
La paura cominciò a serpeggiare tra di noi e mi mordicchiai le labbra, mentre il cuore cominciava a battermi velocemente nel petto.
Avevo un bruttissimo presentimento.
 
Non voglio più ricordare. Non posso, non ce la faccio.
«Ci attaccarono dopo qualche ora. Daehyun trovò una pistola sotto al letto e pensò bene di tenerla con sé, in caso uno di essi fosse entrato nella nostra tenda. Fuori, i Dodici rischiavano la vita, e noi due eravamo lì dentro a guardare quei poveri ragazzi che venivano feriti a morte; così uscimmo a dare una mano.
«Uno dei nemici… Attaccò Daehyun e lo morse… sulla spalla. Un altro di quei maledetti… Prese la pistola, che era volata via dalle mani del ragazzo, e la puntò su di me, paralizzata dal terrore e il dolore di vedere il mio migliore amico azzannato da una bestia. Non mi accorsi che Luhan era corso da me e… -mi asciugo una lacrima e la voce mi si incrina-… e mi aveva fatto da scudo con il proprio corpo. Lui… Morì tra le mie braccia. E mi disse… mi disse “ti amo” per la prima volta.», il dolore è troppo forte, mi perfora il petto e mi spezza le parole in gola.
I ricordi si fanno vividi nella mia mente, come se stessi guardando la proiezione di un film. Non voglio ricordare la morte dell’unico ragazzo che abbia mai amato, non riuscirei a sopportarlo.
Quando ho visto la luce abbandonare i suoi bellissimi occhi azzurri, ho sentito come se qualcosa si fosse spezzata dentro di me. Come quando un pallone colpisce il vetro di una finestra, il dolore ha  trafitto il mio cuore facendolo a pezzi. Non sono mai riuscita a rimetterli insieme.
Sospiro rumorosamente tiro sul col naso «Ovviamente, i Dodici vinsero la battaglia. Dopo la morte di Luhan, io e Dae ritornammo a casa, dopo che lui fu curato da Healing. Dicemmo alla mamma e a Seul Gi che lui era tornato dalla sua famiglia. -sento mio figlio che emette una serie di uggiolii e scuoto la testa ripetutamente- Passò un mese, e scoprii di essere incinta di te. Per evitare spiacevoli scandali, io e Daehyun decidemmo di sposarci e dire che quel bambino era suo. Ma… ogni notte io mi svegliavo urlando. Sognavo sempre gli attimi prima della morte di Luhan e piangevo fino a non avere più lacrime. Una notte, Daehyun ha cercando di consolarmi e io l’ho spinto via, gridandogli “Tu non sei Luhan!”.  Penso che nessuna frase lo abbia ferito più della mia», gli accarezzo il dorso con lentezza «Ecco perché sei un Lupo, Luhan. Hai il sangue di tuo padre che ti scorre nelle vene… E la Dea… ha scelto te come uno dei Dodici». Nonostante la sofferenza mi stia ammazzando, nonostante aver rivissuto tutta quella storia mi stia facendo sentire uno schifo, sono felice che il mio bambino ora sappia la verità sul suo passato.
Sorrido tristemente e bacio il piccolo lupo sul capo.
Su di noi, la luna brilla fulgida. 

 

 

 

 

 
Angolino: Shiao. 
Okay, questa è un OS di compleanno (un po' in ritardo, ma vabbeh) per la mia figlioletta Michi ♥
Sono 14K parole (un parto praticamente) di pura shifezza. Non mi convince per nulla, ma... Boh, ecco cosa è riuscito a produrre il mio cervello. 
Spero che vi piaccia <3
E spero che piaccia anche a te, Michi-ah! 
Boh, vado ad allevare unicorni. Ciao˜
  
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