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Autore: Pleasebemywill    25/01/2015    10 recensioni
Quella che mi ritrovai di fronte non era come la mia vecchia casa. Non era costruita sopra uno spiazzo di sabbia, non sentivo l’odore salino del mare che con una leggera brezza entrava fin dentro casa, non vedevo i surfisti cavalcare le prime alte onde del mattino, messi i piedi a terra non ebbi la scomodità di ritrovarmi le infradito piene di finissima sabbia. Proprio perché forse non avevo nemmeno le infradito, proprio perché forse lì non vedevo nemmeno la sabbia. Lì vedevo solo alti palazzi e case analoghe fra loro: una strada, asfalto, cespugli da decorazione, marciapiedi e quello che poteva sembrare il mare in lontananza in realtà era solo il colore del cielo - solo un po’ più intenso.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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23


Emily Henderson


«Sai perché ci sono così tanti piatti da lavare in questa casa? Beh, vediamo se riesci a trovare la risposta infondo al tuo bitume di stomaco!» borbottò William, mentre con un paio di guanti rosa shocking, il grembiule di nostra madre con su scritto sopra "the queen of the kitchen" e la spugnetta dalla parte dello strato di fibra verde, sgrassava via lo sporco dai piatti e dagli utensili usati durante la cena di quella domenica sera. Ma William aveva detto tante di quelle cose nel giro di un quarto d'ora che nemmeno uno scherno in riferimento alla mia fame perennemente chimica avrebbe fatto sì che gli rivolgessi la parola. Mi limitavo a svolgere il mio compito, ovvero quello di sciacquare e asciugare.
 
«Fai pratica per entrare in convento? Vedi che il voto del silenzio è un’altra cosa, non basta tacere con me e poi urlare “mamma manca la carta igienicaaaa” da dentro il bagno, seduta sopra il cesso, facendo rimbombare la tua voce per tutta la casa.» Odiavo quando si comportava così, in realtà odiavo William quando si comportava in qualsiasi modo, era così insopportabile e fastidioso. Cosa ci trovassero di tanto speciale le ragazze in lui io non lo avrei mai capito, ma non era molto difficile supporre che molte di loro si limitavano all'aspetto fisico.
 
Faceva così freddo quella sera, portavo dei calzettoni di lana fino al ginocchio ma l'acqua che scorreva sopra i piatti ed alcune posate rendeva gelide le mie mani. Quando si trattava di lavare o pulire io e mio fratello eravamo veramente dei fenomeni, formavamo una squadra efficiente, ma il meccanismo che eravamo riusciti a ingranare quella sera ad un certo punto si arrestò. «Guarda, sono il vecchio che abita qui a lato» lo sentii blaterale ancora al mio fianco. Mi voltai curiosa di ciò che volesse intendere con quella frase e lo vidi ricoperto di schiuma di sapone sul viso dal naso in giù come volesse ricreare una barba, e dell'altra schiuma sopra le sopracciglia. Ma ciò che ottimizzava l'imitazione era il sorriso spaventosamente mille denti, gli occhi corrucciati, la schiena curva e la mano socchiusa come reggesse una bastone immaginario. Tutto questo era così divertente e mi dovetti sforzare per trattenere una risata ed ignorarlo. Sapeva lavorare bene di fantasia, ma con quell’imitazione era praticamente identico al Sig. Garcia, sfortunatamente nostro vicino (si lamentava e borbottava sempre, vedovo da pochi anni e probabilmente impotente da molti di più).
 
William, proprio come avevo previsto, non parve accettare facilmente il fatto che io avessi appena snobbato un’altra delle sue buffonate, e soprattutto l’indifferenza nei suoi confronti che si stava prolungando già da circa due giorni. «Ti lecco la faccia» mi minacciò, con la lingua sporta a pochissimi centimetri dalla mia guancia.
 
Mi ritrassi immediatamente. «Smettila!»
 
Scaraventò con forza la spugna sopra il resto dei piatti ancora sporchi, chiuse il rubinetto dell’acqua e batté con forza una mano sull’orlo del lavandino, per poi fissarmi rabbioso e disorientato. «Mi dici che cazzo ti prende in questi giorni?» Finalmente aveva smesso di comportarsi come un bambino. «Anche se, non posso non ammettere che ho passato i due più bei giorni della mia vita a non sentire la tua vocina pretenziosa e fastidiosa percuotermi dannosamente i timpani e i coglioni.» Come non detto.
 
«Qualcuno però avrebbe dovuto percuoterti un altro po’ la faccia di schiaffi.» Presi la spugna e continuai ad insaponare i piatti al posto suo. Non mi sarei persa il film della domenica su ABC Family, e quella sera avrebbero trasmesso Hunger Games. Dio, quanto poteva esser bello Liam Hemsworth?
 
William gettò un forte sospiro seguito da delle urla. «Finalmente! Ti applaudirei ma ho le mani fatte di sapone per piatti… No scherzo, te le batto lo stesso!» Così facendo un po' di schiuma di sapone che aveva tra le mani schizzò tra i miei vestiti. «Sto aspettando che il tuo moralismo mi sporchi il cervello di cazzate» continuò con tono canzonatorio.
 
«Di tutte le cavolate che tu abbia fatto questa è la peggiore. Umiliare una ragazza davanti a un mucchio di gente per che cosa esattamente?» Mi voltai appena. «Hai realizzato di non essere abbastanza figo quella sera fino a quando non ti è venuta in mente questa brillante idea di fare il deficiente per trascinare la tua barra della popolarità fino allo schifo?» Ero veramente furiosa per questo. Sapevo che mio fratello non aveva mai avuto bisogno in vita sua di fare qualcosa del genere per poter spostarsi al centro dell'attenzione, né aveva alcuna necessità di scalare la top list del gossip scolastico dato che beh, era praticamente sempre il primo in classifica.
 
Deglutendo sospirò e guardò avanti a se, nel vuoto. «Senti Emy, mi pare che non ti abbia gonfiato di botte come avrei voluto e dovuto fare per non avermi ascoltato ed essere andata comunque al festino di Haynes, soprattutto prendendo in considerazione il fatto che mamma non ne è totalmente al corrente di questa tua uscita di venerdì sera. Quindi, per ricambiare il mio bel gesto, dovresti stare zitta e non osare neanche processarmi riguardo a ciò che è successo.» Poi si voltò verso me, sorridendomi sarcasticamente. Rimasi a fissarlo disgustata. «Poi perché lo fai? Perché questa volta ci è andata di mezzo la tua nuova amichetta del cuore super-super-duper?»
 
«No forse l’hai fatto proprio perché lei è la mia nuova amica… Super-quello che è! Ti odio, perché devi rendere la mia vita un inferno?» Mi asciugai nervosamente le mani su una pezza da cucina appesa su un pomello di una delle due ante del bancone sotto il lavandino. 
 
William lasciò uscire una corta risata. «Credi davvero che io abbia abbastanza tempo per rovinarti la vita? E poi se davvero l’avessi voluto l’avrei fatto tempo fa, quando dalla mia culla ascoltavo i divini e religiosi ansimi di mamma e papà che copulavano per il tuo concepimento!»
 
«Smettila di infastidire le persone che mi stanno intorno» lo bloccai subito, volendo evitare di sentire di peggio uscire dalle sue labbra.
 
«Smettila di rompermi le palle che mi stanno attaccate proprio al basso ventre» rispose a tono. Non era affatto divertente.
 
Quando mio fratello aveva umiliato Charlie davanti a un mucchio di gente io non ero presente, ma avrei potuto giurare che se fossi stata lì in quel momento avrei sicuramente fatto qualcosa per impedirlo. Mi avevano raccontato tutto comunque, e non c’era stato bisogno di chiedere spiegazioni una volta che, uscita fuori dalla villa di Haynes, avevo trovato Charlie in lacrime tra le braccia di Rossella. «Ti sei servito di lei perché è una ragazza molto sensibile e introversa.» Alcune immagini di quella sera vennero subito alla mia mente, Charlie con un viso distrutto e le mani tremolanti.
 
«Introversa? Mi pare sappia fare bene la troietta con i ragazzi che neanche conosce» sputò fuori come veleno.
 
Dalla faccia che fece subito dopo capii gli fosse scappato di bocca. «Lo sapevo» urlai. Lui sollevò immediatamente la manopola dell’acqua, riprese tra le mani la spugna e cominciò a strofinare i piatti sporchi restanti.
 
«Tutto ciò non mi interessa comunque» borbottò.
 
In quel momento mi era tutto chiaro. «Fai veramente schifo, per il tipo che sei non mi è difficile credere che hai dell’interesse nel trombarti Charlie solo perché ha un aspetto carino! Cosa ti da fastidio esattamente? Che lei sia attratta da ragazzi più intelligenti di te? E poi che diamine dici, sono sicura che lei non si sia atteggiata, neanche considerando il minimo significato della parola, con nessun ragazzo!»
 
«Non hai idea delle cazzate che stanno uscendo dalla tua bocca.» Scrollò la testa in disaccordo. Non capii bene precisamente riguardo cosa, se per non averlo considerato un ragazzo intelligente o se per aver ipotizzato un suo interesse nei confronti di Charlie, o entrambe.
 
«No Will! Ti sei trombato tutte le mie amiche delle medie e hai giurato, se non sbaglio, che non avresti più uscito dalla tana la tua talpa!» Sbraitai, chiudendo sotto i suoi occhi la manopola impedendogli di distrarsi ed ignorarmi. «Lo abbiamo stipulato, ho ancora la tua firma sul quel pezzetto di carta» gli ricordai – e non stavo scherzando. Avevamo davvero fatto un accordo, alcuni anni prima. 
 
«E l'ho mantenuto! Poi non esagerare… Non proprio tutte» farfugliò.
 
«Clarissa la disabile non conta» risposi rapidamente. Strano c’è da dire, dato che comunque di respirare respirava, di avere una patata in mezzo alle gambe l’ aveva, e che quindi era il tipo di ragazza che a mio fratello al tempo andava più che bene.
 
«Ah» sibilò. L’espressione sul mio volto era fredda come la pietra. «No aspetta, c'è Rossella!» Esclamò poco dopo, quasi sentendosi offeso da me.
 
Lanciai uno sguardo di disapprovazione. «Che centra, lei non te l'avrebbe data comunque né hai tempi delle medie né in questi.» Benedivo la sua cotta platonica per Derek, in questi unici casi, per il resto era una vera scocciatura.
 
«Ma io non ci ho provato, ed è questo che conta» ammiccò, ricevendo in risposta un secondo sguardo di disapprovazione. «Sto scherzando! Santo Dio.» Roteò gli occhi al cielo. «E poi tutta la tua stupida piccola gang, tipo Leila, Lily e Madison…»
 
«Va bene, hai mantenuto l'accordo, dopo il contratto. Ma ti consiglio di continuarlo a mantenere, se non te ne fossi reso conto vale anche per Charlie.»
 
«E tu se non te ne fossi resa conto, stai continuando ad urlare, irritandomi notevolmente e abradendo con carta vetrata a grana fine il mio venerabile scroto!» Si stava permettendo di urlare così tanto solo perché nostra madre non era in casa. Lei non tollerava quel tipo di linguaggio volgare che usava spesso mio fratello, perciò lui non era solito farlo davanti  a lei.
 
«Dato che siamo in argomento, dovresti evitare di trombarti Alexia, lo sai che è totalmente scorretto! Nonostante, devo dire, sia la cagna fertile del quartiere dei cani. Quello che è successo con-»
 
«-sta zitta.» mi interruppe prima che potessi finire la frase, e lasciò la stanza dopo essersi scrollato di dosso grembiule e guanti da cucina. “Fantastico, ancora alcuni piatti da lavare e lui si trasforma subito in una puttanella permalosa lasciando finire il lavoro a me” pensai.






«Allora? Vi siete baciati?» Chiese con insistenza Lily, mentre eravamo tutte sedute ad ascoltare l’interminabile storiella di Rossella al nostro tavolo speciale da Gino’s. Era un bar Italiano vicino scuola ma, ad ogni modo, di cibo Italiano c’era ben poco.
 
«No» rispose secca l’interrogata in questione. Che poi non si mangiava male, anzi, si mangiava malissimo. Il cornetto che prendevamo tutte le mattine era sicuramente surgelato. Che poi, insomma, quale sana persona di mente sperava davvero di trovare un cornetto fresco a New York? Però era un bar che ci veniva di strada, un bar in cui i proprietari ci facevano sempre lo sconto (grazie alla mia simpatia, sia chiaro, le altre sono sempre state tutte delle  morte viventi) e poi ci convocavamo praticamente tutte le nostre riunioni d’urgenza, tipo quando una volta a Lily tardò il ciclo mestruale e la disperazione della situazione era praticamente palpabile dato che eravamo arrivate a pensare, essendo vergine, che fosse finita incinta tramite immacolata concezione (beh, a pensarci bene, questo è successo davvero parecchio tempo fa).
 
«Ma come no?» Scioccò Madison. Certo, doveva esser davvero difficile come cosa da concepire dato che, a differenza dell’Italiana, lei l’aveva già data via al suo primo appuntamento. A Lucas. Ovviamente.
 
«Ti ha respinto o cose così?» Si preoccupò di dire Leila. “Ragazze la respinge da circa cinque anni, qual è la novità adesso?” Avrei voluto dire io, ma me la risparmiai.
 
«No! Io non c'ho provato.»
 
«E lui nemmeno» dissi con, credo, davvero pochissimo tatto, guadagnandomi una frecciatina dall’interessata. Inoltre mi sentivo già abbastanza ostile con il sapore in bocca di marmellata sicuramente andata a male. Ma perché ci ostinavamo ancora a mangiare lì?
 
«Non siamo stati sempre da soli» si difese Rossella. «La squadra di rugby era sempre intorno a noi, e a Derek sembrava non dispiacere la loro compagnia.»
 
«Specialmente quella delle cheerleader» sottolineai.
 
Alcune delle vene sulla sua fronte si gonfiarono, le sue mani si irrigidirono e la bocca si contorse (tipico di Rossella quando sta per raggiunge l’apice dell’impazienza). Sì trattenne con un sospiro e continuò. «Di solito si accerchiano intorno a William, ma la presenza di Alexia sembrava intimorirle, e quindi erano tutte praticamente attaccate a Derek, Santo Dio! Queste cagne non sanno stare nella propria corsia!» Batté un pugno contro la superficie del tavolo facendoci sobbalzare. Godzilla era tornato in città gente.
 
«Non ti ha nemmeno palpato? Nemmeno un pochino? Non so, le gambe o il fondoschiena?» Domandò Lily. Mi stavo divertendo davvero tantissimo.
 
«No.»
 
Che delusione. «Perché Derek sa essere così gay?» Mi lamentai.
 
Rossella decisamente irritata ormai evitava il mio sguardo su di lei. «È stato molto educato, ha persino controllato il mio drink, ieri sera circolavano parecchie pasticche. “Non me lo perdonerei mai” mi ha persino detto.»
 
Cosa? «Ma quando? Quando giravano le pasticche io non ho sentito neanche l'odore! Mannaggia.»
 
Le ragazze risero. «Emily contieniti. Charlie potrebbe scambiarti per una a cui piace drogarsi» Leila ridacchiò.
 
«Io? Probabilmente è mio fratello quello che ieri ha esagerato con qualcosa» Ripensai alla discussione con lui della sera prima, e cominciai a farmi qualche domanda in proposito. Mi venne spontaneo concentrare il mio sguardo su Charlie.
 
«Si è messo così in imbarazzo, è andato di matto» continuò per me Rossella. Dopo di che, calò praticamente il silenzio. Le altre ragazze non erano andate al festino, quindi tecnicamente non potevano sapere cosa era successo, ma praticamente invece lo sapevano. A cosa servivano i telefoni allora? Solo per ricevere fastidiose chiamate dalle compagnie telefoniche? Infatti pensai di avvertirle io stessa, per decidere insieme come comportarci in proposito, arrivando alla conclusione di appoggiarla irrompendo a scuola con i capezzoli al vento e con frasi femministe scritte sui nostri corpi, come una vera rivolta. Cioè no, in realtà questa era stata la mia conclusione, le altre si erano accordate per offrirle una pizza.
 
Bocciata la mia idea, mi ero almeno concessa di esplicitare più volte di non far uscire gli argomenti “William”, “Festino” e “Verginità” per i prossimi giorni a venire di fronte a Charlie. Ma evidentemente Rossella, stupida per com’era, si era già dimenticata di questa raccomandazione e aveva cominciato a raccontare la sua noiosissima storia, ed io ero dovuta correre subito ai ripari con del sarcasmo. Dopotutto, cosa potevo aspettarmi da una che si specchiava in media cinquecento volte al giorno?
 
«Sta tranquilla a chi vuoi che importi?» Spezzò il silenzio Leila, proprio lei, che quella sera era rimasta a casa a fare biscotti con sua madre e che quindi non poteva sapere cosa era successo al festino di Haynes in una villa a quarantacinque minuti da casa sua. “Massima segretezza ragazze, massima segretezza” avevo detto qualche sera prima per telefono. Un corno! Stavo vedendo andare in fumo il mio piano, per di più  in una location da quattro soldi. Quanta nostalgia della vita da agente del’FBI che già avrei dovuto fare.
 
«Charlie sei stata davvero grande! Io ad esempio non ne sarei stata capace...» Continuò la stessa Leila.
 
Madison ci mise pure del suo. «L'odio che devi provare per lui ora deve essere davvero qualcosa di incomparabile.»
 
Allorchè, come avevo previsto, Charlie scoppiò. «Io devo andare… A scuola? Sì a scuola. D-devo finire un progett- un compito... Un qualcosa del genere, prima che suoni la campanella. Scusatemi, ci vediamo.» Già, era scoppiata del tutto.
 
«Ma Charlie non hai preso nulla!» Urlò Rossella quando la bionda si alzò per andarsene, con il senso del dovere da neo-amica di offrirle qualcosa a tutti i costi pur di tirarla su di morale. Strano, si erano accordate per una pizza, non per una colazione da “Spazzatura e Catrame”.
 
Che disastro.
 
Le ragazze cominciarono a darsi la colpa a vicenda per quanto era successo, i clienti attorno a noi, tra cui anche studenti della nostra scuola, ci guardavano con occhi curiosi cercando probabilmente di captare anche un minimo delle nostre discussioni per poi ricavarne in stile patchwork una versione dei fatti personale da passarsi tra di loro, e dato che tutto ciò mi infastidiva, mi alzai dal mio posto e senza neanche pagare uscii dal locale per raggiungere Charlie, qualcosa che avrei dovuto fare già molto tempo prima.
 
Mancavano ben dieci minuti al suono della prima campanella, ma mi dovetti affrettare ad entrare a scuola per non perdere di vista Charlie che quasi sicuramente si era recata al suo armadietto come era per lei e per praticamente tutti consuetudine fare la mattina all’ingresso.
 
«Non era mia intenzione lasciarti da sola» sputai con il fiatone, una volta trovata proprio dove avevo immaginato. Lei si stupì vedendomi lì e sentendo cosa  le avevo detto, ma cercò di non scomporsi tanto e, continuando a svuotare il suo zaino dai libri che lo riempivano, cercò quasi di liquidarmi. «Uhm, tranquilla.»
 
«No, non passarci sopra. Insultami, dimmi qualcosa di cattivo. So riconoscere quando c’è qualcosa di cui devo essere punita, e questa è tra le tante. Quindi avanti, e vai sul pesante mi raccomando.» Mi impuntai davvero, i sensi di colpa che mi avevano accompagnato lungo questi ultimi giorni mi stavano uccidendo.
 
«Non ho nessuna intenzione di farlo» rispose quasi esterrefatta, voltandosi verso la mia figura.
 
«Oh beh, è un bel gesto, sì insomma un gesto alla Charlie, perdonarmi senza dire nulla in proposito e per di più, così facendo, dimostrando una certa superiorità… E’ ammirevole!» Ero stata più sincera che sarcastica. «Sì ma è anche inaccettabile, non provare mai più a fare la superiore con me, occhi languidi. Ti è permesso solo questa volta, dato che l’ho combinata veramente grossa.» Così dicendo riuscii a farla sorride.
 
«Tu sei tutta matta, che problema hai?» Rise ancora chiudendo l’anta dell’armadietto e mettendosi sulle spalle il suo adorato zaino.
 
Risposi di fretta, senza controllare cosa avessi per la mente, e senza trattenermi sul cosa dire e su cosa no, come avevo fatto prima al bar. «Beh, non uno. Tanti in realtà. Come mi è solo passato per la mente di lasciarti da sola? Mi dispiace davvero che sia successo, e mi dispiace anche che mio fratello sia un tale cretino.» Non era mio solito scusarmi per qualcosa, odiavo farlo. Ma in quel momento mi era davvero venuto spontaneo. «Sappi che io non l’ho mai voluto nella mia famiglia, ma ehi sono arrivata dopo di lui, non ho avuto la possibilità di lamentarmi o impedire la sua nascita perciò...» Continuai. La sua espressione crollò, probabilmente facendole ricordare nuovamente quanto era successo. A differenza di quanto avevo detto sia alle altre che a me stessa precedentemente, realizzai che forse per lei parlarne con qualcuno sarebbe stato meglio. «…Come ti senti?» Domandai spronandola, notando che si era ammutolita d’un colpo.
 
«Devo andare davvero a lezione, tu non hai Letteratura Inglese adesso, vero?» Cominciò a camminare superandomi, con una certa fretta ed ignorando totalmente il fatto che mi stessi preoccupando per lei.
 
Sentii un certo senso di irritazione. «No, Sociologia» le risposi contenendomi. D’altronde stava a lei scegliere se sfogarsi al riguardo o meno, non potevo obbligarla. Cercai inoltre di ricordare a me stessa che il suo comportamento era del tutto normale e non aveva alcun senso aggredirla.
 
«Ci vediamo a Chimica allora» disse camminando sempre più velocemente.
 
L’osservai per un po’ nei suoi movimenti .«Seconda ora, giusto?» Quasi urlai, quando lei ormai era molti metri lontano da me, ricevendo come risposta solo un cenno di conferma. Grazie a Dio, non ricordavo davvero a quale ora si fosse tenuta la lezione di Chimica quel lunedì, mi sentii una totale svampita. Fino a quando i miei occhi non incrociarono qualcosa che in quel periodo mi interessava particolarmente. Mi avvicinai con discrezione, guardandomi intorno. «Scusami? Uhm, sai dov'è lo stanzino delle scope? Devo darci un'occhiata sai, per vedere se dentro ci stanno tutte le... Scope.» Scandii bene le parole, assicurandomi che la figura maschile che mi si era proposta davanti capisse perfettamente.
 
Ottenni della collaborazione. «Certo, seguimi. Come hai detto che ti chiami?»
 
«Emily, Emily Henderson.»
 
«Oh, la sorella del famoso William Henderson?» Fece finta di meravigliarsi, mentre insieme ci incamminammo verso la non lontana meta.
 
«Lo conosci bene, vedo.» Continuai, stando perfettamente al gioco.
 
«Già, giochiamo nella stessa squadra» annuì lui con un sorriso malizioso. «Ecco, siamo arrivati. Aspetta che ti aiuto.» Aprì la porta dello stanzino, mi diede la precedenza ed entrammo senza smuovere l’interruttore della luce, facendo i modo che la stanza rimanesse buia. Appena chiuse la porta dietro di noi, mi trattenni dal ridere e rubai dalle mani la sua sacca scaraventandola a terra. «Pensi che qualcuno ci abbia visto?» Sussurrò afferrando il mio bacino e trascinandolo verso se.
 
«Brian, è probabile, ma tanto non ci hanno mica visto fare questo.» Non aspettai altro e fiondai le mie labbra sulle sue, impaziente di colmare quell’astinenza provata lungo gli ultimi giorni senza baciarlo e senza… Sì insomma, senza fare dell’altro. Ci eravamo veramente divertiti al festino di Haynes io e Brian, eravamo soliti rinchiuderci in posti stretti e bui per stare da soli, ed era stato veramente difficile inoltre accontentare le nostre voglie dentro la stanza del guardaroba della Signora Haynes, soprattutto perché c’era davvero molta gente e il rischio che qualcuno ci scoprisse era veramente alto.
 
«Tutto questo è ridicolo. Ma fottutamente eccitante» biascicò Brian con difficoltà, per poi insinuare la sua lingua dentro la mia bocca. Era davvero un gran baciatore, non per questo lo avevo scelto tra la vasta gamma di ragazzi che fremevano di scoprire la mia grotta sotterranea. Peccato che sfuggiva a tutti un fondamentalissimo particolare: Nessuno avrebbe accesso la propria torcia su un luogo naturale di mia totale proprietà. Ma comunque, era divertente per me invece scoprire sempre ogni giorno di più cosa Brian, a differenza mia, non custodiva con cautela.
 
«Non penso di esser pronta a dire a qualcun altro che non sia tu di questi nostri... Sai, incontri speciali» sussurrai contro le sue labbra.
 
Lui si ritrasse per qualche secondo prendendo aria. «Vuoi dirmi che sono la tua puttanella?»
 
«Sì esatto» dissi senza fare tanti giri di parole e facendola sembrare quasi una cosa corretta.
 
«E io ti dico che mi sta più che bene.»





Charlotte Wilson


Oltre ad essere depressa, triste e ancora abbastanza stordita a causa di quanto era accaduto (beh... tecnicamente a causa di quanto era stato detto) alla festa, ero nervosissima. Avevo uno strano presentimento, convinta che mi sarebbe accaduto qualcosa di brutto una volta varcata la porta d'ingresso dell'edificio scolastico occupato per lo più dalle stesse persone presenti al festino di Haynes, che avevano avuto inoltre il piacere di venire a conoscenza della nuova arrivata-verginella. Ma ciò non era ancora stranamente successo. Avevo già varcato quella porta, ed avevo già conseguito la prima ora di lezione senza che nessuno accennasse minimamente l’argomento o ridesse alle mie spalle.
 
Una ragazza che stava smanettando con quello che supposi fosse il suo cellulare, masticando un chewing gum e facendo scoppiare le bolle dentro la bocca, incrociò il mio sguardo e mi sorrise leggermente. «Oh, hey Charlotte!»
 
La salutai con una mano, mentre con l’altra reggevo i libri che sarebbero serviti per la prossima lezione. «Hey Bree.» Avevo chiesto di lei a Emily, durante una delle nostre ultime lezioni di Chimica, notando gli innumerevoli positivi interventi in classe. Avevo saputo per certo fosse molto brava nelle materie scientifiche e la cosa mi interessava parecchio dato che nella mia vecchia scuola ero stata una delle uniche poche ad eccellere in quel campo. Non mi aveva mai salutata prima di allora, chiamandomi per nome, e la cosa mi aveva confusa.
 
Come faceva a sapere il mio nome? Scacciai quel pensiero avvicinandomi a lei. «Mi dispiace per ciò che ti è stato detto al festino. Cavolo William è proprio uno stronzo!» Bree mi risvegliò dai miei pensieri, attirando la mia attenzione come disse "festino".
 
Aggrottai le sopracciglia. «Anche tu l'hai visto?» Chiesi, sperando che ci fosse anche la più piccola speranza che qualcuno non avesse assistito alla cosa più umiliante di tutta la mia breve vita.
 
«Nah.» Rispose. Sospirai sollevata. «Però ne stanno parlando tutti.» No! Il mio cuore cominciò a battere velocemente e mi sforzai a deglutire, nonostante la mia gola e la bocca fossero secche. Insomma, che dovevo aspettarmi? «Comunque, stai andando in classe?» Annuii, rifiutandomi di parlare.
 
Non so, forse era solamente colpa della sindrome premestruale, ma sinceramente... Chi non sarebbe sconvolto, sentendo che tutti parlano di un episodio imbarazzante che ti riguarda personalmente? È senso comune, anche se già nel mio caso l’avevo previsto. Mi schiarii la voce, alzando lo sguardo. Lei continuò a fissarmi, come se aspettasse una mia qualche reazione, qualcosa come “Tu stai andando anche?", come lei aveva fatto con me. Anche quella sarebbe stato senso comune, credo. Di solito ci si comporta come se si fosse interessati tanto per essere educati. Ma non riuscivo a pensare lucidamente. Mi sentivo completamente fuori luogo. La superai, rifiutandomi di guardarla negli occhi. Mi sentivo anche in colpa per essere stata maleducata con lei, dal momento in cui mi aveva detto che tutti stavano parlando di me, ma avevo assunto un comportamento simile anche con le ragazze, qualche ora prima, mentre eravamo sedute ad un bar e si parlava del festino. Ovviamente immaginavo che Emily o Rossella avessero informato le altre di quanto era accaduto e tutto ciò mi imbarazzava, non ero stata capace di far altro che scappare piangendo, e quello schiaffo ad ogni modo non aveva risolto le cose, anzi probabilmente le aveva solo peggiorate dato che chi si difende alzando le mani è solo troppo poco intelligente per difendersi a parole.
 
Dopo essermi sciacquata il viso in una delle fontanelle situate lungo i vari corridoi, raggiunsi la classe di Chimica, mi sedetti al primo banco libero che vidi, scaraventai lo zaino a terra, uscii i libri e con sguardo assente mi misi composta aspettando che l’insegnante arrivasse. Durante il fine settimana non avevo avuto neanche il tempo di anticipare l’argomento del giorno, come ero solita fare, decisamente troppo impegnata a deprimermi e struggermi tra le lenzuola del mio letto. Ma che poteva fregarmene di  meno della regola dell’ottetto e le sue eccezioni o della forma degli orbitali quando qualcuno aveva completamente fatto il mio umore a pezzi? Avrei mai potuto trovare tra le pagine del libro di testo qualche tipo di esperimento da attuare per eliminare dalle mente dei miei coetanei ciò che avevano visto e sentito al festino di Haynes, o che so magari un modo per smolecolarizzare William Henderson?
 
«Stai bene?» Bisbigliò una voce vicino a me. Mi voltai per guardare Emily, che mi stava dedicando un’occhiata interrogativa. Annuii solamente prima di spostare la mia attenzione sul Sig. Flanagan anche se non avevo idea di ciò di cui stesse parlando, né avevo idea del perché lui si fosse posizionato proprio di fronte a me come se stesse aspettando qualcosa. Era sicuramente già entrato da un pezzo durante la corsa senza fermate del mio treno dei pensieri. Adoravo la Chimica, ma quel giorno avrei preferito restare a casa o in quel momento essere totalmente in un altro posto… Tipo sottoterra, all’epicentro, a bollire nel magma come calzini sporchi. Perché alle persone interessava tanto parlare dei fatti degli altri? Eppure ero sicurissima che moltissime altre ragazze in quella scuola fossero vergini e caste esattamente come me, perché allora di loro non se ne parlava? Perché al mondo esisteva William Henderson?
 
«Devi star tranquilla, nella nostra scuola le vergini sono ben accette, c'è una fila proprio di ragazzi esperti ben disposti ad aiutarti e farti sentire, come dire, meno diversa. Vero ragazzi?»
 
«Wilson? Allora! Può rispondere lei?» Quasi urlò il Sig. Flanagan e un sottofondo di risate da parte dei miei compagni riecheggiò per tutta l’aula. Non avevo ascoltato una parola. Mi era stata posta una domanda? E che domanda? Di cosa si stava parlando esattamente?
 
Spostai lo sguardo verso la lavagna e cercai di focalizzare in breve tempo… Ma che diamine significavano quelle cose impresse sopra? Ad un tratto tutto ciò che c’era scritto mi sembrò un ammasso di scarabocchi.
 
«La classe oggi mi sembra più assente del solito, ma devo ammettere che almeno confidavo in lei signorina Wilson. Qualcosa non va oggi?» Domandò amareggiato.
 
«Chi si offre? Al primo una birra in omaggio.»
 
Abbassai lo sguardo. «No, è tutto okay.» Risposi quasi inudibilmente.
 
«No, no piccola, non hai motivo di piangere. A meno che qualcuno non ti ficchi due dita nella vagina.»
 
Mi lanciò ancora uno sguardo dolente. «Sicura? Cosa c’ha?»
 
«Sicuramente la verginità!» Schernì Kevin Rouse in tutta la sua spavalderia quasi urlandolo, in modo che lo sentissero tutti. Ovviamente questo scaturì nuovamente  un sottofondo di risate, io avvampai per l’imbarazzo e provai un nodo allo stomaco, come stessi rivivendo ciò che era accaduto al festino. Non ebbi il coraggio di voltarmi indietro, strabuzzai gli occhi e cercai lo sguardo dell’insegnate che al momento era veramente confuso. Prima che quest’ultimo aprisse bocca per ripristinare la quiete, avvertii uno spostamento d’aria dietro le mie spalle: Emily aveva lanciato una matita contro Kevin, e l’aveva giusto preso in pieno in un occhio.
 
«Rouse e Henderson, in presidenza!» Urlò scioccato il Sig. Flanagan, avviandosi alla porta e aprendola invitando i due ad uscire fuori. Kevin fu quello che si alzò per primo, sostenendo di aver veramente bisogno di andare in infermeria mentre Emily lo insultava dietro pesantemente. Si era veramente cacciata nei guai per me, mi aveva difeso, e Rossella aveva fatto lo stesso quella sera una volta scappata via in lacrime, raggiungendomi e consolandomi. Per questo, decisi proprio in quel momento, che non l’avrei più frequentate. Non avrei permesso di far rovinare anche la loro reputazione.
 
Una volta suonata la campanella, scappai velocemente via dalla classe e mi diressi verso armadietto, stava diventando tutto troppo pesante da gestire, da sopportare, volevo solo prendere le mie cose, andare via e non mettere più piede lì dentro. Volevo tornare a casa, ma proprio a casa mia, in Australia, e avrei fatto di tutto per convincere i miei a farlo, non mi importava del lavoro di papà, sarei andata dai nonni, mi sarei presa cura di loro, oppure da Juno, tanto a casa sua c’era abbastanza spazio per me.
 
Bollivo dentro di emozioni e le mie gambe non erano mai state così veloci, ma una volta arrivata davanti a quello che fino a poco prima pensavo sarebbe stato per l’ultima volta il mio armadietto, quelle stesse gambe si atrofizzarono e dentro non sentii più nulla. Tanti post-it colorati ricoprivano quella superfice di acciaio, post-it di tutte le svariate forme. La mia vista si annebbiò di colpo, mi sforzai di focalizzare il numero sopra la targa, sperando non fosse davvero il mio armadietto, sperando non fosse il 536. Tutti gli studenti che passeggiavo lungo quel corridoio ridacchiavano notando ciò che purtroppo stavo notando anche io, non poteva essere vero.
 
Mi scagliai contro con rabbia e senza fermarmi un secondo staccai tutti quei pezzi di carta con su scritto sopra numeri di telefono anonimi o accompagnati da nomi di ragazzi che neanche conoscevo, che in modo derisorio mi invitavano ad andare a letto con loro. Non ebbi neanche il coraggio di leggere tutte le proposte, accartocciai quelli che potei gettandoli a terra, aprii l’anta e con un gesto netto trascinai tutto quello che c’era dentro lo zaino. Il mio cuore batteva così forte che invece il tempo sembrava andare a rilento, alcuni post-it erano anche all’interno ed era come se levandone uno altri tre spuntavano all’improvviso non lasciandomi in pace. La testa cominciò a martellarmi, non ero poi più così tanto sicura che l’ossigeno mi stesse arrivando al cervello, sarei svenuta lì davanti per l’imbarazzo e il dolore che stavo provando se non fossi uscita immediatamente da quell’inferno.
 
Voltai lo sguardo cercando di capire quante persone stavano assistendo a tutto ciò, ma tutti i volti mi erano così tanto sconosciuti, tutto ai miei occhi apparì confuso. Riuscii a leggerne solo uno chiaramente, un volto inconfondibile. Incrociando il suo sguardo avvertii un comune stesso senso di smarrimento.
 
Forse per la prima volta in vita sua, William Henderson, si sentì sopraffatto e schiacciato dalle conseguenze delle proprie azioni.







E con il 2015 ecco il mio agoniato rietro con un capitolo tutto capitanato dall'ironia e dall'umorismo di Emily Henderson, ma che si chiude con tutto rispetto con la nostra protagonista.

Quanto tempo è passato dall'ultimo aggiornamento? Mesi? Anni? Quante di voi nel frattempo si sono trovate il ragazzo o firmato il mutuo per la prima casa?

A me sono cresciuti solo di qualche centimetro i capelli e spuntato qualche nuovo brufolo sul mento.

Passando al capitolo, devo dire che ho davvero dedicato tutta me stessa nella stesura, e praticamente scritto e cancellato innumerevoli volte.
Ero davvero molto insicura su che forma dargli, ma alla fine ce l'ho fatta e cagata o meno eccolo qui.
E vi ho voluto veramente bene ad aver fatto indossare a William un paio di guanti rosa shocking, già, anche lui lava i piatti e fa i servizi di casa.

Emily si scopre aver un amico di limoni, e probabilmente fonte di distrazione che l'ha impegnata al festino lasciando sola Charlie durante il fattaccio.
Possiamo fargliene una colpa?
Voi che avreste scelto?
La vostra neo-amica o i limoni?
Io i limoni. E se volete fateme una colpa.

La vita di Charlie invece diventa sempre più turbolenta, da quando si è trasferita non ha un attimo di pace interiore, sempre scossa da continue emozioni e sventure che di certo almeno l'aiuteranno a crescere e a maturare nel corso della storia. Se siete capitate qui per caso sperando di trovare una storia con una ragazzina che sprofonda nell'autolesionismo, beh vi siete davvero perse, proprio come se stesse giocando durante una festa in casa a mosca cieca e foste finite a palpare le tette di vostra nonna. Se c'è qualcuno che dovrebbe lesionare qualcun'altro questa è sicuramente Charlie che dovrebbe davvero far perdere molto sangue al tenebroso e acclamato Henderson (oppure potrebbe sempre imparare da Emily e lanciare oggetti di cancelleria addosso cercando di prendere la mira su parti estremamente sensibili). Anche se forse proprio ora non sarebbe il caso, dato che il nostro bad boy si è probabilmente accorto, come dice Charlie, della gran cazzata che ha combinato.

Andiamo invece a compatire Rossella che ahimè di limoni non ne ha visti. Derek sembra quasi più puritano di Charlie, e questo non fa altro che accrescere del desiderio e delle voglie represse nell'Italiana.

Al prossimo aggiornamento, baci bacioni (chissà magari nel frattempo metto su anche qualche taglia di seno).






   
 
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